CON IL “CHE”
E CON FIDEL
SEMPRE E COMUNQUE
Maurizio
Barozzi
Nel presentare
l’intervista sotto riportata, a Mario
La Ferla, circa la figura di Ernesto Che Guevara, voglio esternare perché, da
fascisti, siamo dalla parte di Guevara, ma anche di Fidel Castro. Non solo e
non tanto, quindi, ammirazione per il “combattente” Guevara, ma anche comunanza
ideale e politica.
Come il rivoluzionario socialista Nicola Bombacci si
trovò sul piano della rivoluzione socialista nazionale di Mussolini e la RSI,
per la lotta del sangue contro l’oro, così i fascisti repubblicani si trovano
sullo stesso piano della rivoluzione socialista di Guevara e contro
l’imperialismo americano.
“Ogni vero uomo deve
sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato a qualunque altro uomo”. Guevara
“La nostra azione è tutta un
grido di guerra contro l'imperialismo e un appello all'unità dei popoli contro
il grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d'America”. Guevara
Cominciamo con il
dire che non è possibile, ”stirare” Ernesto “Che” Guevara della Serna, medico,
scrittore, idealista e rivoluzionario, verso “destra” (valorizzando l’idealismo
delle sue eroiche attitudini di combattente e ignorando il suo solidarismo
umano e socialista) o verso “sinistra”, rifacendosi ai suoi scritti che a volte
si richiamano al comunismo.
E questo vale anche per
Fidel Castro, nonostante che Castro, per il suo ruolo di capo di Stato di una
piccola nazione esposta alle grinfie americane, doveva appoggiarsi ai sovietici
e doveva recitare un certo ruolo e mitigare certi atteggiamenti, abbandonando
le posizioni rivoluzionarie attive.
Ma i dissidi tra Castro e il
“Che”, sebbene non secondari, non sono mai trascesi oltre un certo punto.
Rievochiamo, per
prima cosa, alcuni passaggi della lotta rivoluzionaria di Guevara dopo la
meravigliosa impresa della liberazione di Cuba, e lo facciamo con la analisi,
fatta dai fascisti della Federazione nazionale combattenti della RSI, nella
rivista “Corrispondenza Repubblicana” del novembre 1967:
<<[Guevara], ministro dell'Economia e direttore della Banca Centrale, al
temine della rivoluzione crede che la cosa più importante sia di costruire lo
Stato socialista a Cuba.
È colui che dà
maggior impulso alle nazionalizzazioni dei beni statunitensi, e per ciò che
riguarda l'attuazione della riforma agraria tenta di impostare un sistema di
incentivizzazione ideale, in contrasto in ciò con Fidel Castro che invece vuole
degli incentivi di carattere economico.
Col maturare degli
eventi, dopo il 1962, mentre si fa sempre più pesante il condizionamento
sovietico, Guevara si scontra nelle sue teorie economiche con Fidel e con
l'Unione Sovietica (del resto si rende ben conto che sovietici americani, si scontrano sul
piano tattico, ma sono concordi sul piano strategico di controllo del pianeta,
n.d.r.).
Voleva spingere
l'economia cubana su una strada di forte industrializzazione, ma l'appoggio
sovietico presupponeva aiuti limitati per l'industrializzazione e una grossa
produzione di zucchero da esportare nei paesi comunisti.
Guevara lascia il
Ministero dell'Economia, perde completamente la sua fiducia nell'appoggio
«rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto raramente dell'URSS, ma
questo silenzio, in una certa misura, è molto indicativo), comincia a fare
viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa. Non crede più nel nazionalismo
o «socialismo cubano» di Castro, ma comincia ad intuire un disegno più vasto.
Guevara lascia il Ministero dell'Economia, perde completamente la sua
fiducia nell'appoggio «rivoluzionario» dell'Unione Sovietica (parlerà molto
raramente dell'URSS, ma questo silenzio, in una certa misura, è molto
indicativo), comincia a fare viaggi in alcuni Paesi dell'Asia e dell'Africa.
Non crede più nel nazionalismo o «socialismo cubano» di Castro, ma
comincia ad intuire un disegno più vasto.
Nell'aprile del 1964 è ad Algeri a colloquio con Ben Bella. Il
«radicale» Ben Bella che concepisce ben altri disegni che quelli rivoluzionari,
orientato decisamente su una via riformista e tecnocratica e con in più un
progetto di forti legami con il capitale americano, delude profondamente
Guevara e gli conferma anzi la sua intuizione sulla logica fine di una
rivoluzione a sfondo nazionale.
Ormai ha chiaro in mente che la lotta «anti-imperialista» non può che
comprendere un vasto fronte internazionale se vuole avere qualche possibilità
di vittoria.
Nei primi mesi del '65 tenta di organizzare la guerriglia nel Congo, ma
questa volta è il materiale umano a deluderlo: le bande tribali del Congo non
sono addestrabili per nessun tipo di lotta seria e con delle parole più o meno
simili lascerà in breve il tentativo nell'Africa Occidentale.
Il viaggio a Pekino e l'esperienza del Vietnam sono quelle che più
influenzano il «Che». La Cina aveva condotto tempo addietro un tentativo di
collegamento della politica di alcuni Paesi del terzo mondo per tentare su
queste basi una lotta internazionalista. Il fallimento del viaggio di Ciu En Lai
in Africa aveva fatto scartare definitivamente questa idea, mentre la via della
lotta nel Vietnam in una delimitata area di influenza, nella quale si potevano
far sentire concretamente un appoggio economico e dei motivi di carattere
nazionale e razziale, aveva portato la Cina a restringere l'orizzonte della sua
politica, ma ad aumentare l'efficacia della lotta rivoluzionaria.
Il viaggio a Pekino non fece di Guevara un «cinese» come comunemente è
dato di pensare, ma anzi fece maturare in lui la presa di coscienza della
inutilità dell'internazionalismo a sfondo cosmopolita, e della validità della
via delle lotte nell'ambito delle grandi aree nazionali.
Ecco il compiersi del lungo viaggio di Guevara. Da solo, mentre il
castrismo aveva abbandonato la lotta, e i partiti comunisti ufficiali sotto la
guida dell'esperienza sovietica si impegnavano sulla via politica subordinando
a questa la guerriglia o addirittura, come nel Venezuela, tradendo i
guerriglieri, egli gira l'America Latina nel tentativo di riallacciare le
maglie della rivoluzione.
L'esperienza vietnamita che cerca di ripercorrere nell'America Latina è
l'unica possibilità rivoluzionaria che possa attuarsi nella regione, ma è molto
più difficile organizzare la lotta nel continente sudamericano che ai confini
della Cina.
Il Vietnam ha grandi aiuti militari ed economici, i guerriglieri sono
facilmente riforniti in continuazione e, nello stesso tempo, gli Stati Uniti
sono costretti in quella regione ad agire con le mani legate avendo a che fare
con delle possibili complicazioni che essi non desiderano e vogliono evitare
(il bombardamento della Cina avrebbe come riflesso, quasi certamente, il colpo
di stato militare nell'Unione Sovietica con la fine della distensione).
I pochi rivoluzionari sudamericani avevano comunque iniziato a dare
grossi fastidi. In Bolivia era stata occupata una cittadina e nella regione di
Vallegrande i rivoluzionari avevano cominciato ad avere un certo appoggio dalla
popolazione locale. Nel Venezuela, in Colombia, nel Guatemala la lotta ha degli
alti e bassi ma già è impossibile sradicarla.
Non crediamo che Guevara si facesse soverchie illusioni sui risultati
immediati della sua azione, comprendeva bene le difficoltà che il movimento
rivoluzionario aveva di fronte.
L'importante era tenere deste le coscienze, dare un punto di riferimento
per la rivoluzione, mettere in moto il piccolo motore. L'appello che lanciò nei
primi mesi di quest'anno si chiude con queste parole:
“In qualsiasi posto ci sorprenda la morte sia essa benvenuta, purché questo
nostro grido di guerra giunga ad un orecchio sensibile, e un'altra mano si
tenda ad impugnare le nostre armi, e altri uomini si apprestino ad intonare il
canto funebre con il crepitio della mitraglia e nuove grida di guerra e di
vittoria”.
(Corrispondenza Repubblicana N. 13 novembre 1967 – visibile in: http://fncrsi.altervista.org/ - visibile in: http://fncrsi.altervista.org/).
Cosicchè, dopo un certo
peregrinare alla ricerca di realtà rivoluzionarie, Guevara finisce in Bolivia.
Probabilmente vi è anche un segreto accordo tra lui e Fidel, a cui il “Che” è
sempre legato, ma il capo di Stato cubano, non può compromettersi troppo. Il
resto è noto. Il fallimento della guerriglia in Bolivia, la cattura e la morte.
Considerando il mancato
appoggio che venne negato a Guevara dal partito comunista boliviano" e la
posizione di non appoggio che dovette assumere Castro, possiamo ben dire che
Guevara fu un vittima sacrificata a Jalta, alla spartizione del mondo in due
sfere di influenza Usa – Urss e gli accordi segreti per la “coesistenza
pacifica” tra loro.
Ma non indifferenti sono
state anche le valenze negative, e le sicure delazioni, che poterono venirgli
da tutti quegli ambienti europei di “comunisti al caviale”, falsi
rivoluzionari, editori e registi francesi pseudo comunisti, e le solite logge massoniche, con epicentro a
Praga, che al tempo “cavalcavano” l’immagine rivoluzionaria di Guevara.
In ogni caso, noi fascisti della Fncrsi, fautori di
una società socialista, da realizzarsi in ambito nazionale e fautori di
una lotta di liberazione nazionale dal
colonialismo americano e dalle lobby sioniste, possiamo ben valutare ed
esternare ammirazione e condivisione per il “Che” e per Fidel.
Non solo onorando nel “Che”, il ruolo rivoluzionario,
l’eroe e il combattente, ma anche
condividendone tutte quelle posizioni e istanze che trovano similitudine nel
nostro fascismo repubblicano.
Il fascismo, come recita la
sua dottrina, è pensiero a cui segue l’azione, ed è per questo che non amiamo
le ambiguità, non ci incantano certi “intellettuali” di destra, parliamo per
esempio di Giano Accame, missista, già collaboratore del massone Pacciardi e della sua Nuova Repubblica, subdolo esperimento politico di marca “servizi
americani”, una delle migliori menti della destra, da sempre filo sionista, che
poi se ne esce con masturbazioni mentali tipo “il fascismo immenso e rosso” nel tentativo di dare qualche
contenuto culturale ad una destra priva di tutto.
Potremmo anche apprezzare
certi suoi sforzi “intellettuali”, per una riscoperta sociale del fascismo e soprattutto
le sue valutazioni di Ezra Pound e Giacinto Auriti, ma noi pretendiamo di più,
siamo “estremisti”, vogliamo posizioni
nette e definitive, non ambiguità e soprattutto coerenza di condotta per
la quale il MSI, il filo atlantismo e il filo sionismo, sono tradimento del
fascismo e degli interessi nazionale e quindi tutto il resto non conta.
Così come ben poco ci
incantano certe onoranze e apprezzamenti, al combattente Guevara da parte di
una presunta destra movimentista.
Come abbiamo visto, già nel 1967, mentre le destre missiste osteggiavano Guevara e inneggiavano ai Colonnelli greci (pochi anni dopo, senza vergogna inneggeranno a quel criminale di Pinochet), i veri fascisti ex combattenti della RSI, irriducibili nemici del missismo e di tutte le destre, presero netta e decisa posizione su Guevara.
Tempo dopo i fascisti Fncrsi
realizzarono anche il volantino qui appresso esposto comparando, non a caso,
Mussolini e Guevara.
Possiamo comunque dire che
non è vero che Castro e Guevara siano stati dei comunisti nel senso marxista
leninista o bolscevico del termine, basta leggere tutto quello che ci hanno
lasciato, anche se spesso hanno per necessità geopolitiche e tattiche, usato un
certo linguaggio, per rendersene conto.
Di certo, dopo aver
strappato Cuba dalle grinfie di Batista (un servo degli yankee e delle
oligarchie cui, è bene ricordare, non pochi destristi di vari paesi del mondo
erano fraterni amici) che aveva ridotto quell’isola al tempio del vizio, della
corruzione, riserva delle mafie statunitensi e con tutte le ricchezze del
paese, oltretutto non di certo abbondanti, nelle mani di pochi speculatori e
latifondisti, mentre il popolo moriva di fame, Castro ha compiuto un vero
miracolo geopolitico e sociale (qualche imbecille di destra che si è recato a
Cuba, cieco di fronte alle conquiste sociali di Castro, ha notato che i cubani
non hanno il frigorifero ultimo modello e che il paese e sottosviluppato, non
rendendosi conto della situazione geopolitica, drammatica, di quel paese e del
fatto che le conquiste di un popolo non si valutano solo in termini di
“modernità” con quel che comporta di distruzione dell’ambiente, speculazioni e
alienazioni della vita).
Orbene, la nazionalizzazione
e la socializzazione delle imprese e delle terre, le case per il popolo, l’istruzione
per tutti, praticata da Castro e dal Che, tra difficoltà indicibili e scarsezza
di materiale umano, rimasto arretrato, sono state ancor prima un patrimonio
sociale del fascismo repubblicano, così come l’essenza dello Stato dove devono
primeggiare i principi etici e politici e non quelli economici e finanziari.
Il fascismo inoltre, nemico
dell’individualismo, ha sempre praticato il principio antiliberale, della
“mutualità”, una mutualità messa al servizio del paese e del popolo per
riequilibrare gli squilibri sociali tra le diverse aree geografiche.
Qualche imbecille potrebbe ancora
obiettare: ma il fascismo è per la Gerarchia
mentre il comunismo ne è la negazione.
Certamente la weltanschauung
del fascismo parte da un principio anti egualitario degli esseri umani, ma gli
stessi Guevara e Castro, decisi ad abbattere le differenziazioni economiche e
di casta e a dare a tutti le stesse possibilità realizzative, distribuendo
equamente le ricchezze del paese e del lavoro, né più e né meno di quello che
aveva fatto il fascismo con la RSI, non avevano una visione della vita e del
mondo totalmente materialista o propriamente comunista.
E allora anche qui bisogna
mettersi d’accordo.
Il fascismo, giustamente
anti egualitario, prospetta uno stato organico di gerarchie delle capacità a
seconda delle qualifiche personali: quindi capacità tecniche, manageriali, intellettuali,
ecc. Sopra di queste le attitudini eroiche e spirituali, ovvero il predominio
di quelle specificità e virtù che distinguono le individualità eticamente superiori.
Questa è la concezione gerarchica del fascismo, che non ha nulla a che vedere
con gerarchie di carattere plutocratico.
Ma attenzione: questa concezione dell’uomo e delle gerarchie, che
si configura nella dottrina del fascismo e trova indicazioni nella sapienza
antica (ben ricostruita da J. Evola), non vanno viste come le vedeva, in senso
reazionario lo stesso Evola che era rimasto a Metternich.
Il fascismo, fenomeno del XX
Secolo le configurava in una concezione di comunità social nazionale, adeguata
ai tempi moderni, mentre Evola, di fatto andava poco più in là delle caste e ancora
coltivava speranze nelle aristocrazie d’Europa i cui squallidi residui, invece,
erano intenti nei loro amorazzi da rotocalco e si dilettavano nei casinò e
nelle stazioni termali.
Il fascismo, per uno di quei
miracoli della Storia, pur venendo dal fiume carsico della Rivoluzione francese
e del Risorgimento, fenomeni storici di carattere sovversivo e
antitradizionale, ne interpretava le necessarie istanze rivoluzionarie e al
contempo finiva per riallacciarsi al solco della Tradizione.
Questo perché “indietro” non
si poteva tornare e il vecchio mondo delle aristocrazie aveva fatto il suo
tempo affogando nel sangue e nella corruzione.
Il fascismo della RSI,
inoltre, si era ben reso conto che il sistema gerarchico del ventennio, quello
delle “cariche dall’alto”, non aveva funzionato ed aveva espresso gerarchie di
buffoni e di approfittatori, palesatesi in pieno il 25 luglio del ‘43.
Non a caso Mussolini in repubblica disse chiaramente
che il fascismo, con la sua Repubblica Sociale, senza scantonare nella
democrazia, doveva però trovare una via di mezzo tra le cariche dall’alto e le nomine
elettive che pur assicuravano la necessaria critica, sprone e controllo.
Tutta questa concezione di
uno stato “Nazional popolare” con la
società socialmente ridefinita in termini di socialismo nazionale e fine dei
privilegi economici, è molto simile a quella vagheggiata da Guevara e da Castro,
non ci sono contraddizioni, ma soltanto un diverso uso di un linguaggio di
propaganda, a causa dei tempi storici diversi.
Molte quindi le similitudini
ed ovviamente anche le differenze, nel determinare le necessarie gerarchie nel
partito e nello Stato, sia nel modo in cui le stava progettando e organizzando
la Repubblica Sociale Italiana e sia come si cercò di attuarle nella repubblica
laico socialista di Cuba, dove pur si recepirono alcuni principi tratti dalle
categorie marxiane ed hegheliane.
Ed entrambi queste due
rivoluzioni, pur con i loro distingui, erano l’antitesi delle gerarchie e delle
oligarchie, dei paesi democratici occidentali, come noto determinate dal
maneggio del denaro, dalle manipolazioni e illusioni dell’elettorato.
Da notare, en passant, che
nei paesi capitalisti, anche nelle stesse imprese, tempio del padronato, le
gerarchie si determinano attraverso dei falsi valori. Tutto al più vi è la
ricerca di abili tecnici e manager da
porre al servizio della proprietà per mandare avanti l’Azienda (capacità
meritocratiche), ma per il resto, nei posti di lavoro, si “fa carriera”
attraverso il leccaculismo, la delazione al padrone, l’entrare nelle grazie dei
superiori, il valutare tutto in termini di resa economica. Questo perché i
proprietari dell’impresa, a parte una certa abilità tecnica e manageriale,
hanno bisogno di schiavi totalmente asserviti.
Ma consideriamo anche la
nomenklatura comunista che tanto spaventa il borghese e il destrista che ha
paura che gli portano via la casa, la bottega, il crocefisso: ah quei cavalli
dei Cosacchi che volevano venire ad abbeverarsi nella fontane di Sampietro
(magari! Ci sarebbe da dire oggi, visto come siamo andati a finire, che società
da “Grande Fratello” si è instaurata e come abbiamo totalmente perso ogni
residuo di sovranità nazionale).
La storia ci ha dimostrato
che le nazioni che hanno conosciuto decenni di dittatura comunista, una volta
imploso il comunismo, dileguatosi come una “brutta nottata”, hanno mostrato che
il popolo, nonostante le violenze subite e la privazione delle libertà
personali, è rimasto sostanzialmente integro, mentre invece dove è arrivato il
“mondo libero”, l’americanismo, tutto è andato perduto: tradizioni, culture,
peculiarità dei singoli popoli, tutto annientato dall’Occidente, il vero nemico
dell’Uomo.
Questo perché il comunismo,
nella sua accezione marxista leninista è una utopia, una concezione impossibile
per la natura umana. Può essere transitoriamente imposto con la forza, ma
inevitabilmente la natura umana, il suo spirito, finiscono per prendersi la
loro rivincita.
Ed infatti, nei paesi dove
il comunismo è andato o è stato imposto al potere, una vera società comunista
non si riusciva a realizzare e una volta collassato il sistema di comunismo non
restava più nulla.
Ma invece non è così per
l’occidente, il vero nemico dell’uomo, con il suo edonismo e il suo iper
individualismo.
Come disse un poeta sud
coreano negli anni ’50: dopo sei mesi che
erano arrivati questi americani in Corea, non riconoscevo più il mio popolo
distrutto dal vizio, dalla corruzione, dalla Coca Cola. Figuratevi oggi
noi, dopo quasi 70 anni di colonialismo
americano, dove abbiamo addirittura perso la gioventù disintegrata dalle mode,
dalle musiche, dalle discoteche, dai tatuaggi, dai piercing, dagli Ipood e
tablet, e dai videogiochi. Per non parlare dell’altro “regalo” dell’occidente:
sballo e droghe.
Ed anche qui era errata
l’analisi evoliana (di un Evola, tanto bravo come “maestro”, ma tanto scarso come politico), quella
del “male minore”, per cui bisognava schierarsi con il “mondo libero” per
evitare il peggio, cioè il comunismo, quando era vero esattamente il contrario.
L'8 ottobre 1967 Guevara
ferito viene catturato da forze anti-guerriglia dell'esercito boliviano,
coadiuvate da forze speciali statunitensi, a La Higuera, nella provincia di Vallegrande (Bolivia), Il 9 ottobre Guevara venne ucciso nella scuola del villaggio
e poi gli amputarono le mani. Il suo cadavere venne ritrovato nel 1997 e fu portato nel
Mausoleo di Santa Clara di Cuba.
Noi fascisti repubblicani
rivendichiamo il Che Guevara in tutto e per tutto senza sé e senza ma.
Hasta siempre, Comandante!
Maurizio Barozzi