lunedì 30 giugno 2014
L'INSEGNAMENTO SCONOSCIUTO!!!!!!!!!!
Tratti dal libro in questione è “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, di P.D. Ouspensky, Ed. Astrolabio.
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G. aveva un suo modo di combinare queste riunioni, che non capivo molto bene. Mi pareva che rendesse le cose più difficili del necessario. Per esempio, accadeva raramente che egli mi autorizzasse a fissare in anticipo una data precisa. Di solito si veniva a sapere, alla fine di una riunione, che G. sarebbe rientrato a Mosca il giorno dopo. Ma il mattino seguente diceva di aver deciso di restare fino alla sera. L’intera giornata la trascorreva nei caffè dove incontrava persone che desideravano vederlo. Ed era solo la sera, un’ora o un’ora e mezzo prima che incominciassero le nostre riunioni abituali, che mi diceva : “Perché non riunirci stasera ? Avvertite quelli che vorranno venire e dite che saremo nel tal luogo”.
Mi precipitavo al telefono, ma verso le sette o le sette e mezzo di sera naturalmente tutti erano già impegnati e non potevo riunire che un piccolo gruppo di persone.
Non riuscivo a vedere, allora, perché G. agisse in tal modo. In seguito, però, cominciai ad individuare chiaramente il motivo principale : G. non voleva in alcun modo rendere facile il contatto con il suo insegnamento. Al contrario, riteneva che la gente avrebbe potuto apprezzare le sue idee soltanto superando difficoltà accidentali o arbitrarie.
“Nessuno apprezza”, diceva, “ciò che viene senza sforzo. Se un uomo ha già provato qualcosa, siate certi che resterà tutto il giorno vicino al telefono per non perdere un eventuale invito, oppure chiamerà egli stesso, domanderà, si informerà. E se uno aspetta di essere chiamato o si informa di persona in anticipo solo per rendersi le cose più comode, fatelo aspettare ancora. Certo, per quelli che abitano fuori Pietroburgo non è facile. Ma non ci possiamo far niente. Più tardi, forse, avremo delle riunioni a date fisse. Per il momento è impossibile, bisogna che le persone si manifestino, e che noi possiamo vedere come apprezzano ciò che hanno inteso.”
Tutti questi punti di vista, e molti altri ancora, restavano allora per me quasi incomprensibili. (…)
“Voi non vi rendete conto della vostra situazione. Voi siete in prigione e tutto ciò che potete desiderare, se avete del buon senso, è di evadere. Ma come evadere ? Occorre perforare un muro, scavare una galleria. Un uomo solo non può fare niente, ma supponete che siano dieci o venti e che lavorino a turno; assistendosi l’un l’altro, possono finire la galleria ed evadere.
(…) Ma un prigioniero isolato non può… . E’ necessaria una organizzazione. Nulla può essere portato a termine senza una organizzazione”.
(…) …ogni prigioniero può trovare un giorno la sua possibilità di evasione, a condizione, beninteso, che egli sappia rendersi conto di essere in prigione. Ma fintanto che non riesce a rendersene conto, fino a quando si crede libero, quale possibilità potrà avere ? Non si può cooperare con la forza alla liberazione di un uomo che non vuole essere libero, che anzi desidera assolutamente il contrario. La liberazione è possibile, ma esclusivamente come risultato di fatiche prolungate, di grandi sforzi e, soprattutto, di sforzi coscienti verso uno scopo definito”.
(…)
RASSEGNA STAMPA 30/06/2014
RENZI IL KEYNESIANO
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23520
L'IRAQ RINGRAZIA LA SIRIA PER AVER BOMBARDATO IL SIIS, E OBAMA AIUTA IL SETTARISMO IN SIRIA
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/29/liraq-ringrazia-la-siria-per-aver-bombardato-il-siis-e-obama-aiuta-il-settarismo-in-siria/
NOVOROSSIJA, WASHINGTON CONFESSA LA SCONFITTA
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/28/novorossija-washington-confessa-la-sconfitta/
DOSSIER JUNKER / UOMO CAPACE DI TUTTO, ANCHE DI FAR FABBRICARE FALSE ACCUSE DI PEDOFILIA CONTRO CHI INDAGAVA SU DI LUI
http://www.ilnord.it/c-3198_DOSSIER_JUNCKER__UOMO_CAPACE_DI_TUTTO_ANCHE_DI_FAR_FABBRICARE_FALSE_ACCUSE_DI_PEDOFILIA_CONTRO_CHI_INDAGAVA_SU_DI_LUI
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23520
L'IRAQ RINGRAZIA LA SIRIA PER AVER BOMBARDATO IL SIIS, E OBAMA AIUTA IL SETTARISMO IN SIRIA
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/29/liraq-ringrazia-la-siria-per-aver-bombardato-il-siis-e-obama-aiuta-il-settarismo-in-siria/
NOVOROSSIJA, WASHINGTON CONFESSA LA SCONFITTA
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/28/novorossija-washington-confessa-la-sconfitta/
DOSSIER JUNKER / UOMO CAPACE DI TUTTO, ANCHE DI FAR FABBRICARE FALSE ACCUSE DI PEDOFILIA CONTRO CHI INDAGAVA SU DI LUI
http://www.ilnord.it/c-3198_DOSSIER_JUNCKER__UOMO_CAPACE_DI_TUTTO_ANCHE_DI_FAR_FABBRICARE_FALSE_ACCUSE_DI_PEDOFILIA_CONTRO_CHI_INDAGAVA_SU_DI_LUI
domenica 29 giugno 2014
BLITZ E REDDITOMETRO. INTERVIENE VINCENZO VISCO
Federazione fra le
associazioni ed i sindacati nazionali dei dirigenti, vicedirigenti, funzionari,
professionisti e pensionati della Pubblica Amministrazione e delle imprese
Piazza Risorgimento,
59 00192 Roma – tel. 06.3222097 - fax. 063212690
www.dirstat.it - dirstat@dirstat.it
IL VICE SEGRETARIO GENERALE
COMUNICATO STAMPA
BLITZ E
REDDITOMETRO. INTERVIENE VINCENZO VISCO
Roma, 23 giugno 2014 - E'
apparsa una recente intervista in tema di evasione fiscale rilasciata ad un
quotidiano nazionale dall'ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco, ben
conosciuto anche per essere un insigne studioso della materia tributaria. Egli
non usa mezzi termini per dire che i blitz degli uffici delle Entrate e della
Guardia di Finanza e l'uso del redditometro,se intesi quali unici strumenti per
contrastare l'evasione fiscale,non possono debellare un grave malanno,ma
servono terapie molto più incisive.L'accertamento sintetico del reddito complessivo
delle persone fisiche non è una novella legislativa,esso essendo già presente
nell'ordinamento tributario dal lontano 1973(DPR 600-art.38),quando il
legislatore ne previde l'uso,ma solo quale completamento dell'accertamento
analitico. Ne è ben consapevole il prof. Visco,tant'è che ha voluto parlarne
con il ministro Padoan e con il premier Renzi. Visco vede giusto pure nel dire
che è l'iva "la culla dell'evasione", essendo evidente che evadere
l'imposta sul valore aggiunto altro non è che la via breve per sottrarre
all'imposizione il reddito.
L'evasione
fiscale è una nequizia che può essere rimossa,basta volerlo.
Si è detto
d'accordo il ministro Padoan,sembra che ne concordi anche la Presidenza del
Consiglio,allora avanti tutta!
Dr.
Pietro Paolo Boiano
sabato 28 giugno 2014
SUL CASO MATTEOTTI DI PUCCIARELLI E CROCE.
VIDEO SUL CASO MATTEOTTI DI PUCCIARELLI E CROCE.
A Giampaolo e Ubaldo
Ho visto il vostro Video (http://www.youtube.com/watch? v=6sXmG03AhEs&list= UU7b2ucggsoy5DEB_asCTjUg& feature=em-share_video_in_ list_user),che ho anche condiviso e quindi rilanciato IN FCEBOOK, Una interessante conversazione a cui però , mi preme precisare e formulare alcune considerazioni.
Mi riferisco in particolare alla infelice frase utilizzata, sia pure ritengo non con intenti denigratori, ma solo esplicativi, da Pucciarelli (mutuata anche dal testo di G. Fasanella e J. Cereghino,” Il Golpe inglese”, pubblicato dalla Chiarelettere), laddove si afferma di un “Mussolini creatura inglese”.
A mio avviso a Pucciarelli, pur bravissimo nell’individuare retroscena storici, sulla base delle documentazioni che reperisce anche dalla editoria internazionale, sfugge però poi (o così almeno mi sembra) la complessità degli stessi avvenimenti storici. Questo perché gli avvenimenti storici presuppongono che il ”complottismo” non può essere ignorato , perché è una componente della natura umana e della pratica politica, purtuttavia l’insieme delle cause e concause, dei fatti e reazioni che determinano poi la Storia non possono essere letti, e tantomeno spiegati, solo attraverso l’analisi “cospirativa”.
Ad esempio, utilizzando SOLO l’analisi complottista, dovremmo dire che il Fascismo nasce a piazza S. Sepolcro il 23 marzo 1919 dietro un progetto massonico, post Interventismo e che ora aveva individuato in Mussolini l’elemento capace per farne un piccolo Napoleone locale in grado di scalzare posizioni di potere, comprese quelle del Vaticano, ostili alla Massoneria. La prova poteva dirsi costituita dal fatto che su un centinaio di partecipanti alla costituzione dei Fasci di Combattimento, circa una ottantina avevano la tessera massonica in tasca.
In realtà, un certo interesse a questa strategia ci può essere stato, ma poi si vanificò già nel 1920 quando i Fasci presero una strada divergente dagli interessi massonici e la massoneria di Palazzo Giustiniani del Torrigiani, se ne distaccò immediatamente. Anzi nel 1923, dopo le aperture di Mussolini alla Chiesa, la massoneria divenne un nemico irriducibile del fascismo, avendo intuito che si stavano creando le premesse al Concordato di sei anni dopo.
L’alta presenza di massoni a piazza S. Sepolcro la si spiega con il fatto che al tempo in Italia era in auge l’alternativa tra l’essere massoni o filo clericali.
Volenti o nolenti la massoneria era anche ra un portato culturale dell’epoca per il quale, in particolare, gli spiriti agitatori, rivoluzionari, gli elementi dell’ex interventismo, facilmente erano anche massoni, di una massoneria quindi che dobbiamo vedere non solo come setta e lobby di potere, ma anche come fenomeno culturale. .
La stessa cosa la si potrebbe affermare per i finanziamenti di certe banche ad Hitler negli anni ’20, e così via.
Il ricercatore storico che si accinge a interpretare e scoprire determinati avvenimenti e meccanismi, deve sempre aver presente che nella Storia, quando si affacciano uomini di un certo livello e capacità e fatti di una certa incidenza e portata, SEMPRE E COMUNQUE, ci sono poteri già costituiti che cercano di indirizzarli, di piegarli o semplicemente di utilizzarli per i propri scopi, per proprie strategie. A questo si accompagna il fatto che a volte, certe situazioni possono anche essere state create “a tavolino”, in laboratorio.
E’ una legge storica inevitabile che comprende e considera il “complottismo”, ma lo riconduce all’interno di un fenomeno storico molto più complesso.
.Se non si tiene presente questo si può incorrere in palesi cantonate, tali da far dire che “Mussolini era una creatura inglese”, Lenin una creatura delle grandi banche, e così pure Hitler. .
Si da il caso infatti che certi processi rivoluzionari, o determinate forze o uomini che mirano al cambiamento, per imporsi, devono giocoforza utilizzare quello che “passa il convento”. Non si fa politica e tanto meno le rivoluzioni senza i finanziamenti. E i finanziamenti si cercano, si prendono quando offerti, o si reperiscono con gli espropri.
Spesso tali finanziamenti, soddisfano i finanziatori nel contingente, ma poi finiscono per creare il “mostro” che gli scava la fossa.
COLUI O COLORO CHE HANNO PRESO I FINANZIAMENTI , NON VUOL SEMPRE DIRE CHE SIANO CORROTTI O SIANO STRUMENTI DI CHI LI FINANZIA.
Venendo quindi al fatto in questione, quello di “Mussolini creatura inglese”, la cosa và letta diversamente.
Da una parte Puciarelli ha perfettamente ragione: le documentazioni attestano i finanziamenti inglesi. Del resto gli inglesi avevano al tempo, anni ’20, interesse che l’Italia, una portaerei naturale nel mediterraneo, utile per il controllo delle rotte sulla via del petrolio, un paese dove già potevano contare sulla monarchia di casa Savoia e su una vasta presenza di logge massoniche a Londra obbedienti, vi fosse anche un governo forte che assicurasse una certa stabilità.
Come nel 1917 finanziarono il “Popolo d’Italia” di Mussolini, impegnato dopo Caporetto a tenere in piedi il fronte interno Che minacciava di crollare causando l’uscita dell’Italia dalla guerra, quindi un interesse e una necessità comune, così negli anni ’20 potevano aver interesse ad una stabilità politica e sociale nel nostro paese e ritenevano che Mussolini poteva assicurarla. Ancora una volta coincidenza di posizioni.
Ma che Mussolini, non solo non fosse un “agente inglese”, ma anzi fosse proprio l’uomo che una volta preso il potere poteva creargli il massimo dei danni, lo attesta la successiva politica del Duce, quale statista, la sua difesa dei nostri interessi nazionali che riguardavano proprio il nostro ruolo nel mediterraneo fino ad arrivare al conflitto bellico. Non si tratta quindi di una questione “morale” o “etica”, ma di caire i processi storici.
Per fare un paragone con i recenti periodi storici e personaggi di una certa area politica, vediamo come invece, al contrario, i ricorrenti finanziamenti che gli americani, quali nostri colonizzatori, elargirono al MSI, da Michelini ad Almirante, furono presi, SOLO per fare gli interessi dei finanziatori non certo quelli del nostro paese.
MAURIZIO
La rivoluzione dell'auto a idrogeno: Toyota ci (ri)prova
La rivoluzione dell'auto a idrogeno: Toyota ci (ri)prova
Read more: http://it.ibtimes.com/articles/67865/20140627/auto-idrogeno-toyota-prezzo-autonomia-tesla-ammoniaca.htm#ixzz35yBEjX7z
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venerdì 27 giugno 2014
Operazione Husky 2014,la storia si ripete di Vincenzo Mannello
Operazione Husky 2014,(ri)chiamiamola così e "liberiamo" la Sicilia grazie ai marines. La testa di ponte creata con gli "ospiti" (si fa per dire,ma la base è formalmente sotto sovranità italiana) di Sigonella funziona alla grande in provincia di Catania. I baldi "volontari" a stelle e strisce, a fronte del vuoto creato dalle istituzioni nella manutenzione del bene pubblico,intervengono oramai ovunque ci sia bisogno. Scuole,strade,boschetti ed ieri,ultima entrata,la zona archeologica cittadina vengono a turno "liberate" da quel immondezzaio e da quel degrado caratteristici del nostro (catanese) patrimonio genetico. Appena il 4 giugno scorso avevo segnalato su La Sicilia la meritoria opera dei marines americani che,a cose fatte,si ritrovavano regolarmente in posa assieme agli stessi (ir)responsabili della cosa pubblica per la foto di rito. Mi ero limitato a manifestare sconcerto per l'andazzo che,a parti invertite,non trovava certo riscontro negli Usa. Ma,mea culpa,non avevo ancora ben capito. Catania è solo la "testa di ponte" della Operazione Husky 2014 : la nuova "liberazione" è vicina,grazie agli americani ed ai loro potenti mezzi.
Gli "esploratori" della Navy si sono presentati armati solo di ramazze,rastrelli e pennelli per verificare sul campo la situazione e la capacità delle autorità nel difendere il bene comune. Vista la totale disponibilità delle stesse a "disertare" per "mancanza di mezzi" e volontà politica hanno sicuramente accertato che gli Usa possono fare molto,molto di più. Sembra siano giunte, da Crocetta a scendere fino all'ultimo dirigente dei comuni,accorati appelli per l'immediato intervento su scala regionale. Pulizia delle spiagge e costruzione solarium (siamo già in piena stagione balneare) ; manutenzione delle autostrade (??? negli Usa non sarebbero neppure considerate sentieri) A18,A19 e 21,completamento della Sr-Gela e posa tramite genieri di corsie supplementari per la Catania-Ragusa ed Agrigento-Palermo ; pulizia integrale e fornitura di servizi igienici per tutti i Parchi Archeologici della Sicilia con particolare cura per Musei dissestati e senza personale ; fornitura di adeguati mezzi anti-incendio a tutela dei Parchi boschivi con impiego dei bombardieri Stealth (invisibili ai piromani) e di Rangers possibilmente a cavallo (l'occhio vuole la sua parte) ; potenziamento dei servizi sanitari di pronto soccorso (già definiti triage) con spostamento delle barelle ed ambulanze dall'Afghanistan ai vari presidi medici siciliani ; ripristino di stazioni ferroviarie e linee ferrate dismesse causa precedente sbarco e sue conseguenze ; potenziamento linee marittime per le isole minori con utilizzo dei mezzi trasporto truppe giacenti nei depositi della marina dopo la Guerra del Golfo ; costruzione provvisorio Ponte Bailey sullo Stretto di Messina per facilitare transito truppe terrestri.....
....per far cosa si chiederà chi (con pazienza) legge.
Ebbene,lo ho anticipato in premessa : è la Operazione Husky 2014 quella che è partita da Sigonella e che,dalla Sicilia,conta di "liberare" tutta l'Italia.
Per fortuna senza bombe ma con la presenza fisica e mediatica dei marines nella salvaguardia e tutela del territorio catanese,siciliano ed italiano. Via via abbandonato dalle istituzioni che lo dovevano difendere.
In fin dei conti,con gli opportuni adeguamenti,la storia di ripete.
Grazie per l'attenzione.
Gli "esploratori" della Navy si sono presentati armati solo di ramazze,rastrelli e pennelli per verificare sul campo la situazione e la capacità delle autorità nel difendere il bene comune. Vista la totale disponibilità delle stesse a "disertare" per "mancanza di mezzi" e volontà politica hanno sicuramente accertato che gli Usa possono fare molto,molto di più. Sembra siano giunte, da Crocetta a scendere fino all'ultimo dirigente dei comuni,accorati appelli per l'immediato intervento su scala regionale. Pulizia delle spiagge e costruzione solarium (siamo già in piena stagione balneare) ; manutenzione delle autostrade (??? negli Usa non sarebbero neppure considerate sentieri) A18,A19 e 21,completamento della Sr-Gela e posa tramite genieri di corsie supplementari per la Catania-Ragusa ed Agrigento-Palermo ; pulizia integrale e fornitura di servizi igienici per tutti i Parchi Archeologici della Sicilia con particolare cura per Musei dissestati e senza personale ; fornitura di adeguati mezzi anti-incendio a tutela dei Parchi boschivi con impiego dei bombardieri Stealth (invisibili ai piromani) e di Rangers possibilmente a cavallo (l'occhio vuole la sua parte) ; potenziamento dei servizi sanitari di pronto soccorso (già definiti triage) con spostamento delle barelle ed ambulanze dall'Afghanistan ai vari presidi medici siciliani ; ripristino di stazioni ferroviarie e linee ferrate dismesse causa precedente sbarco e sue conseguenze ; potenziamento linee marittime per le isole minori con utilizzo dei mezzi trasporto truppe giacenti nei depositi della marina dopo la Guerra del Golfo ; costruzione provvisorio Ponte Bailey sullo Stretto di Messina per facilitare transito truppe terrestri.....
....per far cosa si chiederà chi (con pazienza) legge.
Ebbene,lo ho anticipato in premessa : è la Operazione Husky 2014 quella che è partita da Sigonella e che,dalla Sicilia,conta di "liberare" tutta l'Italia.
Per fortuna senza bombe ma con la presenza fisica e mediatica dei marines nella salvaguardia e tutela del territorio catanese,siciliano ed italiano. Via via abbandonato dalle istituzioni che lo dovevano difendere.
In fin dei conti,con gli opportuni adeguamenti,la storia di ripete.
Grazie per l'attenzione.
DUE ARTICOLI AL VOLO (RASSEGNA STAMPA 27/06/2014)
IL SEMESTRE ITALIANO UE? UN SCENDILETTO PER GLI USA
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23518
BRZEZINSKI CAPOVOLTO: IL DILEMMA FINALE EURASIATICO
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/brzezinski-capovolto-il-dilemma-finale-eurasiatico/
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23518
BRZEZINSKI CAPOVOLTO: IL DILEMMA FINALE EURASIATICO
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/brzezinski-capovolto-il-dilemma-finale-eurasiatico/
giovedì 26 giugno 2014
Preghiera laica 26-06-2014
“Chi non grida la verità, quando la sa, si fa complice dei falsari e degli imbroglioni”
(By Charles Peguy)
"Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda"
(By Horacio Verbitsky)
“Se un uomo non sa rischiare per le sue idee, vuol dire o che le sue idee non valgono nulla o che non vale nulla lui”
(By Ezra Pound)
(By Charles Peguy)
"Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda"
(By Horacio Verbitsky)
“Se un uomo non sa rischiare per le sue idee, vuol dire o che le sue idee non valgono nulla o che non vale nulla lui”
(By Ezra Pound)
RASSEGNA STAMPA 26/06/2014
LA RISCOSSA DEL POPOLO SOVRANO
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23512
ISIS IN IRAQ: 'GUERRA OCCULTA' DELLA CIA-NATO?
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/isis-in-iraq-guerra-occulta-della-cia-nato/
USA: DICK CHENEY, SI AVVICINA UN 11 SETTEMBRE NUCLEARE
http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/162612-usa-dick-cheney,-si-avvicina-un-11-settembre-nucleare
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23512
ISIS IN IRAQ: 'GUERRA OCCULTA' DELLA CIA-NATO?
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/26/isis-in-iraq-guerra-occulta-della-cia-nato/
USA: DICK CHENEY, SI AVVICINA UN 11 SETTEMBRE NUCLEARE
http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/162612-usa-dick-cheney,-si-avvicina-un-11-settembre-nucleare
mercoledì 25 giugno 2014
Regno delle due Sicilie Ass. Sentimento Meridiano Dott. A. Romano DA STATO AVANZATO A COLONIA
Regno delle due Sicilie Ass. Sentimento Meridiano Dott. A. Romano DA STATO AVANZATO A COLONIA
"la bocca sollevò dal fiero pasto il calciator,forbendola a' Prandelli"...
...il quale si è rivolto a Renzi offrendo le dimissioni irrevocabili perché "sotto attacco di ambienti ostili" oltreché (particolare di non scarso conto) protagonista di "progetto tecnico non vincente (??)".
In verità il CT si è pure rivolto alla Fifa per il morso di Suarez a Chiellini (zuffe tra cani) con la richiesta di sprofondare il goleador uruguagio nel nono
girone, quello che annovera i reprobi squalificati del mondiale.
Verrà ascoltato ? Dal suo amico Renzi,sicuramente si.
Sembra sia pronto un posto di prestigio come commissario della commissione europea per il "rinnovamento" che lo collochi al sicuro dalle accuse nazionali (e,diciamolo,un poco provinciali) di "rubare i soldi dei contribuenti" rivoltegli da giornali berlusconiani (senti chi scrive !).
Quanto al "progetto tecnico non vincente" basta considerare,aldilà di qualunque giustificazione,che la nazionale azzurra ha prodotto nella due partite chiave (Costarica ed Uruguay) due tiri sbagliati in 180 minuti. Tutti trascorsi dai valenti calciatori a trascinarsi per i campi brasiliani in condizioni fisiche peggiori dei dispersi in deserti africani.
"Stingiamoci a coorte,siam pronti alla morte" hanno intonato prima della partita i "nostri" al suono dell'inno nazionale.
Non si è vista assolutamente la coorte,solo sbrindellati giocatori che,ogni tanto,colpivano la palla ognuno rigorosamente per proprio conto,senza che la palla stessa riuscisse a raggiungere il compagno cercato e,tantomeno,la porta avversaria.
La morte,quella figurata per fortuna,si è invece fatta vedere : quella del bel gioco,della freschezza atletica,del coraggio,dell'intelligenza tattica e persino del buon senso.
Dalla testa di Prandelli è partita,è passata dai giocatori ed a Prandelli è tornata.
Allenatore e giocatori a cantare erano pronti,a morire per la patria no di sicuro.
Purtroppo non erano preparati neanche per la più elementare esigenza : giocare al calcio.
Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello
In verità il CT si è pure rivolto alla Fifa per il morso di Suarez a Chiellini (zuffe tra cani) con la richiesta di sprofondare il goleador uruguagio nel nono
girone, quello che annovera i reprobi squalificati del mondiale.
Verrà ascoltato ? Dal suo amico Renzi,sicuramente si.
Sembra sia pronto un posto di prestigio come commissario della commissione europea per il "rinnovamento" che lo collochi al sicuro dalle accuse nazionali (e,diciamolo,un poco provinciali) di "rubare i soldi dei contribuenti" rivoltegli da giornali berlusconiani (senti chi scrive !).
Quanto al "progetto tecnico non vincente" basta considerare,aldilà di qualunque giustificazione,che la nazionale azzurra ha prodotto nella due partite chiave (Costarica ed Uruguay) due tiri sbagliati in 180 minuti. Tutti trascorsi dai valenti calciatori a trascinarsi per i campi brasiliani in condizioni fisiche peggiori dei dispersi in deserti africani.
"Stingiamoci a coorte,siam pronti alla morte" hanno intonato prima della partita i "nostri" al suono dell'inno nazionale.
Non si è vista assolutamente la coorte,solo sbrindellati giocatori che,ogni tanto,colpivano la palla ognuno rigorosamente per proprio conto,senza che la palla stessa riuscisse a raggiungere il compagno cercato e,tantomeno,la porta avversaria.
La morte,quella figurata per fortuna,si è invece fatta vedere : quella del bel gioco,della freschezza atletica,del coraggio,dell'intelligenza tattica e persino del buon senso.
Dalla testa di Prandelli è partita,è passata dai giocatori ed a Prandelli è tornata.
Allenatore e giocatori a cantare erano pronti,a morire per la patria no di sicuro.
Purtroppo non erano preparati neanche per la più elementare esigenza : giocare al calcio.
Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello
AMBIENT-A-ZIONE 3 PUNTATA
https://www.youtube.com/watch? v=JcAYcFm7orw&feature=youtu.be
Riassunto della terza puntata:
BIO-REPORTAGE - Parliamo di...
Colloquio con Alessandra Colla invitata a “Natura e
Multinazionali nell’era della Globalizzazione”, convegno
organizzato e realizzato dalle realtà che compongono il
progetto Mcdeath: eat fast, die young, che affronterà il
tema della McDonaldizzazione del pianeta!
Da 1.25 a 5.27
ECO-AFFONDI - Parliamo con...
Arrigo Trevisanello ci racconta della sua bella iniziativa
Febbre da Orto
Da 5.37 a 8.00
CACCIATORI DI ... SCATTI - L' Osservazione è la nostra
migliore arma!
Una albanella reale vola indisturbata ... nel suo habitat
naturale
Da 8.03 a 8.37
ESEMPIO AMBIENTE - Essere Esempio attraverso l'Azione!
Continua la storia a puntate del progetto "Da un Tappo doni
Amor" sulla raccolta tappi: oggi è la volta di Francesca
Lazzeri di Fare Verde che ci racconta dello strepitoso
successo che ha avuto anche a Ladispoli questa raccolta!
Da 8.41 a 9.52
SOS NATURA - L'Avvocato degli Animali risponde!
l'avvocato degli animali Alessio Cugini, risponderà come
al solito a molti interrogativi, anche comprendere meglio
quali sono effettivamente per la legge gli animali
considerati “da affezione”
Da 9.55 a 17.00
CIBO PER LA MENTE - Una Palestra di Vita per nutrire Corpo,
Mente e Spirito!
Claudio Lanzi di Simmetria ci racconta alcuni aneddoti del
suo lavoro “Gli Animali e l’Anima”, un libro che va
assaporato molto bene per la profondità interiore con cui
mette a nudo alcune nostre concezioni.
Da 17.05 a 22.48
DOV' E' TETTAMANTI - Vuoi sapere chi è, cosa fa e
sopratutto dov'è?
Tettamanti oggi lo troveremo a Busto Arstizio pronto per
cimentarsi in un dibattito che potrà servire alla
realizzazione di un nuovo stabulario. Ma non è ancora
detto che sarà il classico laboratorio di sperimentazione
per animali perché se si vince il confronto potrebbe
invece vedere la luce un centro con le più avanzate
tecnologie in campo medico-scientifico!
Da 22.57 a 25.11
RELAXIAMOCI - Suoni e parole!
"Appello agli scienziati di tutto il mondo" una favoletta
scientifica scritta da Benito Castorina, letta e
interpretata dall’attrice professionista Laura Mazzi. 1
Parte
Da 25.14 a 31.50
collegamento al sito per poter rivedere tutte le PUNTATE
PRECEDENTI e le cuoriosità sulla trasmissione:
http://www.mementonatura.org/ notizie/notizia.php?id=138
Riccardo Oliva
Presidente Associazione Memento Naturae
Volontari a Difesa di Ciò che è Vita!!!
Riassunto della terza puntata:
BIO-REPORTAGE - Parliamo di...
Colloquio con Alessandra Colla invitata a “Natura e
Multinazionali nell’era della Globalizzazione”, convegno
organizzato e realizzato dalle realtà che compongono il
progetto Mcdeath: eat fast, die young, che affronterà il
tema della McDonaldizzazione del pianeta!
Da 1.25 a 5.27
ECO-AFFONDI - Parliamo con...
Arrigo Trevisanello ci racconta della sua bella iniziativa
Febbre da Orto
Da 5.37 a 8.00
CACCIATORI DI ... SCATTI - L' Osservazione è la nostra
migliore arma!
Una albanella reale vola indisturbata ... nel suo habitat
naturale
Da 8.03 a 8.37
ESEMPIO AMBIENTE - Essere Esempio attraverso l'Azione!
Continua la storia a puntate del progetto "Da un Tappo doni
Amor" sulla raccolta tappi: oggi è la volta di Francesca
Lazzeri di Fare Verde che ci racconta dello strepitoso
successo che ha avuto anche a Ladispoli questa raccolta!
Da 8.41 a 9.52
SOS NATURA - L'Avvocato degli Animali risponde!
l'avvocato degli animali Alessio Cugini, risponderà come
al solito a molti interrogativi, anche comprendere meglio
quali sono effettivamente per la legge gli animali
considerati “da affezione”
Da 9.55 a 17.00
CIBO PER LA MENTE - Una Palestra di Vita per nutrire Corpo,
Mente e Spirito!
Claudio Lanzi di Simmetria ci racconta alcuni aneddoti del
suo lavoro “Gli Animali e l’Anima”, un libro che va
assaporato molto bene per la profondità interiore con cui
mette a nudo alcune nostre concezioni.
Da 17.05 a 22.48
DOV' E' TETTAMANTI - Vuoi sapere chi è, cosa fa e
sopratutto dov'è?
Tettamanti oggi lo troveremo a Busto Arstizio pronto per
cimentarsi in un dibattito che potrà servire alla
realizzazione di un nuovo stabulario. Ma non è ancora
detto che sarà il classico laboratorio di sperimentazione
per animali perché se si vince il confronto potrebbe
invece vedere la luce un centro con le più avanzate
tecnologie in campo medico-scientifico!
Da 22.57 a 25.11
RELAXIAMOCI - Suoni e parole!
"Appello agli scienziati di tutto il mondo" una favoletta
scientifica scritta da Benito Castorina, letta e
interpretata dall’attrice professionista Laura Mazzi. 1
Parte
Da 25.14 a 31.50
collegamento al sito per poter rivedere tutte le PUNTATE
PRECEDENTI e le cuoriosità sulla trasmissione:
http://www.mementonatura.org/
Riccardo Oliva
Presidente Associazione Memento Naturae
Volontari a Difesa di Ciò che è Vita!!!
Con la formula "raccomandata" da Bankitalia...
Con la formula “raccomandata” da Bankitalia tassi di interesse superiori al tasso soglia, e, dunque, usurari, risultavano, invece, inferiori e, dunque, leciti..... Quanti sono i procedimenti penali per usura instaurati in seguito a denunce presentate da imprenditori e archiviati con la motivazione che, con l’utilizzo della formula utilizzata dalla Banca d’Italia, il tasso non era usurario? Quante sono le imprese o industrie fallite, cessate o cedute? continua su ...http://wp.me/p2aIkK-1JWEa
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RASSEGNA STAMPA 25/06/2014
LE "RIFORME DI RENZI" . QUELLE FALSE E QUELLE GRAVI
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23513
UNA MERKEL PIU' "SOCIALE"
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23517
L'ARGENTINA NELLE GRINFIE DEGLI AVVOLTOI
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23514
IL GIAPPONE RIACQUISTA LA VELOCITA' DI CRESCITA
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23515
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23513
UNA MERKEL PIU' "SOCIALE"
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23517
L'ARGENTINA NELLE GRINFIE DEGLI AVVOLTOI
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=23514
IL GIAPPONE RIACQUISTA LA VELOCITA' DI CRESCITA
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Il Terzo pacchetto energia rischia di lasciare l’Europa senza gas
L’Europa invita all’indipendenza nella sfera dell’energia, mentre Gazprom si riferisce agli accordi stipulati prima del varo della legge. Stando agli analisti, solo un compromesso può rimediare alla situazione.
L’indipendenza energetica e la divisione dei ruoli sono le tesi principali del TPE. Il pacchetto vieta ad una stessa compagnia di possedere gasdotti, fornire gas per questi gasdotti e venderlo agli europei. Secondo l’opinione della Commmissione europea, questa legge dovrebbe aumentare la concorrenza, consentire a nuovi giocatori di entrare sul mercato e portare alla riduzione del prezzo del gas. Così gli europei volevano migliorare la situazione nella sfera del gas ma non ci sono riusciti. Sulla carta la liberalizzazione appare abbastanza convincente, ma realizzare i principi del TPC è praticamente impossibile, sostiene Rustam Tankaev, esperto dell’Unione dei produttori del petrolio e del gas della Russia:
Lo schema del TPE non tiene conto del fatto che Gazprom è il principale rifornitore dell’Europa. Questo rifornitore è una compagnia verticalmente integrata. In altre parole, arriva nel contempo anche ai consumatori. Piccoli fornitori non sono in grado di costruire propri grandi sistemi di gasdotti. Non hanno per questo né il denaro, né l’accesso ai crediti. Pertanto, in realtà, la soluzione idealizzata prevista dal TPE non può essere attuata da nessuna parte.
Gli esperti rilevano che sarà in perdita chi cercherà di costruire il gasdotto a tali condizioni. Non solo, ma non esistono compagnie capaci di riempire il tubo di quantità necessaria di gas, dice Marcel Salikhov, direttore del dipartimento economico dell’Istituto di energia e di finanze.
È ovvio che nessuno sia in grado di farlo tranne Gazprom. Le divergenze in merito al Terzo pacchetto energia, alla sua realizzazione e all’esclusione del South Stream da questi principi sono i contrasti principali esistenti tra Gazprom e Commissione europea.
Questa legge può essere aggirata in due modi. La prima soluzione, sulla quale insistono i giuristi della compagnia del gas russa, ha carattere provvisorio. Gli accordi con molti stati europei, ai quali deve arrivare il gasdotto, sono stati firmati prima dell’apparizione del TPE. Inoltre, il gasdotto russo rappresenta l’unica via sicura di consegna del gas all’Ue in quantità necessarie e ai prezzi adeguati. Il gasdotto escluderebbe i rischi relativi al transito del gas attraverso paesi terzi, tra cui l’Ucraina. Il South Stream è un progetto strategicamente importante per l’Europa. Soltanto la Commissione europea politicamente motivata non è pronta a riconoscerlo, fanno notare i partecipanti del mercato del gas. Gazprom si è più volte pronunciato per l’esclusione del South Stream dalle norme del TPE. Ma i numerosi negoziati condotti non hanno dato ancora risultati positivi. D’altronde, l’esperienza dimostra che tale soluzione non è da escludere, ritiene Serghej Pravosudov, direttore dell’Istituto dell’energia nazionale:
Tutti i grandi progetti che sono stati o vengono realizzati adesso in Europa nella sfera del gas sono stati esclusi dal TPE. Le norme del TPE sono formulate in modo che il proprietario del gas non può investire in sistemi di trasporto del gas. Lo deve fare un investitore esterno. Ma tali non esistono in quanto nel TPE è prevista una norma di redditività molto bassa.
Per quanto sia strano, l’atteggiamento verso il South Stream è migliorato dopo il peggioramento dei rapporti tra Gazprom e Ucraina. La politica è politica ma in fin dei conti è chiaro che l’Europa rischia di rimanere senza gas. Pertanto la Commissione europea ha mitigato il tono. Adesso il South Stream è di nuovo diventato importante per l’Europa, anche se è vero che non si è arrivati ancora all’esclusione del progetto dalle norme TEP. Ma la disponibilità della Commissione europea di continuare i negoziati sul South Stream dimostra che prima o poi l’Europa sarà pronta a fare concessioni. Ciò, secondo il parere degli esperti, consentirà alle parti di trovare un compromesso.
Fonte: La voce della Russia
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_06_24/Il-Terzo-pacchetto-energia-rischia-di-lasciare-l-Europa-senza-gas-7986/
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_06_24/Il-Terzo-pacchetto-energia-rischia-di-lasciare-l-Europa-senza-gas-7986/
martedì 24 giugno 2014
ANCORA SUL DELITTO MATTEOTTI
ANCORA SUL DELITTO MATTEOTTI
Giorni addietro vi avevo postato un mio articolo del 2010 sul delitto Matteotti, ma adesso dopo l’importante servizio della Rivista Storia in Rete, è opportuno riproporlo adeguato e integrato.
Nel mio vecchio articolo, infatti, non avevo accennato ad una ipotesi che pur conoscevo e che aveva sempre portato avanti l’amico Giorgio Vitali.
Si trattava di una possibile, comune e conveniente, tacita intesa, tra Mussolini e Matteotti, avendo entrambi convenienza che venissero sparate alla camera le denunce sulla corruzione, in particolare l’affare del petrolio e vi si coinvolgesse anche il Re.
Al tempo, più che altro, mi premeva evidenziare l’innocenza in quel delitto, da parte di Mussolini. e mi sembrava di avanzare una ipotesi, non azzardata, quanto di difficile comprensione per i comuni lettori. Giorgio Vitali invece ne aveva accennato in suo video che potete vedere nel link: http://www.youtube.com/watch? v=sq8nf95Zxg8&feature=youtu.be
Ora però è venuto il momento di accennare a questa “ipotesi”, perchè la stanno avanzando anche alcuni ricercatori storici, in particolare Michelangelo Ingrassia della Università di Palermo, che l’ha esposta nel Nro 104 di “Storia in Rete” di giugno 2014.
Si trattava del fatto, che emergeva da tanti particolari, che in quel maggio – giugno 1924 tra Mussolini e Matteotti ci possa essere stata una tacita intesa, se non addirittura un certo gioco delle parti. Ad entrambi, per le considerazione che riporteremo nel testo, poteva essere conveniente che venissero denunciati certi scandali alla Camera.
I socialisti unitari ne avrebbero tratto indubbi vantaggi di immagine e di agibilità politica e Mussolini invece avrebbe potuto avere mano libera per quelle svolte di governo, che caldeggiava, e per sbarazzarsi del “cappio” che Ras e componenti reazionarie del partito fascista e ambienti speculativi, gli tenevano al collo.
Sbarazzarsi di questo “cappio” però non era facile stante le forti resistenze di queste componenti conservatrici e speculative che pur avevano aiutato Mussolini nell’ascesa, stantei un certo potere e privilegi su cui potevano contare.
Anche la possibile messa in difficoltà del Re, se fosse stato chiamato in causa per aver le mani in pasta nello scandalo del petrolio, indeboliva la posizione del Savoia a tutto vantaggio dei progetti di Mussolini.
Come ricorda Vitali, Mussolini, è noto, conosceva a fondo i meccanismi della politica parlamentare, ma era anche stretto da un “patto” sottointeso con la Monarchia, che ne aveva favorito indirettamente l'ascesa al governo (non al potere reale, si badi bene).
E’ comprensibile quindi che Mussolini, sapendo che Matteotti aveva le prove di un certo giro di tangenti e magari dei traffici del Savoia , possa aver ritenuto utile l’azione di denuncia del parlamentare socialista, se non addirittura di averla in qualche modo tacitamente “concordata”.
E questo spiegherebbe anche il fatto che la moglie di Matteotti, avendo avuto sentore di ”qualcosa”, non ebbe poi grandi titubanze ad accettare, tacitamente, la innocenza di Mussolini e gli aiuti che per anni il Duce gli fece pervenire.
Tutto quello che è avvenuto dopo chiarisce ancor più questa ipotesi ed anzi la conferma.
C’E’ ANCHE DELL’ALTRO, DI PIU’, MOLTO DI PIU’, MA VI RIMANDO AL TESTO DEL MIO ARTICOLO RIFORMULATO E INTEGRATO.
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Maurizio Barozzi
Il delitto Matteotti
05.08.2010 –
Martedì 10 giugno 1924, poco dopo le 16,
il segretario socialista Giacomo Matteotti, trentanove anni, uscì
di casa dalla propria abitazione di via Pisanelli per recarsi verso la
biblioteca della Camera. All'angolo di Lungotevere Arnaldo da Brescia e via Antonio
Scialoja, era ferma una Lancia K scura e sguinzagliati attorno vari sicari, che
intercettarono Matteotti, lo picchiarono selvaggiamente e fuggirono con la
vittima caricata a forza in auto verso la via Flaminia.
Il 16 agosto del 1924, dopo oltre due mesi di ricerche
e di angoscia il corpo di Matteotti venne ritrovato, già in fase di
decomposizione, nascosto in una grossolana buca scavata in un bosco in località
la “ Quartarella ”, a circa 23 Km. a nord di Roma.
Arrestati per questo delitto furono alcuni elementi
facenti parte di una Ceka (nomignolo mutuato da un corpo segreto di
polizia politica sovietica), ovvero una Organizzazione speciale fascista ,
in pratica un manipolo di esecutori di ordini senza scrupoli, con a capo lo
scaltro traffichino ex squadrista Amerigo Dumini.
Si trattava di una pseudo cellula estemporanea che non
ebbe mai un organico e un profilo ben definito ed i cui membri si riunivano
quando chiamati in momenti di bisogno. Resta il fatto che questa Ceka aveva
riferimenti nel Viminale e nella Presidenza del Consiglio, dai quali veniva
pagata e lo stesso Mussolini non era estraneo alla sua costituzione,
avvalendosene a volte come “arma di pressione e di minaccia” nei confronti
degli avversari.
Il ben pensante che già leggendo queste righe,
volesse subito tranciare giudizi morali non dovrebbe dimenticare che negli anni
‘20 eravamo in un epoca, post marcia su Roma, seguente alcuni anni di
cruenta guerra civile, dove si erano avuti, da una parte e dall'altra, un
altissimo numero di morti.
Insomma Mussolini era andato al potere attraverso un
processo rivoluzionario, ovviamente violento, ma tutto sommato contenuto
rispetto ad analoghi processi come la rivoluzione bolscevica in Russia. Le
leggi storiche, piaccia o meno, dimostrano che le rivoluzioni e il potere che
ne consegue, non si realizzano e si difendono con rose e fiori, ma passano
inevitabilmente attraverso forme di violenza. Tutto sommato, anzi, quella
fascista poteva definirsi una rivoluzione (tra l'altro incompiuta visto che le
Istituzioni non erano state sovvertite) abbastanza mite e priva di plotoni di
esecuzione, rispetto ad altre rivoluzioni precedenti e successive, e neppure
vennero raggiunte quelle barbarie ed esecuzioni sommarie che gli stessi
antifascisti misero poi in atto contro i loro avversari nel 1945 durante le
“radiose giornate” post liberazione.
Non possiamo in questa sede affrontare la cronaca e
una nostra inchiesta su quel delitto, essendo per questo necessari interi
volumi, ma forniremo invece alcuni dati di fatto, alcune testimonianze, che
possano far riflettere quanti ritengono che dietro l'assassinio di Matteotti ci
fosse Mussolini.
Uno “strano” mandante che sbandiera i suoi
intenti
Non erano, infatti, neppure passate 24 ore
dalla scomparsa del deputato socialista e nonostante che i suoi assassini
venivano mano a mano arrestati, che subito si innescò una violenta campagna di
stampa, una questione morale, che mise il governo Mussolini sull'orlo del
baratro.
La attiguità del Viminale e della Presidenza del
consiglio con gli arrestati e le frasi minacciose, esternate da Mussolini ed
altri fascisti contro Matteotti, nei giorni precedenti la sua scomparsa, dopo
il violento discorso antifascista di questi alla Camera del 30 maggio 1924,
furono ritenuti elementi sufficienti per individuare in Mussolini il mandante.
Eppure era assurdo ritenere che chi aveva in animo di compiere un impresa
delittuosa come quella, chiaramente premeditata, se ne era andato in giro a
profferir minacce contro la sua imminente vittima.
Ma oltretutto, mano a mano che si delineavano
responsabilità dirette o indirette, nel rapimento di Matteotti, emergeva che i
soggetti in qualche modo implicati, sia fascisti che di altra estrazione,
avevano tutti la tessera della massoneria in tasca, un particolare ricorrente
che doveva far riflettere.
I “documenti del camioncino” scomparsi.
Facciamo adesso un salto di quasi 24 anni
e portiamoci alla sera del 25 aprile 1945 quando Mussolini, lasciata Milano,
giunse a Como con i resti del suo governo, portandosi dietro importanti
documentazioni, tutte poi sparite, in particolare gli scottanti carteggi con
Churchill, ma non solo.
Queste documentazioni, definite poi i “ documenti
del camioncino ”, una selezione di carte eterogenee e molto importanti,
viaggiavano su di un camioncino in coda alla colonna dei ministri e personale
vario, che forse a causa di un guasto al mezzo rimase in panne.
In qualche modo furono presi da certi “partigiani
bianchi” della zona di Garbagnate agli ordini dei fratelli Arturo e Carlo
Allievi i quali il 2 maggio del '45 li consegnarono, assieme al neo sindaco di
Garbagnate Vittorio Lamberti-Bocconi, al presidente del CLN milanese
avvocato Luigi Meda democristiano. Con il consenso di Meda venne quindi scritta
una edificante pagina della nostra storia patria: un gruppo di
questi documenti infatti (riguardanti gli aspetti militari) furono consegnati
dall'Allievi e dal Lamberti-Bocconi al brigadiere inglese Jeffries della PWB,
che promise una ricompensa, sulla entità della quale si stette poi a “trattare”
con Londra per mesi. Al tempo preposti alla supervisione e liquidazioni di
queste faccende erano un democristiano, il conte Pier Maria Annoni del CLN
regionale lombardo, e il comunista Emilio Sereni in quanto Commissario di
governo per l'ex ministero degli interni.
Orbene tra i documenti del camioncino, tutti in un
primo momento inventariati da una certa signorina Broggi, c'era anche un
fascicolo, chiuso da un nastrino tricolore, contenente un dossier nomato “ Processo
Matteotti ”.
Era il risultato di un lunga inchiesta, commissionata
durante la RSI, da Mussolini a Nicola Bombacci ed al suo segretario Luigi Gatti
ed i cui risultati dimostravano chiaramente le responsabilità di un
putrido ambiente di finanza e capitalismo corrotto, di fatto i “ superiori
sconosciuti ” ispiratori di quell'infame delitto.
Da quel poco che si è potuto sapere, anche grazie
alle testimonianze di Carlo Silvestri, un socialista già acerrimo nemico
di Mussolini ai tempi del delitto, ma nel 1944 totalmente convinto dal Duce,
documenti alla mano, della sua estraneità, sembra che vi erano dei nomi, in
particolare anche di ambienti dell'alta industria genovese e di affaristi,
complici o implicati nel delitto, oltre a un biglietto scritto a mano da
Giovanni Marinelli, condannato a morte dal tribunale di Verona per il
tradimento del 25 luglio 1943, con il quale l'ex segretario amministrativo del
PNF, già al tempo chiamato in causa per il delitto, chiedeva perdono a
Mussolini e Cesare Rossi (altro elemento a suo tempo implicato) per averli
coinvolti nella vicenda Matteotti.
A questo punto potremmo anche chiudere qui visto che
non possono più esserci dubbi in proposito: se infatti in quel dossier
riguardante il delitto Matteotti, ci fosse stata una sia pur minima prova
riguardo alle responsabilità di Mussolini nel delitto del parlamentare
socialista, ne avremmo avuto la denuncia pubblica, con stampa e ristampa delle
prove a carico, in tutte le possibili vesti editoriali. Viceversa quei
documenti sono stati fatti letteralmente sparire proprio dagli antifascisti! Lo
storico Renzo De Felice indicò in Palmiro Togliatti il responsabile di quella
sparizione.
I motivi che portarono al delitto
Comunque dietro l'assassinio di Matteotti
ci fu un concorso di motivazioni e interessi che qui non possiamo che
sintetizzare al massimo.
Primo il petrolio. In Italia in quel periodo si
giocavano importanti trattative che vedevano interessate, in concorrenza o in
associazione, l'onnipotente Standard Oil of New Jersey, quindi la Anglo Persian
Oil Company ed infine, l'americana Sinclair Exploration Company, (del
petroliere H. F. Sinclair, ma che per il gioco azionario delle scatole cinesi
non si sa bene che ruolo giocasse).
Lo scontro riguardava una concessione, della durata di
50 anni, che abbracciava la produzione di oli minerali, gas e relativi idrocarburi.
Erano previsti inoltre privilegi di natura fiscale. Nascosti dietro questi
interessi, sembra che c'erano poi gli affari di casa Savoia, dicesi riferiti al
petrolio libico apparentemente non ancora scoperto e l'impegno del Re a
mantenere il più possibile ignorati ( covered ) i giacimenti nel Fezzan
tripolino e in altre zone del retroterra libico.
Il governo Mussolini si barcamenava dovendo far fronte
a necessità non sempre conciliabili: gli interessi prioritari del paese,
gli interessi di enormi lobby che il governo, volente o nolente, aveva
ereditato dai passati regimi e che comunque doveva subire, il malcostume delle
tangenti di certo non eliminabile in poco tempo.
Al petrolio seguiva poi la faccenda delle case da
gioco, le bische, laddove certi settori speculativi e finanziari puntavano alla
liberalizzazione del gioco d'azzardo, passando per l'abrogazione della legge
che lo teneva al bando e quindi all'apertura, su concessione governativa, di
vari Casinò, in particolare in zone di forte richiamo turistico.
Le concessioni per l'apertura e la gestione di queste
case da gioco, rilasciate dal Ministero degli Interni, avrebbero costituito un
enorme giro di affari e di tangenti con cointeressenze in vari indotti
paralleli. Alle bische potevano poi aggiungersi i traffici e gli affari sui
residuati bellici, i dazi doganali dei zuccherieri, la liberalizzazione delle
ferrovie, ecc.
Insomma un coacervo di interessi e di appetiti che
avevano scatenato molte bocche.
Maestosa, onnipotente, sopra e dietro un pò di
tutto questo, c'era infine la Banca Commerciale di Giuseppe Toeplitz, un
Polacco nato a Varsavia da famiglia dell'alta borghesia ebraica.
Orbene tutte queste Lobby pensavano di aver in mano il
governo Mussolini, anche perchè alcuni settori dell'Industria e dell'alta banca
avevano finanziato la marcia su Roma e, di fatto, il Duce aveva sottoscritto
con costoro, Banca Commerciale in testa, una “cambiale”.
La cosa non deve nè scandalizzare, nè meravigliare: le
rivoluzioni si fanno con i soldi e questi si rimediano rapinando ed
espropriando, manu militari, oppure facendosi finanziare. E chi ti finanzia lo
fa sempre per paura e/o per interesse. E' una legge storica.
Ma Mussolini, una volta andato al potere aveva dato
una impronta dirigistica al suo governo, fatto questo non digerito dall'Alta
Finanza e soprattutto, avendo intenzione di rimettere in sesto le finanze del
paese, voleva rilanciare l'industria e lo sviluppo. Non aveva quindi alcuna
intenzione di pagare quella “cambiale” e lasciare che l'Alta finanza facesse
dell'Italia carne da porco.
Al massimo aveva acconsentito o tollerato che si
svolgessero traffici anche loschi all'ombra della Presidenza del Consiglio o
che quanti lo avevano appoggiato nell'ascesa al potere si impinguassero in
qualche modo, che il Pnf trovasse finanziamenti trasversali , ecc., ma
non più di tanto.
Da qui tutta una serie di decisioni governative,
spesso contraddittorie, ma che finivano per mettere i bastoni tra le ruote a
questi ambienti di finanza parassita.
Per farla breve, l'Alta Finanza e la massoneria suo
braccio occulto, decisero ad un certo punto che il governo Mussolini doveva
cadere.
E questo soprattutto quando, a costoro, divenne
evidente che Mussolini stava accarezzando l'idea di portare nel governo i
socialisti e l'ala moderata della CGL, un disegno politico che già fu di
Giolitti e che avrebbe reso il governo più forte.
A questo si aggiunse il fatto che Matteotti, nella sua
lotta contro il governo e il fascismo, era venuto in possesso di ampie prove
documentali su i loschi traffici che si svolgevano in Italia e soprattutto
sulla questione del petrolio, mettendo in pericolo interessi di enorme portata
e delicatezza.
La sua minaccia, che nel rivelare tutto alla Camera,
si palesò concreta dopo un suo viaggio di aprile a Londra (dove probabilmente
ebbe documentazioni da certi ambienti massonici), fece scattare la necessità di
farlo fuori. Il fatto che il 30 maggio 1924 Matteotti aveva attaccato
violentemente alla camera il fascismo, ricevendo minacce e determinando forti
reazioni nei suoi avversari, diede lo spunto a chi voleva assassinarlo, di
prendere due piccioni con una fava: mettere a tacere Matteotti e far cadere il
governo Mussolini e il fascismo che ne sarebbero risultati i primi indiziati.
Ripetiamo, non possiamo in questa sede dettagliare una
nostra inchiesta che dimostra tutto questo, che dimostra che in qualche modo,
per proteggere il Regime, in parte si pilotarono le indagini, poi il processo
di Chieti del 1926, ecc., ma in quel delitto Mussolini fu più vittima che
responsabile.
Testimonianze importanti e decisive
Quel che qui possiamo fare è il riportare
una serie di testimonianze, soprattutto del socialista Carlo Silvestri, il solo
sopravvissuto che ebbe modo di parlare nel 1944 /'45 con Mussolini e di
prendere visione di parte della documentazione.
Carlo Silvestri , milanese nato nel 1893 fu un socialista intimo d
Turati e vicino ad altri esponenti riformisti. Passò dall' Avanti! al Corriere
della Sera dove ben presto iniziò una importante carriera da giornalista.
Si ritrovò in sintonia con Mussolini durante la sua “svolta” interventista del
1914, ma poi irriducibilmente contro e tra i massimi accusatori, dopo il
delitto Matteotti. Si ricrederà sulle responsabilità che lui aveva addossato al
Duce su quel delitto durante la RSI (1943 - 1945).
Facendogli visionare parte dei documenti segreti,
raccolti nell'inchiesta ordinata da Mussolini, sul delitto Matteotti, Nicola
Bombacci gli aveva anche premesso:
<< Purtroppo gli imputati non sono qui.
Magari dopo essere stati manutengoli dei tedeschi saranno oggi al servizio
degli inglesi o meglio ancora degli americani>> .
Di quei giorni racconta il Silvestri:
<< Neppure per un istante ho supposto che la
documentazione da me esaminata fosse di pubblicazione postuma... Il mio esame
non è stato nè sommario, nè affrettato... mi rimase affidata per un paio di
giorni... ebbi anche agio di copiare qualcuno dei più rimarchevoli tra gli
originali di Mussolini>>.
Carlo Silvestri, sia al processo bis su Matteotti
tenuto a Roma nel 1947, che in un paio di suoi libri pubblicati in quegli anni,
minacciato, linciato sulla stampa post liberazione e persino incorso in
tentativi per eliminarlo fisicamente, ha aperto gli occhi su quel delitto. Al
processo, con grande coraggio che gli fa onore, ebbe a premettere:
<< Io mi rendo conto che se
confermassi la mia vecchia deposizione, il caso Matteotti sarebbe facilmente
risolto. I giornali del conformismo antifascista mi farebbero fare un
figurone…>>.
Ed infine, lui che era stato il massimo avversario del
Duce, arrivando a pensare di “giustiziarlo”, disse: << Signori della
Corte, ho deciso di venire qui, dinanzi alla Maestà della Giustizia per dire in
piena coscienza che se noi, nella seconda metà del giugno 1924, avessimo
giustiziato Benito Mussolini come responsabile, come mandante, come comunque
coinvolto nel delitto Matteotti noi non avremmo commesso un atto di giustizia,
ma avremmo compiuto un delitto !>>.
Mussolini nel 1945, tra le altre cose, gli aveva fatto
questa confessione:
<< Il più grande dramma della mia vita si
produsse quando non ebbi più la forza, non potendo fare appello alla
collaborazione dei socialisti, di respingere l'abbraccio dei falsi
corporativisti, che agivano in verità come procuratori del capitalismo, il
quale voleva abbracciare il corporativismo per poterlo meglio soffocare.
Tutto quello che avvenne poi fu la conseguenza
del cadavere che il 10 giugno 1924 fu gettato tra me e i socialisti per
impedire che avvenisse quell'incontro che avrebbe dato tutt'altro indirizzo
alla politica nazionale e forse non solo a quella nazionale>>.
Già pochi mesi prima della marcia su Roma, Mussolini
aveva accarezzato il difficile progetto di coinvolgere i socialisti in un
prossimo governo, tanto è vero che proprio Carlo Silvestri, il 3 agosto del
1922 all'albergo Corso di Milano, venne incaricato da Mussolini di intercedere
presso i socialisti; testualmente gli disse il Duce:
<< E' necessario far presente mazzinianamente
a Turati e Treves: Ora o mai più! O andiamo al governo insieme, socialisti,
popolari e fascisti e salviamo l'Italia o non ci andiamo e allora non so dove
andremo a finire >>.
Ma per una serie di resistenze, soprattutto
nell'ambito dello stesso fascismo, questo progetto di Mussolini non andò in
porto e la marcia su Roma ebbe altri sbocchi.
Reduce dal famoso incontro post marcia al Quirinale,
Mussolini ebbe modo di giustificarsi con Silvestri nella camera dell'Albergo
Savoia, anche perché il Silvestri, in base ai precedenti accordi, gli aveva
fatto sapere che Buozzi e Baldesi sarebbero stati disposti a partecipare al
Governo:
<< Posso perdere i contatti colla Corona? I
fascisti di Toscana cosa mai farebbero? Come ministro dell'Interno, per
contenere la loro reazione, dovrei dare ordine al generale dei carabinieri di
sparare sui fascisti di toscana, sparare sui fascisti per proteggere i
socialisti, è qualche cosa che non si capirebbe... Deploro profondamente
di essere costretto a questa momentanea rinuncia. Ma ciò che non è possibile
oggi, sarà possibile tra sei mesi, un anno, due anni. Comunque questo è il mio
programma ed è tale perché non c'è altra via che quella della collaborazione
con i socialisti e i popolari per salvare l'Italia >>.
Riferendosi invece al tempo del delitto Matteotti,
Silvestri venne a precisare:
<< Ho avuto modo di convincermi nella maniera
più decisiva... che il discorso del 7 giugno (di Mussolini, tre giorni
prima del delitto, in cui il Duce ribaltò la situazione delle critiche al
fascismo e ventilò una apertura ai socialisti, n.d.r.) era stato pronunciato
come premessa a un nuovo incontro di Mussolini con i dirigenti della
Confederazione Generale del Lavoro (...)
Io mi convinsi che Mussolini intendeva
portare al Governo Buozzi e Baldesi e perciò non potevo e non posso più
supporre che egli meditasse di far uccidere il Segretario del Partito cui
intendeva rivolgersi ufficialmente per avere almeno quattro dei suoi uomini nel
governo come ministri >>.
Nel corso del processo venne chiamato a testimoniare
l'ex fascista Francesco Giunta che dichiarò:
<< Quel che ha detto Silvestri è la pura
verità. Mussolini non ebbe il coraggio di portare i socialisti al governo nel
1922, ma li avrebbe portati alla fine di giugno del 1924... (Mussolini mi
disse) “ Ho pensato di fare un gran governo. E' il momento. Offrirò
l'Educazione Nazionale a Giovanni Amendola, il Ministero dei Lavori Pubblici ai
socialisti, penso che potrebbero mettervi D'Aragona o Casalini, io lascerò gli
Interni e mi terrò gli Esteri e alla Presidenza, come sottosegretario metterò
Zaniboni ”>>.
L'ex collaboratore di D'Annunzio, Umberto Poggi,
invece, sempre a Silvestri e con l'intenzione di incoraggiarlo perché si
impegnasse a far uscir fuori dal processo di Roma quella verità rimasta
nascosta, ebbe a dirgli:
<< Mi sono fatta la convinzione che il vero
mandante alla soppressione di Matteotti era il gruppo finanziario e
industriale, creatore e finanziatore, dell'organizzazione che faceva capo al
“Corriere Italiano”... Su Mussolini pesa pur sempre la grave colpa di non
avere messo al muro almeno gli esecutori di quel delitto. Dico “almeno gli
esecutori”, perché i mandanti erano intoccabili per la supremazia acquisita con
il finanziamento dello squadrismo operante nei punti nevralgici della nazione.
Ma il grosso guaio è che a tutt'oggi quei mandanti, che non sono nel
frattempo morti, di morte naturale vegetano e prosperano all'ombra della
Repubblica>>.
Nel 1945 Silvestri era anche andato a trovare Mario
Giampaoli, sansepolcrista, noto federale di Milano, che il Silvestri conosceva
da quando questi era un ragazzetto (nell'ottobre del 1926 Silvestri, ferito dai
fascisti, dovette la sua vita proprio a Giampaoli che lo protesse mentre era
ricoverato all'ospedale), che era ricoverato all'ospedale, oramai in fin di
vita (morirà pochi mesi dopo ridotto dal cancro a 37 chili), e questi gli volle
parlare, come disse, quale un uomo che non ha più alcuna speranza di vita. Gli
disse Giampaoli:
<< ...Ti dico quella verità, della quale già
altra volta, vent'anni fa, tentai invano di convincerti. Mussolini è stato
estraneo al delitto Matteotti. Rossi vi è rimasto egualmente estraneo. Il
responsabile di tutto è Marinelli, la figura più brutta fra quelli che io ho
avvicinato nel periodo in cui ero un gerarca. Marinelli, ordinando la cattura
di Matteotti, ha obbedito alle direttive che gli sono venute da persone le
quali temevano l'esistenza di certe prove delle loro malefatte>>.
Ma da Mussolini, Carlo Silvestri aveva ricevuto anche
alcune confidenze di grande importanza storica che è oltremodo interessante
conoscere:
<< Io sarei l'assassino di Matteotti? Voi
sapete, per essere stata la stessa vedova di Matteotti a dichiararvelo senza
mezzi termini, che lei, la signora Velia Ruffo Matteotti, era pienamente
convinta della mia innocenza. Parlatene col mio segretario particolare, Luigi
Gatti, e con Nicola Bombacci: essi stanno indagando da anni sui retroscena e
sulle fondamentali responsabilità del delitto Matteotti. Vi autorizzo a parlare
tanto con Gatti, quanto con Bombacci e li autorizzo a dirvi liberamente tutto
quello che per ora si può dire.
Se ancora non posso anticiparvi le
conclusioni in termini di nomi e cognomi, posso però assicurarvi, sin
d'ora, che le indagini di Bombacci e di Gatti hanno dato conferma
dell'affermazione contenuta nel discorso al Senato dell'estate 1924: il delitto
è stato compiuto non da me, ma contro di me, Alle origini dell'assassinio di
Matteotti vi fu un putrido ambiente di finanza equivoca, di capitalismo
corrotto e corruttore, privo di ogni scrupolo, di torbido affarismo.
Si era sparsa la voce che nel suo prossimo
discorso alla Camera, Matteotti avrebbe prodotto tali documenti da portare alla
rovina certi uomini che erano venuti ad infiltrarsi profondamente tra le gerarchie
fasciste. L'idea di catturare Matteotti per metterlo nell'alternativa di
restituire gli accennati documenti o di perdere la vita sorse in questo sporco
ambiente. ..>>.
Ed ancora riferisce il Silvestri, un altro spaccato di
questi suoi colloqui con Mussolini:
<< Ricordate quel mio articolo contro il
fascismo agrario degli squadristi di Toscana?
Dissi, ed eravamo nella primavera del
1921, che esso mi dava l'impressione della soffocazione e che se tutto il
fascismo correva il pericolo di assomigliargli, allora avrei preferito
strozzare con le mie mani la creatura da me generata. Dopo la vittoria del
“listone” (era il nome dato alla lista che riportava
insieme candidati fascisti e non fascisti, n.d.r.) dell'aprile del 1924 e
dopo le prime sedute alla camera fui ripreso da quella stessa lontana
sensazione.
La vivacità delle mie reazioni al
veemente discorso di Matteotti fu in rapporto all'intima persuasione che in
verità la critica socialista aveva ragione quando denunciava che l'impresa di
manomissione del capitalismo stava per mettere in schiavitù quel fascismo che
io avevo immaginato come un movimento di rinnovazione sociale. Dovevo
confessare a me stesso di aver sbagliato. Come avrei potuto liberarmi dalla
soggezione del capitalismo, come avrei potuto ridare la pace all'Italia e
basare il mio governo sul consenso popolare e non sulla forza?
Fu a questo punto che maturò in me il
proposito di mutare rotta. Durante l'occupazione delle fabbriche nell'ottobre
del 1920 ero andato da Buozzi e da Colombino a promettere tutto il mio aiuto e
quello del fascismo qualora la Confederazione del Lavoro avesse osato porsi
come obiettivo di lotta la conquista del governo. In seguito tre o quattro
volte compii i tentativi di persuadere i socialisti a collaborare con i
fascisti e i popolari per dare un governo all'Italia. Ora il governo era nelle
mie mani.
Ma nelle mie mani, senza l'appoggio delle
masse organizzate, non avrebbe mai potuto essere il governo da me desiderato,
cioè capace di perseguire gli obiettivi per i quali il proletariato italiano
delle officine e dei campi avrebbe un giorno dovuto riconoscere che non avevo
tradito la sua causa.
Se guardavo all'avvenire non potevo farmi
illusioni. O avrei ottenuto l'appoggio del partito socialista e delle
organizzazioni sindacali o sarei diventato sempre più prigioniero della
Confederazione dell'Industria e della confederazione dell'Agricoltura >>.
Anche gli sprovveduti capiranno oggi, come venne
capito e temuto ieri da chi di dovere, che un tale programma di Mussolini,
deleterio per il gretto e rapace capitalismo italiano, per la massoneria e per
l'Alta Finanza, era assolutamente da far saltare, anche a costo di un barbaro
delitto.
Silvestri ebbe anche modo di confrontarsi con Italo
Balbo, ex comandante squadrista e futuro governatore della Libia. Balbo gli
confermò anche che a suo tempo aveva proposto a Mussolini di fucilare i
responsabili dell'omicidio di Matteotti, ma il rifiuto di Mussolini di
procedere in questo senso non poteva leggersi come una correità del Duce.
Infatti, disse Balbo, il discorso del 7 giugno, in cui cautamente tastò il
terreno per una apertura verso i socialisti, esclude assolutamente un nascosto
intento omicida di Mussolini, anzi proprio in quei giorni il Duce aveva sondato
il parere di Balbo per un eventuale scioglimento della Milizia, cosa questa
forse indispensabile per attuare poi concretamente l'apertura ai socialisti e
alla CGL
In realtà in quei giorni Mussolini, disse Balbo,
mi sembrava come un pentito che non volesse scivolare nella dittatura. Ed
infine concluse con questa sacrosanta affermazione:
<< Ora invece per le conseguenze del delitto
Matteotti sarà costretto a fare il dittatore senza averne la stoffa. E saranno
guai, perché un dittatore non deve avere paura del sangue. Se egli fosse così
stato e se aveva delle responsabilità nel delitto Matteotti, non avrebbe
esitato un attimo a mettere al muro la squadraccia di Dumini, nonché Marinelli
e Filippelli e magari anche Cesare Rossi e Finzi, pure sapendoli innocenti >>.
Il parere del figlio di Giacomo Matteotti
Interessante è anche conoscere il parere
del figlio di Matteotti, Matteo. Come è noto, la moglie di Matteotti, la
signora Velia Titta Ruffo, deceduta nel 1938, non ha mai creduto che
fosse stato il Duce a far ammazzare il marito, anche se cercò con ogni
mezzo di non consentire al regime di speculare sul colloquio che ebbe con
Mussolini i giorni successivi al delitto e nel corso delle successive
esequie.
Ed anche i figli, Carlo, Matteo e Isabella,
hanno sempre avuto questa convinzione.
Su queste convinzioni la propaganda antifascista ha
sorvolato oppure ha cercato di insinuare maliziosamente che esse derivavano dal
fatto notorio che Mussolini in passato aveva aiutato e sostenuto la famiglia
Matteotti finanziariamente.
Matteo Matteotti, nel dopoguerra divenuto anche
deputato socialdemocratico, varie volte ministro e negli anni ‘50 anche
segretario nazionale del PSDI, ebbe ad esprimere pubblicamente il parere che il
Duce fosse estraneo all'omicidio del padre ed adombrò, sia pure come sola
ipotesi, la possibilità che dietro a quel delitto ci fosse anche la mano del
Re.
Matteo Matteotti scrisse anche un libro di memorie: “ Quei
venti anni. Dal fascismo all'Italia che cambia” , edito da Rusconi in cui,
nell'ultimo capitolo, si affrontavano questi argomenti.
A novembre del 1985 però, sulle pagine della rivista Storia
Illustrata N. 336, l'onorevole Matteo Matteotti concesse una circostanziata
intervista al giornalista Marcello Staglieno, dove apportò altri interessanti
particolari. Vediamoli.
Intanto egli ebbe a parlare di un testo autografo di
Giacomo Matteotti, scritto su carta intestata della Camera dei Deputati, da lui
ritrovato ed assolutamente autentico, che riguardava un articolo anonimo,
riportato sulla rivista “ Echi e Commenti ” del 5 giugno 1924, ma
apparso in edicola il 7 giugno a tre giorni dal delitto, ed in cui si parla di
due scandali: quello delle bische e quello del petrolio. Quindi a tre giorni
dal delitto la stampa, indirettamente, anticipava certi argomenti scandalistici
e delicati.
Il figlio di Matteotti ricordò poi che lo storico
Renzo De Felice aveva citato un rapporto riservatissimo pervenuto ad Emilio De
Bono (al tempo capo della Polizia) in cui si afferma che Filippo Turati era in
possesso di un altra copia dei documenti sulla Sinclair Oil (la compagnia
petrolifera al centro dello scandalo petroli) che erano stati in possesso del
padre ed erano poi spariti con lui. In questo rapporto, inoltre, si
precisava che Filippo Filippelli (massone di Piazza del Gesù e come lui stesso
amava definirsi “ uomo della petrolifera Standard Oil ”), cioè il
direttore del Corriere Italiano , aveva contribuito all'uccisione del
deputato socialista per rendere un servizio ad Aldo Finzi (sottosegretario agli
Interni) e al Fascismo.
Poi, aggiunge ancora il figlio di Matteotti, c'è un
rapporto dell'ambasciata tedesca a Roma inviato a Berlino il 10 settembre del
1924, che parlava di tali documenti pervenuti nelle mani di suo padre. Si rende
quindi evidente soprattutto la pista affaristica.
A questo punto, sospettando che questi documenti siano
finiti nelle mani del Re, il figlio di Matteotti dice di considerare seriamente
un articolo di Gianfranco Fusco, apparso su Stampa Sera del 2 gennaio
del 1978, in cui l'autore (in passato però risultato a volte inattendibile)
fece delle affermazioni gravissime, ma stranamente mai smentite da alcuno.
Scriveva il Fusco che nel 1942 Aimone di Savoia, duca
D'Aosta, raccontò ad un gruppo di ufficiali che nel 1924 Matteotti si recò in
Inghilterra dove fu ricevuto come massone di alto rango dalla Loggia “ The
Union and the Lion” dove venne a sapere che in un certo ufficio
dell'americana Sinclair (qui dicesi associata alla Anglo Persian Oil, la futura
BP di proprietà dell'Ammiragliato britannico che, contrariamente a quanto si
pensi, è una struttura supermarina, ma privata), esistevano due scritture
private, dalla prima delle quali risultava che Vittorio Emanuele III, dal 1921
era entrato nel register degli azionisti senza sborsare nemmeno una
lira, mentre dal secondo documento risultava l'impegno del Re a mantenere il
più possibile ignorati ( covered ) i giacimenti nel Fezzan tripolino e
in altre zone del retroterra libico.
In base a tutto questo il figlio di Matteotti
ipotizzava, anche se ovviamente non lo poteva provare, che De Bono, venuto a
conoscenza che suo padre aveva determinati documenti sull'affare Sinclair,
interpellò Filippo Filippelli del Corriere Italiano, il quale a sua volta
chiese ad Amerigo Dumini di organizzare la “spedizione” contro Giacomo
Matteotti.
Pur non potendo esporre qui tutte le indagini, le
considerazioni e i particolari delle nostre ricerche e della nostra inchiesta
sul delitto Matteotti, ricerca e inchiesta che comunque, oramai, a tanti anni
di distanza non possono portare a prove incontrovertibili e certezze assolute,
è però opportuno dare qualche accenno su i possibili responsabili del delitto: sia
i superiori mandanti sconosciuti e sia i possibili organizzatori del
delitto.
I responsabili del delitto: i superiori
mandanti sconosciuti
Come abbiamo precedentemente visto, con il
nostro excursus storico e la nostra analisi politica, anche attraverso delle
considerazioni logiche possiamo escludere una conoscenza del rapimento e
una direttiva per il delitto da parte di Mussolini, e questo qualunque possano
essere stati i suoi eventuali interessi in gioco minacciati dalle rivelazioni
di Matteotti.
Certamente la denuncia del deputato socialista alla
Camera, circa certi loschi traffici sulle case da gioco, sulla borsa e sul
petrolio avrebbe inguaiato determinati ambienti affaristici e forse fatto
saltare qualche testa contigua al governo e sia pure, in grado minore,
l'esposizione del deputato socialista, tesa a dimostrare, a suo avviso, che il
bilancio dello Stato era stato taroccato per attestarne il pareggio, avrebbe
creato delle noie al governo e quindi a Mussolini tutto teso a dimostrare
all'estero che in Italia c'era un governo forte al quale si poteva concedere
larghi prestiti, ma questi con la sua abilità politica e forte di una netta maggioranza
di voti alla Camera, non crediamo che avrebbe avuto difficoltà insuperabili o
comunque tali da doverle evitare mettendo in atto un omicidio del genere con
tutte le complicazioni che ne sarebbero scaturite.
Anche il timore che Matteotti potesse fare il nome del
fratello Arnaldo, come implicato in affari poco puliti, non ci sembra un motivo
valido per predisporre un omicidio, per il semplice fatto che non ci
sembra che le implicazioni di Arnaldo Mussolini in questo genere di affari
fossero poi così rilevanti, ma se anche lo fossero state la scomparsa del
deputato molisano non avrebbe impedito ad altri di denunciarle.
Non è poi così da sottovalutare il fatto
che Mussolini stava anche lavorando in prospettiva per gettare le basi di un
allargamento della compagine governativa ai socialisti unitari ed ai
confederali.
Ogni azione delittuosa contro il deputato socialista,
invece, lo avrebbe irrimediabilmente danneggiato, molto di più e senza
possibilità di rimediare, di qualsiasi attacco o denuncia che Matteotti
gli avesse portato con un discorso alla Camera.
A chi ha avanzato il dubbio che le avances di
Mussolini verso i socialisti ed i confederali, erano solo espedienti tattici e
comunque erano di importanza decisamente secondaria rispetto alla necessità di
un Mussolini (ipotizzato come implicato direttamente negli sporchi affari che
Matteotti si apprestava a denunciare) di mettere a tacere il rivale si oppone,
la ovvia constatazione che, mentre per gli affaristi e gli speculatori, la
denuncia documentata dei loro imbrogli avrebbe costituito la fine degli
intrallazzi, e forse conseguenze penali, per Mussolini è diverso, ed anche
ammesso che egli fosse complice di quegli intrallazzi, sarebbe stato per lui
molto più facile difendersi dalle accuse, negandole, scaricando le proprie
responsabilità o in ogni altro modo possibile, invece che progettare il
rapimento e l'uccisione del deputato socialista le cui conseguenze gli si
sarebbero sicuramente ritorte contro.
Non è escluso che a caldo, mal sopportando l'estremismo
di Matteotti contro il fascismo Mussolini, con il suo stretto entourage, parlò
di dargli una “lezione”, ma è più che certo che la cosa finì lì, perché egli
era un accorto politico per non valutare tutte le conseguenze. Risultava
infatti immediatamente agli occhi che sarebbe stato insensato, specialmente
dopo il trionfo per la sua lista nelle elezioni di aprile e il successo del suo
discorso del 7 giugno, vanificare tutti gli sforzi che stava facendo per
dividere gli avversari (che infatti ben aveva scompaginato), con una scellerata
impresa che, comunque fosse stata attuata: rapimento con bastonatura o
rapimento con delitto, li avrebbe tutti ricompattati contro il governo.
E del resto, se aveva in mente un omicidio del genere,
durante la sua attuazione non si sarebbe di certo pubblicamente esposto con
frasi avventate che poi, a delitto consumato, gli sarebbero state fatte pesare
come una prova a carico.
Il carattere e l'indole di Mussolini, potevano
comprendere azioni di natura violenta, spedizioni punitive, ma non l'omicidio
freddamente premeditato.
Tutta la vicenda storica dell'uomo attesta questa sua
indole e nella fattispecie l'omicidio di Matteotti anche se forse avvenne
precipitosamente in auto, era comunque stato preventivato e quindi progettato.
Come abbiamo sempre detto, se Mussolini fosse stato un
dittatore sanguinario e senza scrupoli, responsabile del rapimento e della
uccisione di Matteotti è poco, ma sicuro, che avendo egli avuto per le
mani, da subito o in tempi successivi, molti di coloro che lo avrebbero potuto
seriamente accusare (come ad esempio Cesare Rossi, Aldo Finzi, forse Arturo
Benedetto Fasciolo, segretario di Musolini e Giovanni Marinelli, ma soprattutto
lo stesso Amerigo Dumini, e non solo) non ci avrebbe pensato due volte a farli
“sparire” o “suicidare” in qualche modo. O più semplicemente li avrebbe fatti
fucilare assieme al gruppetto dei sequestratori già arrestati.
Ed invece se li trascinò dietro per anni e anni,
mettendoli in galera o al confino, lasciandoli indisturbati a fare gli
antifascisti all'estero, tenendoli tranquilli con ogni genere di sovvenzioni, o
semplicemente ignorandoli, ecc., tanto che molti di costoro, divenuti
antifascisti, gli sopravvissero e li ritroveremo al processo di Roma del 1947!
E non è neppure da sottovalutare il fatto che
tra tutti gli accusatori di Mussolini, suoi stretti ex collaboratori, passati
sulla sponda dell'antifascismo e neppure tra i condannati a morte al processo
di Verona per il tradimento del 25 luglio '43, ovvero Emilio De Bono e Giovanni
Marinelli, nessuno ha mai affermato con decisione che Mussolini gli aveva
commissionato il sequestro del deputato socialista, ma tutto al più qualcuno ha
avanzato la sua ipotesi che forse Mussolini sapeva , che magari avrebbe
ispirato il delitto, che forse ne era il responsabile morale, o come
l'Amerigo Dumini che scrisse nel memoriale nascosto in America (e smentito poi
al processo di Roma del 1947), di aver saputo dal Marinelli che
l'iniziativa era stata voluta dal Duce.
Eppure se veramente l'iniziativa fosse partita da
Mussolini, se l'ordine del sequestro omicida era scaturito da lui, a qualcuno
di questi suoi collaboratori doveva pur averlo impartito e con il tempo, visto
che in un modo o nell'altro, tutti furono travolti da quella vicenda, questo qualcuno
avrebbe finito sicuramente per parlare.
Se così non è stato è solo
perchè effettivamente Mussolini era fuori da quella decisione.
Certo egli ha anche altre responsabilità, soprattutto
morali, ma queste, lo ripetiamo ancora vanno considerate e rapportate al
particolare periodo storico.
Esclusa quindi la responsabilità diretta di
Mussolini, non restano che altre due ricostruzioni del delitto:
- la prima , oramai dimostratasi inconsistente
se non ridicola, che è quella della eliminazione per vendetta su un
irriducibile avversario che aveva denunciato i brogli e le violenze alle
elezioni del 6 aprile 1924. Rapportata a Mussolini questa ipotesi si configura
come una sua “responsabilità morale”, per aver governato anche attraverso iniziative
poco pulite e l'utilizzo di persone delinquenti e violente, tanto da
ingenerare un clima tale ed una predisposizione mentale nel suo entourage che
aveva a disposizione gli elementi della Ceka, il quale ambiente si sentì così
autorizzato a mettere in atto simili azioni delittuose, che poi magari
travalicarono le intenzioni.
E' questa, a nostro avviso, una ipotesi
sostanzialmente debole, perché gli interessi di ordine politico e affaristico,
in questo affaire, sono così evidenti e così consistenti che fanno
escludere, in chi diede da dietro le quinte l'ordine esecutivo, di un colpo
di testa avventato ed estemporaneo, per semplici ragioni politiche .
Nella progettazione di quel delitto si
può escludere che ci sia stata una azione impulsiva e inconsulta, ordinata
da qualche personaggio poco accorto. Forse, tutto al più, in chi poi l'ha
organizzata, possiamo dire che fu mal gestita e anche poco valutata nelle sue
conseguenze, e probabilmente anche sfuggita di mano nella sua esecuzione, ma
sicuramente fu progettata con il fine preciso di eliminare Matteotti.
Gli interessi in ballo escludono l'ipotesi
preterintenzionale dell'omicidio, perché è ovvio che ci si riproponeva, proprio
attraverso la morte di Matteotti, di conseguire determinati risultati.
Ed anche presupponendo che forse si voleva attuare un
rapimento al solo fine di impartire una pesante “lezione” intimidatoria al
Matteotti, oltre a derubarlo delle sue documentazioni, le cose non cambiano di
molto, perché chi ha progettato questa azione sapeva benissimo che un rapimento
con violenta bastonatura e magari sottrazione di documenti, proprio nella
capitale d'Italia e verso un deputato capo del partito socialista unitario,
oltretutto pochi giorni dopo il suo forte discorso del 30 maggio, avrebbe
creato nell'opinione pubblica, non solo italiana, una impressione tale e delle
conseguenze sicuramente deleterie ed irrimediabili per il governo di Mussolini.
Per la “responsabilità morale” , infine, non
possiamo che ripetere quanto più volte espresso, cioè di tenere conto del
particolare periodo storico in cui accaddero questi avvenimenti. Un periodo
storico erede di 4 anni di quasi guerra civile, dove una fazione, quella
fascista, aveva trionfato sulle altre e si era proiettata alla conquista del
potere.
E tutto questo, piaccia o meno, determinava l'utilizzo
politico della violenza e comunque tale pratica va accettata, perché figlia del
clima del tempo, laddove anche spregiudicate operazioni, fuori dalle regole
(per esempio, l'utilizzo occasionale della Ceka), di fatto, erano un surrogato
dell'azione rivoluzionaria pura e semplice.
Non tenendo conto di tutto questo, è come se
volessimo giudicare la moralità e la legalità di certi avvenimenti
storici, cruenti e “illegali” come, per esempio, la rivoluzione francese o
quella bolscevica in Russia. Sono tutti avvenimenti che vengono presi così come
si sono svolti e per il periodo storico in cui si svolsero e come tali
analizzati e giudicati, essendo insulso e fuori luogo applicare a quegli eventi
i cosiddetti “canoni morali” o stabilire se c'erano o meno i presupposti legali
per certe azioni .
- una seconda ricostruzione del delitto si può
articolare su due ipotesi: quella specificatamente affaristica (la
minaccia della denuncia di certi importanti scandali) o quella solo specificatamente
politica (l'insofferenza per la tendenza dirigistica nella politica
economica da parte del governo, le paventate aperture ai socialisti unitari, le
prime avances verso la Santa Sede, ecc.).
Queste due ipotesi, apparentemente diverse, sono
estremamente realistiche, ma trattano situazioni che non possono essere
disgiunte tra loro in quanto il solo interesse affaristico non sarebbe stato
sufficiente a realizzare un omicidio del genere, con tutte le conseguenze prima
accennate, e comunque senza una oramai palese avversione di Mussolini verso
questi ambienti affaristico – speculativi, non ci sarebbe stata la necessità
del delitto; mentre il solo interesse politico, difficilmente avrebbe portato
al crimine se non cointeressato anche al mondo degli affari come del resto si
riscontra da una analisi degli elementi e dei fatti emersi.
Mussolini, come spiegato, andava per conto suo. Si era
necessariamente servito di vari e ambigui personaggi, di certi
sovvenzionamenti, ma ora raggiunto il potere mirava a consolidarlo
svincolandosi da ogni ingerenza, tendeva a subordinare i fattori economici e
finanziari agli elementi etici e politici e puntava in prospettiva a riformare
la società con l'ausilio del socialismo riformista e dei confederati.
Quel delitto quindi venne a verificarsi per una serie
di cause e concause, di grossi interessi in gioco di natura affaristico -
finanziaria e di natura politica, che tutti insieme produssero una miscela
esplosiva perché, attraverso l'eliminazione di Matteotti, si sarebbe potuto
realizzare il duplice obiettivo di eliminare chi era in grado di denunciare e
comprovare loschi intrallazzi in essere e contemporaneamente di sbarazzarsi o
ridimensionare seriamente Mussolini e il fascismo.
Sono tutte queste delle considerazioni teoriche, ma ci
sentiamo di prospettarle perché le abiamo suffragate da una nostra
controinformazione a tutto campo che porta proprio a queste deduzioni.
Tra le tante ipotesi, noi riteniamo di poter
condividere, almeno in buona parte, l'ipotesi scaturita dalla inchiesta del
giornalista storico Franco Scalzo, ovvero quella di una natura del delitto, affaristica
nel suo intimo e politica nei suoi effetti, anche se noi affermiamo, ancor
più dello Scalzo, che la “parte” politica del delitto non può essere disgiunta
da quella affaristica.
Resta comunque impossibile, senza documenti alla mano,
dare un nome preciso ai “ superiori sconosciuti”, i quali nell'ombra e
dietro sporchi interessi di natura finanziaria e affaristica, innescarono
l'esecuzione del delitto.
Si tratta sicuramente di grossi personaggi dell'alto
mondo industriale e finanziario, usi ai condizionamenti politici dei governi,
già in auge nel periodo prefascista e poi, nonostante tutto, traghettati
allegramente e alquanto incolumi, nel ventennio fascista, per finire infine con
il dopoguerra antifascista nella attuale Repubblica democratica.
Personaggi, chi per un verso, chi per un altro,
interessati a tacitare Matteotti e a mettere in seria
difficoltà Mussolini. Tutto un “putrido ambiente” nel quale, “qualcuno”,
potendo contare sui giusti agganci con chi poi poteva gestire la famigerata
Ceka, ispirò il delitto approfittando del clima e delle reazioni determinatesi
dopo il discorso di Matteotti del 30 maggio.
L'ambiente massonico infine, a cui quasi tutti i
personaggi di questa vicenda erano sicuramente affiliati, può essere
considerato al centro di tutti gli intrighi, anche perché era interesse della
massoneria (a parte il giro degli affari messo in pericolo e a cui non era
estranea) di sabotare l'attività politica e di governo del Duce.
Enzo Saredellaro nel suo saggio “ Il delitto
Matteotti indagine su la figura di Aldo Finzi, braccio destro di
Mussolini fino al delitto Matteotti. (Reperibile telematicamente in: http://www.storiaxxisecolo.it/
aldofinzidelittomatteotti.pdf ) ,
riporta la interessante deposizione di Pennetta capo dell'Ufficio di Polizia
Giudiziaria:
<< Chi intuì la verità sin dagli inizi fu
probabilmente Pennetta, (commissario Epifanio Pennetta, n.d.r.) capo
dell'Ufficio di polizia giudiziaria, il quale giunse alle seguenti conclusioni:
"... Gli esecutori materiali e i loro
mandanti immediatamente si prefissero la vendetta politica; altri invece
avrebbero approfittato per la difesa di interessi particolari... ed avrebbero
prestato il loro aiuto senza scoprire gli scopi che cercavano perseguire e
fingendo anzi amicamente di aiutarli unicamente nella loro vendetta
politica...". (Corsivi miei).
C'erano dunque persone, secondo Pennetta,
che "fingendo" di voler aiutare i mandanti e gli esecutori, tiravano
invece solo al proprio interesse. Tra questi apparentemente
"disinteressati" protagonisti c'era Filippelli.
"... Non interessi speciali politici
da tutelare aveva... il Filippelli, continuava Pennetta, egli temeva soltanto
che l'on. Matteotti, coi documenti dei quali era in possesso, avesse potuto
attaccare l'attività non chiara del Filippelli stesso in combinazioni
finanziarie...">>.
Tra quel maggio e giugno del 1924, quindi, vari
ambienti erano oramai decisi, chi a ridimensionare chi a disarcionare Mussolini
dal governo, tra questi:
quelli dell'Alta Finanza speculativa, cui un
Mussolini, da loro a suo tempo aiutato a prendere il potere, non assecondava i
grossi affari, in particolare per gli interessi della Commerciale e delle
grandi compagnie petrolifere che vorrebbero avere mano libera sul nostro
territorio; le forze massoniche, stratificate in tutto il paese e con solidi e
atavici intrecci tra Londra e Parigi, per le quali Mussolini è oramai un nemico
dichiarato; le scompaginate truppe del revisionismo che con la
defenestrazione di Massimo Rocca il Duce ha mandato alla deriva; i comunisti
che rischiano la totale emarginazione politica se Mussolini riesce nel suo
intento di imbarcare alcuni settori del PSU e dei Confederati nel governo; le
forze più reazionarie e conservatrici del paese e del fascismo che non hanno
alcuna intenzione di assecondare una eventuale apertura a sinistra del
Duce.
Più complesso il discorso sui sovietici che si muovono
sia su basi rivoluzionarie che su gli interessi di Stato. Anche i i sovietici infatti da un successo di mussolini per aprire
a sinistra, vedrebbero fallire i loro sforzi per mettere in piedi un largo
fronte sovversivo e si vedrebbero anche limitati, dalle scelte petrolifere del
governo verso la Sinclair, i loro interessi
petroliferi in Italia, ma al contempo , ma ce anche in ballo il loro
riconoscimento internazionale de jure da parte del governo italiano. Di certo
sappiamo che a delitto avvenuto i sovietici, che ben sapevano l’estraneità di
Mussolini, si guardarono bene dall’annullare il grande ricevimento con il
Governo e successivamente non furono
estranei alla decisione del PCdI di
uscire dalla coalizione dell’Aventino.
C'è ne d'avanzo perché in una situazione del genere
prenda corpo il progetto omicida che potrebbe risolvere di colpo la minaccia
rappresentata dalle eventuali denunce di Matteotti e il peso di
Mussolini al governo.
Circa una responsabilità di Vittorio Emanuele
III mettiamo un grosso punto interrogativo, perché ci pare eclatante che il Re,
sia pure implicato in speculazioni finanziarie (dalle quali non era esente) e
anche ammettendo che avesse avuto azioni della Sinclair (probabilmente da
questa regalategli per non averlo contro negli affari della compagnia), fosse
arrivato al punto di compromettersi ordinando un simile delitto. Durante il
periodo della RSI, Mussolini parlando spesso di queste faccende con Carlo
Silvestri, non sembra che ebbe ad accennare a responsabilità del Sovrano,
mentre è ovvio che se nella sua inchiesta fosse emerso, anche un minimo
richiamo a queste responsabilità, non avrebbe mancato di farlo.
Il giornalista storico Franco Scalzo, così ebbe a
presentare la sua ipotesi, in una intervista alla rivista Storia Illustrata del
novembre 1985. E' una intervista i cui temi affrontati sono molto interessanti
e meritano di essere conosciuti. (D = domanda; R = risposta di Scalzo):
<< D.: Nel suo libro “Matteotti,
l'altra verità” (edizione Savelli 1985) lei sostiene una tesi totalmente
opposta a quella della storiografia ufficiale. Qual'è, in sostanza, questa
diversa verità?
R.: Lo svolgimento della vicenda passa
attraverso due nodi fondamentali. L'origine del delitto (più affaristica che
politica) ed i mandanti della Ceka che con la soppressione di Matteotti si
prefiggono un duplice obiettivo:eliminare un testimone scomodo e costringere
Mussolini a gettare la spugna. L'operazione riesce solo a metà, come tutti
sanno.(...)
D.: Com'è arrivato a questa
conclusione clamorosa? Come ha impostato la sua tesi?
R.: Semplicemente, servendomi delle
tessere di cui sono entrato in possesso nel corso della mia ricerca e poi
sistemandole secondo un ordine che non fosse condizionato e dominato da
posizioni preconcette. Alla base di questo complesso gioco ad incastro ci sono
stati, comunque, due interrogativi.
Primo: che interesse poteva avere
Mussolini a macchiare la propria reputazione con un delitto infame dopo appena
due mesi dall'apoteosi elettorale del Pnf?
Secondo: perché proprio Matteotti,
quando tutti i partiti dell'opposizione avevano manifestato il sospetto che il
successo dei fascisti fosse dipeso, almeno in parte, da brogli e dalla violenza
squadristica?
Una volta preso atto della
legittimità di tali domande, la distanza dalle risposte si accorcia
sensibilmente, e la si può riempire soltanto ricorrendo a materiale di prima
mano. Immune cioè sia dalla propaganda che dalle distorsioni ideologiche. Ma in
questo spazio si è, appunto, inserita la lunga sequenza di documenti che
provano diverse cose: che Matteotti fu ucciso per impedire che facesse
rivelazioni.
Rivelazioni sul coinvolgimento di alcuni
ambienti (legati alla Banca Commerciale) in certi loschi affari riguardanti i
petroli, il gioco d'azzardo ed il traffico d'armi; che gli ispiratori e gli
esecutori del delitto erano già da diverso tempo in rotta di collisione coi
vertici del Pnf, sebbene si fossero infiltrati nell'entourage di Mussolini; che
l'immobilismo statuario dell'Aventino era un atteggiamento indotto dalla paura
delle opposizioni di dover rendere conto al Paese degli appoggi forniti, da
dietro le quinte, all'ala revisionista del partito fascista, che è poi quella
nel cui seno matura la decisione di fare fuori Matteotti; che i processi del
'25 e del '47 sono stati poco meno o poco più che delle orribili farse…
D.: Parrebbe di capire che il delitto
Matteotti non era compiuto da, ma contro Mussolini…
R.: Proprio così. Mussolini si
assume, per intero, la responsabilità del crimine perché, altrimenti,
sarebbe costretto a denunciare quella del gotha finanziario che ha foraggiato
la marcia su Roma e che dopo avergli dato il potere minaccia di riprenderselo
per trasferirlo a gente più maneggevole se lui non si rassegna a fungere da
parafulmine e da capro espiatorio.
E' una partita difficile, giocare sul filo
del bluff, che finisce in pareggio. Mussolini resta al suo posto, ma deve
rinunciare al progetto di disfarsi di certe regole, di certi condizionamenti.
Li subisce fino a Salò dove vuota il sacco col giornalista Silvestri, ma è
troppo tardi, ormai, per ristabilire la verità. Le forze alle quali avevano
fatto capo gli istigatori della Ceka sopravvivono al 25 luglio, come
sopravvivranno, più tardi, alla caduta del regime monarchico.
Nel '47, in riferimento al caso Matteotti
la situazione non è molto dissimile da quella del '25, e questo spiega il carattere
aleatorio del processo conclusivo di Roma: un atto dovuto, un rito.
D.: Che differenza c'è fra la sua
tesi e quella avanzata da Matteo Matteotti?
R.: Lui esclude che la massoneria
abbia avuto un ruolo nel predisporre il piano del 10 giugno, e non so da che
tragga questo convincimento, visto che tutti gli indiziati del delitto (da
Naldi a De Bono, a Dumini, a Bazzi, a Rossi, a Finzi) erano iscritti, a vario
titolo, alla setta.
Lui afferma che è il mandante di
Mussolini, ed io no. Lui dice che il duce copriva le responsabilità della
corona ed io trovo strano che Mussolini a Salò non abbia colto l'opportunità
per convogliare in questa direzione almeno una parte delle colpe che si era
addossato fino alla giubilazione del luglio '43.
Lui insiste sulla Sinclair (mentre risulta
dai documenti della compagnia petrolifera americana con cui avevano brigato i
manutengoli della “Commerciale”) che era la Standard Oil, e che tale società
era anche fortemente interessata al business delle bische>>.
I possibili organizzatori del delitto
Primo, a
prescindere se si protende per la tesi di un delitto cinicamente programmato,
oppure che invece travalicò le intenzioni dei sicari come sembrerebbe mostrare
la rozzezza e superficialità del sequestro con uccisione in macchina (sottrarre
dei documenti e lasciare in vita il deputato, che ne conosceva il contenuto ed
avrebbe comunque potuto riottenerli, è però un controsenso), è prevedibile che
se non fosse stato preso il numero della targa della macchina che fuggì con il sequestrato
caricato a viva forza a bordo, i tempi delle indagini si sarebbero notevolmente
allungati e gli sviluppi politici del caso sarebbero in parte cambiati, ma
sempre come era stato previsto e desiderato dai mandanti dell'omicidio: ovvero
una volta scoperto il rapimento, questi sarebbe apparso come l'opera punitiva
dei fascisti e di Mussolini e quindi del governo, verso il deputato socialista
che aveva avuto il coraggio di denunciare brogli e violenze nelle precedenti
elezioni e minacciato di dimostrarne la corruzione.
Questa tesi avrebbe riempito le pagine dei giornali,
coinvolgendo l'opinione pubblica e il governo di Mussolini sarebbe
inevitabilmente entrato in crisi. Proprio quello che si voleva conseguire;
Secondo, non ci sono dubbi che l'esecuzione del crimine venne
affidata alla Ceka di Dumini e quindi è lecito supporre che il progetto
organizzativo dovette necessariamente nascere nell'entourage di Mussolini, cioè
tra i De Bono, i Finzi, i Rossi, i Marinelli, ovvero i quadri dirigenziali di quella
che è stata chiamata la “banda del Viminale”, oppure, che l'organizzazione del
progetto fosse partita da settori collaterali a questo entourage, per esempio,
gli ambienti politico finanziari che ruotavano attorno al Corriere Italiano di
Filippelli (giornale politico, ma di supporto ad affari finanziari), magari con
la complicità di almeno uno dei gerarchi sunnominati.
Ma se i componenti della congrega del Viminale sono
tutti in qualche modo invischiati in traffici di dubbia natura, anche del
genere di quelli riconducibili agli ambienti che hanno oramai deciso di
abbattere Matteotti e scaricare il Duce, non è detto che presi singolarmente
siano tutti al corrente del progetto di rapire e uccidere Matteotti o che,
sapendolo, lo condividano. E questo per la semplice considerazione che costoro
dovevano ben immaginare che le conseguenze di quel delitto avrebbero
inevitabilmente comportato anche la loro rovina, specialmente se gli indizi
avessero condotto alla banda di Dumini. Se cadeva il governo di Mussolini,
cadevano anche le loro poltrone.
Non è un caso che alcuni uomini, tra i
più esposti dell'entourage di Mussolini, a ridosso del delitto, essendone
evidentemente al corrente, cercarono di procurarsi un alibi.
Orbene, se questi personaggi, pur consci dei rischi
che personalmente correvano, non si diedero da fare per far desistere il Duce
dal mettere in pratica l'eliminazione di Matteotti, ma si premunirono di
trovarsi un alibi per uscir fuori indenni dalla prevedibile bufera che si
sarebbe inevitabilmente scatenata (lasciandoci invece dentro Mussolini), vuol
dire che questo fantomatico ordine, diretto o indiretto, del Duce non esiste.
Esiste invece un altro “ ordine ”, proveniente
dal quel mondo affaristico speculativo, da quelle Lobby alle quali costoro sono
riconducibili, un ordine, una disposizione alla quale non possono
opporsi e devono, obtorto collo, provvedere.
Ed infatti poi, a omicidio consumato, cercheranno
quasi tutti di accollare a Mussolini la responsabilità del misfatto.
Detto questo, scendendo nel “pratico” e fermo restando
che l'interesse, la volontà e la commissione di mettere in atto un azione
criminosa contro il deputato socialista, venne dal quel “putrido ambiente
politico-affaristico” a cui non è stato possibile assegnare dei nomi precisi,
possiamo partire da un dato di fatto sufficientemente plausibile: per l'
esecuzione di questa azione (cogliendo al volo l'opportunità di nascondersi
dietro “l'alibi” del discorso di Matteotti del 30 maggio), se ne incaricarono
altri personaggi influenti i quali da posizioni di potere, ad un dato momento,
ne impartirono l'ordine esecutivo ad Amerigo Dumini. E questi personaggi
influenti vanno giocoforza cercati tra i membri della “ banda del Viminale” e
gli ambienti a loro attigui (i vari Filippo Filippelli, Pippo Naldi,
ecc.), tra cui dovrebbero esserci, ma valli a individuare, coloro che ignorano
tutto o in parte, coloro che “sanno” e basta, ma anche coloro che
“sanno” e organizzano.
Il fatto che questa famigerata Ceka sia stata
composta, a partire da Dumini, da manovalanza conosciuta e utilizzata in
passato o comunque contigua a Mussolini e al partito, ha consentito di
elaborare ipotesi, senza alcuna prova, per coinvolgere direttamente il Duce e
il PNF, attingendo più che altro da affermazioni riportate in dubbi “memoriali”
palesemente di parte i cui autori, forse non estranei al complotto, recitarono
il copione che gli era stato assegnato.
Resta però il fatto che teoricamente uomini
dell'entourage di Mussolini o almeno non tutti, difficilmente avrebbero preso,
senza il suo consenso, l'iniziativa delittuosa; iniziativa che, oltretutto e
come appena accennato, poteva avere conseguenze estremamente pericolose per le
loro poltrone.
Escludendo quindi il Duce, dalla responsabilità della
direttiva, è chiaro allora che bisogna ritenere che colui (o coloro) che
impartirono tale ordine (dietro innominate ispirazioni) non potette agire
diversamente, oppure che non ne valutò a pieno le conseguenze per sè stesso.
Nell'esecuzione di questo ordine poi, giocò
sull'equivoco di precedenti frasi a caldo di Mussolini (di circostanza e alle
quali non aveva dato alcun seguito) e del clima che si era venuto a
determinare circa l'intenzione di impartire una “lezione” al deputato
socialista.
Oppure, come già accennato, che lo stesso Dumini
prese ordini da personaggi collaterali, ma fuori dalla nota cerchia collocata
nelle stanze ministeriali, giocando su lo stesso equivoco.
Stabilire adesso chi poteva (o potevano) essere colui
(o coloro) che conosceva fino in fondo, avendolo ordinato, il progetto
omicida è estremamente complicato, perchè se è pur vero che molti indizi hanno
portato ad individuare questa persona in Giovanni Marinelli, è altrettanto vero
che resta difficile ritenere, che tutti gli altri non ne sapessero proprio
nulla.
Il fatto che Francesco Giunta, segretario di un
partito fascista retto da un direttorio di cui fanno parte anche Cesare Rossi e
Giovanni Marinelli, pochi giorni prima dell'evento delittuoso, avvertì
Matteotti dal guardarsi dalla Ceka, indica che, dentro e attorno a quella che è
stata definita la “banda del Viminale ”, si era parlato di una azione
contro il deputato socialista.
Inoltre, questa iniziativa, nella sua fase esecutiva,
era in piedi da alcuni giorni, forse da subito dopo il discorso del deputato
socialista del 30 maggio, visti i tempi e i preparativi che dovette fare il
Dumini per chiamare a Roma gli altri esecutori e gli appostamenti che in quei
giorni furono messi in atto su Matteotti. E questo anche se poi, al dunque,
qualcosa dovette far precipitare gli eventi, perchè si ha la sensazione che il
delitto fu da tempo programmato, ma la sua fase esecutiva del 10 giugno fu
alquanto affrettata e precipitosa.
Quindi se è pur vero che non tutti gli esponenti
della banda del Viminale potrebbero essere stati al corrente della
macchinazione, in definitiva per tutti loro pericolosa e compromettente,
altrettanto improbabile è che non ne sappiano proprio niente, visto che è da
giorni che il Dumini, che da quelle parti è di casa, sta trafficando nei
preparativi per mettere in piedi questo crimine.
Per l'entourage di Mussolini, cioè De Bono, Finzi,
Rossi, Marinelli, resta veramente difficile stabilire fin dove arrivino le loro
singole responsabilità rispetto al progetto omicida il cui ordine è chiaro che
venne emanato nel clima che si era creato in quell'ambiente e di cui qualcuno
ne aveva approfittato spingendo le cose fino a giocare la carta delittuosa
In ogni caso, successive ed eventuali manipolazioni e
depistaggi che avvennero durante lo svolgimento delle indagini o in vista del
processo di Chieti, messe in atto da De Bono o altri esponenti del governo, non
sono necessariamente da mettere in relazione con i responsabili del delitto, ma
semmai con chi voleva pilotare tutte le conseguenze di questo crimine in un
modo, il meno pericoloso e dirompente possibile, per sè stesso, per il governo
e per il partito.
Nelle valutazioni d'indagine bisogna quindi separare
queste due situazioni.
A nostro avviso, si può ipotizzare che gli
organizzatori del delitto (su commissione e ispirazione di altri) devono
trovarsi tra i noti nomi che potevano in qualche modo disporre di Dumini,
quindi: Emilio De Bono, Cesare Rossi, Aldo Finzi, Giovanni Marinelli, Filippo
Filippelli (collegato a Filippo Naldi) tutti, chi per un verso, chi per un
altro, immersi o non ignari dei traffici e delle manovre risalenti a quel putrido
ambiente affaristico finanziario, con cui molti di loro erano
collusi.
E per di più tutti massoni. Consideriamo, uno
per uno, le loro posizioni.
Emilio De Bono. Nacque a Cassano d'Adda il 19 marzo
1866. Militare di carriera, pluridecorato nella Grande Guerra, poi generale,
aderì al fascismo e fece parte del quadrumvirato che diresse la Marcia su Roma
nell'ottobre del 1922. Senatore del Regno d'Italia, membro del neonato Gran
Consiglio del fascismo, con Mussolini al governo divenne capo direttore
Generale della Pubblica Sicurezza e comandante della Milizia. Cariche a cui
dovette rinunciare perché coinvolto nel delitto Matteotti. Nei giorni
successivi al rapimento presiedette le indagini sul delitto cercando di tener
fuori sé stesso e il governo dalle ogni responsabilità.
Siamo propensi a scartare Emilio De Bono, anche se, in
buona parte, dentro fino al collo in quella situazione equivoca (ebbe varie
responsabilità e sicuramente cercò poi di armeggiare per aggiustare le cose),
perché ci sembra inconcepibile che questi, per quanto un “fregnone”, come capo
della Polizia, avesse impartito a Dumini l'ordine omicida e, senza aver
preparato alcun piano di emergenza, abbia dato disposizioni tali per arrivare
ad arrestare tutta la Ceka entro 48 ore, limitandosi soltanto a cercare di
nascondere o ingarbugliare qualche prova per proteggere se stesso ed il
governo.
Se lui fosse stato direttamente dietro il delitto, pur
rischiando, avrebbe fatto molto di più per depistare le indagini ed avrebbe
protetto, fatto eliminare o fuggire, senza remore o indugi il Dumini stesso.
Non a caso il De Bono, già dai primi giorni successivi al delitto, venne tenuto
sotto scacco dal Dumini che lo accusava di “tradimento” e minacciava di fare
rivelazioni sul suo conto (probabilmente di rendere noti lucrosi traffici di
varia natura a cui il generale si era dedicato per impinguare il suo reddito).
Oltretutto era stato il De Bono che aveva fatto
rilasciare al Dumini i passaporti falsi, tra cui quello a nome Gino Bianchi con
il quale il Dumini scorrazzava in lungo e in largo.
Il De Bono visse mesi di autentico terrore paventando
di essere incriminato e potè tirare un sospiro di sollievo solo dopo che
l'Alta Corte di Giustizia del Senato ebbe a proscioglierlo, dai reati che gli
erano stati addebitati, anche grazie al silenzio di Dumini.
Nel valutare l'uomo, “il vecchio fregnone”, come lo
chiamava Mussolini, tutto si può dire, ma difficilmente gli si può cucire
addosso la veste del cinico assassino.
Sul De Bono già al tempo giravano molti aneddoti
irriverenti come quello, a tutti noto, del suo essere circuito dalla “contessa
del Viminale”, una certa contessa Amari, che girava con due cani pechinesi e un
accompagnatore, la cui relazione vista l'età del generale era oggetto di vari
pettegolezzi. Una “confidenziale” del 1941, riportava:
<< De Bono non ha guadagnato una lira per
affari, ma che spesso la contessa ed il presunto figlio lo hanno portato
sull'orlo dello scandalo >>.
Anche il fatto che egli possa essere entrato in
possesso della famosa valigetta di Matteotti con la documentazione scandalistica
(particolare questo comunque non accertato, anzi poco probabile) e quindi
l'abbia fatta sparire per proteggere chi di dovere (si insinua la
responsabilità del Re) non attesta necessariamente la sua partecipazione e le
sue eventuali direttive per il delitto, ma semmai una sua successiva
“protezione” di personaggi a lui contigui e più in alto.
Si dice che durante il processo di Verona, nel
tentativo di salvarsi la vita, De Bono cercò di mercanteggiare scambi e
informazioni su questa famosa valigetta di Matteotti, ma anche questo fatto non
ha assolutamente riscontri, anzi sembrerebbe da escludersi.
Si sostiene comunque che il De Bono si portò al
processo di Verona un fascicolo sul delitto Matteotti, che poi pervenuto a
Mussolini e accluso al suo dossier, finì tra quelli razziati ad aprile 1945 e
poi fatti sparire per sempre. Ovviamente.
Cesare Rossi (nato a Pescia nel 1887), massone, già
giornalista socialista e interventista è tra i fondatore dei Fasci di
Combattimento (23 marzo 1919). Assume poi alcuni ruoli nel PNF in particolare
come addetto al settore Stampa e dopo la Marcia su Roma, ricopre la carica di
Capo dell'Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, quasi una specie di
segretario politico del Duce, tanto da essere definito “ una eminenza grigia
del fascismo” . Fu anche membro del neonato Gran Consiglio del fascismo. In
conseguenza del delitto Matteotti ebbe diverse vicissitudini: venne arrestato
il 22 giugno del ‘24 nell'ambito dell'istruttoria su quel crimine e poi fu
liberato nel dicembre del ‘25, perché prosciolto dalla sentenza istruttoria che
doveva portare al processo di Chieti. Scatenò feroci polemiche con il suo
“memoriale” contro Mussolini e riparò in Francia nel febbraio del 1926.
Sul capo dell'ufficio stampa di Mussolini il discorso
è molto complesso, anche perché nel corso degli anni successivi al delitto sono
emersi particolari e testimonianze che indicano che egli, pur al centro di
tanti traffici poco chiari, forse era però all'oscuro della messa in pratica di
questa impresa e comunque ne aveva un minimo di intelligenza per reputarla più
nociva che altro. E soprattutto era egli in grado di immaginare che avrebbe
costituito anche la sua rovina.
La stessa sua furente reazione contro Mussolini, che
una volta vistosi scaricato si esplicò soprattutto con il suo famoso memoriale
e il tagliarsi i ponti alle spalle, a meno che non facesse parte di un
preordinato gioco massonico contro il Duce, fa capire che probabilmente egli,
almeno per la diretta responsabilità delittuosa, ne era estraneo.
Resta il fatto però che Rossi era un massone
indotto a trafficare e proteggere altri massoni e quindi lo troviamo presente
in tutto lo scenario passato e presente del delitto, uno scenario pullulante di
massoni e di vari intrallazzi all'ombra della Presidenza del Consiglio e del
Viminale, nonché nella conoscenza e gestione di personaggi chiave come Amerigo
Dumini.
Certamente ci sono molti dubbi circa i viaggi tra Roma
e Parigi che il Rossi intraprese nella tarda primavera del '24 e soprattutto
sul convegno parigino di maggio con Campolonghi, Naldi, Bazzi ecc., così come
assodate sono le sue collusioni trasversali con il mondo speculativo
affaristico che ha preso in odio il Duce. Lo stesso Francesco Giunta nel 1923
lo aveva chiamato in causa per tutto l'intrallazzo delle armi alla Jugoslavia
messo in essere dal Dumini (questi limitò i danni anche grazie allo scudo che
gli fece Rossi con il suo carisma), e lo aveva sicuramente fatto scendere nella
considerazione che ne aveva il Duce.
Sospetto è anche il fatto che Rossi aveva dato
incarico al Prefetto Darberio di raccogliere notizie che potessero presentare
il Matteotti come un pericoloso sovversivo e un nemico della Patria. Intorno al
5 maggio egli poi decise di intraprendere, a mezzo stampa, una campagna
denigratoria contro Matteotti: a cosa doveva servire una violenta campagna
contro Matteotti ancora lontano dal suo discorso del 30 maggio?
Certamente poteva essere anche interna ad un certo
discorso politico teso a isolare Matteotti anche rispetto alla politica dei
socialisti, ma resta comunque il sospetto che invece poteva avere il fine di
intimorirlo in modo che non andasse avanti nelle sue denunce contro quel
mondo speculativo di cui fa parte anche Rossi, oppure ad avere una pezza da
stendere sopra un futuro omicidio per stemperarlo e sviarlo di fronte
all'opinione pubblica.
Dumini, nel suo memoriale nascosto negli USA, disse
che il Rossi sapeva del progetto omicida, ma non lo condivideva. Volendo
credere al Dumini, si ripropone la domanda: Rossi sapeva e non condivideva, ma
in ogni caso, fino a che punto sapeva e che posizione aveva e cosa fece a
cavallo del 10 giugno?
Se quindi vogliamo tenerlo fuori dalla
responsabilità del delitto Matteotti, dobbiamo supporre che per una serie
di circostanze, che oggi non è più possibile individuare, costui si trovò
estraneo o venne tenuto fuori, al momento dell'ora X che doveva scandire la
fine di Matteotti, dalla fase decisionale ed esecutiva.
Diciamo questo, senza prove, ma solo perché a
nostro avviso le parole che spese Mussolini con Carlo Silvestri, circa il fatto
che il Rossi era stato ingiustamente perseguitato dal fascismo, non furono
profferite a caso ed hanno una loro validità.
Aldo Finzi, nato a Legnago (Verona), nel 1897 era
figlio di un ricco possidente israelita. Dopo la Marcia su Roma, con Mussolini
al governo, Finzi venne fatto Sottosegretario agli interni, vice capo della
Polizia e Commissario all'Aeronautica. Era anche membro del neonato Gran
Consiglio del fascismo. Dopo le vicissitudini del delitto Matteotti, in cui si
ritrovò implicato in vari e trasversali modi per il suo giro di conoscenze,
soprattutto con Filippo Filippelli del Corriere Italiano, fu costretto
da Mussolini a dare le dimissioni il 14 giugno 1924.
Molti sospetti in più, circa un suo coinvolgimento
diretto nel delitto li abbiamo per Aldo Finzi, perché era troppo contiguo,
ancor più di Rossi, a certi ambienti affaristici e soprattutto al Corriere
Italiano di Filippelli giornale da molti definito e non a caso, la “base
operativa” del delitto, anche se sembra che proprio negli ultimi mesi Finzi era
fuori dal controllo del Corriere Italiano . In ogni caso però è indubbio che
dietro al Finzi c'era la Commerciale di Toeplitz.
I suoi stretti rapporti con Dumini e con Filippelli,
gli scontri verbali alla Camera con Matteotti, delle sue stesse origini
polesane, le tante accuse di corruzione giocarono tutte un ruolo dirompente
contro Finzi, facendolo saltare dagli autorevoli posti che deteneva ed
esautorandolo anche nella sua posizione politico sociale nel polesine.
Il 5 giugno 1924, a pochi giorni dal delitto (alcuni
ritengono che se Matteotti avesse preso il treno per l'Austria dove si apriva
il congresso socialista, probabilmente l'omicidio sarebbe stato anticipato),
stranamente Aldo Finzi chiuse i conti dei “fondi segreti” del Ministero degli
Interni.
Lo storico Giuseppe Rossini, autore di “ Il delitto
Matteotti fra il Viminale e l'Aventino ” (Il Mulino 1966) espresse, sempre
alla rivista Storia Illustrata del novembre 1985, questa opinione:
<< Il cosiddetto momento affaristico del
governo Mussolini, per comune ammissione dei testimoni (alcuni dei quali,
quando completai la mia ricerca, erano ancora vivi, ne parlai con Cesarino
Rossi), pare debba essere ricondotto all'interno del gruppo Finzi, interessato
alla vicenda petrolifera. Si parlò infatti di una attenzione tutta particolare
di Filippelli e di Naldi che di quel gruppo erano l'ala più intraprendente.
In una nota della direzione generale della
PS, del 14 giugno, si leggono una serie di informazioni tratte da un colloquio
con una non meglio precisata “personalità liberale”. Di sicuro si può dire che
Naldi organizzò il silenzio giornalistico sull'affare Sinclair che, invece, fu
approfondito nei suoi possibili risvolti giudiziari durante il processo di
Chieti>>.
Anche sulla reale implicazione di Aldo Finzi in quel
delitto, in ogni caso, non ci si può esprimere con certezza. Egli poi, a
differenza di Rossi, ebbe un comportamento che, alla vigilia del delitto, con
il suo viaggio nel Polesine, fa sospettare la ricerca di un evidente alibi, e
dopo il delitto e le sue minacce, poi lasciate cadere, di pubblicare un
esplosivo memoriale, fa sospettare o che intendeva ammorbidire la sua reazione
alle precedenti imposte dimissioni, perché questa moderazione la reputava più
conveniente per lui, oppure che egli, in effetti, abbia pesanti colpe da
nascondere e non gli conveniva spingere più di tanto nelle insinuazioni e nella
polemica con Mussolini.
Nel suo memoriale, Cesare Rossi ebbe a scrivere che
Finzi aveva consegnato al sicario Dumini del denaro per la fuga. Altra
versione, più verosimile, asserisce invece che fu Giovanni Marinelli ad aver
dato a Dumini una sostanziosa cifra per lui e per tutta la Ceka per lasciare
subito Roma.
In mancanza di altri riscontri, dobbiamo pertanto e
sia pure con molti dubbi, lasciare il giudizio su Aldo Finzi in sospeso.
Restano quindi Marinelli e la coppia Filippelli-Naldi.
Giovanni Marinelli, (nato a Adria Il 18 ottobre 1879)
era un facoltoso uomo politico, massone e fascista. Al tempo del delitto
Matteotti era segretario amministrativo del PNF e membro del Gran Consiglio.
Era anche nel direttorio nazionale con segretario Francesco Giunta che in quel
momento reggeva la segreteria del partito. Dopo il processo di Chieti per il
delitto Matteotti (1926) il Marinelli rimase incolume da ogni conseguenza, ma
con il passare del tempo, soprattutto durante la RSI (1943 –'45) proprio su di
lui si appuntarono i maggiori sospetti di aver organizzato il delitto.
Su questo personaggio con il passare degli anni è
emerso sempre più che doveva essere al corrente della faccenda ed è molto
probabile che ne abbia dato proprio lui il via esecutivo. Anche Dumini, negli
anni, sebbene in un valzer di dichiarazioni incontrollate, lo indicò come il
mandante principale e diretto.
Segretario amministrativo del partito e tesoriere,
anche lui contiguo agli ambienti politico affaristici e probabilmente vero
gestore della Ceka, da lui considerata quasi una proprietà privata come
ebbe a dire Cesare Rossi, Marinelli era nella posizione ideale per poter
impartire a Dumini un tal genere di ordine, facendo oltretutto credere che
l'iniziativa proveniva o comunque non era sconosciuta a Mussolini.
Molte testimonianze portano al Marinelli e al tempo
del processo di Verona, quando il Marinelli venne condannato a morte, in quel
frangente un altro imputato (per il tradimento del 25 luglio 1943), Tullio
Cianetti, raccontò che Marinelli, dopo aver udito le condanne, confidò a Carlo
Pareschi, presente lo stesso Cianetti, che sia Mussolini, sia Rossi sarebbero
stati estranei al delitto Matteotti e che era stato lui, Marinelli a ordinare
di sequestrare il deputato. Anche un biglietto, più o meno dello stesso tono,
scritto a mano proprio dal Marinelli poco prima di essere fucilato, arrivò a
Mussolini e sparì poi con tutto il fascicolo su Matteotti razziato nei giorni
della liberazione.
Filippelli & Naldi. Filippo Filippelli (massone di
Piazza del Gesù e come lui stesso amava definirsi “ uomo della
petrolifera Standard Oil ”), era il direttore del Corriere Italiano un
giornale nato di recente con scopi di natura politica finanziaria. E' arrestato
il 16 giungo 1924 a Genova mentre cerca di fuggire all'estero con un passaporto
procuratogli da Pippo Naldi. Fu lui a concedere a Dumini l'auto per il
rapimento, pur sostenendo che ovviamente non sapeva l'uso che ne sarebbe stato
fatto.
Filippo Naldi, oltre che giornalista, era un
importante faccendiere di levatura internazionale, da molti considerato un
burattinaio che tirava le fila da dietro le quinte, muovendosi a suo agio con
le Banche. Nato in provincia di Parma nel 1886, già nel 1914 aveva avuto modo di
spaziare dalle manovre di finanziamento per una stampa “interventista”, tra cui
anche quelle a favore del Popolo d'Italia di Mussolini, nonchè a quelle
di un ampio campo di interessi di natura finanziaria (sarà anche dietro la
nascita del Corriere Italiano di Filippelli). Dopo l'8 settembre 1943 lo
ritroveremo nell'entourage del governo Badoglio che con il Re era fuggito al
sud sotto protezione Alleata, a dimostrazione che i faccendieri dell'Alta
Finanza finiscono sempre al “posto giusto”.
Per la coppia Filippelli / Naldi bisogna intanto dire
che trattasi di una coppia inscindibile per il giro di affari e di collusioni
che li accomunava (così come nel tentativo della loro successiva fuga) e
quindi, anche se il secondo appare alquanto più dietro le quinte, non si hanno
molte alternative: o è estranea, almeno, al delitto oppure, visto anche il giro
degli affari e dei maneggiamenti politici che andava ad operare
costituendo, di fatto, un ponte tra l'alta banca, il mondo finanziario speculativo
e gli ambienti governativi, vi è dentro dall'inizio alla fine, anche se prove
oggettive e documentali non ci sono.
La nota che il nuovo capo della Polizia Francesco
Crispo-Moncada, a fine settembre del 1924, indirizzò al Duce con l'osservazione
che il “Naldi era il principale macchinatore del delitto” costituisce un
elemento di estrema importanza perchè il Moncanda non può non aver elaborato
questa sua accusa se non sulla base di precise e circostanziate prove anche se
di natura indiziaria.
Costoro, Filippelli e Naldi, oltretutto, a differenza
degli altri personaggi del Viminale che ricoprivano determinate cariche,
teoricamente avrebbero anche potuto giocare la carta senza ritorno del
delitto, sperando di rimanerne fuori e indenni dalle prevedibile conseguenze
della caduta del governo di Mussolini. E comunque sia manovrarono in seguito,
proprio come richiesto dai fini che il delitto si riproponeva, in modo cioè da
cercare di addossarlo a Mussolini.
Se sono responsabili la domanda è una sola:
diedero costoro (o uno di loro, per esempio il Filippelli, come ebbe a supporre
il figlio di Matteotti), materialmente l'ordine del sequestro di Matteotti al
Dumini?
Nel caso di un loro coinvolgimento, se consideriamo
che l'incarico dato al Dumini era di un rapimento con esito omicida, lascia
sconcertati constatare che il Filippelli fece la leggerezza di far utilizzare
una macchina da lui noleggiata senza imporre al capo banda di nascondere in
qualche modo il numero di targa. Bisognerebbe quindi ipotizzare che gli incarichi
scaturirono da personaggi diversi o che vi fu un passaggio di mano nelle
direttive o più probabilmente una eccessiva fretta e negligenza nell'eseguirlo.
D'altro canto, il fatto che il Filippelli concesse
l'auto del delitto a Dumini e dopo provvide a farla nascondere in un garage del
giornale non è proprio un particolare di secondaria importanza, così come non
lo è il fatto che Dumini, tornato la sera a Roma dopo la macabra impresa, per
risolvere il problema della ingombrante e compromissoria auto impiegata nel
sequestro, si reca al Corriere Italiano proprio da Filippelli.
A nostro avviso, comunque, se pur l'ordine venne da
personaggi attigui, ma esterni alla banda del Viminale , probabilmente
doveva anche esserci il passaggio per il Marinelli, visto che si impiegavano
uomini della “sua” Ceka.
Amerigo Dumini. Infine due parole in più per cercare
di inquadrare al meglio la figura del Dumini. Figlio di un pittore fiorentino e
di una americana originaria del Missouri, era nato a Saint Louis negli Stati Uniti
il 3 gennaio 1894. Già squadrista, scaltro e violento viene praticamente messo
a capo della Ceka e di lui si servirà Mussolini per tutte quelle attività
illegali al tempo necessarie. Ma il Dumini era anche abile a mettersi in
proprio per vari affari di diverso tipo. Arrestato disse tutto e il contrario
di tutto, rilasciò un memoriale inattendibile e poi in qualche modo venne fatto
espatriare. Era però in grado di ricattare il Regime e con questi ricatti ci
campò allegramente. Aveva depositato in America un memoriale segreto che si
conobbe solo nel dopoguerra. Venne arrestato a Roma già la sera del 12 giugno
1924.
Lo poniamo qui, inusualmente, tra gli organizzatori
del delitto per il quale, comunque, a lui fu affidato il compito di eseguire il
rapimento.
Questo personaggio, considerando tutte le sue
vicissitudini, passate praticamente per tre epoche notevolmente differenti:
quella in cui era in auge e che termina con il delitto Matteotti, quella del
suo barcamenarsi durante il regime fascista e infine quella misera nel
dopoguerra antifascista, in aggiunta ai contatti ed ai vari intrallazzi di ogni
genere che ebbe a praticare, ci dà la sensazione che ci troviamo in
presenza di un esecutore di ordini, che ogni tanto si mette in proprio, di
buona intelligenza e di notevole spessore. Non era insomma un personaggio da
poco e il modo di come ebbe a trattarlo Mussolini ne è una ulteriore prova.
Questo ci autorizza anche a pensare che il Dumini, al limite, avrebbe potuto
benissimo agire al di fuori di chi nel partito e al Viminale doveva
espressamente autorizzarlo.
Egli giurò di non aver mai avuto nulla a che
fare con il Filippo Naldi (al tempo del processo di Chieti il Dumini definiva
l'ipotesi affaristica una grossa montatura), ma una serie di tanti piccoli
particolari nella sua vicenda storica, non confermano questa sua asserzione,
vista oltretutto la stretta vicinanza e familiarità con Filippo
Filippelli.
In ogni caso il Dumini è sempre in mezzo, come il
prezzemolo, in tanti traffici e situazioni, così come abbiamo visto per il
commercio sui residuati bellici, speculazioni che poi sono alla base dei motivi
che portarono al delitto Matteotti.
Per esempio, nel lungo contenzioso sulla concessione
di un decreto governativo per il gioco d'azzardo, anche il Dumini ebbe qualche
piccola particina, a dar retta ad una lettera (ma non solo) di un certo
Ferruccio Spataro del 26 gennaio 1923 (ovvero il giorno dopo la prima rinuncia
di Mussolini alla sua regolamentazione) che gli parla di questi problemi e gli
da appuntamento a Genova.
Altre lettere poi fanno capire che egli poteva essere
anche in contatto con ambienti mafiosi del sud e qui si può anche vedere
un filo che porta a Massimo Rocca quello della subdola corrente “revisionista”
e normalizzatrice all'interno del fascismo.
Telegrammi inviati da Dumini a Cannes a Cesare Rossi,
intorno al 15 maggio del '24, ci indicano che il Dumini tiene informato l'amico
sugli sviluppi del defenestramento di Massimo Rocca, sulla polemica con
Farinacci e gli attacchi che da varie parti stanno convergendo sul Rossi
stesso, per cui ne sollecita il ritorno a Roma, dimostrando quindi che il Dumini
è cointeressato anche alle faccende politiche del fascismo e del governo.
Comunque sia il Dumini, pur proclamandosi fascista,
non disdegnava d'infilarsi in ogni genere di intrallazzo, come quello delle
armi alla Jugoslavia, che di fatto danneggiava l'Italia. Tanto per fare un
esempio, nell'affare jugoslavo, i suoi traffici vennero coadiuvati da un
elemento vicino ai comunisti e ai servizi sovietici, e sembra che avvenivano
anche per conto della società Armstrong di Pozzuoli, di cui sono
contitolari il trafficante Basil Zaharof e la Banca Commerciale.
Il suo ruolo poi, da infiltrato negli ambienti del
fuoriuscitismo antifascista parigino e nel delitto fascista Alfredo Bonservizi
in Francia è tutto da chiarire e lascia una profonda ombra sulla sua reale
posizione nella vicenda parigina e per chi effettivamente lavorava.
Dunque, come si vede, il ruolo e la posizione di
Dumini, non è solo quello di un semplice esecutore di ordini, ma qualcosa
di più, anche se ovviamente egli si colloca, più che altro, tra gli anelli
intermedi di questa catena affaristico speculativa e delittuosa: la banda del
Viminale, Filippo Filippelli, la massoneria e a latere di vari traffici e
affarucci di genere speculativo, ecc.
Mettendolo quindi in rapporto con il delitto Matteotti
e non potendo sciogliere con certezza assoluta le pesanti ombre sulla sua reale
implicazione con i vertici del “putrido ambiente affaristico speculativo”,
dobbiamo supporre che il Dumini fu utilizzato senza che lui potesse rendersi
conto per chi effettivamente stava lavorando.
Certamente conosceva i gangli intermedi del complotto
contro Matteotti e forse avrebbe potuto individuare anche qualche personaggio
di più alto spessore.
Ma sostanzialmente il Dumini avrebbe potuto risalire,
con prove concrete alla mano, più che altro ai personaggi che lo
dirigevano, lo pagavano o ben conosceva: soprattutto Giovanni Marinelli, magari
il Filippo Filippelli, Emilio De Bono, Cesare Rossi, o Aldo Finzi,
ipotizzando che dietro quell'incarico omicida c'erano anche grossi risvolti
affaristici e chiedendosi quale poteva essere la reale posizione di Mussolini
nella vicenda.
Per esempio, possiamo constatare che durante il
“ventennnio”, quello che avrebbe potuto “raccontare”, mettendo nei guai il
Regime, era sufficiente per farlo galleggiare con una certa agiatezza, visto
che poteva chiamare in causa e coinvolgere diversi personaggi del regime
fascista e quindi provocare uno sconquasso alla nuova Italia di Mussolini. Non
per niente si era ben sistemato in Libia e se non scoppiava il secondo
conflitto mondiale si può dire che non gli era poi andata affatto male.
Anche nel dopoguerra, inoltre, quello che poteva aver
scritto nel suo memoriale spedito in America, una volta divulgato e messo in
relazione a tanti altri fatti e particolari che si erano conosciuti, avrebbe
forse potuto far aprire un dibatto a tutto campo che poteva sollevare il velo
su certi ambienti di Alta finanza massonica, tanto che, molto probabilmente,
gli americani dovettero elidere alcuni fogli del suo memoriale prima di
renderlo pubblico. Non avendoli però letti, non ci resta che il solo dubbio.
Ma certamente il Dumini, da solo, non era in grado di
additare con precisione certi ambienti di alta caratura altrimenti
difficilmente lo avrebbero lasciato in vita e comunque, uscito di prigione nel
1956, non si sarebbe ritrovato senza una lira, morendo poi un pò prematuramente
per un “incidente domestico” di cui colti avanzarono strani sospetti.
Su Dumini, comunque, quale sia il giudizio bisogna
anche dire che non si prestò, pur potendone ricavare ampi benefici, nel
processo di Roma del 1947, realizzato clima antifascista post liberazione, al
tiro contro Mussolini. Sulla sua rivista ” L'Orologio ”, l'avvocato, già
volontario nella RSI, Luciano Lucci Chiarissi, riportò una confessione fattagli
in carcere proprio dal Dumini stesso, il quale asserì che gli era stata offerta
la libertà in cambio di una falsa dichiarazione sulla responsabilità di
Mussolini.
Riassumendo le possibili responsabilità
Per riassumere e tirare le somme di tutta
questa panoramica di considerazioni, sui vari personaggi in qualche modo
implicati nella vicenda Matteotti, possiamo ipotizzare, ma solo in via teorica,
che i “ superiori sconosciuti” interessati alla liquidazione di
Matteotti e di Mussolini, attraverso personaggi come Filippelli e Naldi e/o
Marinelli riuscirono a forzare certe decisioni e ad assegnare a Dumini
l'incarico omicida.
Franco Scalzo, uno dei più credibili autori di
lavori sull'affaire Matteotti, nel suo libro Franco “ Il caso Matteotti,
radiografia di un falso storico ” - Settimo Sigillo 1996, che già a maggio,
a Parigi, Cesare Rossi incontrò Campolonghi, Naldi, Bazzi ed altri elementi
massonici e lì si mise a punto il progetto di agire contro Matteotti e
procurare la caduta di Mussolini. Anzi, per lo Scalzo, precedentemente, gli
stessi ambienti avevano causato la morte di Bonservizi, all'interno di una
trama che faceva parte di uno stesso piano. Scrive l'autore nella presentazione
del suo libro:
<< Ci sono troppi personaggi, avvolti nella
penombra, rispetto ai quali ogni certezza è arbitraria. E poi: due macchine,
nei pressi del luogo dell'agguato, invece di una, come si sapeva finora. Un
agente della grande industria americana che imbastisce trame eversive d'intesa
con le Sinistre. Giochi e doppi giochi, al riparo delle logge massoniche e
delle centrali spionistiche di mezzo mondo. D'Annunzio e Dumini. Pontieri del
PNF e guastatori del PCI. Bandiere rosse e inappuntabili finanzieri, in un
immenso tripudio di combinazioni 'strane', che però sono tributarie di una
logica assai più chiara e lineare di quella individuata attraverso il filtro
deformante dell'antifascismo codino.
Si può essere sicuri solo di due
cose: che Mussolini non c'entrava affatto, e che i mandanti del delitto sono
ancora sopra di noi, refrattari alle vicende giudiziarie, potenti al punto da
essere esonerati dal figurare tra i protagonisti della Storia. Perché loro
muovono i fili. E gli altri vi sono appesi>>.
E uno scenario inquietante questo indicato dallo
Scalzo, ma niente affatto fantasioso o arbitrario, ma a nessuno ha mai fatto
comodo affrontarlo e indagarlo come si deve..
In definitiva, si può ritenere che per lo Scalzo,
escluso Mussolini, quasi tutta la banda del Viminale, coadiuvata dai
vari Filippeli, Naldi, ecc., era partecipe del processo criminoso.
A nostro avviso, anche questa ipotesi è concretamente
sostenibile e tra l'altro risolverebbe il dubbio che si genera pensando al
fatto che era alquanto difficile che in quell'ambito si potesse essere
all'oscuro di quanto stava preparando il Dumini.
Ma una attenta escussione di tutto l'insieme della
vicenda, il particolare più volte ricordato che le conseguenze del delitto
potevano travolgere gli stessi organizzatori, ci induce ad essere più cauti e
ad affermare che resta estremamente incerto stabilire chi dei membri della “ banda
del Viminale” poteva realmente essere al corrente di questa iniziativa,
anche se noi restiamo del parere che, tutto sommato, forse fu il solo Marinelli
ad agire, in collusione con altri ambienti collaterali, in un determinato modo.
Perchè Mussolini non andò fino in
fondo
Infine per cercare di capire perchè Mussolini non
volle o non potè arrivare fino in fondo, cioè fino alla
individuazione dei veri mandanti del delitto Matteotti, occorre fare un paio di
premesse.
Prima considerazione: vicende come quella di
Matteotti, se si fossero verificate in un regime che vede al potere un
dittatore dalla inclinazione spietata e senza scrupoli, responsabile della
segreta eliminazione di un suo avversario scomodo, laddove nella esecuzione delittuosa
non tutte le cose erano filate lisce, tanto che i responsabili diretti erano
stati arrestati ed altri elementi, nell'orbita del potere, erano stati chiamati
in causa, avrebbe sicuramente risolto tutta la vicenda e tagliato ogni
possibilità di futuri ricatti ai suoi danni, fucilando i responsabili presi con
le mani nel sacco e facendo “suicidare” o “sparire” qualche altro personaggio
divenuto scomodo.
In un sistema democratico, viceversa, quando dietro
certi crimini ci sono i cosiddetti “poteri forti” e ambienti intoccabili, la
cosa viene risolta attraverso la mano dei “servizi”, i depistaggi, gli
inquinamenti, i “suicidi” e gli assassini del caso, fino a rendere
imperscrutabile ed ingarbugliata la vicenda e impedire che si potesse arrivare
ai mandanti (e spesso ai diretti esecutori), come i casi dell'assassinio di
Kennedy in America e la strage di piazza Fontana, Sindana, Calvi, ecc., in
Italia insegnano, tanto per fare un alcuni esempi tra centinaia possibili.
Seconda considerazione: Mussolini non era quel genere
di dittatore sanguinario portato prima ad esempio ed inoltre nell'Italia del
1924, egli non deteneva nelle mani una fetta di potere tale da assicurargli la
più ampia libertà di intervento.
Anzi le stesse forze che avevano avuto interesse ad
eliminare Matteotti e preventivato la sua caduta dal governo, avevano tali e
tanti agganci di potere, anche a livello internazionale, per i quali diventava
oltremodo difficile se non impossibile poterli colpire esemplarmente.
In questa situazione Mussolini, una volta venuto a
conoscenza del delitto, si era limitato a non muovere un dito per coprire i
responsabili esecutivi del crimine (nei limiti ovviamente di una strategia che
mirava a proteggere la saldezza del governo), nè poi impedì che facessero le
valige dai loro posti di potere, il contorno equivoco germogliato attorno alla
presidenza del Consiglio e del Viminale. Oltretutto bisogna anche dire che
Mussolini si trovò, in parte, le mani legate, perchè egli sapeva benissimo che
il fratello Arnaldo era facile a farsi coinvolgere in affari o in situazioni
che potevano non essere molto limpide. Cosicchè su alcun questioni che erano
venute alla ribalta, come per esempio il ricco progetto delle case da gioco,
che pur Mussolini aveva poi bloccato scatenendo feroci reazioni, il fratello
Arnaldo poteva esserci in qualche modo dentro. E questo, per il Duce, era
senz'altro un freno.
Alla fin fine, comunque, superate sia pure a fatica e
non senza grossi rischi, le conseguenze del delitto Matteotti, a Mussolini tutto
lo sconquasso alla fin fine gli tornò opportuno per fare un certo ripulisti e
riappropriarsi, almeno in parte, delle sue facoltà decisionali tese ad imporre
alla politica economica quel carattere dirigista del governo che lui trovava
etico ed essenziale.
Tutto questo però senza attaccare le grosse lobbyes
finanziarie ed evitando di scatenare una guerra contro la Commerciale, la
Standard Oil di Rockefeller e le compagnie petrolifere inglesi, perché
l'avrebbe sicuramente perduta.
Non potè quindi rimuovere i grossi ambienti
finanziari e industriali che stavano dietro a tutto l'Affaire e che, rimasti ai
loro posti, per tutto il ventennio successivo continuarono a condizionare
l'operato di Mussolini e a frenarne le riforme sociali.
Mussolini accettò quindi di instradare,
attraverso Roberto Farinacci, il processo di Chieti in un determinato modo, il
solo che avrebbe salvaguardato la saldezza del regime.
Questo spiega, in un certo senso, tutto quello che
avvenne nei mesi successivi al delitto, con imputati che se la cavarono a buon
mercato (Dumini e i componenti della Ceka), se addirittura non vennero assolti,
altri personaggi in qualche modo implicati o sfiorati dalla vicenda che presero
il volo verso l'amica Francia (Carlo Bazzi, Cesare Rossi, Massimo Rocca, Arturo
Benedetto Fasciolo, Filippo Filippelli, ecc.) dove diedero sfoggio di una loro
nuova dimensione antifascista, ed altri ancora che tra un ricatto, una minaccia
e una promessa, se ne rimasero tranquilli in disparte (Finzi), se addirittura
non ripresero i loro posti di potere (Emilio De Bono, Giovanni Marinelli).
Con il discorso del 3 gennaio il Duce si prese
idealmente tutte le colpe degli altri, che ebbero così la certezza di
rimanere indisturbati, precludendosi in tal modo la possibilità di dover
toccare i vertici dell'Alta Banca ai quali non era in grado di lanciare la
sfida.
Il risultato minimo che potè conseguire fu, come
detto, la necessaria epurazione nelle fila del PNF e del Viminale, a cominciare
dai vari Cesare Rossi, Aldo Finzi, Amerigo Dumini (questi messo in galera) e
relative conventicole e accoliti, il ridimensionamento dei contatti con la
Commerciale, e l'aver successivamente strappato dalle mani dei fratelli
Albertini il Corriere della Sera.
Mussolini dopo la bufera del caso Matteotti aveva
mantenuto il potere e si stava incamminando verso lo stato totalitario che gli
portò un evidente rafforzamento del suo potere, ma rimase però sempre
condizionato dalla diarchia con la monarchia e dalla presenza di determinati
poteri forti (i massoni, al contempo, entrarono in “sonno”).
Precedentemente, nell'estate del 1924, aveva
provocatoriamente mandato a far sapere a Toeplitz,
l'onnipotente padrone della Commerciale, che gli sarebbero state “gradite” le
sue dimissioni, al che, il banchiere rispose, con evidente spirito ricattatorio
e forte degli appoggi di cui godeva:
<< Va bene..., sono pronto ad andarmene.
Purché riesca a realizzare in 24 ore cinque miliardi di Buoni del Tesoro >>.
In conseguenza di tutto questo si constata quindi, da
parte del Duce, un comportamento riduttivo rispetto alla punizione dei
colpevoli, visto che non venne richiesto almeno l'ergastolo per i responsabili
del delitto, nè si fece fare piena luce sui veri mandanti dello stesso.
Roberto Farinacci, nominato avvocato difensore degli
imputati, potè così pilotare il processo verso una faida tra fascismo
e antifascismo, verso un delitto di natura dolosa e preterintenzionale e quindi
verso condanne tutto sommato limitate.
Tutto questo è consequenziale a quanto
precedentemente affermato: scoperchiando la pentola del delitto Matteotti ne
sarebbe seguita la necessità di scontrarsi, con esito incerto, con certi
poteri e certi potentati, determinando come minimo la chiusura di ogni
rubinetto finanziario per il governo e la sua inevitabile caduta.
Alla domanda del perchè Mussolini non pretese la
drastica punizione dei colpevoli, rispose Nicola Bombacci, uno dei pochi ben a
conoscenza dei risvolti di quegli avvenimenti avendoli vissuti ed avendovi
condotto una approfondita inchiesta su incarico di Mussolini durante la RSI.
Bombacci, in sintesi, ebbe a dire a Carlo Silvestri
nel febbraio del 1944 che Mussolini non poteva, per esempio, ottenere
l'incriminazione di Pippo Naldi senza smascherare al contempo le responsabilità
dei massimi mandanti, quei superiori sconosciuti dietro le quinte, nonché
quella dei complici “morali” annidati nei centri di potere dell'Alta Banca e
della grande Industria.
E questo perché il repulisti avrebbe significato
trascinare sul banco degli imputati, chi per un verso, chi per un altro, non
solo dei senatori del Regno come Luigi Albertini e Carlo Sforza, legati
personalmente alla figura del Sovrano, ma anche, sia pure con
responsabilità minori, il fior fiore dell'Alta Finanza e dell'Industria
italiana, come il senatore Giovanni Agnelli, il commendatore Toeplitz, Ettore
Conti, l'ingegnere Motta, Emilio Bruzzone, e tanti altri di calibro analogo.
E certamente avrebbe anche fatto emergere fatti e
particolari in cui anche il Duce aveva avuto un suo ruolo e una sua
responsabilità, dato che, Mussolini per barcamenarsi e mantenere il potere
aveva fatto anche uso di pratiche illegali e spesso lasciato che suoi uomini
trafficassero e si arricchissero in vari modi.
In pratica aggiungiamo noi, Mussolini, per il pur
giusto amore della verità, avrebbe pregiudicato la rinascita del paese,
provocato di nuovo uno sconquasso dalle imprevedibili conseguenze e senza
neppure essere sicuro che queste “forze” potessero essere sconfitte.
Praticamente si sarebbe fatta ritornare l'Italia di
qualche anno indietro, forse precipitandola in una crisi peggiore di quella
dell'estate del 1924.
Mussolini dopo il discorso del 3 gennaio 1925, sia
pure a caro prezzo, aveva, di fatto, vinto la partita, ma per le esigenze
nazionali non volle, nè potè stravincere, e come era nella sua indole lasciava
agli “sconfitti” una via di fuga a patto che si togliessero di torno.
Quelle componenti borghesi, con l'Alta Finanza e la
Grande Industria in testa, che gioco forza rimasero indenni al loro posto, pur
dovendo incassare la momentanea sconfitta, Mussolini, obtorto collo, se
le dovette portare appresso, e cercò di utilizzarle negli interessi e per lo
sviluppo del paese, mentre al contempo queste stesse componenti cercarono di
trarre dal fascismo ogni vantaggio che gli potesse derivare dalla pace sociale
che questi assicurava e da una politica economica nazionale espansiva sui
mercati esteri. Ovviamente fin quando gli conveniva ed infatti la guerra del
'40 fece venire tutti i nodi al pettine.
Il Duce solo con la RSI, con le componenti reazionarie (Capitalismo, Massoneria,
Vaticano e Casa Savoia) in quel momento fuorigioco, potrà avere la
possibilità che non si lasciò sfuggire, non solo di edificare la società
socialissta, ma anche di fare quello che non potette fare nel 1925, ovvero di
intraprendere una indagine profonda e definitiva su quel torbido delitto, cosa
che pur tra le pieghe delle guerra, fece fare a Nicola Bombacci e al suo
segretario Gatti.
Ma buona parte dei risultati di quella inchiesta
finirono nelle mani dei partigiani di Garbagnate milanese e/o furono requisiti
a Dongo e poi vennero fatti opportunatamente sparire e quindi si estinsero con
la vita stessa di Mussolini,
Anche Bombacci e Gatti, questi ultimi due fucilati a
Dongo senza alcun motivo che ne giustificasse la condanna a morte, portarono
nella tomba il segreto.
Fatta eccezione per Mussolini che sarebbe stato
ammazzato in ogni caso, più di uno ha visto in quelle fucilazioni, in
particolare Bombacci e Gatti, la volontà, l'ordine proveniente da “qualche
parte”, di tacitare quanti “sapevano” la verità sul delitto Matteotti.
Maurizio BAROZZI
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