lunedì 31 maggio 2021
EVOLA CONTRA WAGNER
Quella su Wagner e sulla sua interpretazione dei miti germanici, è un’antica
polemica che, nel corso degli anni è stata periodicamente rintuzzata e riaccesa, a
seconda dell’obiettivo politico-ideologico e culturale, che si voleva raggiungere. Dai
tempi delle romantiche scazzottate dinnanzi ai teatri dell’Opera di mezza Italia a fine
Ottocento, tra verdiani e wagneriani, agli interventi a gamba tesa dello stesso
D’Annunzio, sino alle polemiche da parte dell’area culturale tradizionalista. E sarà
proprio su queste ultime che qui, ci si intende soffermare, proprio perchè, oltre da
ad esser le più recenti, cronologicamente parlando, sono forse le più “tranchant”,
emesse come sono, da quelli che, della koinè” tradizionalista sono tra gli autori
autori più rappresentativi, quali uno Julius Evola o un Renè Guenon. L’occasione per
una più approfondita riflessione al riguardo, è stata offerta da uno degli ultimi
incontri “on line”, a cura di “Ereticamente Sapienza”, incentrato proprio sul
commento al “Parsifal” di Wagner ed alle tematiche ad esso connesse, inclusa, per
l’appunto, quella dell’interpretazione di autori come Evola. Diciamocelo pure. Dal
punto di vista filologico, quella evoliana e tradizionalista in genere, è una critica che
ha un suo fondamento. Wagner dette un’ interpretazione del mito in chiave
romantica, animata da una forte carica di sensuale passione, rivestita di panteismo e
naturalismo che, alla fine, si risolve in una ritrovata fede nel cristianesimo. La qual
cosa, sicuramente non coincide e devia alquanto dall’originario spirito di quella
narrazione, collocato invece in una atemporale dimensione, le cui vicende e
personaggi, altri non sono che simboli teofanici che rimandano continuamente alla
presenza di una dimensione del sovrannaturale , ovunque presente. Una
dimensione che poco o nulla ha a che fare con quella forma di naturalistica
escatologia, che invece, in Wagner, alla morte degli Dei vede succedere l’era degli
uomini, stavolta animati da una nuova fede religiosa. E qui veniamo alla “nota
dolens” dell’intera questione. Una critica appropriata da un punto di vista formale,
ma totalmente inappropriata da uno più propriamente sostanziale. Wagner ebbe la
capacità e l’abilità di raccogliere i vari mitologemi dell’area culturale sud germanica
e di riunirli in un’unica raccolta all’insegna di un comun denominatore,
rappresentato dalla necessità di dare un’anima alle popolazioni germaniche, da poco
riunificate sotto un’unica bandiera nazionale, grazie all’opera di Bismarck.
Un’operazione questa, sicuramente, ben lontana dall’originaria ottica del mito, ma
sicuramente in linea con le istanze romantiche, che animavano i vari risorgimenti
nazionali nell’Europa del 19° secolo e di cui l’opera wagneriana, rappresentò una
delle più fulgide espressioni. Ferma restando la natura “deviante” dell’opera
wagneriana dall’originario contesto, mitico, non si può dire , in questo, che il grande
autore sia stato solo. Di re-interpretatori del mito o addirittura di creatori di nuovi,
la storia ne è piena a bizzeffe. Potremmo ricordarci di quanto fatto da Platone con il
mito di Er o da Virgilio con l’Eneide. Il raccogliere gli elementi mitici di una
precedente tradizione e poi rielaborarli al fine della propria narrazione non è
pertanto cosa nuova, ma non è da tutti. Virgilio ha dato una ulteriore base mitica
alle più lontane origini di Roma e dei Romani, creando un’opera letteraria
immortale. La medesima cosa ha fatto Wagner, conferendo un’identità nazionale ai
tedeschi e creando addirittura un mito nuovo, su una base musicale. Nel far questo,
il grande compositore tedesco ha ricevuto l’incondizionato sostegno e la più fervida
ammirazione di un Nietzsche che, in lui, vedeva una prima, concreta, realizzazione
del suo lungo e tormentato percorso elaborativo. Wagner avrebbe dato piena
concretezza ed anima a quel principio “dionisiaco”, dal Nietzsche tanto decantato,
simbolo di quell’anelito all’irrazionalità della potenza vitale, immersa in un continuo
e caotico divenire, così in contrasto con l’algida e solare armonia apollinea. Il grande
filosofo tedesco, sarà il primo a sparigliare le carte al marmoreo e quasi arcadico,
neoclassicismo dei Winkelmann e dei Canova. Sarà il primo, a dare un cappello di
sistematicità a quelle istanze di irrazionalità, provenienti dall’ambito vitalista e da
quello romantico, (tanto da finir con l’essere accusato, dallo stesso Heidegger, di
essere un “metafisico”, sic!). Dioniso è l’incessante scorrere della vita, è
l’irrefrenabile ciclo di alternanza tra quella stessa vita e la morte, è l’inebriamento e
l’offuscamento dell’apollinea “ratio”, nel nome di quella vertiginosa caduta nei
sensi, che tanto caratterizza la musica di Wagner. E così da iconica narrazione,
rivestita di significati archetipi, da totem spirituale, il mito in Wagner si fa vita,
divenire, incessante trasformazione. All’era degli Dei, succede quella degli uomini.
All’antica fede, ne succede una nuova, all’insegna di un simbolo, il Santo Graal,
anch’egli qui a simboleggiare quel lavoro di “reinterpretatio” del mito, compiuto
nell’opera musicale. Ed anche qui, però bisognerebbe valutare con molta prudenza il
significato, la natura della conversione di Wagner al cristianesimo. Ben lungi
dall’assumere la valenza di un ripiegamento verso uno stantio e bigotto fideismo,
quella del grande compositore germanico ci sembra, piuttosto, essere un’altra sua
particolare “interpretatio” della fede cristiana, riletta in una chiave ariana e “solare”,
all’insegna di un simbolo di rinascita; quasi un anticipo dello steineriano
cristocentrismo. Questo grandioso affresco mitopoietico, fa da sfondo alla nascita
della coscienza del popolo germanico. Ne diviene il mito trascinante ed il regime
nazionalsocialista ne farà la punta di diamante, il leit motiv, della propria narrazione
ideologica, legando definitivamente a sé, il destino di sessanta milioni di tedeschi,
nell’ambito di una colossale operazione di indottrinamento metapolitico, mai vista
prima d’allora. Per questo, le critiche evoliane e guenoniane, corrette da un punto
di vista filologico, non colgono nel segno da un punto di vista più ampio, metastorico
e filosofico. Come abbiamo già avuto modo di vedere, quello della rielaborazione del
mito, è un lavorio che procede instancabile, coevo alla storia spirituale del genere
umano. Abbiamo detto Platone con la filosofia, ma anche Virgilio e Dante con la
poesia e sinanco Madame Blavatskji con l’esoterismo o Tolkien con la narrativa,
assieme a tanti altri, furono, ognuno a modo proprio, artefici di queste
reinterpretazioni. Una questione di ermeneutica in senso più ampio, questa, dalla
quale neanche lo stesso Evola è stato immune. Come nel caso delle scienze
ermetiche , di cui l’autore dà un’interpretazione tutta all’insegna del contrasto tra
una via fideistica e sacerdotale ed una più propriamente iniziatica e guerriera.
L’errore non sta però nella persona di Evola, quanto piuttosto nell’impostazione di
fondo di certo tradizionalismo, così come formulata da Renè Guenon e che finisce
con il trascinare, nella spirale dell’accademismo, proprio autori come Evola che in
precedenza, tanto l’avevano condannato, ravvisandolo sia nei protagonisti del
pensiero neoidealista, che in quello romantico. Quando il pensare la Tradizione si
irrigidisce nell’accademismo, nel regno dei puntigliosi “distinguo”, allora si fa
“tradizionalismo”, guscio marmoreo e rigido, in cui solo albergano parole e concetti
vuoti, senza più oramai attinenza alcuna con una realtà invece, viva, in continua
trasformazione. Nietzsche, padre putativo della Modernità, concepì un uomo in
grado di farsi mito di sé stesso, in un continuo anelito all’autosuperamento,
all’interno del perenne girare della ruota del Samsara. Wagner tradusse tutto
questo, in una musica divina. E l’Europa divenne il primo laboratorio per la nascita
del Superuomo...
UMBERTO BIANCHI
venerdì 28 maggio 2021
CROLLO DI UN IDOLO
Prodromi
Il mondo osservabile da marzo 2020 riconduce
surrealmente ad un sonetto di G.G.Belli (1791-1863) del 1832. Apre così:[1]
C’era una volta un re, che dal palazzo
Inviò per tutto il mondo quest’editto:
Io son io e voi non siete un cazzo
Sori
vassalli buggiaroni, e zitto.
Sua Maestà Tedros Adhanom Ghebreyesu, dall’alto
del palazzo dell’ONU alla guida della OMS, senza fare uso di termini belliani, ha
inviato lo stesso messaggio, e la stessa spiegazione del suo potere reale. Incalza
Belli:
Io fo’ dritto lo storto e storto il dritto;
posso vendervi tutti a un tanto il mazzo.
Se io vi fo’ impiccar, non vi strapazzo,
ché
la vita e la roba, io, ve l’affitto.
Sua Maestà ha decretato la pandemia, e voilà,
eccola in tutto il mondo. Non forche ma
tamponi, statistiche truccate, arresti domicialiari per popolazioni intere,
vaccini e quant’altro vengono improvvisamente promossi a strumenti di
coercizione statale. E chi osa ribellarsi?
Chi nasce a questo mondo senza il titolo
Di Papa, di Re o di Imperatore
Costui
non ci può aver voce in capitolo.
Aggiornando: se
non sei un Rockefeller, un Rothschild, un Soros o un Gates, i potenti a cui
Tedroa fa da prestanome, obbedisci e non fare storie. E Belli chiude:
Con quest’editto inviò il boia sul destriero,
interrogando tutti sull’assunto.
E
risposero tutti: è vero, è vero.
Sua Maestà Tedros non dispone di un
boia alla Mastro Titta ma sì di una congerie di malchiamati mezzi di
comunicazione di massa, o media, il cui
potere ipnotico senza precedenti terrorizza e condiziona a comportamenti
irrazionali. Dietro ad ogni maschera inutile e dannosa c’è un “sor vassallo
buggiarone” che dice “è vero, è vero”. Ed è anche sorta una specie di guerra
civile, finora senza spargimento di sangue, tra i vassalli buggiaroni che amano
mascherarsi e gli sbugiardatori di questi aggeggi, che hanno arricchito però i
loro fabbricanti.
L’idolo
L’alacrità con cui una democrazia dopo l’altra si
è trasformata in Stato di polizia con tanto di mirmidoni (un tempo “forze dell’ordine”)
che opprimono il popolo invece di proteggerlo, dovrebbe far capire a chi sa ancora
pensare la falsa opposizione tra “dittatura” e “democrazia”.
Il termine “democrazia” fa abitualmente da foglia
di fico sulla repubblica liberal-massonica messa su dalla Rivoluzione, la quale
distrusse le istituzioni della Cristianità dopo averne sovvertito le fondamenta
intellettuali con il Rinascimento e quelle morali con la Riforma.
Ed è stato riservato il titolo di “dittatore” a
qualunque capo di governo riuscito a stare in carica per più di un “mandato
popolare” cioè elezioni. Così sono passati alla storia caratteri così diversi
come Porfirio Diaz (1830-1915), Benito Mussolini (1883-1945), Adolf Hitler
(1889-1945), Francisco Franco (1890-1975) ed altri che sarebbe tedioso elencare.
Diaz pervenne al potere con un colpo di stato
cruento, per mantenervisi facendosi eleggere presidente per ben sette volte.
Governò con il solito miscuglio di successi e fallimenti, che mantennero il
popolo messicano in un regime di salari infimi. I beneficiari del governo Diaz furono
per lo più i soliti latifondisti e usurai sfruttatori del popolo.
Il colpo di stato di Mussolini fu incruento, ma da
ex-maestro di scuola era più atto a governare un popolo che un ex-militare.
Anche lui però prestò l’orecchio a usurai e latifondisti, che finirono col
portarlo in guerra, l’ultima delle quali rovinosa per l’Italia ancora oggi.
Hitler fu eletto democraticamente con l’aiuto tecnico-amministrativo
del partito Nazional-Socialista fondato da Tomas Masaryk nel 1887. Rilevò quel
partito con l’aiuto finanziario del banchiere von Schröder, agente dei
Rothschilds per la Germania, per poi liberarsene a rivoltellate la notte del 30
giugno 1934. Paradossalmente Hitler, dittator dei dittatori, rimane il prodotto
storico più notevole dell’idolo demo-liberal massonico.
Franco pervenne al potere con una vittoria
militare sugli attori del golpe che aveva diroccato la monarchia e instaurato
la repubblica liberal-massonica nel 1931. Era un militare, come Diaz. Non
riuscì a unificare il popolo attorno a sè, cosicché il suo retaggio finì per
concedere la vittoria finale alla Rivoluzione con la rimozione dei suoi resti
dal Valle de los Caídos nel 2021.
Ecco invece che Franklin Delano Roosevelt, eletto
democraticamente nel 1932 e rieletto per ben quattro “mandati popolari”, non
viene bollato come “dittatore”, nonostante le sue politiche guerrafondaie
catapultassero il popolo americano in una guerra che non voleva.
Ce ne è abbastanza per fare il punto: la dittatura
non è forma di governo come vuole il
pensiero debole; è un grado del
medesimo, che può autoconferirsi poteri tali da intrufolarsi in affari non suoi anche in regime democratico, come stiamo verificando sulla nostra
pelle.
Però una cosa è ricevere batoste e un’altra sapere
chi te le dà. E qui viene il bello: la dittatura democratica multiforme, proteica,
non permette di identificare il “dittatore”. E il popolo abbozza fino a lasciarsi
mettere agli arresti domiciliari del tutto antiscientifici.
Cosa sta crollando
Esistono due maniere di governare: nella prima, il
governo protegge il popolo dalle vessazioni dei poteri finanziario e
latifondista: nella seconda il governo, in combutta con gli stessi poteri,
opprime il popolo, che rincoglionito da una “educazione di Stato” non si
accorge né del danno né della beffa.
Per “governo” intendo le cinque inalienabili
funzioni di a) amministrazione della giustizia, b) emissione di un mezzo che permetta
di distribuire la ricchezza prodotta dal lavoro, c) mantenimento dell’ordine pubblico,
d) difesa da aggressione esterna e e) rappresentanza diplomatica presso altri
governi. Lo strumento di cui si serve il governo per questi fini è lo Stato,
entrato nella vita politica con Westphalia (1648) e prepotentemente assurto
alla sommità di essa fino a gestire la Rivoluzione, che iniziata in Francia nel
1789 finì per ipnotizzare il mondo intero con l’idolo oggetto di questo saggio:
la democrazia.
Chi è costei? A parte la battuta “democrasorella
di democrapapà”, nessuno può dirlo: una definizione univoca del termine non
c’è. Ma il termine lo ha coniato la repubblica liberal-massonica summenzionata,
che mostra una certa continuità dal 1789 ad oggi.
Una continuità, però, di orpelli che suonano più a
slogan/mantra che a realtà verificabili: Costituzione, elezioni
rappresentative, stato di diritto, divisione dei poteri, maggioranza,
uguaglianza, partitocrazia, istruzione obbligatoria e gratuita, ecc. Analizzando
a fondo si nota quanto Frédéric Bastiat (1801-1850) avesse fiutato giusto
quando scriveva: “Lo Stato è quella gran finzione attraverso la quale tutti si
sforzano per vivere a spese altrui”. Rifaceva quello che Agostino aveva
affermato secoli prima “Togli la giustizia, e che rimane dei regni se non
grandi bande di ladri”?[2].
Ne son passati di anni, ma in continuità con il succitato
si può affermare oggi che
-
Tutti gli
uomini politici mentono;
-
I più rubano
-
Alcuni
assassinano
-
Nessuno è
affidabile.
L’andazzo generale dell’assetto repubblicano
liberal-massonico fu magistralmente riassunto dal politico-filosofo spagnolo
Juan Vazquez de Mella (1861-1928): “Che incoerenza, che incoerenza! Erigono
troni ai principi e forche alle conseguenze”!
Chi penetrò fino al nucleo della questione fu Lord
Acton nel 1875, quando copriva la carica di Chief
Justice (capo della Corte Suprema) del Regno Unito: “La questione che si trascina da secoli, e
per la quale prima o poi bisognerà combattere, è quella del popolo contro le
banche”.
Come faceva a saperlo? La risposta vale un buon excursus.
Una
guerra sconosciuta
La famosissima affermazione di Amscher Meyer
Rothschild (1744-1812): “Datemi il controllo della moneta, e non m’importa di chi
fa le leggi” è oggi ben conosciuta, ma generalmente ritenuta come l’inizio dell’usurpazione bancaria di
emetter moneta a spese del potere politico. Qui mantengo che il buon A.M.R. non
facesse che riaffermare una verità secolare, la cui storia non si trova nei
libri di testo, ma che è possibile rappezzare anche se non ricostruire nei
dettagli.
Un mistero avvolge la storia monetaria
dell’Occidente. Marco Polo si era imbattuto nella moneta cartacea di Kublai
Khan a fine XIII secolo. Non era stato Kublai ad inventarla: la Cina la conosceva
da cinque secoli, per cui non monetizzò
mai metalli preziosi. Il mistero è: perchè ci vollero ben sei secoli perchè
questa possibilità fosse accettata in Occidente, e perchè con tanta riluttanza?
Silvio Gesell (1862-1930) dedicò un capitolo del suo Ordine Economico Naturale al problema, intitolato Perchè la moneta si può fare di carta. È
un testo magistrale, che parte dall’allora definizione del marco tedesco in
termini di un certo peso in oro per mostrarne l’assurdità e condurre, un passo
dopo l’altro, a quello che i governi di fine XIX secolo praticavano alla
chetichella, quasi vergognandosi di emettere moneta senza “riserva di valore”. Ancora
oggi le note della Banca di Inghilterra non dicono “Questo biglietto vale tot Pounds’, ma “questo biglietto promette di pagare tot Pounds (non dice
di che) alla presentazione”.
Si può solo speculare che quando Marco Polo
rientrò in patria, l’usurocrazia veneziana avesse intravisto il pericolo di
perdere potere con la cartamoneta, e che avesse cassato ogni tentativo di farlo
con i noti mezzi a sua disposizione.
L’inizio storico del conflitto banche-popolo può
datarsi con la fine della Guerra delle Rose in Inghilterra, nel 1485. Favorite
dalla nuova dinastia dei Tudor, le banche vi trovarono un temibile concorrente
nei tally sticks, cambiali di legno
emesse dai grandi centri di produzione come abbazie e manors, circolanti come mezzo di scambio tra il popolo, e accettate
dallo Scacchiere in pagamento di tasse.
Mossero loro guerra con intento preciso di
debellarle, ma ce ne volle. Solo nel 1836 il Parlamento mise i tallies fuori legge e sottomise il
potere regale di batter moneta all’istituto del credito imposto dalle banche e
sul quale ci soffermiamo sotto.
Qui entra in gioco la politica. La moneta cartacea
contante, anche se non suonante, garantisce libertà agli usuari. Codesta
libertà è invisa, e fortemente, tanto allo Stato moderno quanto alle banche,
che invece di sostenerlo si fanno sostenere da esso. Questa inimicizia, in odio
alle libertà personali, fa da motore di tutte le politiche che nel corso degli
ultimi due secoli hanno annientato il lavoro indipendente, le piccole imprese,
l’agricoltura di sussistenza, strappato alle famiglie i mezzi di produzione e
bolscevizzato questa con enormi imprese produttrici di cibo spazzatura, di mode
grottesche e di costruzioni disfunzionali.
E si è arrivati al capolinea con la guerra a viso
aperto al contante. La ragione più assurda è che la carta o plastica diffonde
il coronavirus. Potrebbe, se la si mangiasse. Ma il contagio personale è un
mito esploso con il conferimento del Nobel per la medicina al Dott. Charles
Nicolle nel 1928. Si tratta in realtà di una batosta ulteriore all’idolo
democratico, demolito coscientemente e sapientemente dai mirmidoni dei poteri
forti, O.N.U. in testa.
Il
cosiddetto credito non è che
stregoneria, che con incantesimi ben ideati e meglio gestiti irretisce miliardi
di persone a comportarsi del tutto irrazionalmente. Vediamolo.
Il denaro,
come ben sa chi ne ha bisogno, scarseggia. Il contante raccoglie
pulviscolo atmosferico nei sotterranei delle banche, le quali assegnano credito
non secondo i bisogni dell’economia reale (produzione e scambio), ma di fini
inconfessati e spesso inconfessabili che solo lo stregone (pardon, il
banchiere) conosce.
Chi quindi ha bisogno di mezzi di pagamento va da
una banca, ben condizionato a confondere il credito con il prestito.
C’è prestito, come dichiara qualsiasi dizionario,
quando chi presta si disfa di quello che presta per farlo usare ad un altro
temporaneamente, dietro un compenso pattuito.
Orbene, emettendo credito la banca non si disfa di
un bel nulla. Registra nei suoi computer il nome del richiedente e due cifre,
una sotto la voce “prestiti” e l’altra sotto “depositi”. Poi consegna al “prestatario”
un libretto di assegni con il quale lo autorizza a lanciare incantesimi su ogni
foglio, che misteriosamente riceve potere di acquisto per somme non eccedenti
quelle pattuite. Ma per questo permesso lo stregone richiede “interesse” su una
somma mai prestata. E non autorizza il malcapitato prestatario a stampare
“interesse”: questo lo deve estrarre da ricchezza reale prodotta da lavoro che
un ulteriore incantesimo chiama “collaterale”. Lo fa o lavorando di più, o distogliendolo
a un altro prestatario, o indebitandosi ulteriormente per pagare “interesse” su
un prestito che non c’è. Se dieci prestatari autorizzati ad emettere 100, si
compromettono a “restituire” 110, è matematicamente certo che uno di loro andrà
prima o poi in bancarotta.
Mentendo, il banchiere dichiara spudoratamente che
egli “presta il denaro dei depositanti”, cosa che non si sogna di fare ma
utilissima per obnubilare la mente di chi è condizionato a credere che “una
società moderna non può fare a meno delle banche” e che “sono degni di credito”
solo i guerrafondai, i proprietari di imprese mastodontiche, i grandi questo e
grandi quello, ma non gli artigiani, i piccoli imprenditori, le famiglie, gli
agricoltori di sussistenza, insomma le forze del lavoro vero, le sole che fanno
crescere la rendita del paese solo esistendo ma condannate ad una povertà
secolare per asfissia di denaro contante..
Quanto le banche, e gli stati, odiino gli uomini
liberi, si è visto con i decreti draconiani che in barba alle Costituzioni, ne
hanno conculcato articolo su articolo, impoverendo popolazioni intere e
terrorizzandole per farsi iniettare non si sa bene che intrugli, chiamati
vaccini ma che tali non sono, e causanti effetti noti solo a chi vuole a tutti
i costi “punturare” la gente per mangiarci (e lautamente) sopra.
Insieme al lavoro è sparito lo stato di diritto,
fantasma incapace di tener in riga partiti, parlamenti e altri orpelli
democratici; la divisione dei poteri, che elude i faticosi iter parlamentari con
decreti-lampo emessi dal governo, dall’esecutivo, o anche dal potere
giudiziario; un termine come “maggioranza” ha perduto ogni significato, così
come lo hanno perduto uguaglianza e vita privata (oggi inglesizzata a privacy); l’istruzione obbligatoria e gratuita
si è trasformata in lavaggio di Stato del cervello dei malcapitati che fanno da
cavie solo “andando a scuola”; la libertà di movimento, di insegnamento, di
associazione, di culto, insomma le “garanzie costituzionali” di una volta si
sono rivelate come gli specchietti per allodole che sono sempre stati.
È apparso, invece, il distanziamento sociale, che
il Dott. Vernon Coleman bolla, con tutta la fuffa, “presa in giro del secolo”. Sembra
di assistere al crollo della Baliverna di Buzzati nei termini geopolitici
profetizzati da Lord Acton. Chi vincerà?
I guerrafondai stringono i tempi, ma la crescente
consapevolezza del popolo sta cominciando a invertire la posizione dei piatti
della bilancia. Posso solo augurarmi che questo saggio faccia da leva di Archimede
per contribuire alla vittoria del popolo.
Silvano Borruso
27 maggio 2021
[1] Italianizzo il testo per chi ha difficoltà a
leggere il romanesco di Belli.
[2] De Civitate Dei, 4:4.
giovedì 27 maggio 2021
Riaperture ed "aria di festa"
mercoledì 26 maggio 2021
martedì 25 maggio 2021
Riaperture ed "aria di festa"
lunedì 24 maggio 2021
venerdì 21 maggio 2021
giovedì 20 maggio 2021
DA LIQUAME ORGANICO A FAMIGLIA REALE A INGANNO PLANETARIO
DA LIQUAME ORGANICO A FAMIGLIA REALE A INGANNO PLANETARIO
DI
SILVANO BORRUSO
Un
liquame velenoso
Per chi consultasse ancora dizionari latini, il
termine virus connota una sostanza
tossica, un liquame, trasudante da un tessuto infermo. Il Cassel (1944)
aggiunge “veleno” citando Virgilio e Lucrezio. Ma il trasformismo semantico moderno
ha stravolto quel significato. Il Concise Oxford Dictionary lo relega alla
categoria di “arcaico o figurato”, promovendolo invece virus a quella di essere vivente: “uno dei tanti tipi di organismi
estremamente semplici, più piccoli dei batteri, fatti principalmente da acido
nucleico avvolto da una proteina, esistenti solo in cellule viventi e capaci di
causare malattie”. Il Dictionarium
Recentis Latinitatis, della Libreria Editoriale Vaticana, modernizza con microbium quod virus vocatur. Curiosamente,
nel dizionario Glossa di Internet manca
la voce VIRUS.
Chi rifiuta il passo così disinvolto da effetto a
causa, e per di più da un livello di essere ad un altro, ne ha abbastanza per
condurre una sia pur modesta indagine su come diamine sia avvenuto un fenomeno
metafisico di salto analogico di tale portata. Come ci si è arrivati?
Nel lontanissimo 1882 l’Impero Britannico, alla guida
di Sir W.E. Gladstone spalleggiato dai potenti Rothschild, aveva sottratto il controllo del Canale di Suez alla Francia,
che avendo perduto la talassocrazia alla perfida Albione 77 anni prima a
Trafalgar, non era in grado di far più che protestare. Parigi chiese all’eminente
scienziato Louis Pasteur (1822-1895), la cui teoria del microbo come causa di malattie infettive era stata
approvata da un Congresso nel 30 aprile 1878, un testo “scientifico” come arma
intellettuale contro il potere militare britannico.
E se ne
uscì, il Pasteur, con la bufala che i britannici potevano adesso importare “il virus mortale della Peste Nera”
dall’India. Ma cosa intendeva Pasteur per virus?
Secondo i virologi, i “virus patogeni” hanno
dimensioni di 30-450 nanometri, cioè due-tre ordini di grandezza inferiori a
quelle dei batteri. Solo per vederlo, un tale virus, ci vuole un microscopio
elettronico, o uno capace di risolvere codeste dimensioni otticamente.[1]
Per cui nel 1882 Pasteur non poteva che dare a quel termine il significato “arcaico
o figurato” di veleno.
Vediamo ora le basi su cui si poggia la
definizione odierna di virus.
Nei 16 anni tra il 1854 e il 1870 due studiosi
francesi, Louis Pasteur (1822-1895) e Antoine Béchamp (1816-1908) avevano fatto
scoperte importanti di laboratorio sulle malattie infettive. Negli stessi anni
confermava le loro scoperte l’infermiera inglese Florence Nightingale
(1820-1910), sgobbando nell’ospedale da campo di Scutari durante la Guerra di
Crimea (1853-1856). Diamole la parola:
Le malattie non
sono individui classificabili come cani e gatti, ma condizioni che nascono
l’una dall’altra. Stiamo errando continuando a guardarle separatamente come se fossero
cani e gatti, invece di condizioni dovute a pulizia e sporcizia, del tutto controllabili,
o meglio come reazioni di natura benigna, invece di come le consideriamo?
E
aggiungeva:
La dottrina
delle malattie specifiche è il rifugio di menti deboli, senza cultura,
instabili, ma che imperversano nella professione medica. Non esistono malattie
specifiche; esistono condizioni specifiche di malattia.
In
laboratorio, Pasteur e Béchamp avevano notato lo stesso fenomeno, manifestantesi
però come strutture morfologiche variamente chiamate microbi, spore, cocchi, e
altro che apparivano durante una malattia per sparire al tornare la salute.
Da
queste osservazioni Béchamp formulò una teoria di malattia infettiva del tutto
opposta a quella di Pasteur: i “patogeni” osservati da entrambi -sempre in
tessuti malati e mai liberi nell’aria, acque o suolo-, sarebbero i prodotti di
un terzo elemento del sangue, da lui denominato “microzyma”. Non li vedeva come
esseri viventi di diritto proprio, ma come forme “pleomorfe” emergenti in un
tessuto infermo, e la cui funzione ad hoc
di “spazzini citologici” era quella di convogliare gli elementi tossici dai
tessuti affetti agli emuntori naturali: intestino, reni, polmoni e pelle, per
poi risparire nel sangue a missione compiuta.
La
divergenza tra le due visioni è completa e tale rimane, ma le scuole di
medicina occultano le ultime parole
di Pasteur sul letto di morte: “Le
microbe n’est rien; le terrain est tout.” Béchamp lo aveva convinto, ma il
dado era tratto. Il fattore determinante del suo successo furono (e rimangono) i
lauti proventi da lotta alla
malattia, molto più lucrativi dei magri guadagni del medico che cura l’infermo.
Da allora Béchamp e la sua teoria
sono stati inviati in dimenticatoio. Ma di tanto in tanto qualche medico curioso
vi si imbatte e ne vuole sapere di più, sotto minaccia però di espulsione dall’albo
solo a riproporne la visione. Limitiamoci a constatare che lo spettro del dott.
Antoine, come quello di Banquo[2],
non se ne va. Prestiamo attenzione al teatro di guerra.
In una visione di vero insieme, il
problema sale a livello metafisico: se codesti microorganismi fossero esseri
viventi di diritto proprio, e classificati come tali da generazioni di
ricercatori del calibro di Robert Koch (1843-1910) in ordini, famiglie, generi
e specie di Invertebrati, tali esseri, perfetti
morfologicamente e fisiologicamente dovrebbero causare malattie, che per definizione sono disordini.
Il che è metafisicamente erroneo. Ma
la metafisica non essendo il forte degli scienziati, men che meno se prodotti della
sQuola obbligatoria e gratuita, limitiamoci
alle forche caudine dell’esperimento, provenienti dai bollettini di guerra rilasciati
da loro stessi.
Il doppio fronte
Da circa 160
anni, non una ma due guerre infuriano tra due schieramenti.
La prima ha
carattere difensivo. Un esercito agguerritissimo con una panoplia di
disinfettanti, antibiotici, cerotti, bende, vaccini e quant’altro, milita per difendere esseri umani e i loro animali
domestici da un numerosissimo esercito di germi, microbi, batteri, virus ecc.,
presunte cause di epidemie mortali. La medicina ufficiale elenca decine di
migliaia di “malattie”, etichettate coi nomi altisonanti dei loro “scopritori”
: Alzheimer, Parkinson, Hodgkins. Crohn ecc.
La seconda guerra ha carattere
offensivo. Lo stesso agguerritissimo esercito fa uso, dichiarato a tamburo
battente della grancassa mediatica, delle stesse
presunte cause di malattie mortali, ma non per “eradicarle” cioè farle
sparire dalla faccia della Terra. Quelle stesse cause fanno ora da panoplia
atta a sconfiggere un altro nemico, cioè specie animali in perfetto stato di
salute che però danno fastidio agli esseri umani. Mi riferisco al tentativo
australiano di eliminare il coniglio europeo dalla sua fauna, nella quale venne
introdotto con la malaugurata idea di farne piccola selvaggina.
Ci volle tempo; ma i conigli, a
dieci figliate annue, ognuna di due-dieci coniglietti, finirono per conquistare
il nuovo continente, resistendo vittoriosamente a operazioni manu militari inclusa una guerra
batteriologica senza quartiere sin dagli anni Cinquanta, senza però risultati
tangibili sui (si dice) 200 milioni di Oryctolagus
cuniculus, che continuano a saltellare (e irreverentemente a pisciare in
faccia) a burocrati, virologi e mirmidoni di convinzione monomorfico-monogenetica
pasteuriano-kochiana di malattie infettive.
Tralasciando particolari eccessivi, concentriamoci
sui modi operandi delle due visioni.
Con rigore scientifico, la prima guerra
“identifica gli effetti di un virus prodotto involontariamente in esseri umani infetti”. La seconda “provoca gli
stessi, o peggiori, effetti, inoculandolo volontariamente
in esseri non-umani ritenuti nocivi e pertanto da annientare.
Seguiamo le due ipotesi. Per Pasteur
e seguaci i virus, come causa di
malattie infettive, vanno fermati da una pletora di farmaci; come potenziali
sterminatori di conigli, essi vanno potenziati così da infettarli mortalmente e
sterminarli. Per Béchamp e seguaci, le drastiche misure summenzionate sono
inutili; prima o poi i “patogeni”, rivelandosi nella loro natura di spazzini
intracellulari, liberano quell’ambiente dalle tossine e ristabiliscono ordine,
cioè salute.
Gli stessi criteri sono applicabili a
casi famosi di “infezione”: Il dott John Snow (1813-1854) aveva scoperto che il
colera era dovuto ad avvelenamento da materia fecale casualmente inquinante
l’acqua potabile. Staccò una pompa sospetta e il colera terminò. 40 anni dopo
il batteriologo Robert Koch (1843-1910), che pensava alla Pasteur, scopriva il Vibrio cholerae, interpretandolo come
patogeno causa dell’infezione. Ma il
dott. Max Pettenkofer (1818-1901) che pensava alla Béchamp, interpretò Vibrio come effetto del colera, e provò il punto bevendo fino all’ultima
goccia, in pubblico, la fiala contenente il coltivo di Vibrio inviatagli da Koch, senza riportarne effetto alcuno.
I bollettini di guerra continuano a
confermare Béchamp a spese di Pasteur. I tanto decantati successi pasteuriani suonano
come altrettante vittorie di Pirro che slittano inesorabilmente verso sconfitte
umilianti[3].
È evidente che qualcosa non va.
Cosa realmente fanno i patogeni?[4]
Il modus operandi appena descritto li
vede entrare in azione all’apparire stesso delle tossine formantisi nei tessuti
umani malati; se lasciati in pace, o meglio assistiti da misure igieniche come suggeriva
la Nightnigale, convogliano le tossine ai grandi emuntori così ristorando la
salute.
Lo stesso valga per i conigli. Si
tenta di “infettarli” non con un coltivo di virus puro, ma con un intruglio
contenente tossine potentissime, che inevitabilmente appaiono insieme a forme
pleomorfiche chiamate virus. Passa il
tempo, e l’immunità cuniculare ritorna e si afferma.
Nel 1951 il governo australiano
cantava vittoria per aver sterminato mezzo milione di quella “peste” con il
virus di mixomatosi, ma dopo il primo shock i piccoli mammiferi si riebbero, i
virus continuarono la loro opera indefessa di “operatori ecologici” cellulari e
così sono riusciti a beffarsi di ben 38 tentativi di “infezione” con ceppi
diversi di “virus”.
Cittadinanza
nel mondo dei viventi
La ebbe vinta Pasteur con l’arrivo
sulla scena dell’olandese Martinus Willem Beijering (1851-1931) che nel 1898 chiamò
il virus contagium vivum fluidum, da
li promosso a essere vivente e classificato, catalogato, linneanizzato da
eserciti di virologi che hanno prodotto liste prodigiose di famiglie di virus
oggi consultabili (per chi ne ha il bisogno) in Rete.
Ma il progresso è inarrestabile come
ben noto. Nel 1968 si scopri un gruppo di virus che mostrava una vaga apparenza
di corona solare. Ecco perchè il nome coronavirus.
Nel 2019 l’apparenza fisica venne
promossa a potere politico, e voilà, ecco la famiglia reale di coronavirus instillare
terrore planetario alla guida di “governi” di mentecatti. Sembra ascoltare un
H.L.Mencken[5]
redivivo:
Il solo scopo della pratica politica è
di mantenere il volgo in stato di allarme, e pertanto reclamante salvezza,
minacciandolo con una serie di spauracchi, tutti immaginari.
Pensare l’inganno [e la beffa]
Prendendo per scontato che chi legge sia già al tanto di essere in guerra e
pertanto conscio della natura e strategia del nemico, mi soffermerò, nella
seguente analisi, sul distanziamento sociale, la maschera, l’igienizzazione e
il rilevamento di temperatura. Presumo che chi legge sia già conscio della loro
inutilità, per cui mi fermerò agli effetti reali che ciascuna di esse ha su chi
la subisce.
Si deve il distanziamento sociale
alla superstizione del contagio. Dico “superstizione” perchè nelle medicine
indiana e cinese il contagio non esiste. Ma vi sono ragioni storiche dietro la
sua autorità di spauracchio in Occidente.
La paura di rimanere colpito da
malattia infettiva per contatto personale è retaggio della Peste Nera, che
negli anni 1347-50 colpì la Cristianità per mezzo di rifugiati dall’assedio
mongolo a una piazzaforte genovese in Crimea. Chi ha letto I Promessi Sposi sa che la stessa superstizione vigeva, viva e vegeta,
nella Milano del Seicento.
Fu solo nel 1894 che Alexandre Yersin (1863-1943), di persuasione
pasteuriana addebitò la malattia ad un
batterio, da lui battezzato Pasteurella
pestis, in suo onore ribattezzato Yersinia
pestis. Allo stesso tempo si scoprì il ciclo batterio-roditore-pulce che
mostra come siano le iniezioni sottocutanee di potenti tossine da parte di
pulci rese fameliche dal blocco batteriale del loro sistema a comunicare la
malattia.
La visione pasteuriana rimane, però la tralasceremo per concentrarci sul
contagio. Questa ricevette un colpo, purtroppo non mortale con il conferimento
del Nobel per la medicina al Dott. Charles Nicolle (1866-1936) nel 1928. Cosa
scoprì Nicolle?
Gestiva costui un ospedale a Tunisi, dove era scoppiata una epidemia di
tifo. I colpiti affollavano le corsie dell’ospedale, però stranamente non vi
erano contagi. Un colpito da tifo poteva tranquillamente stare accanto a un non
colpito senza che avvenisse nulla.
Nicolle sapeva pensare. Ragionò: o c’è qualcosa qui dentro che non c’è
fuori, o al contrario c’è qualcosa fuori che non c’è qui dentro. E l’azzeccò:
era un pidocchio, che non entrava in ospedale dopo la sterilizzazione degli
indumenti dei colpiti da tifo.
Il Nobel non gli fu dato per questo motivo, ma la constatazione della non
esistenza del contagio dovrebbe campeggiare oggi come dato acquisito di scienza
medica.
Non lo fa. Quia è abbastanza aver provato la sua natura di puro
spauracchio. Chi legge prenda le sue decisioni.
Per capire la maschera bisogna
rifarsi alle scoperte di un altro medico, questa volta un tedesco, dott. Otto
Heinrich Warburg (1883-1970). Scoprì costui che la combinazione di iper acidosi
(pH <7) e ipossia (basso livello di ossigeno) non causano il cancro, ma ne preparano l’avvento in tempi e luoghi
diversi da individuo a individuo. Per questa scoperta ricevette il Nobel nel 1931.
Cosa fa la maschera? Causa iperacidosi e ipossia. Quanti mascherati saranno
vittime di cancro nel futuro prossimo e remoto? Non sono profeta, ma non è
difficile prevederne un buon numero. Chi legge agisca.
Circa l’igienizzazione,
sterilizzazione, disinfezione ecc. citiamo per primo un aforisma agostiniano
(secondo alcuni; altri lo addebitano a S Bernardo di Chiaravalle: “Inter faeces et urinam nascimur, et
ridemus”[6]
Così vuole la natura che acquistiamo la prima immunità. Ricorrendo al parto
cesareo, quella immunità si nega al neonato, come la si nega insistendo con
ossessione su una igiene eccessiva. È ben noto, o dovrebbe esserlo, che gli schizzinosi,
superigienici statunitensi che viaggiano in Messico per la prima volta, si
beccano ogni tipo di disordini minori, mentre invece i disprezzati copti
cristiani del Cairo, costretti a vivere di e tra montagne di immondizia grazie
alle politiche islamiche, sviluppano un sistema immunitario a prova di bomba.
Dulcis in fundo, la temperatura.
A che serve rilevarla? A niente. Ma così hanno deciso i guru dell’OMS.
I quali hanno anche deciso di far uso coercitivo del vaccino come rimedio
principe della pandemia. Consideriamo la base per una tale decisione.
Questa è che l’intera teoria della vaccinazione si regge o cade sulle
verità o falsità della teoria pasteuriana del “patogeno” come causa di
malattie. Se Béchamp dovesse aver ragione, i vaccini di ogni tipo e contenuto
sarebbero dannosi per definizione, perchè inoculando qualsiasi sostanza
estranea sotto la pelle si elude tutto il sistema di difese immunitarie.
C’è di più. Solo chi ha letto una biografia di Pasteur sa che il Nostro
odiava aprire la posta mattutina, che gli avvelenava gli ultimi anni di vita
con notizie di fallimenti su fallimenti di vaccinazioni che invece di
“proteggere” avevano ucciso armenti e greggi di animali domestici, i cui
proprietari richiedevano risarcimento.
Ulteriori eventi corroborano. Si dovrebbe dire, ma non si dice, che i 50
milioni di morti dell’influenza “spagnola”[7]
del 1918 furono tutti e solo i vaccinati, i più nelle forze armate. Successe
quello che aveva osservato Florence Nightingale 60 anni prima: un tifo, che un
vaccino non aveva fermato, si trasformò in paratifo A, poi paratifo B. Ad ogni
cambio si iniettava un vaccino diverso. Dopo il terzo, il paratifo B esplose
nell’influenza micidiale che tiene ancora oggi il record mondiale di pandemia
mortale.
Ce ne sarebbe stato abbastanza per bandire vaccini e vaccinazione come
terapie, ma si è preferito occultare, mistificare, e continuare ad impinguare
le casse delle case farmaceutiche. Non sorprende che ad aprile 2020 una folla
inferocita ad Abidjan, Costa d’Avorio, abbia attaccato e distrutto un deposito
di vaccini.
Chiudo con la bufala di tutte le bufale, la sovrapopolazione mondiale.
Lettore, sei anaritmeta, cioè incapace di far di conto? Se no, non é difficile
verificare.
Comincia dalle aule scolastiche frequentate in vita tua. Ogni studente
(prima della follia odierna) ha a sua disposizione circa due metri quadrati.
Estrapolando un’aula scolastica media ha una densità di popolazione di 500
000/km2. Per accomodare sette miliardi di alunni ci vorrebbe un’aula
di 14mila km2. Orbene, la Sicilia ha una superficie di 25mila km2.
Giudica tu se sia sensato affermare che la Terra soffre di eccesso di
popolazione.
Non sarebbe ora di liberarsi da incubi e riacquistare le libertà in
pericolo?
20 maggio 2021
[1] Solo i
microscopisti Royal Raymond Rife (1888-1971) e Gaston Naessens (1924-) sono riusciti
a tanto.
[2] Carattere di Macbeth, Shakespeare
[3] Il virus presumibile causa di morbillo non è stato mai osservato: nel 2020
il Dr Stefan Lanka, tedesco, ha offerto un compenso di 100mila euro al primo ricercatore
che riuscisse nell’intento (la “scoperta” risale a una singola pubblicazione
del 1953).
[4] Il consenso non ha mai fatto parte del metodo
scientifico. L’argomento di autorità in scienza ha valore nullo
[5] 1880-1956. Giornalista mordace, diceva: “La
relazione corretta di un giornalista nei riguardi di un uomo politico è quella
di un cane nei riguardi di un lampione”.
[6] Nasciamo tra pipì e popò, e ce la ridiamo
[7] La prima segnalazione dell’epidemia venne dalla Spagna,
rimasta neutrale durante la prima guerra mondiale. La censura aveva occultato
la vera origine negli USA.
mercoledì 19 maggio 2021
martedì 18 maggio 2021
lunedì 17 maggio 2021
giovedì 13 maggio 2021
mercoledì 12 maggio 2021
COSI FU DETTO
"Il potere è infliggere dolore e umiliazione. Il potere è ridurre in brandelli la mente delle persone e ricomporla a tuo piacimento".