martedì 14 agosto 2012

PRO VERO

PRO VERO


Stante quanto si levi a vibrazione in un istante persino il rombo del tuono più assordante, quantunque resti udibile purché non sia troppo distante dal cielo sovrastante, tanto rapidamente cresce propagandosi che finalmente ammutolisce concludendosi silente nello spazio della pace in cui pur sempre si riduce; così librandosi per l'etere nel tono della voce, qualunque verbo vola via veloce e lesto tace poco meno della luce che si fulmina in un lampo. Invece quanto scritto rimane immoto e giace, caparbio nel resistere allo strafottente logorio del tempo... che imperturbabile trascorre portando seco la vitalità, pure di chi a ragion veduta ne onori la preziosità ben nota, così che quello suo come l'altrui non vada mai sprecato a scriver come a leggere sciocchezze prive di significato... che se non è compreso, fa la lettura vuota di un testo scriteriato scritto da un rozzo illetterato come dal folle più completo, se non da chi non ha per niente riflettuto, oppure vuota di quel lettore ingrato che a legger propriamente ancor non ha imparato; ma che ambo i casi ammazzeranno il tempo quale pronosticabile per massimo di risultato al pari schietto di quell'altro scritto che sia di senso pienamente vuoto; o quantomeno dato, quando quest'ultimo dovessesi mostrar errato, di dimostrar quanto sarebbe poi sbagliato, se pure il male venisse tramandato: giacché col male si va di male in peggio e in quanto al peggio non c'è mai fine sempre peggio.
Pertanto solo ciò ch'è giusto e a patto che lo sia realmente, poiché diversamente si vivrebbe d'incoscienza, ha da restare vivo eppur morire nella pratica dell'esperienza che ripetuta con passione si raccoglie nella speme di cavarne conoscenza; e quindi che sia dato scrivere soltanto quando e quanto solo si conosce, sul bianco pasta madre col nero che sfarina dal sacco che capisce, se no sarà di senso errato in quanto scritto che da letto si smentisce. Così una volta conosciuto eppoi riconosciuto, che questa vita lesta va e si fugge, soltanto ciò ch'è ancora ignoto, ancora più si legge. Proprio perciò sia letto unicamente per diletto, quanto già noto in ciò che solo resta mero scritto e quanto ignoto pure, se mai dovesse rimbambire; tanto con tutte le parole che si possano mai dire, scrivere o scolpire, sarà soltanto riflettendole che si potranno concepire, provando ad ascoltarsi onestamente per sentire, pensieri propri a ribadire quanto l'unicità che ci contraddistingue in esser dall'avere consti dell'essere sé stessi più che del semplice apparire. Sicché allorché sovvenga genio d'intuire o ragionare, si saprà pure smettere di leggere o ascoltare: siccome tanto non potrà mai servire quanto l'autonomo sentire di chi il valore del suo tempo riesca sul serio ad apprezzare; conscio del fatto che, se ilverbo vola mentre lo scritto rimane, resta comunque lettera morta e destinata all'estinzione, fintanto che non riesca a fecondare il lettore o l'interlocutore di una consapevolezza almeno vegeta rispetto a quella naturalmente viva che, nello scrittore o relatore, è potuta nascer solo da quel processo cognitivo individuale che non necessita di comunicazione alcuna; poiché il contrario da luogo invece ad uno pseudo-pensiero che, per quanto giusto possa pure risultare nel merito, nella migliore delle ipotesi resta un pensiero preso a prestito, se non addirittura imposto, ma che, in ultima analisi, non è autentico in quanto scevro di qualsivoglia sperimentazione personale. E invece, mettendo a fuoco di persona la filigrana d'una carta immacolata, rifratta nella vista ognuno intravedrà ogni volta la trama più svariata giacché questa natura irripetibile scomparirebbe nonappena replicata. E visto che talmente son lunatici, quei fili d'una grana, da intesser sempre una diversa trama ad ogni foglio della risma umana, che qualche volta pure capita s'intreccino in quello che, da vero figlio di puttana, elegge a stampo la matrice sua perciò malsana sicché si possa ricamarne sempre maggior fama.
Rincantucciando poscia l'unicità d'ognuno tale che non si può ripeter né spiegare, nel corso dell'osservazione esistenziale qualcosa pur ci dovrà esser da evitare, di così profondamente ingiusto cui morale prescriva vivamente di osservar la più sentita proscrizione in via ufficiale: un sentimento quatto iscritto al negativo fra le righe invereconde di venefici versetti che, fraintesi scientemente dal velo ipocrita del falso che svolazza infondo a ognuno, per nera verga d'odio si trascrive miniando a tinte fosche calligrafia maligna in punta di egoismo intinto nella tenebra su tal sì ancor più cupe pagine, bisunte dall'invidia e dal rancore, che solo al fioco lume della Ragione sua, se arde d'empatia nel vero amor di condizioni scevro, potrà riuscire nottetempo a leggere, se invero vuol provar con l'umiltà d'interpretarne il senso, l'intrepido che all'indomani un equilibrio giusto ambisca d'innescare, se non altri che in sé stessi, imparandosi fino a comprendersi per sfiorar così la tanto decantata Verità.
Impresa eroica e tuttavia obbligata, così come lo è stato nascere, giacchè la sola alternativa è non la morte, ma quell'autoestinzione perpetrata che succede all'abominio della vita: perchè per quanto unico e distinto, in singola facciata d'una pagina del libro, ognuno resta un punto indistinguibile legato a tutti gli altri, indissolubilmente, in quello che può farsi caos letale o perpetuarsi a circolo riciclo d'io infiniti che l'apostrofo sottende divinare.
E sì come la muffa in giusta dose pure sublima in gorgonzola un latte già cagliato, lo stesso tale ciclo può definirsi antigene, però autodeterminante, col quale l'organismo saprà perfezionarsi creandone anticorpi compensanti.
Purtuttavia non è quel ciclo che l'accenno di un accento, su quanto a nostra sola e peculiare discrezione sarà la e di essere o la mera congiunzione.
E allora essere o non essere, e ancora fingere di essere: umani... se l'esser sia l'esser sé stessi: questo, è il vero problema.
Ma nel momento stesso in cui ci si porrà problema che sia tale, sarà il problema stesso in quanto tale a porsi come irrazionale: dal momento che soltanto in quella zucca che contenga un po' di sale può porsi quel problema che mai si pone in essere nell'essere animale, vegetale o minerale.
Dilemma tutto umano, dunque, che piaccia oppure no. E piaccia o no sarà per forza, che infine sempre si percorrerà quel che parrebbe quasi essere il passaggio dell'umanità. Passaggio in cui si passa dove non ci si può fermare, né come gamberi all'indietro ritornare, ma solo come il tempo s'avanza per passare, un passo dopo l'altro, nell'attimo fuggente del lento e inesorabile trascorrer delle ore. E piaccia o no si passa assieme, ognuno a modo suo ma tutti giù per Terra, mano nella mano e con la testa sulle spalle che già, passando nel passaggio, di paura se ne ha, quando curva un po' più stretto e nasconde la realtà che al di là di quella curva fieramente se ne sta; e che questa piaccia o no, tanto poi s'incontrerà. Sicché s'avanzerà fino a che vita ci sarà, e alle brutte con la fiera pure si combatterà. Ma piaccia o no di rigar dritto il buon senso impedirà, poiché il pessaggio della vita è offerto alla mortalità, di valicar confine summo che da nell'aldilà: e perciò, che piaccia o no, prima o poi si girerà.
Che s'avanzi allora, e sempre - che chi è in vita può sperare.
Ma che farlo ameno piaccia... o no? Sennò che si vive a fare!
Marco Carlino