domenica 27 ottobre 2019

IMMIGRAZIONE: ALLE ORIGINI DI UN PROBLEMA.


C’ è chi dice che, quello delle cosiddette migrazioni, è un inarrestabile fenomeno
storico; una specie di nemesi che fa pagare alla ricca e benestante Europa i
peccati di un passato coloniale e dunque, giù con buonismi, accettazioni,
solidarietà a iosa, alla cieca. C’è invece, chi, nel fenomeno, vede un’invasione che
mette a pericolo il proprio benessere ed il proprio quieto vivere e pertanto,
preconizza una chiusura tout court delle frontiere. C’è poi, chi dice che
“immigrazione sì, ma sino ad un certo punto”; ovvero più controlli alle frontiere,
ma sino ad un certo punto, tanto per non turbare la propria perbenistica
coscienza. Tutti e tre questi atteggiamenti, non portano da nessuna parte e
lasciano aperto il problema, in quanto difettano di un’analisi di base, senza la
quale , non si potrà mai effettuare una corretta lettura del fenomeno. La mia
generazione ha vissuto, dagli anni’60, sino alla metà degli anni ’80, all’insegna
della litania dell’autodeterminazione del Terzo Mondo. Erano gli anni ruggenti
del guevarismo, delle rivolte giovanili, ma anche del blocco dei “non-allineati”,
ovverosia di tutto quell’assieme di nazioni del Terzo Mondo che, fresche di
decolonizzazione dall’odioso Occidente, avevano deciso di non farsi mettere
sotto tutela da nessuno dei due allora grandi blocchi geopolitici, animati da
altrettante narrazioni ideologiche occidentali, ovverosia gli Usa capitalisti e
l’Urss marxista. La Cina maoista, l’India di Indira Gandhi, l’Indonesia di Suharto,
al pari di molte nazioni dell’Africa e dell’America Latina, aderirono
entusiasticamente all’idea di poter costruire modelli di sviluppo, adeguando i
parametri delle ideologie occidentali, alle realtà locali. Furono i ruggenti anni
dell’Egitto populista di Nasser e della Rau, delle rivendicazioni dell’Olp
palestinese, delle suggestioni del Peronismo argentino e del Sandinismo in
Nicaragua, del modello di Nkrumah in Guinea, di Kenneth Kaunda in Zambia.
Erano anni di rivolta e guerriglia, ma anche di crescita improvvisa ed impetuosa
di molti paesi del Terzo Mondo. Paesi come Brasile, Argentina, Venezuela,
Messico, ma anche Libano, Sud Africa, Costa d’Avorio, al pari di molte altre
nazioni del Terzo Mondo, conobbero una crescita che sembrava preconizzare
per gli anni a venire, il sorpasso economico della vecchia e stanca Europa e la
creazione di un solido bastione geopolitico ed economico alle aspirazioni
imperialiste in primis degli Usa e secondo poi, di quell’Unione Sovietica che da
paesi come la Jugoslavia titoista o dall’Albania maoista di Enver Hoxha, aveva
ricevuto i primi calci in bocca. Al di là di slogan, banalità e menzognere
distorsioni, non pochi giovani di quell’area della destra radicale, spesso accusata
di ottusità e di esser portatrice di un becero razzismo, accarezzarono con

simpatia ed interesse il progetto di un blocco “terzaforzista”, che vedesse una
sinergia tra l’emergente Terzo Mondo non allineato ed un’ Europa che, a detta
delle parole di un Jean Thiriart, si sarebbe dovuta estendere dall’Atlantico agli
Urali, nel nome di un rinnovato Stato imperiale. Anni di kefiah e kalashnikov,
anni di aspirazioni nazionaliste e di toni forti che, ben presto, si spensero
davanti alla dura realtà di un debito estero che cresceva a dismisura. La
corruttela delle classi dominanti, sempre più asservite ai centri di potere
economico e finanziario globale,unite ad una manifesta incapacità a gestire quei
tanto impetuosi cambiamenti, determinarono il “default” del sogno
terzomondista. Furono i difficili ’80 e ’90, furono gli anni delle moratorie dei
debiti esteri, dei ricatti e dei definitivi asservimenti ai diktat di quell’Fmi,
divenuto ancor più potente, grazie alla caduta del fatidico Muro. Grazie a
quell’evento, molte nazioni del Terzo Mondo, furono costrette ad adottare le
ricette neoliberiste dei Chicago Boys di Rudiger Dornbsuch e compagnia bella,
che accelerarono non poco il disastro. Se, da una parte, è vero che la cosiddetta
“immigrazione” è frutto di questa situazione, dall’altra, in base a questa
considerazione, è necessario effettuare un più che doveroso e necessario
chiarimento. Nella stramaggior parte dei casi, quello della cosiddetta
“immigrazione”, è un fenomeno indotto, eterodiretto. Andrebbe anzitutto
ricordato che, sino a poco tempo fa e ad oggi ancora, la maggior parte degli
abitanti di questi paesi aveva una scarsissima e pressoché nulla conoscenza del
Primo Mondo, se non un generico e vago affastellarsi di immagini e racconti. Con
l’arrivo dei mezzi di comunicazione e della rivoluzione informatica, tale livello di
conoscenza è aumentato in maniera assolutamente irrilevante. Molti di questi
paesi hanno vissuto per lo più all’interno di vere e proprie “cortine di ferro” di
natura politica ed economica, per cui, raggiungere Europa o Nord America, era
ed è, ad oggi, per un abitante del Terzo Mondo molto difficile ed oltremodo
dispendioso. A svolgere un ruolo principe in questa storia, sono state e sono,
tuttora, tutte quelle organizzazioni “umanitarie”, o presunte tali, dalle varie Ong,
all’Onu ed alla Fao, alle missioni cattoliche ed evangeliche, alle rappresentanze
di alcune multinazionali, che hanno negli anni svolto una mefitica opera di
persuasione occulta tra queste popolazioni, facendo loro balenare l’idea che il
Primo Mondo fosse il paradiso in terra, una specie di Bengodi, in cui avrebbero
potuto vivere e prosperare senza problema alcuno. A questa silenziosa opera di
indottrinamento, ne è seguita una ulteriore, ancor più deleteria e criminale:
quella della vera e propria organizzazione di “viaggi della speranza”, in gran
parte foraggiati da quelle medesime menti, che fanno trovare ai “profughi” in

gommone, delle imbarcazioni di fronte alle coste libiche o in pieno
Mediterraneo, pronte ad accoglierli ed a traghettarli, a mò di taxi, verso gli italici
lidi, tanto per cambiare. Il problema, dunque, non sta all’arrivo in pieno
Mediterraneo, bensì in quel del Terzo Mondo, ove loschi figuri si muovono per
persuadere, istigare masse di illusi, sbandati, criminali d’ogni sorta e risma ed
organizzare per costoro, grazie ad occulti sponsor, i famosi “viaggi della
speranza”. In base a quali prove, effettuiamo queste considerazioni? Anzitutto, la
maggior parte dei livelli di reddito, di determinate aree del Terzo Mondo, non
permettono di poter impunemente pagare cifre che vanno dai tremila ai
cinquemila dollari come nulla fosse. Pertanto, è inutile girarci attorno, siamo di
fronte ad una precisa volontà politica, volta a fomentare ed a foraggiare
l’immigrazione. Fondazioni cosiddette “no profit”, Ong ad alto livello ed i loro
coordinatori, tra cui molti nomi sconosciuti ma, su tutti uno arcifamoso, il solito
immarcescente George Soros, brigano per fare dell’Europa e dell’Occidente
intero, un mercato di poveri schiavi, diseredati e sfruttati, atti a consumare
codinamente tutto ciò che a loro venisse offerto. Prove per queste asserzioni? I
racconti dei “rifugiati”, anzitutto. Seguiti dalle testimonianze e dai troppi “si
dice” di una variegata umanità: si va dall’operatore economico europeo in loco, a
qualche funzionario di ambasciata, non senza passare per quegli stessi operatori
umanitari in buona fede, sino a qualche rappresentante della stampa estera o
locale; tutte fonti la cui attendibilità viene subito messa a tacere dal muro di
silenzio che i media “embedded” gettano su queste storie. Non sappiamo
esattamente quante persone tra i rappresentanti delle categorie che abbiamo
poc’anzi citato, siano state uccise per quel che sapevano o stavano per rivelare.
Fatte sovente passare per vittime del terrorismo, di qualche criminale comune,
di una mina antinuomo o di strani e mai verificati incidenti, questa silenziosa
massa di testimonianze, deve ancora fuoruscire dal forzoso anonimato, in cui
sono state relegate. Ed a riprova che, in tutto questo, “gatta ci cova”, la strana
impunità di cui le Ong godono. La violazione del confine di un Paese, il far
entrare persone senza passaporto, il sostituirsi praticamente alla pubblica
autorità, costituiscono dei flagranti “vulnus” all’integrità territoriale di uno stato,
ma tant’è. Tutto Tace. Il problema, come si può vedere, è molto più esteso di
quanto si potrebbe credere e dovrebbe prevedere una serie di soluzioni ad
ampio respiro e non solo timidi e goffi tentativi. Il blocco navale sì, ma anche una
più decisiva azione contro chi, come il famigerato Fmi, continua a strangolare
questi paesi, proponendo delle suicide ricette economiche. Secondo poi. Non si
possono continuare a mandare soldi a raggiera per cooperazioni e pagliacciate

varie, a paesi caratterizzati da paurose sperequazioni sociali. Ove i soldi arrivano
ai pochi ricchi, che li utilizzano per scatenare orride guerre etniche o per
metterseli al riparo in Svizzera, lasciando i propri paesi in braghe di tela. Altra
nota dolens. Non si può permettere a paesi come Cina, Francia o Usa di
comperarsi interi continenti , come nel caso dell’Africa e spingere le popolazioni
locali all’abbandono delle proprie terre. Una politica di dure sanzioni e di
rinnovato protezionismo, scoraggerebbe certe forme di colonialismo economico
e finanziario. Un’ Europa “altra”, un’unione di nazioni libere e decise, dovrebbe
però, affacciarsi sul proscenio. Un’Europa che sappia battere il pugno sul tavolo.
E tanto per guardare alle cose di casa nostra. Se un auspicabile blocco navale,
potrebbe avere i suoi effetti nell’immediato, ancor più potrebbero dei mezzi di
dissuasione economica come, per esempio l’idea dell’introduzione di una bella e
pesante tassa sull’immigrazione da far pagare ai “migrantes”, oltrechè a chi da
loro lavoro. Una seconda iniziativa, ancor più incisiva nel medio e lungo termine,
sarebbe quella di far proibire il business dell’uscita del denaro dei “migrantes”,
verso i paesi d’origine. Se gli slogan urlati e le parole forti, sortiscono un effetto
molto limitato, il più delle volte reso inefficace dal pronto intervento delle
prefiche del buonismo d’accatto, senza urli né strilli, con determinate iniziative,
toccando ciò che per certe persone è più sacro e cioè il portafoglio, “immigrare”
qui da noi, potrebbe divenire un affare davvero poco conveniente e molto anti
economico. Tutto questo, per rispondere a quelli che cerca ancora di convincere
qualcuno della “ineluttabilità” del fenomeno “migratorio”, oppure a tutti coloro
che ci parlano di un’ immigrazione “controllata”. Non finiremo mai di dirlo:
l’immigrazione fa il gioco del grande capitale finanziario e depriva il Terzo
Mondo delle sue migliori risorse umane, contribuendo a creare miseria,
sperequazione sociale e destabilizzazione in Europa. Libano, Bosnia, Ruanda ed
altri ancora, sono scenari oramai non più così lontani, dalla nostra quotidianità.
In Occidente il fallimento della società multietnica è sotto gli occhi di tutti:
quartieri ghetto, emarginazione sociale, criminalità, terrorismo a getto continuo,
prima unicamente da parte degli “immigrati” o dei loro figli, ora anche da parte
degli autoctoni, come a Cristchurch o l’altro giorno in quel di Halle, in
Germania...Dateci retta: siamo ancora in tempo per evitare che la Storia
d’Europa ripercorra i tragici scenari a cui, nei secoli, troppo spesso ci ha
abituato. Basta solo ritornare al buon senso ed alla chiara e lucida coscienza che,
così, non si può più andare avanti. “Historia magistra vitae”. E con questo antico
e sempre attualissimo proverbio, speriamo di sollecitare una positiva riflessione

in tutti. Anche in chi non la pensa come noi.
UMBERTO BIANCHI