Da debito
diffuso a debito nullo: prestidigitazione?
Da un po’ di tempo questa storiella circola in Rete.
Un turista appare dal nulla in una pensione sonnolenta di
un paesino altrettanto sonnolento, dove i debiti non vengono pagati per
mancanza cronica di contante. Dice di voler dare un’occhiata alla qualità
dell’alloggio, lascia una caparra di 100 euro (due biglietti gialli da 50, che
è la somma permessa nel Bel Paese nel 2016) e va ad esplorare la pensione.
Il cassiere-proprietario, in debito di 100 euro con il
negozio di alimentari vicino, acchiappa i due biglietti e ne paga il gestore.
Costui, ugualmente in debito per la stessa somma, si precipita dal macellaio al
quale deve 100 euro ed estingue il debito. Il macellaio, che ha lo stesso
debito con il veterinario fa lo stesso. Il quale si ricorda che deve la stessa
somma alla “signora” residente più o meno stabilmente nella pensione, alla
quale costei naturalmente deve l’affitto. E paga, depositando i 100 euro sul
banco; al che ritorna il turista, si dichiara insoddisfatto della qualità
dell’alloggio, acchiappa i biglietti gialli e se ne va.
Risultato: sei debiti vecchi di mesi estinti in poco più
di un’ora. Chi racconta la storiella e chi la ascolta si fanno una gran risata
come se si trattasse dell’ultima barzelletta.
Gesell
Il geniale inventore della storia non sembra aver sondato
le profondità insospettate della sua invenzione, la quale, per chi ha letto (e
capito) Gesell rivela tutto un mondo di teoria monetaria. Procediamo con ordine
senza affrettarsi, così facilitando il capire questa realtà che ancora sfugge
ai più da 27 secoli. Quali sono i punti da fissare permanentemente in mente?
Primo: per quell’ora in cui i due biglietti circolavano da un
utente all’altro essi avevano una funzione portavalori nulla. A nessuno degli
utenti venne in mente di tesoreggiare una benché minima parte di quella somma
per estorcere tributo a chi la volesse in
prestito. L’usura è la grande assente dalla storiella.
Secondo: i biglietti si comportavano analogamente a un pignone
ruotante che spinge una cremagliera senza fine rappresentante le specie di
debito considerate.
Terzo: i 100 euro non li aveva emessi la BCE a circolazione
forzata, cioè con l’intenzione di farli andare fuori corso dopo un mese
dall’emissione a meno di pagare una piccola tassa di magazzinaggio. Tutt’altro:
era stata la necessità ad accelerarne la circolazione.
Quarto: estrapolando dall’ora di circolazione nella pensione
sonnolenta, quanti beni e servizi avrebbe potuto muovere quella stessa somma?
Si calcoli: circolando tre volte al giorno per un anno qualsiasi banconota è in
condizioni di muovere circa 1000 volte il suo valore facciale. Non lo fa perché
la sosta nelle tasche di chi la accaparra non viene penalizzata. Quei 100 euro
quindi, al ritmo di sei transazioni giornaliere, farebbero muovere la
rispettabilissima somma di 200mila euro
in un anno. Quei due biglietti gialli? Solo quei due biglietti gialli.
Quinto: Quale fu il ruolo del turista? Fu quello del banchiere naturale, cioè che presta contante che ha a chi ne ha bisogno ma non ne ha.
Ad essere costretto anche lui da una moneta a circolazione forzata a
sbarazzarsene prima della scadenza mensile (o bimestrale, in ogni caso convenzionale)
la barzelletta diverrebbe il modus
operandi normale di una economia fondata sul lavoro (vero, non quello
sbandierato dalla Costituzione Italiana).
L’Elefante in
Stanza
Si parlava un giorno, tra amici, dei 100 euro che avevano
estinto debiti per sei volte il loro valore facciale in un’ora circa, e facevo
gli elogi del concetto di Freigeld a
circolazione forzata di Gesell.
“Ma ciò” intervenne uno, “è quel che fa il cassiere di
una banca. Riceve contante e lo fa circolare da un cliente all’ altro, in un
giro senza fine.”
Un secondo interlocutore chiese: “Ma come può una società
moderna fare a meno delle banche?”
Rimasi di sasso. Lo scenario non aveva fatto menzione
alcuna di banche, banchieri, credito e arnesi per l’uso, ma eccoti l’elefante
introdotto in stanza senza fartene accorgere: la banca.
La banca: l’istituto che autorizza ad emettere
pezzi di carta con una cifra scrittavi su; che malchiama codesta operazione
“prestito”; che vi carica interessi indebiti; che non permette di crearli
mandando così centinaia di piccoli imprenditori in bancarotta; che deruba i
clienti di ricchezza reale fatta servire da “garanzia” per i “debiti”; che
dichiara guerra al contante per far deviare l’economia verso il credito così
arricchendosi a spese di chi lavora; che nasconde nel contratto clausole
dirompenti per farle esplodere al momento giusto così rovinando chi si lascia
abbindolare dal “credito facile”; che da secoli usurpa il potere di emissione
dal Governo; che così facendo travolse l’istituto monarchico rendendo impossibile
il buon governo; che nega credito a chi produce ricchezza ma lo irrora senza
limiti a chi la distrugge in guerre rovinose, così creando debiti
inestinguibili per generazioni;[1]
che forza lo Stato a far combutta con essa per impoverire il popolo, e dulcis in fundo (si fa per dire) che distrugge il denaro “restituito” per
emetterne del nuovo così ripetendo il ciclo infernale ad infinitum.
E c’è riuscita così bene da convincere i più (inclusi i
due amici interlocutori) che la banca è un istituto indispensabile per
l’umanità invece di uno malevolo e parassitario come descritto nel paragrafo
precedente.
Ma ritorniamo alla barzelletta. Quello che descrive non è
che il modus operandi della Freigeld di Silvio Gesell, proposta da
costui sin dal 1906 e messa in opera solo due volte: a Schwanenkirchen,
Baviera, nel 1930 dal proprietario di una miniera di carbone in bancarotta e a
Wörgl, Tirolo austriaco, nel 1932-33 dal borgomastro.
Nel 1918 Gesell aveva predetto che a meno di cambiare il sistema monetario sarebbe scoppiata un’altra
guerra in meno di 25 anni, e così fu. La guerra l’avrebbe sventata
l’adozione di Freigeld, sola vera
moneta-sangue, da parte di Mussolini e/o Hitler, che invece tentarono di combattere
con le stesse armi usuro-democratiche, rimanendone sconfitti.
Sorvolando sulle distruzioni belliche, analizziamo quelle
delle forze della natura: il terremoto, che è di casa in Italia da sempre. Concentriamoci
su come avrebbe funzionato Freigeld
se la si fosse messa in opera in seguito al terremoto del Belice nel 1968.
Per sanare i danni di quel terremoto, vennero “stanziati”
12 mila miliardi di lire (circa 6
miliardi di euro), dimostratisi incapaci di completarne la ricostruzione in 40 anni e rotti. Lo hanno impedito i
sottoprodotti dell’usura: sprechi, peculato, malversazione, incompetenza,
prurito di novità, immobilità burosaurica, cattive leggi, pizzi, corruzione,
eccetera. È deprimente che la popolazione della Valle del Belice sia rimasta praticamente
quella che era quasi mezzo secolo fa.
Ma non è tutto. Non fu lo Stato italiano ad emettere quei
12 mila miliardi. Fu l’elefante in stanza: la banca, con cui lo Stato contrasse
un debito che lo costringe tutt’ora a tassare e tartassare i cittadini per
pagarne gli interessi. Cosa sarebbe successo invece con la Freigeld della barzelletta?
I Comuni dei
paesi colpiti l’avrebbero emessa a
terremoto finito, in ragione, diciamo, di 1000 lire x 100mila persone = 100
milioni. Circolando 400 volte in un anno (più realisticamente delle 2000 volte
dei 100 euro della barzelletta), quei 100 milioni avrebbero finanziato lavoro e
materiali locali per 40 miliardi. In due anni, gli stessi 100 milioni, continuando a
circolare, avrebbero finanziato 80
miliardi di ricostruzione. Il tutto senza indebitare nessuno, e
ricostruendo gli abitati dov’erano e
com’erano, invece di farli deturpare da “furasteri” entusiasti ma su lunghezza
d’onda culturale diversa. Ogni famiglia avrebbe ricostruito la propria
abitazione secondo desideri proprî e canoni tradizionali. E non vi sarebbe
stata emigrazione.
La Freigeld,
libera da debito e da interesse com’è, non prevede “fondi”, “riduzione di
costi”, “analisi costi-benefici”, “risparmi di tempo”, e altri termini usurari
ai quali siamo tanto abituati da non riflettere quanto siano assurdi. Il costo
di un’opera viene misurato in ore di lavoro, non in unità monetarie. Qualsiasi
pagamento avviene in contanti e alla consegna, senza scadenze di “fine mese”.
Si risparmia esclusivamente depositando Freigeld
in banca (il turista di passaggio, non l’usuraio), che la riimmette
immediatamente nel circolo sanguigno dell’economia reale. E non vi si può
speculare su.
Cambiando i parametri, nulla osterebbe a che si
applicassero le misure suddescritte al terremoto che ha appena colpito il
centro Italia.
Nulla? Non proprio. I summenzionati sottoprodotti
dell’usura sono vivi e vegeti: sprechi, peculato, malversazione, incompetenza,
prurito di novità, immobilità burosaurica, cattive leggi, pizzi, corruzione,
eccetera.
Perchè allora scrivere tutto ciò? La speranza è dura a
morire, così che la possibilità di imbattersi in un sindaco con gli attributi
di Michael Unterguggenberger di Wörgl o di un Herr Hebecker di Schwanenkirchen
potrebbe, miracolosamente, tramutarsi in realtà.
Silvano Borruso
16 novembre 2016
[1]
L’automobilista che fa il pieno è beatamente ignaro che tra le innumerevoli
accise sul prezzo del carburante c’è ancora il debito contratto per la campagna
di Etiopia del 1935.