FALSIFICARE LA MEMORIA (parte terza)
3.1 Il genocidio fascista contro gli Slavi: documenti e interpretazioni
Secondo gli intellettuali di
Sinistra con i quali mi sono confrontato il crollo del Regno di Jugoslavia nel
1941 sarebbe lo spartiacque tra la prima e la seconda fase del progetto
fascista di genocidio contro gli Slavi. Essi definiscono questa fase “pulizia
etnica italiana verso sloveni e croati” e citano i documenti redatti dall'Alto
Commissario Emilio Grazioli, ma anche da quelli dei generali Roatta, Robotti e
Gambara, dai quali emergerebbe un conflitto che non si limita alla repressione
contro il Fronte di Liberazione, ma che parte da una diversa visione politica
del rapporto tra vincitori e vinti, tra razza dominatrice e popolazione
assoggettata: quindi marcatamente razzista.
Questa interpretazione mi pare invece
viziata dai consueti metodi di falsificazione della memoria che ho già
denunciato a partire dalla decontestualizzazione dei documenti stessi. Come tra
poco apparirà chiaro a tutti, quelle in oggetto sono le direttive militari
emanate dai comandanti delle forze d’occupazione italiane in Slovenia, Dalmazia
e Montenegro per fronteggiare il movimento partigiano. I comunisti di ritorno però
fanno finta di non capirlo e tanta malafede è funzionale a quel processo truffaldino
che ho definito altrove “violazione del
nesso causale”. In altre parole si mettono in relazione di “causa-effetto”
elementi che non c’entrano nulla tra loro al fine di creare un quadro d’insieme
solo apparentemente coerente e in linea con la tesi preconcetta di un genocidio
italiano. Si tenta così di
1) estrapolare
il processo di italianizzazione forzata degli allogeni dal quadro più ampio
della nazionalizzazione forzata delle minoranze etniche che era in atto in
tutta Europa fin dal 1919;
2) estrapolare
le rappresaglie del Regio Esercito contro i civili dal contesto della lotta
anti-partigiana;
3) fabbricare
una motivazione esclusivamente ideologica per collegare due fatti che sono
diversi tra loro e che proprio per questo non sono altrimenti collegabili se
non con una frode intellettuale.
Senza ulteriore indugio procederò
ad esporre fedelmente i documenti che mi ha inviato un pugno di intellettuali di Sinistra e l’interpretazione
che essi stessi ne danno.
Gli intellettuali sinistroidi
affermano che le autorità militari italiane pianificarono l'eliminazione di
massa di Sloveni e Croati attraverso la deportazione di migliaia di uomini nei
campi di concentramento. Citano al riguardo questa disposizione del generale
Orlando: << è necessario eliminare: tutti i maestri elementari, tutti gli
impiegati comunali e pubblici in genere (A.C., Questura, Tribunale, Finanza
ecc.), tutti i medici, i farmacisti, gli avvocati, i giornalisti, [...] i
parroci, [...] gli operai, [...] gli ex-militari italiani, che si sono
trasferiti dalla Venezia Giulia dopo la data suddetta >>. Il generale Roatta
propone inoltre la deportazione << di tutti i disoccupati e degli
studenti per farne unità di lavoratori >>.
Secondo gli antifascisti viene
condotta una repressione contro gli intellettuali (docenti e studenti dall'università
alle scuole inferiori) essendo considerati la colonna portante del movimento
partigiano. L'11 luglio 1942, Mario Robotti scrive a Emilio Grazioli, dopo le
ennesime "operazioni di rastrellamento ed epurazione politica",
effettuate dal 24 giugno al 1º luglio a Lubiana e nella provincia, che è stata
attuata la deportazione nei campi di più di 5 000 uomini (tra i 16 e i 50
anni); mentre il comandante dell'XI Corpo d'armata lamenta che:
<< ...il mancato
rastrellamento di donne, specialmente insegnanti di scuole medie ed elementari,
che hanno notoriamente svolto e tuttora svolgono attiva opera di propaganda
comunista e di assistenza ai partigiani, ha prodotto cattiva impressione
>>.
Esposte così, senza alcuno sforzo
di comprensione, e lette con le lenti dell’odio politico questi documenti
paiono confermare l’accusa che il comunismo di ritorno muove al fascismo: di
aver voluto annientare fisicamente le autorità locali e le persone più istruite
tra gli Sloveni e i Croati per portare a termine un ventennale progetto di
genocidio della razza slava. La lotta anti-partigiana sembra quasi una scusa,
un pretesto, una maschera. Ma è davvero così?
Il critico militare John Keagan
ci rivela interessanti retroscena dei metodi di lotta dei comunisti di Tito: <<
Dovunque i partigiani… occupassero una regione… organizzavano comitati di contadini
per gestire gli affari locali e per mantenere la legge e l’ordine. Quegli
ausiliari politici restavano attivi anche quando i partigiani perdevano il
controllo di un territorio (…) Una regola non scritta della guerra partigiana,
era che in un territorio libero perduto gli elementi essenziali del lavoro di
partito dovevano proseguire e che bisognava ricostruire le cellule in
previsione di un ritorno futuro >>. Esistevano quindi due branche
operative nel movimento partigiano: il Partito con le sue strutture e le sue
bande armate. Annientare queste ultime era impossibile perché all’approssimarsi
delle truppe italiane i partigiani si ritiravano sui monti rifiutando la
battaglia in campo aperto. Correttamente gli alti comandi italiani identificarono
nelle strutture politiche del Partito comunista il target più importante da
colpire: ecco perché l’attacco avveniva contro una classe di nemici potenziali
entro cui si trovava, ben mimetizzata, l’autorità politica.
Gli intellettuali di Sinistra
denunciano una “politica dell’affamamento e della rapina”, praticata dai
generali italiani nell’ambito di un progetto genocidario e citano le parole del
generale Danioni, secondo il quale occorre << procedere alla requisizione
dei raccolti lasciando ad ogni singolo proprietario il puro necessario per non
morire di fame >>. Simili denunce mi appaiono di nuovo decontestualizzate
e citate in modo strumentale. Ricordo di nuovo che siamo nell’ambito di
disposizioni per la lotta anti-partigiana: si tratta dunque di distruggere il
surplus alimentare dal quale dipendeva il sostentamento delle bande armate. Ma
anche volendoci tutti astenere dal commentare, ci si può limitare a leggere
quanto è scritto: “per non morire di fame”.
Secondo i sostenitori della tesi
del genocidio il generale Roatta impartì ai suoi ufficiali disposizioni che
contemplavano la distruzione di interi villaggi e deportazioni e la fucilazione
di innocenti ostaggi:
<< COMANDO SUPERIORE FF.AA.
SLOVENIA E DALMAZIA – 2^ ARMATA - CIRCOLARE N. 3 C del 1º marzo 1942[123]:P.M.
10, lì 1º dicembre 1942 – XXI°: Varianti di dettaglio - Premessa - Punto VI°:
Alle offese dell'avversario si deve reagire prontamente e nella forma più
decisa e massiccia possibile. Il trattamento da fare ai partigiani non deve
essere sintetizzato nella formula «dente per dente» ma bensì da quella «testa
per dente» [...] Parte seconda – Capitolo II° - Misure precauzionali nei
confronti della popolazione: 15) [...] i Comandi di Grandi Unità possono
provvedere: 15 a) ad internare [...] se occorre intere popolazioni di villaggi;
15 b) a fermare ostaggi tratti ordinariamente dalla parte sospetta della
popolazione; [...] 15 c) a considerare corresponsabili dei sabotaggi, in
genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti; 16)
Gli ostaggi [...] possono esser chiamati a rispondere colla loro vita di
aggressioni proditorie a militari e funzionari italiani [...] nel caso che non
vengano identificati [...] i colpevoli >>.
L'8 agosto 1942 nel villaggio di
Ustie (Ustje, in sloveno) che all'epoca faceva parte della Provincia di Gorizia
i soldati della divisione Julia per vendicare l'uccisione di un militare
italiano e non per fini politici, uccisero 8 persone e diedero alle fiamme il
villaggio (dopo la guerra il paese è stato ricostruito e ogni 8 agosto si
commemorano le vittime dell'eccidio).
In due riservatissime lettere
personali del 30 luglio e del 31 agosto 1942 indirizzate ad Emilio Grazioli il
Commissario Civile del Distretto di Longanatico (Logatec, in sloveno) Umberto
Rosin ha esternato le seguenti considerazioni:
<< Si procede ad arresti,
ad incendi, [...] fucilazioni in massa fatte a casaccio e incendi dei paesi
fatti per il solo gusto di distruggere [...] La frase «gli italiani sono
diventati peggiori dei tedeschi», che si sente mormorare dappertutto, compendia
i sentimenti degli sloveni verso di noi >>.
Questi fatti sono noti e io non
intendo né negarli né giustificarli. Il nostro governo avrebbe fatto bene, a
guerra finita, a perseguire per crimini di guerra i generali che avevano
emanato questi ordini. Ma come si era arrivati a un simile livello di barbarie?
Per il comunismo di ritorno la situazione appena descritta era l’atto finale di
un progetto genocida che trovava le sue motivazioni nel razzismo e nel
totalitarismo del fascista. Curiosamente Kardelj, il vice di Tito, la pensava diversamente.
Egli non faceva mistero della sua strategia che mirava a provocare il più alto
numero di vittime civili possibile per costringere i sopravvissuti a unirsi
alle bande comuniste:
<< Alcuni comandanti temono
le rappresaglie, e questa paura impedisce la mobilitazione dei paesi croati.
Ritengo che le rappresaglie avranno la conseguenza utile di spingere i paesi croati
al fianco di quelli serbi. In guerra non dobbiamo avere paura della distruzione
di interi paesi. Il terrore provocherà un’azione armata >>.
L’analisi strategica del fenomeno
della guerra partigiana di Tito viene magistralmente illustrata dal critico militare
John Keagan:
<< Per una serie di
ragioni, tra cui la speranza di allentare la pressione sull’Unione Sovietica ma
anche la decisione di radicare un apparato del Partito comunista in tutto il
territorio jugoslavo, i suoi partigiani conducevano campagne attive quanto più potevano
(…) La politica di condurre una campagna politico-militare sull’intero
territorio jugoslavo provocò sofferenze indicibili ai suoi popoli, già
travagliati in passato da rivalità aspre e violente che la guerra aveva
risvegliato. A nord i capi dei croati cattolici avevano approfittato dell’appoggio
italiano per scatenare contro i serbi ortodossi una campagna di espulsioni,
conversioni coatte e sterminio. Anche i musulmani della Bosnia-Erzegovina
presero parte alla guerra civile, mentre a sud i serbi del Kosovo erano
attaccati dai vicini albanesi. Da parte loro, i cetnici delle terre serbe
contendevano l’autorità ai partigiani, con cui non erano riusciti a concordare
una strategia comune, ma non combattevano contro gli occupanti tedeschi per
evitare rappresaglie. Tito a queste si fece sordo, considerando anzi le
atrocità dell’Asse uno stimolo al reclutamento, e per sette volte si trascinò
dietro di proposito i tedeschi in cosiddette << offensive >> che
trasformarono in un deserto le campagne attraverso cui marciavano i suoi
partigiani. Gli abitanti dei paesi erano costretti a seguire i partigiani
<< nei boschi >> (…) o a restare e far fronte alle rappresaglie (…)
La politica di Tito di sovrapporre una campagna panjugoslava, filocomunista e anti
Asse alla rete di conflitti locali che già infuriavano tra le diverse etnie e religioni,
tra collaborazionisti e anti-collaborazionisti, nonché di mandare all’aria
tutte le tregue che incontrava, ebbe realmente l’effetto di trasformare le
tante piccole guerre in un solo, grande conflitto, nel quale egli divenne il
principale comandante dello schieramento ostile all’Asse. Per suo ordine quasi
tutti gli jugoslavi, comprese molte donne, furono costretti a scegliere da che
parte stare. Di fatto la popolazione venne rimilitarizzata dal basso. Alla fine
della guerra almeno 100.000 persone, tra quelle che avevano scelto la parte
sbagliata, furono uccise dai partigiani (…) Gran parte degli altri 1.200.000
jugoslavi morti tra il 1941 e il 1944, su un totale di 1.600.000 persone,
devono essere considerate vittime attive o passive della politica della guerra
partigiana. Fu il prezzo terribile da pagare perché Tito potesse conseguire il
suo obiettivo politico >>.
Ora finalmente diviene chiaro il
motivo politico per cui il comunismo di ritorno sta tentando di falsificare la
memoria e censurare il dissenso. Abituato da sempre a vedere nell’altro il
nemico da odiare e a riconoscere in sé stesso il vindice dei poveri e dei
diseredati della Terra, l’intellettuale di Sinistra è patologicamente incapace
di ammettere le responsabilità della propria parte politica. E quindi deve
falsificare la Storia per attribuire al nemico le colpe di tutto – comprese le
proprie! Il mito del genocidio degli Slavi da parte del fascismo nasce da
questa esigenza politica.
Purtroppo la sconfitta grida a
gran voce perché esige risposte mentre la vittoria, come la carità, nasconde un
gran numero di peccati.
Enrico Montermini, 17/08/2016