FALSIFICARE LA MEMORIA
(parte seconda)
2. Il genocidio segreto di Mussolini?
Ritorno nuovamente sulla
discussione che ho avuto su Facebook con
intellettuali di Sinistra prima di essere sbattuto fuori dal Gruppo, perché ha
rappresentato per me l’occasione di confrontarmi con la controparte ed è stata
quindi un’occasione di arricchimento personale. Grazie a loro ho avuto un
esempio di come avviene il processo di falsificazione della memoria:
1) Fabbricazione
della tesi: si elabora una tesi preconcetta basandosi su motivazioni
ideologiche;
2) Falsificazione
delle informazioni: si selezionano certi documenti e li si estrapola dal loro contesto
storico in modo da attribuirvi il significato desiderato. I dati fattuali non
vengono mai letti per quello che sono, ma sempre interpretati e proprio per
questo l’interpretazione non trova riscontro nei documenti;
3) Violazione
del nesso causale: si mettono in relazione di “causa-effetto” elementi che non
c’entrano nulla tra loro al fine di creare un quadro d’insieme solo
apparentemente coerente e in linea con la tesi preconcetta;
4) Principio
di autoreferenzialità: intellettuali che perseguono gli stessi scopi politici
si scambiano tra loro patenti di autorevolezza – di cui il lettore medio non è
in grado di verificare il valore – mentre gli autori che presentano tesi
sgradite vengono additati come “fonti non affidabili” e proscritti.
5) Fabbricazione
del messaggio: basandosi su una tesi preconcetta (punto 1) si demonizza l’avversario
attribuendogli giudizi morali gravissimi. Le accuse sono sempre caratterizzate
dall’uso improprio dei vocaboli perché l’obbiettivo del messaggio è di ordine politico,
sebbene mascherato sotto la forma di un’analisi storica.
La tesi che stata fabbricata
(punto 1) dai comunisti di ritorno prende avvio dalla politica di
nazionalizzazione forzata degli elementi allogeni in Istria e a Fiume voluta
dal fascismo sulla base di una delirante dottrina di superiorità razziale. In
un climax di violenza la politica di annientamento dell’identità slava tocca il
suo apice nel periodo 1942-43 con le deportazioni e i massacri operati dalle
truppe italiane nei Balcani: logica conclusione del delirio totalitario e
razzista del fascismo italiano. Il risultato, come mi è stato spiegato da
questi geni, è stato un genocidio di cui, all’interno del Gruppo, io solo –
povero pirla! – non riuscirei a comprendere la natura.
Genocidio è una parola grossa:
riflettiamo se i dati in nostro possesso autorizzano l’uso di questo termine
relativamente alla prima fase di questo progetto (1919-1941). La presunta politica
di annientamento attuata dal Regno d’Italia nei confronti degli Slavi consisteva
nei seguenti provvedimenti che così mi sono stati esposti:
- sostituzione dei maestri elementi, dei dottori,
dei farmacisti slavi con in elementi italiani… Questo sì che un genocidio!
- Trasferimento di qualche migliaio di famiglie
italiane in Istria… Questo sì che è un genocidio!
- Divieto di insegnare e di parlare negli uffici
pubblici lo Sloveno e il Serbo-Croato... Anche questo è un genocidio!
- Imposizione di nomi italianizzati per gli
allogeni e modifica della toponomastica… Genocidio!
Queste misure che gli intellettuali
di Sinistra mi hanno elencato sono tutte odiose. Possiamo sicuramente parlare
di un processo politico di negazione culturale e di discriminazione, ma non di
genocidio. Ecco quindi dimostrata la falsificazione delle informazioni: l’interpretazione
dei dati non trova riscontro nei documenti. Così abbiamo conferma che non si è
fatta una ricerca obbiettiva per arrivare a un tentativo di interpretazione
storica, ma si è fatto il contrario: si è fabbricata una tesi sulla base di
pregiudizi ideologici (punto 1) per poi trovarvi conferme nei dati fattuali, anche
a costo di falsificarli (punto 2), e questo al fine di giustificare un giudizio
morale dell’avversario che si accusa falsamente di genocidio (punto 5).
Il processo di falsificazione
delle informazioni come abbiamo visto prevede che i singoli dati vengano
estrapolati dal loro contesto storico per potervi dare un giudizio di comodo.
Se invece vogliamo fare una ricerca della verità che sia intellettualmente più
onesta, noi dobbiamo fare il processo opposto: ricontestualizzare i dati sopra
esposti. Scopriremo allora che le misure attuate dal fascismo nei confronti
delle minoranze allogene sono identiche a quelle attuate nella stessa epoca
storica in tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale e sud-orientale. Le
stesse cose avvenivano non solo in Istria e a Fiume, ma anche nei Paesi
baltici, in Slesia, in Rutenia, nei Carpazi, in Kurdistan… E’ certo che se
l’Istria e Fiume fossero state attribuite al Regno di Jugoslavia, avremmo
assistito alle stesse identiche discriminazioni come potevano testimoniare gli
Ungheresi nel Banato, i Macedoni, gli Albanesi nel Kosovo e una fetta
consistente della popolazione croata. Questo confronto comparativo non vuole
assolutamente sminuire le sofferenze dei cittadini italiani di origine slovena
e croata, che vanno compiante, ma collocare i dati esposti sotto la giusta
prospettiva. Non si può estrapolare i singoli elementi dal loro contesto
storico e giudicarli col metro di oggi, perché esempi di civile convivenza come
quelli delle nostre regioni a statuto speciale in quell’epoca non se ne trovano:
la politica degli Stati-nazione si faceva con la nazionalizzazione delle masse, anche quella
forzata. Erano altri tempi e dobbiamo dirci fortunati se oggi prevale un’altra
sensibilità. E’ chiaro però che se non si comprende la cultura e la mentalità
dell’epoca si finisce per enfatizzare i caratteri razzisti e totalitari del
fascismo: ciò non conduce a un giudizio storico equilibrato ma è sicuramente
funzionale a un giudizio politico di parte.
Enrico Montermini, 17/08/2016