mercoledì 17 agosto 2016

FALSIFICARE LA MEMORIA (parte seconda)
2. Il genocidio segreto di Mussolini?

Ritorno nuovamente sulla discussione che ho avuto su Facebook con intellettuali di Sinistra prima di essere sbattuto fuori dal Gruppo, perché ha rappresentato per me l’occasione di confrontarmi con la controparte ed è stata quindi un’occasione di arricchimento personale. Grazie a loro ho avuto un esempio di come avviene il processo di falsificazione della memoria:
1) Fabbricazione della tesi: si elabora una tesi preconcetta basandosi su motivazioni ideologiche;
2) Falsificazione delle informazioni: si selezionano certi documenti e li si estrapola dal loro contesto storico in modo da attribuirvi il significato desiderato. I dati fattuali non vengono mai letti per quello che sono, ma sempre interpretati e proprio per questo l’interpretazione non trova riscontro nei documenti;
3) Violazione del nesso causale: si mettono in relazione di “causa-effetto” elementi che non c’entrano nulla tra loro al fine di creare un quadro d’insieme solo apparentemente coerente e in linea con la tesi preconcetta;
4) Principio di autoreferenzialità: intellettuali che perseguono gli stessi scopi politici si scambiano tra loro patenti di autorevolezza – di cui il lettore medio non è in grado di verificare il valore – mentre gli autori che presentano tesi sgradite vengono additati come “fonti non affidabili” e proscritti.
5) Fabbricazione del messaggio: basandosi su una tesi preconcetta (punto 1) si demonizza l’avversario attribuendogli giudizi morali gravissimi. Le accuse sono sempre caratterizzate dall’uso improprio dei vocaboli perché l’obbiettivo del messaggio è di ordine politico, sebbene mascherato sotto la forma di un’analisi storica.

La tesi che stata fabbricata (punto 1) dai comunisti di ritorno prende avvio dalla politica di nazionalizzazione forzata degli elementi allogeni in Istria e a Fiume voluta dal fascismo sulla base di una delirante dottrina di superiorità razziale. In un climax di violenza la politica di annientamento dell’identità slava tocca il suo apice nel periodo 1942-43 con le deportazioni e i massacri operati dalle truppe italiane nei Balcani: logica conclusione del delirio totalitario e razzista del fascismo italiano. Il risultato, come mi è stato spiegato da questi geni, è stato un genocidio di cui, all’interno del Gruppo, io solo – povero pirla! – non riuscirei a comprendere la natura.

Genocidio è una parola grossa: riflettiamo se i dati in nostro possesso autorizzano l’uso di questo termine relativamente alla prima fase di questo progetto (1919-1941). La presunta politica di annientamento attuata dal Regno d’Italia nei confronti degli Slavi consisteva nei seguenti provvedimenti che così mi sono stati esposti:
- sostituzione dei maestri elementi, dei dottori, dei farmacisti slavi con in elementi italiani… Questo sì che un genocidio!
- Trasferimento di qualche migliaio di famiglie italiane in Istria… Questo sì che è un genocidio!
- Divieto di insegnare e di parlare negli uffici pubblici lo Sloveno e il Serbo-Croato... Anche questo è un genocidio!
- Imposizione di nomi italianizzati per gli allogeni e modifica della toponomastica… Genocidio!

Queste misure che gli intellettuali di Sinistra mi hanno elencato sono tutte odiose. Possiamo sicuramente parlare di un processo politico di negazione culturale e di discriminazione, ma non di genocidio. Ecco quindi dimostrata la falsificazione delle informazioni: l’interpretazione dei dati non trova riscontro nei documenti. Così abbiamo conferma che non si è fatta una ricerca obbiettiva per arrivare a un tentativo di interpretazione storica, ma si è fatto il contrario: si è fabbricata una tesi sulla base di pregiudizi ideologici (punto 1) per poi trovarvi conferme nei dati fattuali, anche a costo di falsificarli (punto 2), e questo al fine di giustificare un giudizio morale dell’avversario che si accusa falsamente di genocidio (punto 5).


Il processo di falsificazione delle informazioni come abbiamo visto prevede che i singoli dati vengano estrapolati dal loro contesto storico per potervi dare un giudizio di comodo. Se invece vogliamo fare una ricerca della verità che sia intellettualmente più onesta, noi dobbiamo fare il processo opposto: ricontestualizzare i dati sopra esposti. Scopriremo allora che le misure attuate dal fascismo nei confronti delle minoranze allogene sono identiche a quelle attuate nella stessa epoca storica in tutti i Paesi dell’Europa centro-orientale e sud-orientale. Le stesse cose avvenivano non solo in Istria e a Fiume, ma anche nei Paesi baltici, in Slesia, in Rutenia, nei Carpazi, in Kurdistan… E’ certo che se l’Istria e Fiume fossero state attribuite al Regno di Jugoslavia, avremmo assistito alle stesse identiche discriminazioni come potevano testimoniare gli Ungheresi nel Banato, i Macedoni, gli Albanesi nel Kosovo e una fetta consistente della popolazione croata. Questo confronto comparativo non vuole assolutamente sminuire le sofferenze dei cittadini italiani di origine slovena e croata, che vanno compiante, ma collocare i dati esposti sotto la giusta prospettiva. Non si può estrapolare i singoli elementi dal loro contesto storico e giudicarli col metro di oggi, perché esempi di civile convivenza come quelli delle nostre regioni a statuto speciale in quell’epoca non se ne trovano: la politica degli Stati-nazione si faceva con la nazionalizzazione delle masse, anche quella forzata. Erano altri tempi e dobbiamo dirci fortunati se oggi prevale un’altra sensibilità. E’ chiaro però che se non si comprende la cultura e la mentalità dell’epoca si finisce per enfatizzare i caratteri razzisti e totalitari del fascismo: ciò non conduce a un giudizio storico equilibrato ma è sicuramente funzionale a un giudizio politico di parte.

Enrico Montermini, 17/08/2016