di: Andrea Signini
Cos’è la vita? A cosa serve vivere? Come vivere nel solco dell’etica? Queste sono domande che il genere umano si pone dall’alba dei tempi e, tuttavia, sembra ancora non essere approdato ad una risposta in grado di esaudire ognuno dei tre quesiti con cui abbiamo aperto. Eppure, a ben vedere, la filosofia si è a lungo interrogata, attraverso i suoi pensatori, non è vero? E com’è vero questo, è vero anche che le risposte sono già state offerte all’Umanità su di un piatto di argento. Ma lì sono rimaste nel corso dei Secoli e tutt’ora vi giacciono. Ma, allora, se le risposte sono state date e se queste sono riuscite a rispondere a tutti e tre i quesiti di fondo, come mai e per quale stramaledetta ragione, non vengono applicate alla vita reale? Certo! È innegabile! Dai tempi di Socrate, Platone ed Aristotele la vita ha assunto connotati diversi ed il genere umano ha potuto transitare e sperimentare una quantità di stili diversi attraverso modelli che ha scelto e poi criticato. Va riconosciuto. Tuttavia tutto quanto è accaduto nel corso di, all’incirca, duemilacinquecento anni, non ha variato le caratteristiche della vita. Di cui, Libertà Speranza, restano in vetta a qualunque altro aspetto dell’esistenza. Scordiamoci il mito dell’immortalità (che Iddio ce ne scampi e salvi – sai che palle vivere senza timore della morte). E scordiamoci pure il mito di volare: il nostro fisico non è strutturato per spiccare il volo, tocca farsene una ragione. Ma la Libertà individuale, la Libertà della singola persona, possono far volare la Mente. Un volo di cui siamo padroni e padrone in quanto esseri pensanti e capaci di – a differenza delle altre forme di vita – testimoniare la nostra esperienza. Attraverso al scrittura, addirittura, abbiamo potuto fissare la cultura e far sì che le generazioni successive avessero potuto ripartire dal nostro umile traguardo. E procedere oltre, verso il volo dei voli: la Libertà. Eppure, in questo Mondo popolato da sette miliardi di persone, nessun essere umano ha potuto esperire tanto. Nemmeno un po’. Appena l’illusione, solo e soltanto l’illusione di vivere da essere libero – quando in realtà è schiavo di una élite di quattro gatti ispirati ai modelli più infami che mente umana possa aver partorito. Gli antichi vedevano nelle leggi le colonne della libertà in quanto essa DEVE essere a sua volta governata. E Platone ci ha insegnato come riconoscere un fedele servitore dello Stato e come saggiarne l’integrità morale nel corso del tempo – visto che nessuno rimane idiota quanto è ma peggiora col passare del tempo. Machiavelli, invece, ci ha voluto dire che non è la legge ma il metodo di governo che fa la differenza – poiché, secondo lui, era il “Principe” l’unico incaricato a far “girare la ruota”. Ricordate? “Il fine giustifica i mezzi”. Poi apparve il solito pensatore mediterraneo, al secolo Galileo Galilei, il quale con quattro mosse spiegò al genere umano che il “diritto divino” di governare non era affatto espressione dell’impianto organico dell’Universo concentrico, come lo descriveva la teoria tolemaica. Con buona pace dei gesuiti e di Bellarmino (erroneamente dipinto come suo acerrimo nemico) il Mondo si illuminò di scienza e si introdusse nel pertugio della Rivoluzione Industriale, un clima del tutto nuovo che consentì l’allungamento della vita, derrate per più persone. Sembrava stesse per aprirsi uno spiraglio di neo-umanesimo, poi tutto sfumò. Ma che! Pure questo traguardo venne manipolato, sempre dalla longa manus delle solite élite, che lo fecero implodere. Niente da fare. Tutto daccapo. Nel momento in cui il lume stava raggiungendo la solita “base” perennemente esclusa, qualcuno pensò bene di rimescolare le carte. E fu razionalismo all’europea, quel maledetto aspetto che ha fatto riempire pagine e pagine di inutili pensieri. L’impatto fu così acre che la società di allora pensò bene di rifugiarsi nel pessimismo del Romanticismo da cui, sembra, non ne siamo ancora emersi, malgrado tutto. Un percorso osceno, non era così che doveva andare. Non doveva essere questo il traguardo da raggiungere. Difatti, oggi, come centocinquant’anni fa, siamo vittime di quel rapporto sinallagmatico tra la solita élite e politica. Una politica asservita all’élite di cui è ostaggio da un lato e cameriera dall’altro. Nel mezzo ci siamo noi, noi esseri umani. Con le nostre aspirazioni, le nostre smanie e le nostre mire. Non capaci di esprimere il nostro estro, di dialogare liberamente perché costretti all’interno di un alveo di leggi create ad hoc dal prodotto del rapporto che teme il risveglio e teme che qualche mente possa metterli a nudo davanti alla mera verità. Parliamo di una centralizzazione di potere che non tiene conto dei giorni che scorrono qui, nelle strade, nei bar, negli uffici, nei letti d’ospedale. I luoghi della vita prosaica, della vera vita. I luoghi da cui sono fiorite le migliori menti che oggi si dannano nel più totale isolamento. Un ridicolo ossimoro, se calcoliamo di vivere l’era della comunicazione!
