venerdì 28 maggio 2021

CROLLO DI UN IDOLO

CROLLO DI UN IDOLO

Prodromi

Il mondo osservabile da marzo 2020 riconduce surrealmente ad un sonetto di G.G.Belli (1791-1863) del 1832. Apre così:[1]

C’era una volta un re, che dal palazzo

Inviò per tutto il mondo quest’editto:

Io son io e voi non siete un cazzo

Sori vassalli buggiaroni, e zitto.

Sua Maestà Tedros Adhanom Ghebreyesu, dall’alto del palazzo dell’ONU alla guida della OMS, senza fare uso di termini belliani, ha inviato lo stesso messaggio, e la stessa spiegazione del suo potere reale. Incalza Belli:

Io fo’ dritto lo storto e storto il dritto;

posso vendervi tutti a un tanto il mazzo.

Se io vi fo’ impiccar, non vi strapazzo,

ché la vita e la roba, io, ve l’affitto.

Sua Maestà ha decretato la pandemia, e voilà, eccola in tutto il mondo.  Non forche ma tamponi, statistiche truccate, arresti domicialiari per popolazioni intere, vaccini e quant’altro vengono improvvisamente promossi a strumenti di coercizione statale.  E chi osa ribellarsi?

Chi nasce a questo mondo senza il titolo

Di Papa, di Re o di Imperatore

Costui non ci può aver voce in capitolo.

Aggiornando: se non sei un Rockefeller, un Rothschild, un Soros o un Gates, i potenti a cui Tedroa fa da prestanome, obbedisci e non fare storie. E Belli chiude:

Con quest’editto inviò il boia sul destriero,

interrogando tutti sull’assunto.

E risposero tutti: è vero, è vero.

Sua Maestà Tedros non dispone di un boia alla Mastro Titta ma sì di una congerie di malchiamati mezzi di comunicazione di massa, o media, il cui potere ipnotico senza precedenti terrorizza e condiziona a comportamenti irrazionali. Dietro ad ogni maschera inutile e dannosa c’è un “sor vassallo buggiarone” che dice “è vero, è vero”. Ed è anche sorta una specie di guerra civile, finora senza spargimento di sangue, tra i vassalli buggiaroni che amano mascherarsi e gli sbugiardatori di questi aggeggi, che hanno arricchito però i loro fabbricanti.

L’idolo

L’alacrità con cui una democrazia dopo l’altra si è trasformata in Stato di polizia con tanto di mirmidoni (un tempo “forze dell’ordine”) che opprimono il popolo invece di proteggerlo, dovrebbe far capire a chi sa ancora pensare la falsa opposizione tra “dittatura” e “democrazia”.

Il termine “democrazia” fa abitualmente da foglia di fico sulla repubblica liberal-massonica messa su dalla Rivoluzione, la quale distrusse le istituzioni della Cristianità dopo averne sovvertito le fondamenta intellettuali con il Rinascimento e quelle morali con la Riforma.

Ed è stato riservato il titolo di “dittatore” a qualunque capo di governo riuscito a stare in carica per più di un “mandato popolare” cioè elezioni. Così sono passati alla storia caratteri così diversi come Porfirio Diaz (1830-1915), Benito Mussolini (1883-1945), Adolf Hitler (1889-1945), Francisco Franco (1890-1975) ed altri che sarebbe tedioso elencare.

Diaz pervenne al potere con un colpo di stato cruento, per mantenervisi facendosi eleggere presidente per ben sette volte. Governò con il solito miscuglio di successi e fallimenti, che mantennero il popolo messicano in un regime di salari infimi. I beneficiari del governo Diaz furono per lo più i soliti latifondisti e usurai sfruttatori del popolo.

Il colpo di stato di Mussolini fu incruento, ma da ex-maestro di scuola era più atto a governare un popolo che un ex-militare. Anche lui però prestò l’orecchio a usurai e latifondisti, che finirono col portarlo in guerra, l’ultima delle quali rovinosa per l’Italia ancora oggi.

Hitler fu eletto democraticamente con l’aiuto tecnico-amministrativo del partito Nazional-Socialista fondato da Tomas Masaryk nel 1887. Rilevò quel partito con l’aiuto finanziario del banchiere von Schröder, agente dei Rothschilds per la Germania, per poi liberarsene a rivoltellate la notte del 30 giugno 1934. Paradossalmente Hitler, dittator dei dittatori, rimane il prodotto storico più notevole dell’idolo demo-liberal massonico.

Franco pervenne al potere con una vittoria militare sugli attori del golpe che aveva diroccato la monarchia e instaurato la repubblica liberal-massonica nel 1931. Era un militare, come Diaz. Non riuscì a unificare il popolo attorno a sè, cosicché il suo retaggio finì per concedere la vittoria finale alla Rivoluzione con la rimozione dei suoi resti dal Valle de los Caídos nel 2021.

Ecco invece che Franklin Delano Roosevelt, eletto democraticamente nel 1932 e rieletto per ben quattro “mandati popolari”, non viene bollato come “dittatore”, nonostante le sue politiche guerrafondaie catapultassero il popolo americano in una guerra che non voleva.

Ce ne è abbastanza per fare il punto: la dittatura non è forma di governo come vuole il pensiero debole; è un grado del medesimo, che può autoconferirsi poteri tali da intrufolarsi  in affari non suoi anche in regime democratico, come stiamo verificando sulla nostra pelle.

Però una cosa è ricevere batoste e un’altra sapere chi te le dà. E qui viene il bello: la dittatura democratica multiforme, proteica, non permette di identificare il “dittatore”. E il popolo abbozza fino a lasciarsi mettere agli arresti domiciliari del tutto antiscientifici.

Cosa sta crollando

Esistono due maniere di governare: nella prima, il governo protegge il popolo dalle vessazioni dei poteri finanziario e latifondista: nella seconda il governo, in combutta con gli stessi poteri, opprime il popolo, che rincoglionito da una “educazione di Stato” non si accorge né del danno né della beffa.

Per “governo” intendo le cinque inalienabili funzioni di a) amministrazione della giustizia, b) emissione di un mezzo che permetta di distribuire la ricchezza prodotta dal lavoro, c) mantenimento dell’ordine pubblico, d) difesa da aggressione esterna e e) rappresentanza diplomatica presso altri governi. Lo strumento di cui si serve il governo per questi fini è lo Stato, entrato nella vita politica con Westphalia (1648) e prepotentemente assurto alla sommità di essa fino a gestire la Rivoluzione, che iniziata in Francia nel 1789 finì per ipnotizzare il mondo intero con l’idolo oggetto di questo saggio: la democrazia.

Chi è costei? A parte la battuta “democrasorella di democrapapà”, nessuno può dirlo: una definizione univoca del termine non c’è. Ma il termine lo ha coniato la repubblica liberal-massonica summenzionata, che mostra una certa continuità dal 1789 ad oggi.

Una continuità, però, di orpelli che suonano più a slogan/mantra che a realtà verificabili: Costituzione, elezioni rappresentative, stato di diritto, divisione dei poteri, maggioranza, uguaglianza, partitocrazia, istruzione obbligatoria e gratuita, ecc. Analizzando a fondo si nota quanto Frédéric Bastiat (1801-1850) avesse fiutato giusto quando scriveva: “Lo Stato è quella gran finzione attraverso la quale tutti si sforzano per vivere a spese altrui”. Rifaceva quello che Agostino aveva affermato secoli prima “Togli la giustizia, e che rimane dei regni se non grandi bande di ladri”?[2].

Ne son passati di anni, ma in continuità con il succitato si può affermare oggi che

-          Tutti gli uomini politici mentono;

-          I più rubano

-          Alcuni assassinano

-          Nessuno è affidabile.

L’andazzo generale dell’assetto repubblicano liberal-massonico fu magistralmente riassunto dal politico-filosofo spagnolo Juan Vazquez de Mella (1861-1928): “Che incoerenza, che incoerenza! Erigono troni ai principi e forche alle conseguenze”!

Chi penetrò fino al nucleo della questione fu Lord Acton nel 1875, quando copriva la carica di Chief Justice (capo della Corte Suprema) del Regno Unito:  “La questione che si trascina da secoli, e per la quale prima o poi bisognerà combattere, è quella del popolo contro le banche”.

Come faceva a saperlo? La risposta vale un buon excursus.

Una guerra sconosciuta

La famosissima affermazione di Amscher Meyer Rothschild (1744-1812): “Datemi il controllo della moneta, e non m’importa di chi fa le leggi” è oggi ben conosciuta, ma generalmente ritenuta come l’inizio dell’usurpazione bancaria di emetter moneta a spese del potere politico. Qui mantengo che il buon A.M.R. non facesse che riaffermare una verità secolare, la cui storia non si trova nei libri di testo, ma che è possibile rappezzare anche se non ricostruire nei dettagli.

Un mistero avvolge la storia monetaria dell’Occidente. Marco Polo si era imbattuto nella moneta cartacea di Kublai Khan a fine XIII secolo. Non era stato Kublai ad inventarla: la Cina la conosceva da cinque secoli,  per cui non monetizzò mai metalli preziosi. Il mistero è: perchè ci vollero ben sei secoli perchè questa possibilità fosse accettata in Occidente, e perchè con tanta riluttanza? Silvio Gesell (1862-1930) dedicò un capitolo del suo Ordine Economico Naturale al problema, intitolato Perchè la moneta si può fare di carta. È un testo magistrale, che parte dall’allora definizione del marco tedesco in termini di un certo peso in oro per mostrarne l’assurdità e condurre, un passo dopo l’altro, a quello che i governi di fine XIX secolo praticavano alla chetichella, quasi vergognandosi di emettere moneta senza “riserva di valore”. Ancora oggi le note della Banca di Inghilterra non dicono “Questo biglietto vale tot Pounds’, ma “questo biglietto promette di pagare tot Pounds (non dice di che) alla presentazione”.

Si può solo speculare che quando Marco Polo rientrò in patria, l’usurocrazia veneziana avesse intravisto il pericolo di perdere potere con la cartamoneta, e che avesse cassato ogni tentativo di farlo con i noti mezzi a sua disposizione.

L’inizio storico del conflitto banche-popolo può datarsi con la fine della Guerra delle Rose in Inghilterra, nel 1485. Favorite dalla nuova dinastia dei Tudor, le banche vi trovarono un temibile concorrente nei tally sticks, cambiali di legno emesse dai grandi centri di produzione come abbazie e manors, circolanti come mezzo di scambio tra il popolo, e accettate dallo Scacchiere in pagamento di tasse.

Mossero loro guerra con intento preciso di debellarle, ma ce ne volle. Solo nel 1836 il Parlamento mise i tallies fuori legge e sottomise il potere regale di batter moneta all’istituto del credito imposto dalle banche e sul quale ci soffermiamo sotto.

Qui entra in gioco la politica. La moneta cartacea contante, anche se non suonante, garantisce libertà agli usuari. Codesta libertà è invisa, e fortemente, tanto allo Stato moderno quanto alle banche, che invece di sostenerlo si fanno sostenere da esso. Questa inimicizia, in odio alle libertà personali, fa da motore di tutte le politiche che nel corso degli ultimi due secoli hanno annientato il lavoro indipendente, le piccole imprese, l’agricoltura di sussistenza, strappato alle famiglie i mezzi di produzione e bolscevizzato questa con enormi imprese produttrici di cibo spazzatura, di mode grottesche e di costruzioni disfunzionali.

E si è arrivati al capolinea con la guerra a viso aperto al contante. La ragione più assurda è che la carta o plastica diffonde il coronavirus. Potrebbe, se la si mangiasse. Ma il contagio personale è un mito esploso con il conferimento del Nobel per la medicina al Dott. Charles Nicolle nel 1928. Si tratta in realtà di una batosta ulteriore all’idolo democratico, demolito coscientemente e sapientemente dai mirmidoni dei poteri forti, O.N.U. in testa.

 Il cosiddetto credito non è che stregoneria, che con incantesimi ben ideati e meglio gestiti irretisce miliardi di persone a comportarsi del tutto irrazionalmente. Vediamolo.

Il denaro,  come ben sa chi ne ha bisogno, scarseggia. Il contante raccoglie pulviscolo atmosferico nei sotterranei delle banche, le quali assegnano credito non secondo i bisogni dell’economia reale (produzione e scambio), ma di fini inconfessati e spesso inconfessabili che solo lo stregone (pardon, il banchiere) conosce.

Chi quindi ha bisogno di mezzi di pagamento va da una banca, ben condizionato a confondere il credito con il prestito.

C’è prestito, come dichiara qualsiasi dizionario, quando chi presta si disfa di quello che presta per farlo usare ad un altro temporaneamente, dietro un compenso pattuito.

Orbene, emettendo credito la banca non si disfa di un bel nulla. Registra nei suoi computer il nome del richiedente e due cifre, una sotto la voce “prestiti” e l’altra sotto “depositi”. Poi consegna al “prestatario” un libretto di assegni con il quale lo autorizza a lanciare incantesimi su ogni foglio, che misteriosamente riceve potere di acquisto per somme non eccedenti quelle pattuite. Ma per questo permesso lo stregone richiede “interesse” su una somma mai prestata. E non autorizza il malcapitato prestatario a stampare “interesse”: questo lo deve estrarre da ricchezza reale prodotta da lavoro che un ulteriore incantesimo chiama “collaterale”. Lo fa o lavorando di più, o distogliendolo a un altro prestatario, o indebitandosi ulteriormente per pagare “interesse” su un prestito che non c’è. Se dieci prestatari autorizzati ad emettere 100, si compromettono a “restituire” 110, è matematicamente certo che uno di loro andrà prima o poi in bancarotta.

Mentendo, il banchiere dichiara spudoratamente che egli “presta il denaro dei depositanti”, cosa che non si sogna di fare ma utilissima per obnubilare la mente di chi è condizionato a credere che “una società moderna non può fare a meno delle banche” e che “sono degni di credito” solo i guerrafondai, i proprietari di imprese mastodontiche, i grandi questo e grandi quello, ma non gli artigiani, i piccoli imprenditori, le famiglie, gli agricoltori di sussistenza, insomma le forze del lavoro vero, le sole che fanno crescere la rendita del paese solo esistendo ma condannate ad una povertà secolare per asfissia di denaro contante..

Quanto le banche, e gli stati, odiino gli uomini liberi, si è visto con i decreti draconiani che in barba alle Costituzioni, ne hanno conculcato articolo su articolo, impoverendo popolazioni intere e terrorizzandole per farsi iniettare non si sa bene che intrugli, chiamati vaccini ma che tali non sono, e causanti effetti noti solo a chi vuole a tutti i costi “punturare” la gente per mangiarci (e lautamente) sopra.

Insieme al lavoro è sparito lo stato di diritto, fantasma incapace di tener in riga partiti, parlamenti e altri orpelli democratici; la divisione dei poteri, che elude i faticosi iter parlamentari con decreti-lampo emessi dal governo, dall’esecutivo, o anche dal potere giudiziario; un termine come “maggioranza” ha perduto ogni significato, così come lo hanno perduto uguaglianza e vita privata (oggi inglesizzata a privacy); l’istruzione obbligatoria e gratuita si è trasformata in lavaggio di Stato del cervello dei malcapitati che fanno da cavie solo “andando a scuola”; la libertà di movimento, di insegnamento, di associazione, di culto, insomma le “garanzie costituzionali” di una volta si sono rivelate come gli specchietti per allodole che sono sempre stati.

È apparso, invece, il distanziamento sociale, che il Dott. Vernon Coleman bolla, con tutta la fuffa, “presa in giro del secolo”. Sembra di assistere al crollo della Baliverna di Buzzati nei termini geopolitici profetizzati da Lord Acton. Chi vincerà?

I guerrafondai stringono i tempi, ma la crescente consapevolezza del popolo sta cominciando a invertire la posizione dei piatti della bilancia. Posso solo augurarmi che questo saggio faccia da leva di Archimede per contribuire alla vittoria del popolo.

Silvano Borruso

27 maggio 2021

 

 

 



[1] Italianizzo il testo per chi ha difficoltà a leggere il romanesco di Belli.

[2] De Civitate Dei, 4:4.