Prodromi
Il mondo osservabile da marzo 2020 riconduce
surrealmente ad un sonetto di G.G.Belli (1791-1863) del 1832. Apre così:[1]
C’era una volta un re, che dal palazzo
Inviò per tutto il mondo quest’editto:
Io son io e voi non siete un cazzo
Sori
vassalli buggiaroni, e zitto.
Sua Maestà Tedros Adhanom Ghebreyesu, dall’alto
del palazzo dell’ONU alla guida della OMS, senza fare uso di termini belliani, ha
inviato lo stesso messaggio, e la stessa spiegazione del suo potere reale. Incalza
Belli:
Io fo’ dritto lo storto e storto il dritto;
posso vendervi tutti a un tanto il mazzo.
Se io vi fo’ impiccar, non vi strapazzo,
ché
la vita e la roba, io, ve l’affitto.
Sua Maestà ha decretato la pandemia, e voilà,
eccola in tutto il mondo. Non forche ma
tamponi, statistiche truccate, arresti domicialiari per popolazioni intere,
vaccini e quant’altro vengono improvvisamente promossi a strumenti di
coercizione statale. E chi osa ribellarsi?
Chi nasce a questo mondo senza il titolo
Di Papa, di Re o di Imperatore
Costui
non ci può aver voce in capitolo.
Aggiornando: se
non sei un Rockefeller, un Rothschild, un Soros o un Gates, i potenti a cui
Tedroa fa da prestanome, obbedisci e non fare storie. E Belli chiude:
Con quest’editto inviò il boia sul destriero,
interrogando tutti sull’assunto.
E
risposero tutti: è vero, è vero.
Sua Maestà Tedros non dispone di un
boia alla Mastro Titta ma sì di una congerie di malchiamati mezzi di
comunicazione di massa, o media, il cui
potere ipnotico senza precedenti terrorizza e condiziona a comportamenti
irrazionali. Dietro ad ogni maschera inutile e dannosa c’è un “sor vassallo
buggiarone” che dice “è vero, è vero”. Ed è anche sorta una specie di guerra
civile, finora senza spargimento di sangue, tra i vassalli buggiaroni che amano
mascherarsi e gli sbugiardatori di questi aggeggi, che hanno arricchito però i
loro fabbricanti.
L’idolo
L’alacrità con cui una democrazia dopo l’altra si
è trasformata in Stato di polizia con tanto di mirmidoni (un tempo “forze dell’ordine”)
che opprimono il popolo invece di proteggerlo, dovrebbe far capire a chi sa ancora
pensare la falsa opposizione tra “dittatura” e “democrazia”.
Il termine “democrazia” fa abitualmente da foglia
di fico sulla repubblica liberal-massonica messa su dalla Rivoluzione, la quale
distrusse le istituzioni della Cristianità dopo averne sovvertito le fondamenta
intellettuali con il Rinascimento e quelle morali con la Riforma.
Ed è stato riservato il titolo di “dittatore” a
qualunque capo di governo riuscito a stare in carica per più di un “mandato
popolare” cioè elezioni. Così sono passati alla storia caratteri così diversi
come Porfirio Diaz (1830-1915), Benito Mussolini (1883-1945), Adolf Hitler
(1889-1945), Francisco Franco (1890-1975) ed altri che sarebbe tedioso elencare.
Diaz pervenne al potere con un colpo di stato
cruento, per mantenervisi facendosi eleggere presidente per ben sette volte.
Governò con il solito miscuglio di successi e fallimenti, che mantennero il
popolo messicano in un regime di salari infimi. I beneficiari del governo Diaz furono
per lo più i soliti latifondisti e usurai sfruttatori del popolo.
Il colpo di stato di Mussolini fu incruento, ma da
ex-maestro di scuola era più atto a governare un popolo che un ex-militare.
Anche lui però prestò l’orecchio a usurai e latifondisti, che finirono col
portarlo in guerra, l’ultima delle quali rovinosa per l’Italia ancora oggi.
Hitler fu eletto democraticamente con l’aiuto tecnico-amministrativo
del partito Nazional-Socialista fondato da Tomas Masaryk nel 1887. Rilevò quel
partito con l’aiuto finanziario del banchiere von Schröder, agente dei
Rothschilds per la Germania, per poi liberarsene a rivoltellate la notte del 30
giugno 1934. Paradossalmente Hitler, dittator dei dittatori, rimane il prodotto
storico più notevole dell’idolo demo-liberal massonico.
Franco pervenne al potere con una vittoria
militare sugli attori del golpe che aveva diroccato la monarchia e instaurato
la repubblica liberal-massonica nel 1931. Era un militare, come Diaz. Non
riuscì a unificare il popolo attorno a sè, cosicché il suo retaggio finì per
concedere la vittoria finale alla Rivoluzione con la rimozione dei suoi resti
dal Valle de los Caídos nel 2021.
Ecco invece che Franklin Delano Roosevelt, eletto
democraticamente nel 1932 e rieletto per ben quattro “mandati popolari”, non
viene bollato come “dittatore”, nonostante le sue politiche guerrafondaie
catapultassero il popolo americano in una guerra che non voleva.
Ce ne è abbastanza per fare il punto: la dittatura
non è forma di governo come vuole il
pensiero debole; è un grado del
medesimo, che può autoconferirsi poteri tali da intrufolarsi in affari non suoi anche in regime democratico, come stiamo verificando sulla nostra
pelle.
Però una cosa è ricevere batoste e un’altra sapere
chi te le dà. E qui viene il bello: la dittatura democratica multiforme, proteica,
non permette di identificare il “dittatore”. E il popolo abbozza fino a lasciarsi
mettere agli arresti domiciliari del tutto antiscientifici.
Cosa sta crollando
Esistono due maniere di governare: nella prima, il
governo protegge il popolo dalle vessazioni dei poteri finanziario e
latifondista: nella seconda il governo, in combutta con gli stessi poteri,
opprime il popolo, che rincoglionito da una “educazione di Stato” non si
accorge né del danno né della beffa.
Per “governo” intendo le cinque inalienabili
funzioni di a) amministrazione della giustizia, b) emissione di un mezzo che permetta
di distribuire la ricchezza prodotta dal lavoro, c) mantenimento dell’ordine pubblico,
d) difesa da aggressione esterna e e) rappresentanza diplomatica presso altri
governi. Lo strumento di cui si serve il governo per questi fini è lo Stato,
entrato nella vita politica con Westphalia (1648) e prepotentemente assurto
alla sommità di essa fino a gestire la Rivoluzione, che iniziata in Francia nel
1789 finì per ipnotizzare il mondo intero con l’idolo oggetto di questo saggio:
la democrazia.
Chi è costei? A parte la battuta “democrasorella
di democrapapà”, nessuno può dirlo: una definizione univoca del termine non
c’è. Ma il termine lo ha coniato la repubblica liberal-massonica summenzionata,
che mostra una certa continuità dal 1789 ad oggi.
Una continuità, però, di orpelli che suonano più a
slogan/mantra che a realtà verificabili: Costituzione, elezioni
rappresentative, stato di diritto, divisione dei poteri, maggioranza,
uguaglianza, partitocrazia, istruzione obbligatoria e gratuita, ecc. Analizzando
a fondo si nota quanto Frédéric Bastiat (1801-1850) avesse fiutato giusto
quando scriveva: “Lo Stato è quella gran finzione attraverso la quale tutti si
sforzano per vivere a spese altrui”. Rifaceva quello che Agostino aveva
affermato secoli prima “Togli la giustizia, e che rimane dei regni se non
grandi bande di ladri”?[2].
Ne son passati di anni, ma in continuità con il succitato
si può affermare oggi che
-
Tutti gli
uomini politici mentono;
-
I più rubano
-
Alcuni
assassinano
-
Nessuno è
affidabile.
L’andazzo generale dell’assetto repubblicano
liberal-massonico fu magistralmente riassunto dal politico-filosofo spagnolo
Juan Vazquez de Mella (1861-1928): “Che incoerenza, che incoerenza! Erigono
troni ai principi e forche alle conseguenze”!
Chi penetrò fino al nucleo della questione fu Lord
Acton nel 1875, quando copriva la carica di Chief
Justice (capo della Corte Suprema) del Regno Unito: “La questione che si trascina da secoli, e
per la quale prima o poi bisognerà combattere, è quella del popolo contro le
banche”.
Come faceva a saperlo? La risposta vale un buon excursus.
Una
guerra sconosciuta
La famosissima affermazione di Amscher Meyer
Rothschild (1744-1812): “Datemi il controllo della moneta, e non m’importa di chi
fa le leggi” è oggi ben conosciuta, ma generalmente ritenuta come l’inizio dell’usurpazione bancaria di
emetter moneta a spese del potere politico. Qui mantengo che il buon A.M.R. non
facesse che riaffermare una verità secolare, la cui storia non si trova nei
libri di testo, ma che è possibile rappezzare anche se non ricostruire nei
dettagli.
Un mistero avvolge la storia monetaria
dell’Occidente. Marco Polo si era imbattuto nella moneta cartacea di Kublai
Khan a fine XIII secolo. Non era stato Kublai ad inventarla: la Cina la conosceva
da cinque secoli, per cui non monetizzò
mai metalli preziosi. Il mistero è: perchè ci vollero ben sei secoli perchè
questa possibilità fosse accettata in Occidente, e perchè con tanta riluttanza?
Silvio Gesell (1862-1930) dedicò un capitolo del suo Ordine Economico Naturale al problema, intitolato Perchè la moneta si può fare di carta. È
un testo magistrale, che parte dall’allora definizione del marco tedesco in
termini di un certo peso in oro per mostrarne l’assurdità e condurre, un passo
dopo l’altro, a quello che i governi di fine XIX secolo praticavano alla
chetichella, quasi vergognandosi di emettere moneta senza “riserva di valore”. Ancora
oggi le note della Banca di Inghilterra non dicono “Questo biglietto vale tot Pounds’, ma “questo biglietto promette di pagare tot Pounds (non dice
di che) alla presentazione”.
Si può solo speculare che quando Marco Polo
rientrò in patria, l’usurocrazia veneziana avesse intravisto il pericolo di
perdere potere con la cartamoneta, e che avesse cassato ogni tentativo di farlo
con i noti mezzi a sua disposizione.
L’inizio storico del conflitto banche-popolo può
datarsi con la fine della Guerra delle Rose in Inghilterra, nel 1485. Favorite
dalla nuova dinastia dei Tudor, le banche vi trovarono un temibile concorrente
nei tally sticks, cambiali di legno
emesse dai grandi centri di produzione come abbazie e manors, circolanti come mezzo di scambio tra il popolo, e accettate
dallo Scacchiere in pagamento di tasse.
Mossero loro guerra con intento preciso di
debellarle, ma ce ne volle. Solo nel 1836 il Parlamento mise i tallies fuori legge e sottomise il
potere regale di batter moneta all’istituto del credito imposto dalle banche e
sul quale ci soffermiamo sotto.
Qui entra in gioco la politica. La moneta cartacea
contante, anche se non suonante, garantisce libertà agli usuari. Codesta
libertà è invisa, e fortemente, tanto allo Stato moderno quanto alle banche,
che invece di sostenerlo si fanno sostenere da esso. Questa inimicizia, in odio
alle libertà personali, fa da motore di tutte le politiche che nel corso degli
ultimi due secoli hanno annientato il lavoro indipendente, le piccole imprese,
l’agricoltura di sussistenza, strappato alle famiglie i mezzi di produzione e
bolscevizzato questa con enormi imprese produttrici di cibo spazzatura, di mode
grottesche e di costruzioni disfunzionali.
E si è arrivati al capolinea con la guerra a viso
aperto al contante. La ragione più assurda è che la carta o plastica diffonde
il coronavirus. Potrebbe, se la si mangiasse. Ma il contagio personale è un
mito esploso con il conferimento del Nobel per la medicina al Dott. Charles
Nicolle nel 1928. Si tratta in realtà di una batosta ulteriore all’idolo
democratico, demolito coscientemente e sapientemente dai mirmidoni dei poteri
forti, O.N.U. in testa.
Il
cosiddetto credito non è che
stregoneria, che con incantesimi ben ideati e meglio gestiti irretisce miliardi
di persone a comportarsi del tutto irrazionalmente. Vediamolo.
Il denaro,
come ben sa chi ne ha bisogno, scarseggia. Il contante raccoglie
pulviscolo atmosferico nei sotterranei delle banche, le quali assegnano credito
non secondo i bisogni dell’economia reale (produzione e scambio), ma di fini
inconfessati e spesso inconfessabili che solo lo stregone (pardon, il
banchiere) conosce.
Chi quindi ha bisogno di mezzi di pagamento va da
una banca, ben condizionato a confondere il credito con il prestito.
C’è prestito, come dichiara qualsiasi dizionario,
quando chi presta si disfa di quello che presta per farlo usare ad un altro
temporaneamente, dietro un compenso pattuito.
Orbene, emettendo credito la banca non si disfa di
un bel nulla. Registra nei suoi computer il nome del richiedente e due cifre,
una sotto la voce “prestiti” e l’altra sotto “depositi”. Poi consegna al “prestatario”
un libretto di assegni con il quale lo autorizza a lanciare incantesimi su ogni
foglio, che misteriosamente riceve potere di acquisto per somme non eccedenti
quelle pattuite. Ma per questo permesso lo stregone richiede “interesse” su una
somma mai prestata. E non autorizza il malcapitato prestatario a stampare
“interesse”: questo lo deve estrarre da ricchezza reale prodotta da lavoro che
un ulteriore incantesimo chiama “collaterale”. Lo fa o lavorando di più, o distogliendolo
a un altro prestatario, o indebitandosi ulteriormente per pagare “interesse” su
un prestito che non c’è. Se dieci prestatari autorizzati ad emettere 100, si
compromettono a “restituire” 110, è matematicamente certo che uno di loro andrà
prima o poi in bancarotta.
Mentendo, il banchiere dichiara spudoratamente che
egli “presta il denaro dei depositanti”, cosa che non si sogna di fare ma
utilissima per obnubilare la mente di chi è condizionato a credere che “una
società moderna non può fare a meno delle banche” e che “sono degni di credito”
solo i guerrafondai, i proprietari di imprese mastodontiche, i grandi questo e
grandi quello, ma non gli artigiani, i piccoli imprenditori, le famiglie, gli
agricoltori di sussistenza, insomma le forze del lavoro vero, le sole che fanno
crescere la rendita del paese solo esistendo ma condannate ad una povertà
secolare per asfissia di denaro contante..
Quanto le banche, e gli stati, odiino gli uomini
liberi, si è visto con i decreti draconiani che in barba alle Costituzioni, ne
hanno conculcato articolo su articolo, impoverendo popolazioni intere e
terrorizzandole per farsi iniettare non si sa bene che intrugli, chiamati
vaccini ma che tali non sono, e causanti effetti noti solo a chi vuole a tutti
i costi “punturare” la gente per mangiarci (e lautamente) sopra.
Insieme al lavoro è sparito lo stato di diritto,
fantasma incapace di tener in riga partiti, parlamenti e altri orpelli
democratici; la divisione dei poteri, che elude i faticosi iter parlamentari con
decreti-lampo emessi dal governo, dall’esecutivo, o anche dal potere
giudiziario; un termine come “maggioranza” ha perduto ogni significato, così
come lo hanno perduto uguaglianza e vita privata (oggi inglesizzata a privacy); l’istruzione obbligatoria e gratuita
si è trasformata in lavaggio di Stato del cervello dei malcapitati che fanno da
cavie solo “andando a scuola”; la libertà di movimento, di insegnamento, di
associazione, di culto, insomma le “garanzie costituzionali” di una volta si
sono rivelate come gli specchietti per allodole che sono sempre stati.
È apparso, invece, il distanziamento sociale, che
il Dott. Vernon Coleman bolla, con tutta la fuffa, “presa in giro del secolo”. Sembra
di assistere al crollo della Baliverna di Buzzati nei termini geopolitici
profetizzati da Lord Acton. Chi vincerà?
I guerrafondai stringono i tempi, ma la crescente
consapevolezza del popolo sta cominciando a invertire la posizione dei piatti
della bilancia. Posso solo augurarmi che questo saggio faccia da leva di Archimede
per contribuire alla vittoria del popolo.
Silvano Borruso
27 maggio 2021
[1] Italianizzo il testo per chi ha difficoltà a
leggere il romanesco di Belli.
[2] De Civitate Dei, 4:4.