martedì 25 agosto 2020

DA SERVAGGIO A SOVRANITÀ

 


Serva Italia di dolore ostello

Le misure demenziali nonché liberticide imposte al popolo italiano, e che minacciano di protrarsi per  tutto l’anno di disgrazie 2020, sono il capolinea di un lungo viaggio del quale il più degli italiani sono al buio per essere stati non educati, ma formattati, da una scuola fatta apposta per anchilosare menti, volontà e cuori. Alcuni italiani, però, conservano elementi di Logos di una cultura bimillenaria, i quali potrebbero operare cambi significativi.

De Civitate Dei 4,4

Senza rispettare la giustizia, cosa sono gli Stati se non grandi bande di ladri? Perché anche le bande di briganti, che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre un gruppo di individui retto dal comando di un capo, vincolato da un patto sociale e che si divide il bottino secondo il convenuto. Se la banda malvagia aumenta con l'aggiungersi di uomini perversi tanto da possedere territori, stabilire residenze, occupare città, sottomettere popoli, assume più apertamente il nome di Stato accordato ormai in realtà non dalla diminuzione dell'ambizione di possedere ma da una maggiore impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: "La stessa che a te per infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta"

Chi ha la memoria lunga è in grado di chiedersi se siano proprio i governi da biasimare per le recenti misure, e se buttar fuori politici e intrallazzisti di tutte le leghe cambierebbe veramente qualcosa. Chi comanda veramente?

La leggerezza, facilità e noncuranza con cui un governo non eletto fa caso omesso della Costituzione, emette leggi draconiane e opprime anziché proteggere i suoi cittadini, prova senza ombra di dubbio che le tanto millantate istituzioni come “stato di diritto”, “democrazia”, “sovranità popolare”, et similia, non sono che flatus vocis privi di significato. Il verso di Dante che apre questo saggio la azzecca: servitù e dolore per gli italiani. Ma da quando?

Per non andare troppo a ritroso nel tempo, vivono ancora testimoni oculari della perdita di sovranità politico-militare.  Dal 1945, l’ambasciatore di Zio Sam, con il rispaldo di un buon centinaio di basi militari di occupazione, detta e i governi obbediscono.

La sovranità monetaria fu strappata all’Italia allo stesso tempo, con la Am-Lira di occupazione. Oggi ce l’ha la Banca Centrale Europea, con un Euro dotato di una contraddizione plurisecolare: riserva di valore e mezzo di scambio, che favorisce speculatori e usurai e penalizza le forze del lavoro, la spina dorsale dell’economia reale che crea ricchezza.

La sovranità economica, cioè il mondo del lavoro, è saldamente in mano alla criminalità organizzata, in ringraziamento per il servigio reso nel facilitare agli Alleati l’invasione del paese. Chi si straccia le vesti per lo “scandalo”, o “sconcio”, di uno Stato che si abbassa a negoziare con la Mafia, non capisce, o è stato addestrato a non capire, che lo Stato non ha scelta; il più debole deve sottomettersi al più forte. Ma nessuno si chiede perchè.

 Si tratta del tabù dei tabù. Il cittadino che si trova stretto tra la ganascia della Mafia, che commina ed eseguisce la pena capitale, e quella di uno Stato che al più lo mette al fresco per un certo tempo, non ha dubbi. Ecco il perchè di una generale mancanza di entusiasmo davanti a libri che espongono i fatti senza risalire alle cause. “La sovranità appartiene al popolo”, recita l’articolo 1 della Costituzione, con eclatante falso in atto pubblico.

Esiste una prova di tal servaggio? Esiste. Fu il diktat (senza quel nome, naturalmente) che i vincitori del conflitto imposero al governo De Gasperi nel 1947, a Parigi. A differenza del Trattato di Versailles del 1919, le cui clausole erano pubbliche, quelle di Parigi del 1947 rimangono segrete. Pochi italiani sanno della sua esistenza, e nessuno ne conosce i contenuti.

Marcia su Roma?

Supponiamo che milioni di italiani rispondano all’invito dei Gilet Arancioni del Generale Pappalardo di riunirsi a Rimini a settembre e marciare su Roma a ottobre per metter fine al disordine imperante. E supponiamo per di più che la loro proposta di far stampare dal Tesoro 700 miliardi di Lire Italiche da affiancare all’Euro abbia successo. Cosa avverrebbe?

Si ritornerebbe allo status quo in un tempo più o meno breve, ma si ritornerebbe. Per capirne il perchè, prestiamo attenzione alla natura di quei 700 miliardi. Essi soffrirebbero l’identico difetto di tutte le monete emesse dal tempo di Re Creso di Lidia (m.546 a.C.) ad oggi. Riserva di valore e mezzo di scambio continuerebbero a coabitarvi, permettendo a chi possiede il primo di imporre un tributo a chi ha bisogno del secondo. Quel tributo si chiama usura.

La sua esistenza ontologica è dovuta allo sbilancio tra domanda e offerta. Chi possiede riserva di valore indeperibile, può scegliere quando e come trasformarla in mezzo di scambio spendendola. Chi produce derrate deperibili, quella scelta non ce l’ha. Deve vendere, e se il compratore gli impone un tributo usurario, monetario o no, deve pagarlo.

La sua esistenza storica risale alla malaugurata decisione di Re Creso. Gli storiografi incastonati sono ciechi ai suoi effetti come guerre senza fine, la lotta di classe plurisecolare tra chi guadagna senza lavorare a spese di chi lavora senza guadagnare, lo smantellamento della Cristianità, il furto dei mezzi di produzione alle famiglie, la distruzione delle monarchie, la Rivoluzione, e tant’altro. Marx la occulta del tutto, inventandosi di sana pianta la lotta, tanto fittizia quanto scellerata, tra “padroni” e “lavoratori”. Ci si può liberare dall’usura?

Senza capirla, evidentemente no. Si paga il tributo usurario secondariamente ai prestiti, ma primariamente agli scambi. Lo si paga come disoccupazione, obsolescenza pianificata, contante “risparmiato” che non circola, acquisti obbligatori di materiale impacchettato non sfuso, bolscevizzazione dei mercati, e tant’altro che sarebbe noioso elencare.

Non ultimo, ancora mal capito, è l’inciucio strombazzato come Covid 19. Cos’è successo?

Non ci vuole una memoria lunga per ricordarsi di quel che avvenne nel 2008: gli effetti dell’interesse composto anima dell’usura, fecero scoppiare l’immensa bolla di credito, cresciuta molto oltre le capacità dell’economia di produzione di assorbirla. Il rimedio fu una serie di cerotti, che ritardarono, senza fermarlo, un secondo, finale, scoppio.

Ricordiamo il passato per capire. Ogni guerra combattuta da Waterloo in poi non fu se non una distruzione pianificata di ricchezza per impedire che scoppiassero bolle finanziarie. La distruzione di benessere economico permetteva di ricominciare da capo con il credito, il che avvenne puntualmente fino alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Ebbene, la bolla era lí lí per scoppiare definitivamente a novembre 2019. Ci voleva una guerra, ma i giovani di oggi mancano sia di ideali sia di addestramento fisico per combattere alcunchè. Per cui bisognava colpire, azzoppare, rovinare l’economia di produzione come foglia di fico che occultasse, senza farli scoppiare di inflazione da capogiro, i trilioni e quadrilioni di cifre senza significato che l’usura aveva fatto accumulare nei registri bancari dal 2008. Per farlo, però, si doveva indurre la popolazione a vivere nel terrore di una guerra, il che si è fatto, magistralmente bisogna ammetterlo, con il coglionavirus 19. Ci vuole altro per liberarsi del cancro che rode la vecchia Cristianità (oggi ridotta a miserabile “Occidente”) a partire dalla rivolta dei Ciompi di Firenze del 1378.

Evochiamo quindi lo spettro di Silvio Gesell (1862-1930). È dal 1906 che va ripetendo: Non emettete 700 miliardi se avete bisogno di mezzo di scambio per quella somma. Emettetene dieci, ma fateli circolare 70 volte, che è lo stesso. O anche due, che circolando 400 volte, metterebbe a disposizione degli italiani ben 800 miliardi. Non è utopia. È storia.

Nel luglio del 1932, quando Mussolini era all’apice del potere, un esperimento monetario faceva scalpore oltr’Alpe. Il municipio di Wörgl, cittadina del Tirolo austriaco di 4mila abitanti, stampava buoni-lavoro per sopperire alla scarsezza di liquido e conseguente disoccupazione dovute alla sottrazione deliberata di contante da parte delle banche. I buoni, quotati alla pari con lo scellino ufficiale, pagavano un’imposta di tesoreggiamento dell’1% mensile, registrata sul biglietto obliterando una delle dodici caselle ivi stampate. Dopo un anno si cambiava il biglietto usato con uno nuovo, fornito dal municipio, il quale accettava i buoni in concetto di tasse. I buoni circolavano, come fa il sangue che parte dal cuore per ritornarvi.

Dopo 14 mesi, la Banca Centrale austriaca cassò l’esperimento. Ritornarono la disoccupazione e la fame. Ma i risultati, ancora oggi visionabili in Rete, parlano da soli: una misera emissione di 5300 scellini, circolando 450 volte per una somma di 2,5 milioni, fece rivivere l’economia locale, costruì un ponte sul fiume Inn (ancora in funzione), rinnovò fognature, strade, e costruì perfino un trampolino da sci.

Non mi è dato sapere se gli usurai consiglieri del Duce lo informassero dell’assunto. Ad applicarne il metodo ai 45 milioni di italiani di allora, la storia avrebbe preso un corso diverso. Quale, che il lettore faccia sbizzarrire l’immaginazione.

Una Lira Italica, proposta dai Gilet Arancioni ma privata della funzione di riserva di valore, favorirebbe le forze del lavoro, sferrando un colpo durissimo, se non mortale, allo strapotere bancario. La disponibilità illimitata di mezzo di scambio, dovuta esclusivamente alla velocità di circolazione e non alla sua quantità, renderebbe inutile il credito truffaldino mascherato come “prestito”. A nessuno converrebbe trattenere più contante del necessario per spese mensili. Per quelle straordinarie vedi infra.  Né la speculazione né la Grande Usura sarebbero più in grado di imporre tributo a chicchessia. Chi volesse ancora vivere di interesse, Borsa e manipolazioni finanziarie, potrebbe farlo con l’Euro.

 Potrebbe la Lira Italica a circolazione forzata e libera da usura restituire al paese le tre sovranità perdute? Vediamolo.

Non conosco i contenuti del diktat di Parigi, ma non è difficile indovinare che proibissero all’Italia di emettere moneta propria, e che la decisione di Aldo Moro e Giovanni Leone di emettere il pezzo di Stato da 500 lire non sia stata estranea a quel che avvenne.

Ma sorvoliamo. Il diktat non si pronuncia su circolazione forzata. Per cui la misera somma di dieci, o anche di due, miliardi non indurrebbe Zio Sam a reagire. La Lira Italica, inconvertibile e circolante solo all’interno, non intaccherebbe le prerogative dell’Euro, cosicché anche la BCE lascerebbe gli italiani in pace. La sovranità monetaria ritornerebbe.

La Lira Italica, sostenuta dall’autorità politica, avrebbe il salutare effetto di rendere inutile l’interesse, “principio” pragmatico ed iniquo che concede al denaro, sterile per natura, una fecondità artificiale, e del quale non sembrano essere al tanto neanche economisti di grido[1].

E la sovranità economica? Il mafioso che domandasse “il pizzo”, non troverebbe somme ingenti in nessun esercizio, dato che non converrebbe a nessuno “risparmiare” chez soi. A voler tesoreggiare Lire Italiche in eccesso ai propri bisogni, si vedrebbe il gruzzolo diminuire inesorabilmente. In 100 mesi (otto anni e quattro mesi), esso sparirebbe del tutto[2].

“Ma come risparmiare?”, si chiedono i patiti di codesta pratica. Niente paura. Si risparmierebbe anche più di prima, ma non nel forziere o sotto il proverbiale materasso. Si risparmierebbe nella banca di Stato (unitario o federale), in una “nuvola” monetaria dalla quale chiunque, incluso lo Stato, preleverebbe il necessario per qualunque spesa. Tale banca farebbe quello che le banche private dicono di fare ma non fanno: prestare denaro che hanno invece di crearlo dal nulla e chiedere un interesse per giunta.

La Banca di Stato agirebbe come il cuore dell’economia di produzione, ricevendo ed emettendo contante a getto continuo, aumentandolo o diminuendolo secondo che i prezzi scendano o salgano. Il solo compito del Tesoro sarebbe di mantenere i prezzi stabili. Chi voglia divertirsi con la speculazione avrebbe sempre l’Euro.  Depositando lire italiche nella Banca di Stato, le ricevute garantirebbero a chiunque di prelevare il necessario in qualunque momento.

Solo una tale Banca dei Stato potrebbe far rivivere l’economia di produzione interrotta dalla falsa pandemia. Comincerebbe attraendo i titolari di conti correnti in banche private creando per loro il diritto di prelevare Lire Italiche corrispondenti agli euro depositati in quei conti, prima che questi vengano confiscati dal sistema (Cipro docet). Compenserebbe nella stessa maniera gli operatori economici messi fuori combattimento dallo stesso sistema. 

E non solo. Il furto, la corruzione, la contraffazione, sarebbero economicamente inviabili. Gli esempi che seguono, non esaurienti, danno un’idea delle potenzialità della Lira Italica a circolazione forzata.

Il nuovo ponte di Genova, appena finito, è costato 200 milioni di euro in 14 mesi di lavoro. A quanto ammonti l’usura pagata per quei 200 milioni non importa tanto. Il dato importante è che solo 500mila Lire Italiche a circolazione forzata, libere da usura, lo avrebbero costruito nello stesso tempo circolando 400 volte, meno delle 450 degli scellini di Wörgl del 1932-33. Lo stesso vale per qualunque struttura produttiva, pubblica o privata, verso le quali sarebbe naturale emettere l’eccesso richiesto dalla crescita naturale dell’economia.

La Lira Italica garantirebbe piena occupazione, pagando qualunque lavoro, anche precario, in contanti e alla consegna, senza remore burocratiche o altro. Ciò vale anche per gli immigrati.

Tutte le linee ferroviarie intra-italiane potrebbero godere di alta velocità, non solo le internazionali[3]. La Circumetnea di Catania, come altre di interesse spiccatamente turistico, potrebbero offrire trazione a vapore e uniformi d’epoca per attirare i turisti patiti di quella tecnologia.

Unire la Penisola alla Sicilia non richiederebbe un ponte, ma un più semplice tunnel sommerso come nel Kattegat, invisibile, che collegasse le due sponde non tra i punti “più vicini”, ma più convenienti,  come dalla tangente calabra alla stazione ferroviaria di Messina. Le auto transiterebbero lo Stretto in treno, arrivando a punti utili di sbarco in tempo utile.  

La Lira Italica ha tutta la potenzialità di rimboschire il territorio, deturpato da un dissennato disboscamento che lo priva da secoli della coltre verde che attira la pioggia.

La pendenza di fiumi e fiumiciattoli con abbondante volume d’acqua è in grado di generare tutta l’energia elettrica necessaria al paese senza bisogno di dighe tanto imponenti quanto inutili. Il vortice di Schauberger (1885-1958) sarebbe più che sufficiente. 

Le isole senza acqua potabile avrebbero ciascuna il suo impianto di desalinizzazione, rendendole così abitabili permanentemente.

La stessa Lira è in grado di migliorare la salute degli italiani (a prescindere dalla bufala del coronavirus) producendo concimi organici come servizio pubblico e finendola una volta per tutte di avvelenare i suoli agricoli con fertilizzanti e pesticidi che deprimono la resistenza immunitaria degli italiani.

Il limite superiore al da fare verrà determinato dalla mancanza di manodopera, non dal tradizionale “non ci sono soldi”.

Ritornerebbe la dottrina del giusto prezzo e del salario equo, cioé famigliare. Il lavoro verrebbe retribuito proporzionalmente ai bisogni e non all’abbondanza o scarsezza delle prestazioni. “Stipendi da capogiro” potrebbero percepirsi, ma non tesoreggiarsi, pena il deprezzamento per mancata spesa. In banca, quei soldi sarebbero disponibili a chiunque ne avesse bisogno, a interesse 0% naturalmente.

Le madri verrebbero  generosamente retribuite per il necessario e duro lavoro domestico e rendendo l’aborto inviabile; si costruirebbero strutture che l’usura non permette: strade urbane a doppio livello, con traffico sul ponte superiore e parcheggio in quello inferiore;  ritornerebbe la bellezza e la durabilità, senza obsolescenza programmata e impacchettamento costoso e innecessario; eccetera.

L’avvento inaspettato dello spauracchio camuffato da emergenza sanitaria sta spingendo il popolo italiano verso l’unità più di quanto fecero Risorgimento, fascismo e democrazia messi insieme. Ma una unità basata su una comune ostilità non dura. Ci vuole ben altro. Auguro ai Gilet Arancioni il successo che meritano..

Silvano  Borruso

21 maggio 2020

Riveduto e aggiornato 19 agosto 2020

 

 



[1] Dante mette usurai e sodomiti nella stessa bolgia, i primi per rendere fecondo il denaro e i secondi per rendere sterile l’atto sessuale.

[2] Microsoft di Bill Gates si vanta di tesoreggiare ben 56 miliardi di dollari in contante “per far fronte ad un anno di zero vendite”. Una tassa di magazzinaggio del 12% annuale costerebbe loro 18,6 milioni giornalieri.  

[3] 60mila chilometri di linee cinesi, riducendo i tempi di viaggio, promuovono unità politica, non utile finanziario.