Non sono leghista.
Meglio, non lo sono più, da quando mi sono accorto che la Lega voleva diventare la
“balena verde” per sostituire la moribonda “balena bianca”, moribonda sì e non
rimpianta. A dir la verità la “balena bianca” si è trasformata poi in PD, ma
questo è un altro discorso.
Mi è sempre
rimasta una pessima caratteristica, che in politica è peggio di un omicidio:
dire la verità, dire quello che credo sia la verità, e cercare di esservi
coerente. Tanto è vero che fui silurato dalla nascente classe politica
emergente nella Lega, furbescamente prona al sistema, ossequiente ai voleri dei
poteri forti. Nulla di nuovo sotto il sole, e non cambierei una virgola di
quello che ho fatto. Ed è proprio in virtù di questa mania di dire quello in
cui credo, alla faccia di tutti, che oggi vorrei mettere in luce la differenza
che i pennivendoli, cioè quasi tutti i giornalisti, usano nei confronti del
leader della Lega, Salvini, ed il capo di uno stato estero, il Vaticano, che ha
preso astutamente il soprannome di Francesco.
I giornalisti –
linguetta (come aveva ragione Missiroli: “piuttosto che lavorare, meglio fare
il giornalista”!) accusano il “Lumbard” di parlare alla pancia della gente. I
partitocratrici componenti della casta non perdono occasione di ripeterlo,
soprattutto se in televisione, con facce adeguatamente sdegnate. Recitano male,
i partitocratrici, ma è il meglio che sanno fare. I più temerari si
arrischiarono in aggettivazioni che ai loro occhi sono squalificanti: Xenofobo!
Razzista! Addirittura bestemmiano un “Nazista”, probabilmente senza sapere di
cosa parlano se non per film, documentari resistenziali, propaganda ultra decennale.
Parla alla pancia
della gente, dicono, per ottenere aumenti di punti percentuali di gradimento,
sfrutta la paura del diverso, del nero, del maomettano….
In parte credo sia
vero: al Salvini è stato offerto su un piatto d’argento uno slogan vincente per
la campagna elettorale, che ha steso una nebbia fumogena sulla quasi totale
assenza di progettualità politica, di programmi attuabili.
Parla alla pancia
della gente! Credo sia vero. Però lo fanno tutti, se guardate con occhi
scettici e civilmente cinici.
Soprattutto lo fa
il Francesco, nella sua furia ecumenica di predicazione. Che è una cortina
fumogena uguale a quella di cui sopra. Il capoccia del Vaticano è andato negli
SUA, a visitare Obama, l’inutile ONU (ormai sostituito dalla bellica Nato), e
un po’ di minoranze di diverso tipo, qua e là. Si chiama marketing.
E mica si è fatto
scappare la ghiotta occasione: utilizzando la cascata di trasmissioni
televisive, di servizi speciali, di interviste che hanno invaso teleschermi,
decine di pagine sui quotidiani, corredate da foto adeguate, ha ululato la sua
solita tirititera: “Basta guerre! Basta
violenza! Basta commercio delle armi! Accettate lo straniero (ma non in
Vaticano n. d. r.). Misericordia come
regola sociale, di vita, di politica, di istituzioni!”.
Ora vorrei essere
chiaro: la Storia,
quella vera, dell’Uomo è in sostanza la Storia delle sue Guerre. Da quando ne abbiamo
documentazione, dai Sumeri in poi (ma anche prima!), l’essere umano ha
combattuto, ha fatto guerre, si è imposto con la forza.
Ora, domanda: se è
sempre stato così, è verosimile e civile prevedere che sarà così anche in
futuro, o è logico, razionale, pensare e credere che le cose cambino? Certo
sarebbe bello ed educato illudersi la nascita di una Arcadia tutta rose e
fiori, soffusa di azzurro e sorrisi. Neppure nei romanzi di fantascienza,
neppure nei sogni di romantici fanciulle, neppure nelle fiabe da raccontarsi a
veglia la sera per fare addormentare i bimbi.
Predicare
l’impossibile è peggio che parlare alla reale pancia della gente: è ipocrisia
cosciente, è propaganda mistificatoria,
è falsità voluta che sollecita le paure e il desiderio di pace di
ciascuno. E’ - fuori dai denti- un crimine storico e sociale. Peggio degli
altri crimini perché ammantato di religione, con un megafono umano di bianco
vestito.
Vergogna!
La pancia di
Salvini almeno esiste e ci si può confrontare.
Domenica 27
settembre 2015.
Fabrizio Belloni