Un altro suicidio per “crisi”. Dal sito de “La Stampa”: imprenditore fiorentino chiama 113 e poi si spara
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Pubblicato da Roberto Di Napoli su 20 gennaio 2014
Ormai non si contano più. Ricordo che, tre - quattro anni fa, si rimaneva colpiti nel leggere il numero di imprenditori che, in Grecia, si suicidavano. In Italia temo che, ormai, un evento così tragico, la disperazione massima di cui può essere vittima una persona, non sia più una notizia; ancora più triste è solo il pensare che le Istituzioni non facciano di tutto per fermare ed impedire eventi simili. Dalla lettura dell’articolo -la notizia è stata riportata da vari giornali- in questo caso, non sono riuscito a capire quali sarebbero state le responsabilità delle banche. Penso, però, anche a quanti imprenditori sono vittime di pretese assurde che, all’esito dei lunghi giudizi, si rivelano, spesso, ingiuste e non dovute. Nel frattempo -è già accaduto troppe volte- la banca, munita, magari, di un titolo esecutivo agevolmente concesso o ingiustamente non sospeso, tenta di ottenere la vendita dell’azienda, del “capannone” industriale e, perfino, della casa costruita o comprata con i sacrifici di una vita. Come si deve sentire un imprenditore, un cittadino onesto, magari con una famiglia, che è stato depredato dei suoi risparmi o che sa che non deve pagare le somme così come quantificate dalla banca e che, ciononostante, ha paura che l’indomani bussi l’ufficiale giudiziario per lo sfratto o un altro creditore o che non sa come pagare i lavoratori e far mangiare le loro famiglie? E’ questo quello che accade spesso e che i giornali o, in genere, i media tradizionali (nei cui consigli di amministrazione non è raro trovare qualche banchiere) ignorano o, forse, volutamente tacciono. Ho la sensazione che, quando si riporta la notizia di un suicidio di un imprenditore, si faccia capire sempre che si tratti di un povero disperato, uno sfortunato, la cui impresa è andata male e le banche non gli abbiano dato più credito. No, il problema non è sempre quello del “credito negato”, bensì, quello delle pretese illecitamente vantate. Nel caso dell’imprenditore fiorentino, da quanto riportato dagli organi di stampa, non si capisce bene quale sarebbe stata la responsabilità delle banche citate, a quanto pare, in un biglietto. So bene che la perdita di una persona non è risarcibile nè la punizione dei colpevoli conforterebbe i poveri parenti. Spero, però, che si faccia la massima chiarezza e si indaghi se davvero ci possa essere qualcuno che abbia istigato al suicidio. Conosco la storia un imprenditore che, anni fa, si suicidò sentendosi pressato dalle banche che, invece, all’esito di una consulenza contabile, si è rivelato essere debitrici piuttosto che creditrici. Credo che fin quando il governo, i politici non agiscono efficacemente per evitare ulteriori tragedie, non possono che ritenersi responsabili quantomeno moralmente “per omissione” per non abrogare, ad esempio, norme che consentono alle banche di chiedere decreti ingiuntivi sulla base di dichiarazioni unilaterali quasi mai confermate -quando l’utente si oppone- all’esito dei giudizi, oppure, che, di fatto, ad alcune condizioni, legittimano l’anatocismo. Una cosa dovrebbe essere certa: se un Paese dimentica la “sacralità” della persona umana costringendola alla rinuncia alla vita o alla salute, è un Paese incivile e vergognoso. Spero che chi ha il potere di cambiare le leggi o di applicarle, non dorma la notte pensando a queste vite distrutte!