Il mercato
Come mai il XX secolo vide nascita e
convergenza di avanguardie rivoluzionarie
nella creazione, in cultura come in politica.
Coincidenze storiche non casuali, certamente
non determinate dalla evoluzione tecnica.
All’alba del secolo Ezra Pound scelse il
“mestiere” di poeta, cui impose metodo e
disciplina coordinati dalla consuetudine di
spirito e di orecchio nella familiarità delle
tecniche anche antiche. Strumento
ottimamente usato, facilitato dalla
frequentazione, apparentemente casuale, del
giacimento di studi sinologici di Ernest
Fenollosa. La straordinaria disinvoltura
nell’uso della costruzione e del ritmo poetico
non aiutarono Pound a conquistare i travet
delle università, i mestieranti delle accademie,
i “mancati creatori” costituenti i plotoni
pettegoli della critica: folgorati comunque,
furono tutti sopraffatti dalla più banale invidia
per la naturalezza poundiana nel catturare
suoni antichi e ritmi impossibili, trasformati in
nuovissimi ritmi e suoni impossibili. Il “bel
verso” fulminato da Pound con voluta
incostanza creò delusione negli addetti ai
lavori, i quali sentenziarono ferocemente che
esso era stato trascurato per cervellotici
propositi, tacciata da “idiozie”.
In tal modo il lettore, dilettante o curioso,
preparato o casuale, fu artatamente allontanato
dal “Miglior Fabbro” malgrado a Pound
fossero riconoscenti, per magistrale superiore
capacità, gli altri più validi creatori
contemporanei.
Non solo, ma americano in Europa, e, quindi,
condizionato dalla superficialità scolastica
della terra d’origine soprattutto per
l’educazione umanistica, non fu tollerato da
altri critici, vestali della storia filologica, che
stroncarono aprioristicamente i non comuni
studi comparativi, condotti in una autonoma
ricerca, sulle radici della poetica italica, cioè
su Guido Cavalcanti e Dante Alighieri.
L’intolleranza preconcetta superò ogni limite
con l’addebito a Pound di aver poi infarcito la
maggiore creazione poetica “in progress”, i
Cantos, di innesti di citazioni, di riferimenti