MENO MANZONI, PIU’ ISLAM
Lettera aperta al Ministro della Pubblica Istruzione Sig.ra Russo Jervolino
Articolo pubblicato nella rivista Studi Cattolici n.386, giugno 1993
Note a piè di pagina giugno 2001
Signor Ministro,
quando ho letto che Lei aveva decretato che nelle scuole italiane si
dovesse studiare “meno Manzoni e più Islam”, ne ho positivamente gioito, dato
che da lungo tempo sono dell’opinione che occorra ampliare gli orizzonti
culturali italiani. E se c’è un’area in cui ciò è urgente penso sia proprio
l’Islam.
Ho paura però che i
burocrati del Suo ministero, attenendosi scrupolosamente alla Sue direttive, si
contentino di sostituire un certo numero di versi del nostro don Alessandro con
uno equivalente, diciamo, di Omar Khayyam.
Sarebbe come dare un tocco
cosmetico alla foglia di fico sotto la quale si nascondono realtà di tutt’altro
genere che, una volta scoperte, riducono la storia della Monaca di Monza - che
tanto scandalizzava Don Bosco (!) - al rango di telenovela.
Se permette dei suggerimenti
da parte di chi tra questa gente ha vissuto per più di trent’anni, comincerei
con l’illuminare gli studenti italiani sull’ammirevole logica islamica, da
studiare evidentemente in sede filosofica e non letteraria. Sarebbe come “meno
Aristotele e più Islam”.
Nel Kenya vivono un mezzo
milione di musulmani, che su un totale di 25 milioni costituiscono circa il 2%
della popolazione. Ebbene, costoro affermano instancabilmente di essere il 25%,
cioè dodici volte e mezzo di quel che dicono i numeri. Come fanno?
Semplicemente passando dalla categoria territorio alla categoria popolazione
con una disinvoltura degna del Barone di Münchhausen: Viviamo nel 25%
del territorio, ergo siamo il 25% della popolazione. E il censimento?
Oh, quello lo si addomestica forzando il governo e eliminare la voce
“religione” dal modulo, proprio come è avvenuto nel 1989.
L’acrobazia mentale da una
categoria all’altra Lei potrebbe costatarla di persona all’aeroporto di Jeddah,
se mai un giorno si recasse nell’Arabia Saudita. Non pensi neppure di portar
con sé una bottiglietta di alcool denaturato: se i doganieri glie la scoprono,
la frantumano al suolo senza pensarci due volte. Che l’alcool sia per uso
esterno e non da bere, non importa: è anti-islamico e basta. E non Le ripeto
gli epiteti usati dal mio amico Domenico S. a cui ciò accadde davvero.
Potrei dilungarmi ad
nauseam, ma non lo faccio per roba così poco importante.
In Attesa del Gran Giorno
Passo invece alla
cosmovisione islamica, molto più importante e avvincente. Nell’ipotesi che Lei
un giorno si trovi in quella che un giorno fu l’Arabia Felix, lasci pure
la patente di guida a casa: in quel paese una donna al volante commette reato.
E se un saudita La citasse in giudizio, si ricordi di portare con sé un’altra
donna: ce ne vogliono due per equivalere la testimonianza di un uomo. “Le tue
donne sono per te il tuo orto”, dice la seconda Sura del Corano; “Vieni
a godere del tuo orto quando ti pare”. Non crede Lei che le femministe in erba
delle nostre scuole non debbano più a lungo rimanere ignoranti di questa
citazione?[1]
Immagino, signor Ministro,
che Lei vada a Messa la domenica, ma in Arabia Saudita non ci tenti neppure:
celebrare la Messa è reato, anche in privato. Il sacerdote che osasse farlo
sarebbe deportato la sera stessa. Che poi lavorino nell’Arabia Saudita circa
mezzo milione di cattolici non importa: gli infedeli non hanno diritti, meno di
tutti quello di commettere il peccato di idolatria sul suolo santificato dalle
orme del Profeta (che la pace sia con lui).
E il venerdì, se non
avesse di meglio da fare, potrebbe visitare il bazaar di Jeddah, dove al grido
unanime di “Allah akbar” Lei vedrebbe saltare teste di decapitati, mani
mozzate, e scorrere il sangue a fiotti dalle schiene dei fustigati per
ubriachezza. A esservi stata nel gennaio del 1978, in quel bazaar, Lei avrebbe
“goduto” di presenziare all’esecuzione capitale nientemeno che della
principessa reale Misha, fucilata davanti al marito, e costui decapitato
immediatamente dopo. Il reato? La famiglia reale non aveva approvato il
matrimonio di una principessa con un borghese. La povera Misha forse non sapeva
(o forse sì, non ho modo di accertarlo), in vita, di essere stata preceduta
dalle vittime della ferrea “legge del fratricidio” secondo la quale i sultani ottomani,
immediatamente dopo la loro elezione, si sbarazzavano di tutti i
fratelli maschi figli delle varie concubine dell’harem imperiale. Il carnefice
li raggiungeva dovunque fossero e li strangolava senza complimenti con un arco
dalla corda di seta.
Sarebbe bene che lo
studente italiano conoscesse la cultura islamica perché è parte di essa che un
bel giorno, “Il Gran Giorno”, il giorno che coronerà il trionfo dell’Islam
tutti noi, da cafri infedeli, verremo fatti morire tra le torture più
atroci. A meno, naturalmente, di non esserci guadagnati le “simpatie” di alcuni
di loro. Ecco infatti che cosa diceva un giardiniere musulmano alla sua datrice
di lavoro, una signora francese della Costa Azzurra che lo aveva trattato così
bene da attrarsene le “simpatie”: “Quando verrà il Gran Giorno io non ti
torturerò; ti taglierò la gola senza farti soffrire.”[2]
E non ho mostrato che la
punta dell’iceberg. Converrà con me che queste informazioncine darebbero a
conoscere l’Islam più della quartine scelte del Rubayiat di Omar
Khayyam. Io proporrei di insegnarle nell’ora di religione, scommettendo che
riuscirebbero ad attrarre il 100% degli studenti anche se questa non fosse
obbligatoria.
Le eccezioni di Maometto
E’ nella sua storia, però,
dove l’Islam ridurrebbe al rango di raccolta di pie favole quello che passa per
“storia” nelle scuole italiane.
Cominciamo con Maometto il
suo fondatore. Parassita del lavoro altrui da quando sposò la ricca vedova
Khadija, fu ridotto alla miseria dalla morte di costei, e non trovò maniera
migliore di rifarsi un capitale che quella di razziare carovane durante il mese
di Ramadhan, già sacro nell’Arabia pre-islamica e durante il quale le razzie
erano convenzionalmente proibite. Da allora in poi tutta una serie di successi manu
militari lo confermarono come capo del nuovo movimento, risultato di un
sincretismo analfabeta tra il giudaismo talmudista e un cristianesimo apocrifo
ed eretico. “Ero ammalato e non veniste a visitarmi, disse Dio a Mosè”: questo
gioiello lo si può leggere oggi nei foglietti che costoro distribuiscono
per accattivarsi le simpatie cristiane.
“Sedusse la gente con
promesse di piaceri carnali”, nota San Tommaso d’Aquino nella Summa Contra
Gentes, “e non è da sorprendersi che lo seguissero uomini brutali e nomadi
del deserto, completamente ignoranti di ogni insegnamento divino, e con i quali
Maometto forzò altri a seguirlo con la forza delle armi (I, 6, 4). Guadagnerei
a scommettere che questa citazione è sconosciuta al 100% degli studenti
italiani e a un 99% dei loro maestri? E sanno, questi scolari italiani “come
storpiato è Macometto” nella Commedia?
Tra le gambe pendevan le
minugia;
la corata pareva, e ‘l tristo
sacco
che merda fa di quel che si
trangugia
(Inf. 28,25).
Lo sanno però i nostri fratelli
islamici, che bisogna pur comprendere e perdonare, ma che nel frattempo hanno
già promesso di far saltare in aria la tomba di Dante, e si può star sicuri che
per lo meno lo tenteranno.[3]
La legge di Maometto
ammette fino a quattro mogli; ma non per lui, il fondatore, che ne ebbe nove[4] e
che morì con la testa che scoppiava di emicrania nel grembo della favorita,
Aisha, della quale era così geloso da farla velare (ecco l’origine del chador).
I quattro califfi,
successori del Profeta fino al colpo di stato di Muawiya, morirono tutti
assassinati; e da lì in poi è tutta una storia di guerre, di massacri, di
distruzioni vandaliche (come quella di Edessa nel 1144, che il nostro mondo
post-cristiano non ricorda, figuriamoci poi se la rimpiange), e anche, perchè
non ammetterlo, di letteratura, filosofia, architettura, matematica, ingegneria
e urbanistica che completano la complessità del quadro.
Ma la storia continua:
domenica 9 luglio 1989 un musulmano abbattè con un solo colpo al cuore
l’arcivescovo di Mogadiscio Mons. Salvatore Colombo, che aveva conosciuto solo
poche ore prima; la giustizia somala non lo ha mai raggiunto, e non parliamo
dell’interesse mostrato dal governo italiano.
E buon per Mons.Colombo
che non sia stata una turba ad aggredirlo, come quella che nel 1480 mise le
mani su Mons Stefano Pendinelli vescovo di Otranto, e lo segò in due.
Quindi, signor Ministro,
siamo d’accordo: meno Manzoni e più Islam, e per soprammercato diciamo meno
storielle e più verità. Ma dove fermarsi? I nostri scolari, male istruiti, non
sanno che i successi politici, militari, tecnologici, amministrativi,
finanziari, ecc. islamici, furono dovuti in maniera preponderante a rinnegati
cristiani di tutte le nazioni.
Collaborazionisti cristiani
Cominciamo con Eufemio da
Messina, che consegnò la Sicilia agli Aglabiti, venendone ricompensato con la
dedica di Calatafimi (Castello Eufemio, degno precedente della moschea di Monte
Antenne); nel secolo seguente, ecco Jawahar Al Siqilli (il Siciliano),
fondatore di Città del Cairo, che compie quest’anno il 1050o
anniversario[5] (lo hanno ricordato i
francobolli italiani?); re Giovanni d’Inghilterra (sì, proprio quello della Magna
Charta), che pensava di farsi musulmano per sottrarsi alla giurisdizione di
Innocenzo III. Che ne sarebbe di quella nazione, per non dire dell’Europa, se
lo avesse fatto?; “lo secondo Federico”, come lo chiama Dante, che da musulmano
viveva, con ben due harem, in barba al Papa e alle scomuniche; i maestri
d’ascia genovesi che insegnarono ai turchi, tradizionalmente caprai, a
costruire galere da guerra con le quali attaccare la cristianità; Urbano il
valacco di Adrianopoli, che fuse per Maometto II il mostruoso basilisco usato
all’assedio di Costantinopoli nel 1453; Francesco I re di Francia, che permise
a Khair-ed-din Barbarossa, il rinnegato greco ammiraglio della flotta ottomana,
di proibire il tocco delle campane di Tolone dove la flotta svernava
all’ancora; il fiammingo Simon Danser, che insegnò loro l’uso della vela, al
quale non erano arrivati da soli in tre secoli; il calabrese Luca Galeni, ex
frate domenicano, che forse neanche Lei sospetta esser stato lo stesso Ulug Ali
comandante l’ala sinistra della flotta ottomana a Lepanto; il croata Piali
Pasha, comandante delle forze di mare contro i cavalieri di San Giovanni durante
il Grande Assedio di Malta nel 1565 (a proposito: perchè i programmi
ministeriali italiani hanno sempre omesso il Grande Assedio?); e, per non
dilungarmi troppo, finisco con il britannico Abdullah Philby, passato alle file
dell’Islam negli anni Trenta e degno padre del figlio Kim, passato all’Unione
Sovietica dopo aver tradito il suo Paese nel 1963.
Ripeto che non scherzo
nell’affermare che questo genere di informazioni farebbe del bene enorme alla
salute intellettuale della gioventù italiana, aiutandola a uscire dal buco in
cui l’ha sprofondata un’educazione di Stato povera e livellante. Finisco con
l’augurarLe, Signor Ministro, di essere l’antesignana di un rinascimento
culturale che faccia risalire i nostri giovani
ai livelli che meritano, e che una politica miope e asservita a ideologie
dissolventi ha loro negato per troppo tempo.
Silvano Borruso
[1] E’ del gennaio 2001 la notizia che una giovane
nigeriana, incinta per stupro, ricevette 100 sferzate. Il colpevole non fu
neanche ricercato.
[2] Non è molto che otto religiosi cattolici di un
convento algerino fecero proprio quella fine. E’ possibile che sia stata loro
risparmiata la tortura per essersi accattivati le “simpatie” dei locali.
[3] Al tempo della stesura non ero al corrente della
donazione che il Cardinale Pappalardo aveva fatto di una chiesa (sconsacrata?)
di Palermo agli immigrati islamici per convertirla in moschea. Secondo il
prelato, evidentemente si trattave di grandi valori come
Fratellanza/Distensione/Dialogo/Ecumenismo e chi più ne ha più ne metta. Non
secondo i giornali tunisini, che il giorno dopo gongolavano: “Vittoria
dell’Islam sul cristianesimo. Cardinale di Palermo costretto a cedere una
chiesa”.
[4] Secondo altre fonti, 13
[5] Il lapsus memoriae è mio: la fondazione
risale al 969, non al 943