FILOSOFIA DELLA SALUTE
Preliminari
Se lo studio della filosofia fosse rimasto, come
suggeriva S. Tommaso, una ricerca della verità e non un catalogo di pensatori
più o meno bendati che danno colpi a vuoto, avremmo avuto, per il XX secolo,
una filosofia per ognuno dei campi del sapere: della scienza, del linguaggio,
dell’economia e via dicendo.
Purtroppo non è stato così. Dall’abbandono del
principio e metodo scolastici, la filosofia ha perduto i suoi strumenti di
ricerca. Il risultato è sotto gli occhi non di tutti, ma di chi si inoltra,
anche brevememte, negli anfratti delle facoltà omonime. Cosa vi trova? Vi trova
adepti (si stenta a chiamarli “filosofi”) che avanzano a tentoni senza
principio né metodo.
Se vi fossero un tale principio e metodo, i medici
comincerebbero definendo la salute per poi investigare le cause di una perdita
di essa. Ma una tale filosofia non esiste. Esistono ipotesi, promosse a teoria
senza passare per le forche caudine della sperimentazione. Per imporre le quali
esistono potenti organizzazioni che “certificano” chi passa per le loro forche caudine, in realtà asserendo
non più del fatto che il detentore del variopinto pezzo di carta ha passato un
certo numero di prove messe su, giudicate e approvate da “professori” da loro qualificati.
C’è chi scopre principi e metodo con l’esperienza.
Molti anni fa ebbi la gran fortuna di attendere due lezioni di pronto soccorso
da un medico con 40 anni di pratica in Africa. Tra le cose che non dimenticherò
mai ci disse:
“Noi medici non
curiamo niente. Non possiamo. Il nostro compito è di stare attorno al paziente,
ispirando confidenza e serenità, mentre la natura si occupa di restituirgli la
salute”.
Il grosso dei medici, specialmente se alle prime
armi, non sospettano la saggezza di codeste parole da Ippocrate redivivo, ma
seguono, con una sicumera degna di miglior causa, non una ma tre false
filosofie, retaggio di altrettanti ciarlatani immeritatamente promossi a idoli.
Teofrasto Bombasto von Hohenheim,
detto Paracelso (1493-1541)
Svizzero, gran viaggiatore e scrittore, viene
chiamato “padre della tossicologia”, per aver scoperto che nessuna sostanza è
tossica al di sotto di un certo limite, e che tutte lo sono al di sopra di un
altro.
Scoprì anche che un farmaco (anche di origine
minerale) poteva far sparire certi sintomi, dando così l’impressione di aver
curato la malattia. Con questa teoria fa i soldoni oggi un’industria
farmaceutica con giri di miliardi, il cui interesse è far vivere la gente a
lungo, ma permanentemente inferma di qualcosa. E ci riesce, grazie a un’armata
di medici addestrati, quando non lautamente retribuiti, dai suoi imbonitori.
René Descartes, detto Cartesio
(1596-1650)
Francese, padre della geometria analitica e nemico
giurato della filosofia Scolastica, fu l’inventore del metodo anti-filosofico cogito ergo sum, cioè l’illusione che il
pensiero umano sia all’origine della conoscenza, e non le cose che esistono
indipendentemente da esso.
La medicina ufficiale prende ordini da due dettami
del Nostro: primo, che corpo e anima sono due sostanze separate, ognuna con le
sue leggi; secondo, che il corpo umano è una macchina, per cui ad un certo
stimolo corrisponde invariabilmente una certa reazione.
L’applicazione pratica del principio e metodo
cartesiani, nella medicina ufficiale, è il protocollo,
dettato da una diagnosi non da un medico in persona, ma da una macchina che
compone una base di dati raccolti da numerose prove di sangue, urina ecc.
Ma Natura
non irridetur. A volte il protocollo funziona, a volte no, e data l’immensa
varietà degli esseri umani, nessuno
può prevederne il risultato finale. Quando è il decesso, se il medico curante
ha seguito il protocollo viene automaticamente scagionato da ogni
responsabilità. Se ha agito in scientia
et conscientia, cioè criterio personale, egli viene automaticamente
incolpato delle conseguenze. Giudichi il lettore quanto ciò giovi al paziente,
al medico, alla scienza e all’umana società.
Louis Pasteur (1822-1895)
Francese, padre della teoria del monomorfismo microbico
all’origine delle malattie, della disinfezione, del termine virus, della vaccinazione generalizzata,
e quant’altro. È impossibile affermare chi dei tre abbia causato più danni. È
possibile invece affermare che senza i tre, e liberandosi non da Ippocrate ma
da Galeno, che per secoli tenne la medicina all’oscuro, l’ecatombe del 1918 (la
spagnola), lo stillicidio di morti inutili durante il secolo XX e la falsa
pandemia del 2020 non sarebbero accadute.
Questo saggio si propone di esporre una filosofia
della salute e non della scienza
medica, per una ragione squisitamente filosofica: le più che 4mila “malattie”
elencate dalla medicina ufficiale, non esistono. Nessuno si è mai imbattuto in
una sola di esse. Esistono invece gli ammalati,
ognuno dei quali soffre di un disordine o di una combinazione di essi unica, e pertanto non ripetibile. E
dato che de particularibus non est scientia,
come ammonivano gli Scolastici, non vi può essere una scienza delle malattie o
degli ammalati. Vi può solo essere una scienza di quello che metafisicamente è un ordine di ciò che è, la salute.
Il saggio vertirà quindi sulla definizione, cause
ed effetti, relazioni ecc. della salute,
sia corporale sia spirituale, e di cosa accade
quando quell’ordine viene violato per una ragione qualsiasi. In altre parole, tratterà
di una teoria della salute, dove tutti e solo i suoi elementi trovano un
posto. Sarà quindi una scienza di universali,
applicabile a ogni membro della specie umana senza eccezioni.
Che cos’è la salute corporale?
Un filosofo distratto potrebbe cominciare cercando
di definire il suo soggetto, ma
sarebbe richiamato presto all’ordine dal breve testo di De Ente et Essentia dove S. Tommaso ammonisce che solo un ens con essenza, cioè una
sostanza, è passibile di
definizione.
E non sempre. Degli esseri viventi, per esempio, benché
siano tutti sostanze, l’uomo ignora l’essenza. Per cui si deve contentare di descrizioni più o meno superficiali, accettando
che la mente umana è incapace di penetrarne l’essere fino a raggiungerne
l’essenza.
E la salute? Essa non è sostanza, per cui non ve ne
può essere una definizione. Si può solo descriverla
seguendo le gradazioni del metodo scientifico: osservazione, enunciato del
problema, ipotesi, esperimento, teoria. Tentiamolo.
La salute è l’ordine
di due flussi concomitanti: Il primo, di sostanze nutritive che, partendo dalla microflora del suolo,
raggiungono il sangue e da questo le cellule dopo aver attraversato radici,
fusti, foglie e frutti di piante commestibili, e il canale alimentare.
Il secondo è di sostanze tossiche dovute al metabolismo, che ritornano al medio ambiente
dopo aver attraversato uno o più dei quattro grandi emuntori del corpo umano:
intestino, reni, polmoni, pelle. Lunghetta la descrizione, ma adatta, penso, alla
bisogna.
Se non vi sono ostacoli a nessuno dei due flussi, vi
è salute. Se l’uno, o l’altro, o entrambi, vengono disturbati o peggio ostacolati,
ecco apparire tutta una congerie di sintomi
che la medicina ufficiale chiama “malattia”. Così facendo, essa medicina
ufficiale promuove sintomi miscugli
di qualità e relazione, ossia accidenti esistenti in una sostanza e non di
diritto proprio, a sostanza, che per
definizione esiste di diritto proprio e non in qualcos’altro.
Ecco perchè codesta medicina è incapace di
definire, o anche descrivere, la salute. Se dice “assenza di malattia” prende
non uno ma due granchi: a) considera la malattia come res, cosa; b) fa uso di una proposizione negativa, il peggior tipo che vi sia. Dire poi “benessere” o “buono
stato” sono esercizi semantici senza valore alcuno.
Consideriamo ora che mentre per le malattie i
sintomi sono legione, per la salute essi sono pochi, chiari, universali, ma
soprattutto misurabili e quindi gestibili. Diamo loro un’occhiata.
I sintomi della salute
La salute ha sette
sintomi: il sonno, l’appetito, la defecazione, la minzione, la forma fisica, la
difesa effettiva contro agenti invasori, e la chiusura rapida delle ferite. Codesti
sintomi non sono indipendenti, ma connessi. Analizziamoli:
1.
Il sonno
Passiamo un terzo della vita dormendo, o dovremmo.
Ma troppe cose ci impediscono di farlo come natura vuole.
Per essere effettivo, il sonno deve essere
profondo e a tempo, cioè di notte. Addormentarsi disordinatamente conduce
inevitabilmente ad altri disordini, che non c’è maniera di prognosticare,
essendo diversi l’uno dall’altro.
Il sonno ristora
le forze spese di giorno, ma ecco un secondo problema: la vita sedentaria di
molti non crea quel senso di salutare stanchezza che fa dormire bene. La vita
contadina, con una attività fisica moderata ma incessante, era ideale per
conciliare un buon sonno. Chi fa una vita da atleta (fino a quando le forze
glie lo consentono), ha bisogno di più ore di sonno, fino a dieci dalle
sette-otto di chi fa vita ordinaria.
Diceva Ippocrate: “Camminare è la miglior
medicina”. C’è chi raccomanda 45 minuti giornalieri per raggiungere il grado di
stanchezza che permetta un sonno profondo. Come sempre, per alcuni funziona,
per altri no. Questo paragrafo è solamente un suggerimento.
Il sonno è anche terapeutico. Quando un ammalato cade
in un sonno profondo è buon segno. Si sveglierà da sé forse non guarito, ma certo
migliorato. Il sonno induce le cellule del corpo a liberarsi di tossine da espellere
per mezzo di uno dei quattro grandi emuntori su elencati.
L’insonnia non è “malattia”, ma un sintomo di
salute che sparisce. Trovarne la causa non è facile, data l’umana diversità
commentata sopra. Qui entra la sperimentazione, meglio se sotto controllo di un
medico che capisca.
Privarsi di sonno per qualunque motivo prima o poi
fa apparire un insieme di sintomi che la medicina ufficiale promuove a malattia, e tenta di curare
con un farmaco. Ma i farmaci non curano:
trasferiscono un sintomo da qui a li, per venire sostituito da un altro sintomo,
così prolungando la vita dell’infermo, e foraggiando l’industria di chi vive a
spese di chi sta male.
L’organo del sonno è il corpo nel suo insieme.
Ecco perché va messo al principio, per farlo seguire dai sei sintomi che
rimangono.
2.
L‘appetito
Facciamo il nostro ingresso nel canale alimentare,
e capiremo presto perchè Ippocrate di Kos
(460-370 a.C.) aveva, tra i suoi aforismi, “Tutte le malattie cominciano
nelle budella”.
La prima percezione è capire che esistono due appetiti, uno vero e uno falso.
Quello vero è determinato da uno stomaco vuoto,
che richiede cibo senza mezzi termini. Quello falso è determinato da cattive
abitudini, specialmente il mangiare disordinato. Come distinguerli? Bevendo
acqua, l’appetito falso sparisce. Quello vero rimane, quindi va soddisfatto.
Ma come e quando? Mangiare a casaccio è disordine,
foriero inevitabile di disordini ulteriori.
Si mangia con ordine prestando attenzione al ciclo
digestione – assimilazione – eliminazione, così da gestire il primo flusso
salutifero e parte di quello escretivo, come vedremo subito.
In un soggetto sano, questo ciclo dura circa 14
ore da ingestione ad eliminazione. Se dura di più, qualcosa non funziona, ma
non esiste una diagnosi universale: bisogna esaminare le proprie abitudini con
il pettine fine fino a dare nel segno. Ma seguiamo il ciclo naturale.
“Quanto, come e cosa mangiare”?, non sono domande
oziose, ma vitali per mantenersi in salute. Il volume naturale per qualsiasi
pasto è quello di un pugno chiuso.
“Pochissimo” diranno i più. E lo dicono perchè il principio fisico che è alla
base non solo del nutrirsi ma anche della tecnica del trattamento del cibo (vulgo “cucina”) viene loro occultato da
una scuola inutile che Giovanni Papini (1881-1956) nel lontanissimo 1914 già proponeva
di chiudere.[1]
Questo principio è il rapporto tra superficie e
volume, che interessa non solo i due campi suddetti, ma molti altri che esulano
da questo saggio. Se un detto latino dice “prima
digestio fit in ore” è perché masticando a fondo tutto quello che si mangia
si fa aumentare geometricamente la superficie
di cibo attaccata dai succhi gastrici, mentre il volume del cibo deglutito
rimane lo stesso. Se si conta il numero di masticazioni per ogni boccone, si
arriverà a una media di 30. Masticare richiede tempo, ma questo è proprio il punto: mettendo in bocca bocconi
piccoli si ha tempo per conversare e pensare, senza aumentare a dismisura la
quantità che stomaco, intestino e colon dovranno trattare nelle prossime 14
ore. E si soddisfarrà l’appetito con il “pugno chiuso”.
Cosa mangiare è questione di idiosincrasia personale,
della quale non vi è scienza come già notato. Ma esistono dei principi validi
che assicurano la salute applicandoli.
Si fa colazione al tempo dell’eliminazione. Sia
che si preferisca salata, o dolce, o di qualunque altro gusto, è bene cominciarla
con frutta fresca e polposa, che facilita l’eliminazione di scorie dal cibo ingerito
il giorno prima e assimilato durante la notte.
Si pranza alla fine dell’eliminazione e all’inizio
della digestione. Non importa quello che si mangia, purchè non si violi il doppio
principio del pugno chiuso e della masticazione a fondo. Lo stomaco si
incaricherà di completare la digestione nelle prossime tre-quattro ore.
Si cena abitualmente al tempo della fine della
digestione e dell’inizio dell’assimilazione. Dal già detto si dovrebbe evincere
che codesto pasto è più una questione di moda e di abitudini non sempre sane
che di necessità. Non per niente un proverbio ispanico recita “Di buone cene
son le tombe piene”, corroborando Ippocrate con il suo “ogni malattia comincia
nelle budella”.
Le cattive abitudini mangerecce sono
numerosissime. Ne esporrò alcune per darne una idea, senza pretendere di
esaurirle.
Mangiare
senza appetito, cioè senza un
evidente sintomo di salute. Se l’appetito sparisce, è segno che il corpo ha
bisogno delle sue energie per far fronte a problemi diversi dalla digestione. Seguiva
Ippocrate: “Ognuno di noi ha un dottore dentro di sé. Sono le forze vitali che
vogliono fare il loro lavoro indisturbate, o meglio essere aiutate, non
ostacolate.” Ingerendo cibo in uno stomaco non preparato da un salubre
appetito, si invita il cibo ingerito a fermentare anaerobicamente producendo
veleni. Questi vanno espulsi, ma lo saranno? A volte sí, a volte no. Il
rischio, comunque, è meglio evitarlo.
Mangiare
senza masticare. Da diversi anni
il Guinness Book of Records non
registra primati da ingestione di cibo. La ragione è che questa pessima pratica
è risultata letale per un certo numero di sprovveduti. Uno di costoro fu un
giovane di 26 anni che voleva battere il record di ingestione di lumache, che
mandava giù senza masticare. L’indigestione lo uccise. La mancata masticazione
porta invariabilmente ad eccedere il volume del pugno chiuso, inghiottendo cibo
voluminoso ma con poca superficie di attacco per i succhi gastrici. La
fermentazione sostituisce la digestione, con risultati deleteri.
Mangiare
senza un orario che secondi il
ciclo naturale visto sopra. Durante la digestione naturale, nel pomeriggio, è
possibile esser tentati da qualche manicaretto incontrato qui o là, e mangiato
senza bisogno. Aggiungere una seconda digestione ad una già in corso disordina
il ciclo, disperdendo le forze vitali. Si mangia con gli occhi invece che con lo
stomaco. Peggio se la digestione fuori tempo ha luogo durante l’assimilazione,
di notte. Passando davanti a un frigorifero dirigendosi al bagno, si è tentati
di aprirlo per vederne i contenuti, e ingestirne uno per semplice sfizio. Lo
scontro tra le due funzioni non può non portare malessere, anche se non
percepito immediatamente.
Ingerire
cibo spazzatura. Gli ultimi 100
anni hanno visto la produzione, e continuano a vederla, di grandi quantità di
sostanze piacevoli al palato, ma non appartenenti alla natura delle cose, e
pertanto non riconosciuti dal corpo come cibo. Il primo esempio nel tempo fu la
margarina, un grasso idrogenato lanciato sul mercato nel 1912. Invece di
assimilarlo, il corpo lo spazza sotto il tappeto, cioè nei tessuti adiposi, e
ve lo accumula. Chi ingrassa senza capire perché, troverà la ragione in questa
pratica, spesso inosservata per pura ignoranza.
Mangiare
cibo deficiente in elementi nutritivi. Codesto punctum dolens è di
lunga data. Risale alle nefaste “scoperte” del barone Justus von Liebig
(1805-1873). Si credeva, al tempo, che lo humus
del suolo fosse il cibo naturale delle piante. Il barone “scienziato” sbugiardò
quella credenza, provando che il cibo vero delle piante fossero invece i sali
di azoto, fosforo e potassio. E così nacque l’industria dei concimi chimici,
che tiene banco ancora oggi in tutti i paesi flagellati dall’agricoltura
industriale, cioè con poca manodopera e potenti macchine.
Mai granchio fu più esiziale per la salute
dell’uomo e del suo bestiame. Avvenne che il buon barone, chimico specializzato
ma ignorante di biologia, non capì la vera funzione del cosiddetto humus. Cerchiamo di capirla qui.
Lo humus
è un sustrato vivo, detto anche microflora del suolo. Consiste di una
quantità tale di micro organismi come batteri, protozoi, vermi, molluschi, perfino
crostacei, che una sua analisi completa non è mai stata fatta, né mai lo sarà, per l’eterna frustrazione della
scienza.
Come si evince dalla descrizione della salute, la
funzione di codesti microorganismi è di convogliare sostanze nutritive dai
minerali del suolo alle radici dei raccolti, nel tempo e modo richiesti dalla natura.
È un processo che richiede tempo. I contadini di una volta sapevano che bisognava aspettare perché si formassero le
radici, sulle quali crescevano vigorosi fusti, foglie e frutti di piante naturalmente
resistenti a parassiti di ogni tipo, e che sintetizzavano praticamente tutti i composti organici responsabili
per il mantenimento della salute di uomini e bestie.
I fertilizzanti artificiali fanno da scorciatoia
che permette all’agricoltore lauti guadagni in breve tempo, con raccolti di
apparenze bellissime, attraenti. Ma i proventi che aumentano a monte andranno
spesi a valle in cure sanitarie, o in farmaci e integratori dispendiosissimi
nonché inutili, pacchia dell’industria della malattia a spese di una
salute danneggiata da una insufficiente ingestione
di elementi nutritivi.
Chi ricorda i sapori di una volta si accorge
immediatamente dell’inganno: prugne ed angurie di peso da Guinness Book of Records ma insipide più di una zucca, e via
assaggiando.
Per difendersi da un tale stato di cose
bisognerebbe identificare tutti gli
elementi nutritivi mancanti, impresa evidentemente impossibile. È possibile però
adottare un regime quanto più possibile autarchico: un fazzoletto di terra anche
di 100m2 può produrre meraviglie se gestito bene; c’è chi coltiva
cibo in vasi da fiori di piccole dimensioni. Eccetera.
Chi deve acquistare cibo, lo faccia non da
supermercati ma da aziende agricole famigliari (dove queste resistono), e che fanno
uso del composto, non del fertilizzante chimico.
Anche così, non c’è garanzia che un certo cibo
contenga proprio tutti gli elementi
nutritivi per mantenere la salute. Ma è quanto di meglio si possa fare.
Ingerire falsi cibi: il pane
L’industria alimentare usa numerosissimi additivi per “migliorare” cibi resi
insipidi da trattamenti che ammalano il suolo quando non l’uccidono. La lista è
lunga. Suggerirei di leggere attentamente gli ingredienti di quel cibo che si
intenda comprare, particolarmente il pane,
che da più di un secolo viene indebitamente impoverito dall’umana ingordigia.
Quando i mugnai macinavano il grano portato loro dagli
agricoltori, bisognava ripetere l’operazione a breve scadenza, date le
caratteristiche del chicco di frumento.
Questo, così come nel mais o qualunque cereale,
consiste di tre elementi visibili anche ad occhio nudo o con una lente di
ingrandimento. Essi sono il germe, che racchiude tutte le sostanze vitali che
svilupperanno la pianta; l’amido, che provvede il nutrimento al germe durante
la crescita iniziale; e la crusca, protettrice dei primi due, e ricca di
proteine, che macinata provvede una superficie che facilita la digestione degli
altri due elementi.
Macinati insieme, i tre elementi hanno una durata
di conservazione non superiore ai tre giorni: dopodiché il germe diventa
rancido ed immangiabile.
La difficoltà venne aggirata dall’invenzione del
mulino a dischi piani, che separa nettamente i tre elementi l’uno dall’altro,
ma dei quali solo l’amido viene panificato; con gli altri due si fanno cereali
di lusso che, venduti separatamente, producono lauti proventi ai commercianti.
E il pane? L’amido ha una durata di conservazione
praticamente illimitata, ma la la sua farina ha sapore nullo, per cui il gusto
si “migliora” con “additivi”, primo di tutti lo zucchero.
Ma non è lo stesso pane di una volta. Un
prigioniero a pane e acqua non sopravvivrebbe che pochi giorni. Gli insetti non
si avvicinano neanche a un amido che riempie senza nutrire.
Chi si contenta gode, ma chi non si contenta ha
oggi l’ausilio di potenti mulini elettrici portatili, capaci di macinare
grosso, medio o fino la quantià richiesta non solo per panificare, ma anche per
piatti come la polenta, la piadina di mais e altro.
Ma costa di più!, lamenta il patito del profitto
capitalista. Evidentemente, ma questo è proprio il punto. In altri termini, la
salute ha un prezzo, e se questo prezzo è lavoro, benvenuto sia.
3.
La
defecazione
Completato il ciclo
digestione-assimilazione-eliminazione, le scorie aspettano lo stimolo giusto
per lasciare il corpo e ritornare al medio ambiente.
C’è più di quanto sembri in codesto processo.
Quando le feci sono indicatrici di salute, e quando di disordine?
Primo, quando non
puzzano, come quelle degli animali selvatici, la cui digestione è
infallibilmente del 100%. Ciò vuol dire che contengono esclusivamente scorie
indigeribili, mentre tutto il digeribile è stato digerito.
Da ciò non segue che feci maleodoranti siano sempre sintomo di fermentazione
putrescente, dovuta normalmente a una masticazione insufficiente. L’intestino
non è solo organo digerente, ma anche emuntore. Ecco perchè di tanto in tanto
le feci puzzano, ma di odori, diciamo, ad hoc, non noti. Alcuni emuntori
scaricano nell’intestino veleni che non riescono, o non devono perchè non è la
loro funzione, espellere da sé.
I cinesi conoscono benissimo la sindrome. Ecco
perchè prosperano in quel paese odoratori professionisti di gas intestinali, che
practicano il mestiere per le strade diagnosticando il tipo di disordine e
inviando il cliente dallo specialista giusto. Costoro guadagnano, si dice,
attorno ai 50mila dollari annuali.
Secondo, quando affondano in acqua. Se galleggiano, contengono gas da qualche
fermentazione indebita.
Terzo, quando escono senza sforzo. Un pane ricco
di crusca garantisce una defecazione salutare, così come la garantiscono
verdure crude. Una dieta sbilanciata verso cibi cotti, raffinati, povera di
scorie, fa tendere alla stitichezza, cioè alla sparizione di un sintomo di
salute. Il ciclo, che dovrebbe completarsi in circa 14 ore, si prolunga alle
volte per giorni, facendo sì che veleni che dovrebbero esser espulsi, si
riciclino, tornando al sangue e da li a dove causano mal di testa e altro.
Le feci sono anche capaci di chelare, cioè di
espellere metalli pesanti e indebitamente trattenuti in seguito a vaccini
contenenti alluminio, bario e altri elementi usati per “preservarli”, come
raccontato dai produttori.
Secondo natura, le feci dovrebbero esser espulse
al mattino, ma le abitudini della vita moderna, sedentarie e con tre pasti al
giorno, può far ripetere il processo varie volte. Niente paura: quello che deve
star fuori dal corpo stia fuori: si ascolti la natura, non le convenzioni.
4.
La
minzione
Il metabolismo delle proteine conduce alla
produzione di urina, utilissimo sintomo di salute o di malattia secondo i casi.
Quando è l’urina sintomo di salute?
Quando il suo pH supera 7, il punto neutro tra
alcalinità e acidità. Cerchiamo di capire.
Il principio di base è la differenza tra reazioni
chimiche inorganiche e organiche. Le prime, di materia senza
vita, sono normalmente spontanee, esotermiche, cioè producenti calore, e
ossidanti; i loro sottoprodotti sono composti o di ossigeno, o di cloro o di
fluoro, e irreversibili a meno di impiegare energia per strappare l’elemento
all’ossido. Un esempio per tutti: l’alluminio, che fino a metà del secolo XIX
era raro come l’oro, viene oggi estratto industrialmente dal suo ossido bauxite
con enormi quantità di energia idroelettrica.
Le
reazioni chimiche organiche, al contrario, di materia vivente, richiedono
energia sotto forma di calore e di ossigeno; esse sono riducenti, cioè i loro prodotti contengono meno ossigeno di quanto permetterebbe la loro struttura
complessiva. L’ossigeno che respiriamo provvede l’energia necessaria a
mantenere la riduzione. Per cui fin che essa prevale, c’è vita; quando prevale
l’ossidazione, morte. Capire questo principio è determinante per mantenere la
salute e tener lontane le cosiddette malattie, ossia la svariatissima gamma di sintomi
che la medicina ufficiale si sente in dovere di catalogare con nomi stravaganti
come se fossero cose.
Qui va capito il pH, una scala logaritmica che va
da 0 a 14. Ogni grado della scala rappresenta un ordine di grandezza, non una successione lineare. Per cui un pH 6 è
dieci volte, un pH 5 cento volte più acido di pH7 e cosi via.
Il sangue, il tessuto più importante del corpo, ha
un limite di tolleranza per il pH che va da 7,35 a 7,45. A scala logaritimica,
pH 7,35 è 350% più alcalino, 7,45 450% più alcalino di pH 7; pH 8, 1000%, o
dieci volte di più.
Il sangue possiede quattro sistemi tampone per
proteggersi da eccessivi sbilanci. Un pH 7, neutro per l’acqua e per l’orina, è
letale per il sangue.
L’urina non è che sangue filtrato dai reni, e
depurato di elementi tossici o comunque non desiderabili. Il suo pH varia da
4.5 a 8, cioè di un fattore di 1500 tra acido e alcalino. La tolleranza è molto
più ampia che per il sangue, per cui un’urina di pH 5-6 indica non più di una
dieta ricca di elementi acidi. Ma se dovesse scendere a 4,5 o meno, attenzione:
un sintomo di salute sparisce. La malattia, o sintomo di disordine, è dietro
l’angolo.
Per cui il fattore più importante per una dieta
salutare non sono le calorie o altre caratteristiche dettate da una moda o da
un’altra. Checché si mangi, si preferiscano cellule vive a tessuti morti, cioè metà di quel che si ingerisce consista di frutta e verdure crude.
5.
La forma
fisica
Polmoni e cuore lavorano di conserva per mantenere
la salute. Quattro tipi di esercizio fisico si prestano alla bisogna:
camminare, correre, nuotare, pedalare. Quale dei quattro uno scelga è altamente
idiosincratico. Si è in forma quando si è in grado di raddoppiare il ritmo
cardiaco senza ansimare, e ricuperare il ritmo di riposo in pochi secondi.
Non c’è limite di età all’esercizio fisico:
conosco un centenario che semina per strada uomini di mezzo secolo più giovani.
6.
La cute
Respirazione e perspirazione
Che la pelle sia un organo di respirazione lo
scoprirono a Firenze nel 1515, quando Papa Leone X, un Medici, fece il suo
ingresso trionfale nella città. Qualcuno ebbe l’idea di dipingere un giovanetto
dalla testa ei piedi con pittura dorata. Il poveretto morì tra atroci dolori in
circa un’ora. Quel ch’e peggio, non si apprese la lezione. Con l’avvento del
cinema, vi sono stati attori salvati in
extremis dopo aver subito lo stesso trattamento.
La cute, o pelle, è il quarto grande organo emuntore.
Espelle tossine prodotte dal metabolismo o come gas (anidride carbonica), o
liquido (sudore). L’espulsione di quest’ultimo è facilitata dai peli, che
aumentando la superficie delle zone sudorifere, accelerano la fuoruscita di
materiale tossico.
Ne segue l’insensatezza della moda depilatoria,
che invece di espellere il sudore, lo trattiene. Questa escrezione ha un pH da
4,5 a 7, cioè acida. E acido, abbiamo visto, è sintomo di morte. Non ci si sorprenda,
quindi, se un bel giorno spunta un cancro alla mammella anche in un uomo. Ciò
non vuol dire che vi sia una corrispondenza di uno a uno tra causa ed effetto, ma
che la cosa non è da escludere. Data la diversità umana, una causa può avere
effetti diversi, così come una moltiplicità di cause può avere lo stesso
effetto.
Quando la pelle emana cattivo odore, può esser
sintomo di sporcizia; ma se eliminando questa con acqua e sapone, l’odore
perdura, è sintomo che la pelle si sta accollando funzioni non strettamente
sue, provenienti o da altri emuntori o da metabolismo maldiretto per una
ragione od un’altra. Se ne trovi la causa sperimentando,
o rivolgendosi a un medico ippocratico, una specie condannata dalla medicina
ufficiale ma che ancora esiste (e resiste).
Chiusura delle ferite
L’11 aprile 1915 (gli Stati Uniti non erano ancora
entrati in guerra), un incrociatore ausiliario della Kriegsmarine germanica, Kronprinz
Wilhelm, chiedeva permesso di attraccare nel porto di Newport News, in
Virginia, per emergenza sanitaria. 150 membri dell’equipaggio giacevano chi con
polmonite, chi con pleurite, chi con reumatismi; il medico di bordo, Dr
Perrenon, riportava che le ferite,
anche superficiali, tardavano troppo
a rimarginarsi, le fratture non si riducevano, eccetera. Solo
gli ufficiali godevano di salute. Cos’era accaduto?
In sette mesi di assalti e cattura di navi
passeggeri nemiche, l’equipaggio del K.W. ne aveva razziato le riserve
alimentari, abbuffandosi di scatolame
e altri prodotti della nuova (allora) industria
alimentare. E fu lo scorbuto e la malnutrizione generale a forzare la nave
a lasciare il teatro di guerra. Solo alla mensa ufficiali arrivava cibo fresco.
In un corpo sano, le ferite si chiudono in tempi
brevissimi, senza cerotti, bende, disinfezione e inutilità del genere.
7.
Immunità
naturale e resistenza alle infezioni
Inter
faeces et urinam nascimur, et ridemus, recita un detto attribuito da alcuni a S. Agostino (354-430), da altri a S.
Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Tralasciando considerazioni di tipo
morale, l’aforisma fa capire che il neonato acquisisce la prima immunità
strusciandosi contro i rimasugli di pipì e popò che trova nell’apparato
urogenitale di mamma. Il che mostra anche la dissennatezza del parto cesareo innecessario, che nega detta immunità.
La superstizione pasteuriana ha instillato una
microbofobia generale, al punto di averne fatto un feticcio: lavata di mani
diverse volte al giorno, non bere acqua di rubinetto, disinfezione con questo o
quell’ “antibatterico” ecc. È molto comune tra gli statunitensi, per esempio,
che nell’avventurarsi anche nel vicino Messico vengano colpiti da malori
intestinali di vario tipo, fino a ristabilire l’equilibrio tra i germi
invadenti e le difese del sistema immunitario naturale.
L’evidenza del Cairo, dove i cristiani copti sono
ridotti dalle politiche islamiche a occuparsi della raccolta e gestione di
tonnellate di immondizia, è ancora più convincente: costoro godono di ottima
salute, senza mai ammalarsi.
I corpi estranei che entrano nel corpo umano per
le vie naturali vengono immediatamente confrontati, attaccati e neutralizzati
da una efficiente armata di anticorpi e di “microorganismi” che si formano in e
dal sangue, assolvono il loro compito e spariscono di nuovo nel sangue.
Questo meccanismo fu intravisto dal Dott. Antoine
Béchamp (1816-1908), che chiamò codesta armata mycrozima, senza però osservarlo, giacché i microscopi di allora
risolvevano diametri dal micron (10-6m) in su, ma non del nanometro
(10-9m), mille volte più piccoli. Il microscopio elettronico,
invenzione del XX secolo, li vede sì, ma “fissati”, cioè non vivi.
Il primo costruttore di un geniale microscopio
ottico che ingrandiva fino a 30mila diametri, e quindi in grado di risolvere i
corpuscoli di microzyma fu Royal
Raymond Rife, americano (1888-1971). Sapendo che la luce naturale ha una
lunghezza d’onda superiore alle dimensioni dell’oggetto da osservare, vi
combinò la gamma ultravioletta, così risolvendo i corpuscoli intravisti da
Béchamp quasi un secolo prima. Ma commise due errori di base.
Il primo fu di giudicare le forme che si muovevano
nel campo di visione come causa di
malattia, sulla linea di Pasteur invece che su quella di Béchamp; il secondo fu
di immettersi nella riserva proibita della medicina ufficiale, dal 1913 dittatoriamente
in mano ad A.M.A. (American Medical Asociation), temerariamente dichiarando che
con certe “vibrazioni” avrebbe potuto debellare i “patogeni” del cancro.
Non l’avesse mai fatto. Nel 1939, un drappello di
mirmidoni di Pasteur gli invase il laboratorio e gli distrusse il
supermicroscopio con il quale aveva sperato di far fortuna. Rife morì
emarginato e povero nel 1971, a 83 anni.
A rilevare il testimone di Rife è stato Gaston
Naessens, francese (1924-), anche lui eccezionale costruttore di un microscopio
che come quello di Rife risolve le nano-particelle rendendole osservabili. Le
ribattezzò “somatidi”, e il microscopio “somatoscopio”.
Qualificato come biologo ricercatore e non come
medico, la medicina ufficiale gallica gli mosse guerra, forzandolo a prendere
l’esilio per il Canada, dove vive dal 1964. Si rese conto dell’inutilità di
combattere “la malattia” tentando di uccidere sintomi, “patogeni” ed altri spauracchi,
e dell’estrema utilità invece di rafforzare
il sistema immunitario, che come natura vuole, confronta, attacca e
neutralizza ogni invasore indebito.
Inventò anche un prodotto per lo scopo, sul quale
non è il caso di soffermarci. La scoperta più clamorosa di Naessens è quella di
un ciclo di 16 elementi pleomorfi, cioè
trasformantisi mutualmente e sparendo quando ritorna la salute.
Uno di codesti elementi venne chiamato da Pasteur virus (Latino = veleno). Lo fece per
ragioni politiche, non sanitarie. I britannici si erano appropriati del Canale
di Suez nel 1882, causando l’ira del governo francese, il quale assoldò Pasteur
perchè inventassse una bufala o due a discredito della Perfida Albione.
E a Pasteur venne l’idea geniale di accusare i
britannici di importare il “virus” della peste nera dall’India. Di fatto,
nessun “virus” ha mai ucciso nessuno, per la semplice ragione che nessun
“virus” è stato mai osservato nel medio ambiente. Il Naessens lo ha
identificato come una delle tredici forme di un ciclo sì patogeno, ma visibile solo nei tessuti ammalati fino a
pulizia completa, dopodichè ridiventa un “somatide” qualunque. Ossia, Naessens ha
confermato le intuizioni di Béchamp
e le osservazioni di Rife, nonché quelle sul campo di Florence Nightingale
(1820-1910) che sbugiardano Pasteur una volta per tutte. Era ora.
È questione di tempo prima che si imponga la
verità, nonostante l’accanita resistenza offerta da interessi creati da giri di
miliardi. Pratiche prese per scontate come la disinfezione, i farmaci, i
vaccini, gli antibiotici, in generale tutti gli sforzi contro la malattia, sparirebbero per incanto davanti all’ovvietà di
curare il malato rafforzandone le difese,
secondo la visione olistica – ippocratica - del trio Béchamp-Nightingale-Rife e seguaci.
Ricapitolando, ci si ammala e si muore o di
malnutrizione o di avvelenamento, o di entrambi quando una deficienza nel
flusso nutritivo indebolisce il potere espellente degli emuntori, così
trattenendo i veleni invece di buttarli fuori.[2]
E LO SPIRITO?
“Non di solo pane vive l’uomo”, ammonisce un detto
evangelico, al quale corrisponde “nè di solo disordine corporale egli soffre e
muore”. Già, perchè, pace Cartesio,
anima e corpo formano un tutt’uno, non due sostanze separate.
Il che vuol dire che, inevitabilmente, un
disordine che interessa il corpo avrà i suoi effetti sull’anima, e viceversa. Valgano due esempi.
Molti anni fa frequentai due lezioni di pronto
soccorso da un medico con 40 anni di esperienza africana. Ci raccontò di un
Maasai che, sbudellato da una coltellata, raccolse le viscera in un cappello e
camminò per chilometri fino a raggiungere il dispensario dove glie le risistemarono
dopo averle sciacquate. “I Maasai”, ci disse, “non soffrono di shock”.
Il quale può uccidere per conto suo. Un soldato
africano in servizio in Malesia durante la seconda guerra mondiale, si sentì
punto vicino al piede. Voltandosi, intravide una serpe che scivolava nella
boscaglia. Stramazzò al suolo, quasi in fin di vita, fino a quando in ospedale
non verificarono che era stata una spina a pungerlo, non un rettile a morderlo.
E si riebbe.
Senza intenderlo, abbiamo appena attraversato tre
dei sette livelli di essere che compongono l’universo. Perché è inevitabile,
anche proponendo una filosofia della salute, confrontarsi con la metafisica, anche
se lo stretto necessario per capire.
A cominciare dal basso, i tre livelli sono la
materia, la vita vegetativa con le tre funzioni di nutrizione, crescita e
riproduzione, e quella sensitiva con i cinque sensi esterni, quattro interni e
undici passioni. Chi vuole approfondire vada ai trattati corrispondenti.
Il quarto livello, del quale ci occupiamo adesso,
è quello dello spirito, ma attenzione: il linguaggio umano è povero di termini
per esprimere tutte le sfumature
delle idee da comunicare, specialmente quando si passa da un livello di essere
ad un altro.
Nel farlo, il linguaggio diventa analogico: uno stesso termine esprime concetti
molto diversi. Nella fattispecie si tratta del termine “anima”.
L’anima, dove questa esiste, è un principio di unità. Ecco perchè la
materia si dice “inanimata”: non vi è unità. Si può dividere ad infinitum rimanendo se stessa.
Non così dove c’è vita. Ma quando diciamo “anima”
di vegetali, di animali, o di esseri umani, il termine è lo stesso, le realtà
no: vi sono differenze.
L’anima vegetale è multiple, indifferenziata,
mortale. La sua separazione dal corpo materiale causa la morte, ma la pianta può
risvilupparsi anche da parti piccolissime rimaste in vita. Vi sono anche casi
di morte apparente: la scrofulariacea africana Craterostigma pumilum, e
piante simili, si desidratano fino all’essiccamento completo durante periodi di
siccità, per re-idratarsi nuove di zecca alla prossima stagione delle piogge.
L’anima animale, al contrario, è una,
differenziata, ma sempre mortale. Alla
morte non si separa dal corpo fisico; semplicemente cessa di esistere.
L’anima umana è una, differenziata e immortale. Gli
Scolastici, seguendo Aristotele, la denominavano come “forma” del corpo, per
cui i due formano un unicum
irripetibile.
Ciò vuol dire: a) che l’anima ha sintomi di salute
suoi propri, spirituali; b) che essa partecipa della salute corporale; e
viceversa, che il corpo è capacissimo di ammalarsi in seguito a un trauma
psichico, sia esso di origine umana o sovrumana, come nei casi di ossessione, oppressione
o possessione diabolica. Queste relazioni sono assolute bestie nere per la
medicina incastonata nella Weltanschauung
cartesiana. Ma vanno menzionate e analizzate, anche solo per capire certi
fenomeni e non escluderli irragionevolmente a
priori.
L’anima umana gode di salute quando si occupa del
vero, del buono e del bello, i tre trascendentali dell’essere identificati dalla
filosofia scolastica.
Un intellettuale non è chi sa scrivere bene, o chi
coltiva un campo del sapere o un altro; è chi ama, cerca, trova e contempla la verità, definita da Avicenna[3]
e adottata da S Tommaso come adaequatio
intellectus et rei, adeguatezza della mente con le cose.
C’è più di quanto non sembri in quella
definizione. Già, perchè la verità ha tre caratteristiche: coerenza,
adeguatezza e praticabilità. Avicenna scelse l’adeguatezza fra le tre non
perchè volesse applicare il rasoio di Ockham[4]
(entia non sunt multiplicanda sine
necessitate), che sarebbe nato più di due secoli dopo, ma perchè si rese
conto che l’adeguatezza garantisce tanto la coerenza quanto la praticabilità,
mentre nessuna di queste due garantisce nessuna delle altre.
Tra i numerosissimi esempi scegliamo le
matematiche, regno della coerenza. Dato un problema, un certo algoritmo porta
ad una soluzione altrettanto certa. La mente prova la soddisfazione della certezza, ma rischia di non percepire
il pericolo di confonderla con la verità.
Già, perchè la verità, nelle matematiche, è solo
rappresentata dai numeri interi: 1, 2…n. Dalle frazioni in poi, con i numeri
irrazionali, trascendentali, complessi, infinitesimali e infinitamente
continuando, si perde di vista che non si è mai osservata la radice quadrata di
una gallina, o il pigreco di qualunque ens.
In termini filosofici siamo nel dominio degli entia rationis, non degli entia
realia. Ecco la pietra d’inciampo della sola coerenza come verità.
Codesto pericolo non è immaginario. Si pensi a chi
tratta del tempo come quarta dimensione, o di un universo con nientemeno che
undici di esse, tutti prodotti di computer infarciti con algoritmi progettati
per l’uso; la confusione tra verità e certezza è sanzionata.
Con la prassi pura le cose vanno peggio. Valga
solo un esempio. Esiste l’accordo, per ragioni puramente pragmatiche, di
“concedere” al denaro la facoltà di moltiplicarsi come gli esseri viventi. La cosa
si chiamava usura, però l’eufemistica
imperante vuole che la si chiami “interesse”, termine meno offensivo: il
banchiere che “domanda interesse per concedere credito” è molto più
rispettabile dello strozzino che domanda usura per prestare contante.
Tutta un’armata di istituzioni: la Borsa, la Banca, la Finanza alta e
bassa, Casse di Risparmio, ecc. non escluse le facoltà universitarie di
cosiddetta “economia”, sono allestite con lo scopo preciso di permettere ad
alcuni privilegiati di vivere di interesse. Anche il buon John Maynard Keynes
(1883-1946) non disdegnava farsi il gruzzoletto quotidiano con un paio di
telefonate ai suoi agenti di cambio dopo aver consultato le quotazioni
borsistiche prima di colazione. Una distinzione tra l’economia, scienza fondata
sul lavoro, e la crematistica, fondata sulla manipolazione di denaro, sarebbe
in ordine, ma il pensiero debole non è all’altezza.
Ora se c’è chi guadagna senza lavorare, ci deve
essere qualcun altro che lavora senza guadagnare, come aveva notato Leo Tolstoy
ai primi del XX secolo. Questo sbilancio, oggi dato per scontato come “divario
tra i ricchi e i poveri” non viene mai rintracciato alla causa, per ragioni che
vanno dall’ignoranza pura, cioè non colpevole, alla malizia piu diabolica. È
l’inevitabile risultato della pletora di esseri umani con l’anima malata di
confusione, il più comune errore filosofico.
La verità è il cibo dell’intelligenza; ma
attenzione ad usare i termini “vero” e “falso” a casaccio. Da quattro secoli,
per esempio, ci viene martellata la testa con la “verità” del sistema
copernicano, che ha destituito quello tolemaico, oggi riputato “falso”.
Scaviamo un po’ per capire dove e quale sia la verità senza aggettivi, cioè la
base di tutto il discorso.
Primo: nell’universo tutto è in movimento.
Secondo: se si vuole descrivere, o misurare, un
movimento qualsiasi, è indispensabile avere un punto di riferimento, considerato immobile, che non esiste nell’universo reale.
Terzo: bisogna quindi sceglierne uno, e posizionarlo.
Quarto. La sopradetta operazione è del tutto libera,
sottomessa solo alla convenienza di
chi descrive, o misura.
Le quattro verità suelencate non sono dedotte
logicamente, ma dalla natura delle cose, cioè metafisicamente. Applichiamole ai
“due massimi sistemi del mondo” come ebbe a dire Galileo.
Il sistema tolemaico, geocentrico, ha la Terra
come punto immobile di riferimento. I movimenti del sistema solare sono identificabili
e descrivibili, ma non senza difficoltà. Il Sole e la Luna descrivono cerchi; i
pianeti Mercurio e Venere ci tentano, ma non senza formare un cappio ciascuno; i
cerchi dei pianeti da Marte in fuori sono intervallati da epicicli, che dalla Terra appaiono come retromovimenti. Alquanto
goffo, bisogna ammettere.
Il sistema copernicano, eliocentrico, ha il Sole
come punto di riferimento. E guarda un po’, i movimenti di tutti i pianeti
diventano ellissi, appartenenti ad una sola famiglia di curve.
La soluzione è senza dubbio più elegante di quella tolemaica. Ma
riflettiamo che se consideriamo uno dei due sistemi falso in partenza, non
segue affatto che l’altro sia vero; è possibile infatti falsificarli entrambi
scegliendo un punto di riferimento esterno
tanto alla Terra quanto al Sole. Facendolo, si vede il Sole descrivere una
curva lungo un braccio della Via Lattea, la nostra galassia; e ogni corpo
celeste descrivere cicloidi attorno
ad esso, come fa la valvola di una ruota da bicicletta che viaggia a 90°
rispetto a un osservatore.
Tutto qui? Non proprio. Gli svarioni hanno
conseguenze, spesso inaspettate. La questione vero/falso non si pone neanche,
ma averla posta, promossa, e insegnata come verità, e per così tanto tempo, fa
si che oggi nessuno, ripeto nessuno, è capace
di descrivere quello che vede, cioè i movimenti geocentrici del sistema
solare. Possiamo chiamarla una perdita di verum.
Comunque sia, le verità suddette appartengono al
livello più infimo dell’essere, quello della materia. L’intelligenza umana può
occuparsene, come abbiamo fatto, e anche provarne una certa soddisfazione,
anche emotiva. Ma da qui a postulare una intelligenza
emotiva, come fanno alcuni, ce ne corre; costoro unificano il terzo con il
quarto livello di essere, in una confusione metafisica molto più dannosa di una
confusione logica.
Ecco completata, senza volerlo, la definizione di
filosofia ricevuta a scuola: amore della sapienza, senza però mai definire
quest’ultima. E come si può amare ciò che non si conosce? Ci viene incontro S.
Tommaso nella Contra Gentes. Nel
paragrafo iniziale dice: Sapientis est
ordinare, è del sapiente ordinare. Ordinare cosa? Tutto quello che gli
effetti del peccato di origine hanno disordinato, e mantengono tuttavia in
disordine: i sensi, le passioni, la mente, la volontà, il corpo, l’anima,
insomma l’uomo nella sua interezza. Trovarsi a proprio agio in qualsiasi
livello di essere. In una parola, felicità.
Si può parlare di felicità anche analogicamente.
Una macchina prodotta dall’ingegno umano è “felice” quando funziona al massimo
della sua efficienza, esente da guasti. Ogni buon ingegnere sa che ciò non si
ottiene senza manutenzione, e lo stesso vale per la felicità umana.
Ne segue che è inutile cercarla ai livelli
inferiori di essere: sarebbe come cercare pietre preziose nella bottega del
pescivendolo. Eppure folle immense si ostinano nel cercarla nelle sole tre cose
che codesti livelli abbiano mai offerto: denaro, potere, sesso.
La salute spirituale, quindi, va cercata e
perseguita ai livelli di intelletto, volontà e memoria, con mezzi da sempre disponibili
in una società che tesoreggia la verità come valore supremo. La lettura, la
conversazione, l’amicizia, il tratto sociale fatto di compromessi come la
parola data, e tanti eccetera sui quali sarebbe troppo lungo trattenersi, sono
sintomi di salute spirituale.
I disordini economici, politici e sociali che oggi
affliggono la società non sono che riflessi di disordini morali che colpiscono
gli individui, inevitabilmente accompagnati da disordini intellettuali che
fioriscono (si fa per dire) dove la verità viene passata in secondo piano,
quando non abbandonata del tutto.
E non c’è da meravigliarsi se, come dice il
blogger francese René Louis Berclaz, “Dove la verità non è libera, la libertà
non è vera”.
23 luglio 2020
[2] Sono disposto a ritrattare qualunque cosa affermata fin qui se mi si
convince razionalmente di errore.
[3] 980-1037. Filosofo islamico persiano, che fu
anche medico, letterato e molto altro.
[4] 1280-1349). Francescano inglese, fondatore del
nominalismo, del quale non ci occuperemo qui.