mercoledì 31 gennaio 2018
COMUNICATO STAMPA DIRSTAT GENNAIO 2018
IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO
COMUNICATO STAMPA
REPETITA JUVANT.... ai
soliti noti..!
Roma, gennaio 2018 - La Legge di Bilancio 2018
indica le nuove procedure per le selezioni pubbliche. Peccato però che manchi
proprio la novità, tale
elemento trascurato dal nuovo vertice dell'Agenzia delle Entrate che in
sostanza ripete il medesimo andazzo fin qui largamente praticato e poi
cancellato dalla Corte Costituzionale con l'annullamento di una serie di
incarichi dirigenziali ritenuti contrari al precetto di cui all'art.97 della Carta.
Le "nuove"
procedure appaiono ictu oculi destinate ancora a favorire il personale
interno,e segnatamente quei soggetti che messi alla porta dalla Consulta
rientrerebbero dalla finestra. Il che produrrebbe un nuovo contenzioso, foriero
per la P.A. di paralisi gestionale oltre che di grave danno di immagine.
Non servono soverchi indugi per capire che l'interpello è un malizioso
escamotage per aggirare le procedure concorsuali.
Per di più non sono previsti
parametri definiti, quali elementi necessari ai fini dei criteri di
valutazione,e si introduce invece la valutazione dei profili affidata
agli esaminatori chiamati a
verificare le capacità dei
candidati.
E' pleonastico aggiungere
che manca la trasparenza, mentre è palese il ritorno all'antico malvezzo dell'
"intuitu personae" che gratifica i prescelti,ma assai spesso offende
e danneggia gli aventi diritto a pieno titolo.
Non ha poi una plausibile
spiegazione che l'interpello per gli incarichi di vertice risulti pubblicato in
rete,mentre per i dirigenti di 2^fascia è bastato Intranet, ovvero un ambito
quasi familiare nel quale magari troverebbero posto la partecipazione di
esterni con contratto ex art.19 c.6 del Dlgs.165/2001,come altre storture già viste. Tanto per dire che in
assenza di un responsabile gesto di resipiscenza che induca una radicale
discontinuità,
l'Agenzia delle Entrate avrà un
futuro assai complicato.
La DIRSTAT invigilerà sul prosieguo degli
accadimenti e si batterà nell'interesse
dei propri assistiti sempre nel rispetto della contrapposizione dei ruoli come è nella sua pluriennale
tradizione.
Dr. Pietro Paolo
Boiano
martedì 30 gennaio 2018
lunedì 29 gennaio 2018
sabato 27 gennaio 2018
venerdì 26 gennaio 2018
DETTI SICILIANI
"L'acqua ni vagna e u ventu ni sciuga"
"Mettiti cu' chiddi megghiu i' tia e appizzicci i' spisi"
"Mi chianciunu l'occhi"
"Mi chianciunu l'occhi"
giovedì 25 gennaio 2018
mercoledì 24 gennaio 2018
martedì 23 gennaio 2018
lunedì 22 gennaio 2018
domenica 21 gennaio 2018
sabato 20 gennaio 2018
venerdì 19 gennaio 2018
IL PAGANESIMO MAGICO DEL GRUPPO DI UR
Sto seguendo con una certa attenzione, il recente riaccendersi di una, mai
completamente, sopita polemica riguardante un po’ tutto il milieu “esoterico” e
tradizionalista italiano ed avente per oggetto, guarda un po’, l’interpretazione
dell’esperienza del cosiddetto Gruppo di Ur e del suo lascito spirituale ed
“operativo” in tutte quelle esperienze che, dal dopoguerra in poi, hanno in
qualche modo tentato di rifarsi alla cosiddetta “Via degli Dei Romano Italica”.
Occasione per rinfocolare polemiche e dibattiti, il novantennale della nascita
del Gruppo di Ur e i due recenti, interessanti articoli di Luca Valentini su
“Ereticamente” che, del convegno tenutosi in quel di Napoli il 14 di Ottobre,
costituiscono, a parere di chi scrive, un po’ la continuazione e la “summa”
ideale. Evola fu o no influenzato dall’antroposofia di Colazza? E poi la scuola
kremmerziana lasciò o meno il segno in quell’esperienza? E poi. Volevano
costoro realmente restaurare la religione pagana in Italia o cosa? O si trattò
di un’esperienza unicamente mirante a realizzare, anzitutto, una forma di
magica introspezione? E quella successiva dei Dioscuri? Ed allora, in quale
senso e direzione può essere intesa, al giorno d’oggi, una “Via Romana agli
Dei”? E via dicendo, con tutta una serie di interrogativi che sembrano, invece,
voler prepotentemente riproporre un’altra domanda, antica quanto l’uomo ed
il suo rapporto con l’Assoluto: adesione ad una ritualità formale potente, ma
legata a gesti, ritmi cicli e scadenze determinati o ad un qualcosa di più
atemporalmente profondo che, delle immagini sacre, fa un semplice simbolo
di riflessione, volto al potenziamento dell’ “Ego”?....Religiosità essoterica od
esoterica? E poi. Un approccio multiculturale ed esperienziale al rito, tramite
gli apporti delle più e più forme di religiosità in un’ottica di “guenoniano”
universalismo o un apporto rigorosamente “etnicista” in un’ottica di
esclusivismo culturale ( e cultuale), legato ad antiche radici? Domande che, lì
per lì, sembrano esser senza senso, quasi sterili ed intellettualistici
interrogativi senza alcuna attinenza con la realtà di quella vita che, invece, di
certezze e risposte chiare ha bisogno, per non ricadere nel caotico vortice
dell’insensatezza offerto dalla Post Modernità. E questi sono interrogativi le
cui soluzioni, invece, portano molto lontano…Cominciamo con il dire che,
quando si tratta di scuole di pensiero “esoterico” o misterico che dir si voglia,
o di autori ad esse legati, la cautela è d’obbligo. E’ vero. Il Valentini ci riporta
frasi di Evola e di altri autori, da cui si può tranquillamente evincere l’intento di
un lavoro “sub specie interioritatis” volto a far promanare l’elemento
numinoso dai profondi recessi dell’Io. Altrettanto vero è, però, l’intento
manifestato dallo stesso Evola in “Imperialismo Pagano” ed in altri autori quali
Reghini ( in ottima compagnia del pitagorico Amedeo Armentano, poi
emigrato in Brasile, sic!), Caetani/Ekatlos ed altri, in favore di un ritorno della
Paganitas in Roma, grazie all’avvento del Fascismo, il cui simbolo, il Fascio
Littorio, sembrava rappresentare il miglior viatico in tal senso. Sì, è vero.
Evola in “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” si mostra
molto critico verso tutte le varie derive settarie ed occultiste e verso la stessa
Antroposofia steineriana. Ma resta il fatto che in Ur aderì di tutto e di più,
neopagani, massoni, steineriani, teosofi, cattolici (Guido De Giorgio),
psicanalisti alla Emilio Servadio, oltre agli esoteristi “sciolti”, alla Evola .Ora,
affermare che tutte queste persone non partecipassero alle attività più
“operative” del gruppo, mi sembra quanto meno azzardato. Già il trattare in
modo approfondito certi argomenti, non nel ruolo di semplice studioso, ma
bensì in quello di vero e proprio “miste”, sia pure per iscritto, costituisce
un’attività in grado di innestare un vortice, un’interazione energetica tra menti
e realtà differenti. Anche perché, e questo andrebbe costantemente ripetuto,
trattandosi qui di un gruppo esoterico o magico che dir si voglia, non
bisognerebbe assolutamente fermarsi alle apparenze, foss’anche basate
sulle dichiarazioni degli stessi protagonisti, visto che in questo contesto, più
che altrove, vige sovrano l’annullamento ed il superamento del principio di
non contraddizione, per cui si arriva al paradosso ontologico di un “tutto che è
il proprio contrario”. Qualcuno ha recentemente criticato e messo in dubbio i
contributi del pensiero kremmerziano e di quello antroposofico, all’esperienza
di Ur e ad altre similari, perché apportatrici di elementi estranei alla matrice
indoeuropea della tradizione italica. Ora però, senza voler entrare nel
puntiglio di una polemica dai contorni, ad oggi, ancora sfumati, se qualcuno
volesse andarsi a leggere i “Dialoghi” di Kremmerz, (ma anche altri scritti
dello stesso autore), vi troverebbe più e più volte ribadita la impellente
necessità di doversi rifare a riferimenti sacrali Romano Italici ed Ellenici,
anziché a tradizioni estranee, quali quelle “orientali” ed altre similari. Che poi,
un autore come il succitato Kremmerz o lo stesso Reghini ed altri ancora,
abbiano agito in contesti immersi in una simbolistica che richiama le più
classiche radici dell’esoterismo occidentale, espresse da elementi gnostici,
rosacrociani o cabalistici, questo non comporta l’automatica adesione di
costoro, al “background” espresso da tali simboli, che, comunque sia, erano
parte costituente di un determinato contesto culturale ed epocale. Alla stessa
maniera, bisognerebbe andarci piano quando, con decisione, si rigetta
l’ipotesi di una qualsivoglia influenza dell’antroposofia di Colazza ed altri, su
Evola. Il Pensiero, ed in particolar modo quello di tipo esoterico, non può
esser considerato qualcosa di fisso ed immutabile, bensì una forma di fluido
che interagisce adattandosi di continuo alle contingenze di quel momento. Lo
stesso pensiero teosofico o antroposofico steineriano, non si mantiene fisso
su certi parametri, ma subisce una vera e propria mutazione in autori come
Massimo Scaligero che, nei suoi trattati posteriori, ci parla di un vero e
proprio “Pensiero Vivente” espressione di quel lavoro incentrato sull’Io, che
sempre più, sfugge ai classici parametri fantasticheggianti dello steinerismo
prima maniera. Julius Evola critica sia il cristianesimo che certo “paganesimo
dilettantesco” ma, stranamente, non perderà mai completamente i contatti
con un certo mondo i cui epigoni post bellici, sono proprio rappresentati da
quel misterioso Gruppo dei Dioscuri, che non mancherà di informarlo
puntualmente sulle proprie attività. Quell’Evola che, al pari di altri suoi
omologhi, legato ad un modo di pensare “Tradizionale”, si fa simbolo vivente
dell’irrompere della Modernità anche nell’ambito del pensiero “magico”, grazie
proprio a quella nuova visione prospettica, incentrata su un “Io” ora in grado
di interagire con la realtà, arrivando anche a modificarne i parametri sul piano
metafisico. Se andiamo a ben vedere, molti degli aderenti al Gruppo di Ur,
provenivano dalla frequentazione di riviste quali “Lacerba” e di personaggi
alla Prezzolini o alla Papini e dal milieu Futurista e d’Avanguardia.
Quell’Avanguardia che, tra fine Ottocento ed inizio Novecento, fonderà
insieme Futuro e Tradizione, Magia e Tecnica, all’insegna di un “Ego”,
pericolosamente proteso tra le suggestioni superomistiche e le emergenti
forze dell’inconscio e dell’occulto. Una spinta all’irrazionale, che la
preponderanza della Tecno Economia non riuscirà mai completamente, né a
sopire né a domare… La seconda grande questione che non si può
assolutamente tralasciare, è quella dell’attuale contesto storico, da cui le
polemiche a cui abbiamo poc’anzi accennato, prendono corpo. Senza entrare
nel puntiglio di una esatta genealogia storica, possiamo affermare che, sul
solco degli storici gruppi di riferimento del moderno paganesimo di matrice
romana, si è andato innestando un filone ed un’interpretazione sino a poco
tempo prima, relegati ad ambiti più specialistici e cioè quella più “esoterica”, a
cui abbiamo già accennato. Al di fuori dell’esperienza del Gruppo dei
Dioscuri, la “Via Romana agli Dei”, pur oscillando tra un’interpretazione
“prisca” della religiosità romana ed una più impostata al Neoplatonismo ed
agli scritti di Macrobio, Plotino, Giamblico, ha dato di quest’ultima
un’interpretazione più formalista. In questo, l’apporto “esoterico”, anche se
talvolta caratterizzato da qualche umanissima forzatura o inesattezza, non
può che costituire un sano antidoto alla stasi, alla marmorea rigidità di certi
sterili apologeti della Tradizione. Due visioni, due modalità di intendere un
qualcosa che, invece, nonostante l’apparente dissidio, costituiscono le due
facce complementari di una medesima realtà. Quella del mistero rappresenta
una delle necessità primarie dell’animo umano. Il sottile velo che adombra e
ricopre aree che a noi permangono precluse , rappresenta un potente stimolo
alla fantasia ed alla creatività, ad un continuo porsi domande ed a cercare
risposte. L’importante qui non è il disvelamento del mistero, ma la ricerca, il
percorso “si et si” che, dell’umana esistenza, costituiscono il sale. E nella
spasmodica ricerca di risposte, nel mare magnum del mistero, l’individuo
potenzia il proprio Ego, sino a far di sé stesso un Dio…ma, d’altra parte,
esiste da tempo immemorabile la necessità di dar un ordine al mondo tramite
una serie di formule, di parole, di movenze, che nel ricalcare le principali
coordinate della realtà, mettono l’intera comunità degli oranti in connessione
con le dimensioni superne; questo insieme di procedure è “rtah/rito”
ovverosia dar ordine al mondo evocando e collaborando con ciò-che-sta-di
sopra. Quel “sopra” spesso disvelato e conservato da quelle antiche radici,
che la lingua dei padri assieme a simboli atemporali, ci trasmettono e ci
ripropongono attraverso lo scandire del tempo, in giorni, stagioni, Ere, Eoni…
Due momenti, due modalità si direbbe quasi opposte. Fede e ricerca, estasi
ed iniziazione, pur con le loro differenze, ruotano attorno allo stesso
Samsara, alla stessa grande ruota dell’Essere. Ambedue sono, sia pur con
tutti i loro eccessi e le loro (apparenti) incongruenze, romanamente parlando,
quelle membra che hanno bisogno l’una dell’altra. Momenti, percorsi,
personalità differenti che si incrociano, si intersecano, talvolta si scontrano
ma che, proprio in questo momento, proprio di fronte all’epocale tragedia
della perdita del Sacro, del magico, dell’immaginifico, dinnanzi al vuoto di un
mondo incentrato sull’apparenza e sull’arida concezione Tecno-Economica,
dovrebbero finalmente comprendere dove sta il nemico, quello vero, ed
affilare le armi per una battaglia epocale. Una battaglia incentrata sulla
capacità di arrivare all’elaborazione di una nuova sintesi che sappia essere
Pensiero-Azione, Essere-Divenire, Immanenza-Trascendenza e che sappia,
pertanto, rispondere colpo su colpo a tutte le tremende sollecitazioni della
Tecno-Economia. Stavolta a perdere non sarà questa o quell’altra tendenza
culturale, questo o quell’altro gruppo, ma l’intero patrimonio spirituale di un
genere umano, appiattito, immiserito e subordinato ai diktat del Pensiero
Unico.
UMBERTO BIANCHI
giovedì 18 gennaio 2018
COLONIALISMO – IMPERIALISMO E FASCISMO
COLONIALISMO – IMPERIALISMO E FASCISMO
«Come si
spiega la contraddizione che il Fascismo è per l’autodeterminazione dei popoli,
sostiene le lotte di liberazione e la lotta del sangue contro l’oro, e poi
invece è per il colonialismo italiano e l’Impero? Tratteggiamo alcuni accenni
di risposta concettuali e storici»
di Maurizio Barozzi
Il governo fascista di Mussolini, ereditata una nazione già
colonialista, tra il 1935 e il ’36, ne estese lo spazio con la conquista
dell’Ethiopia, Il posto al sole, arrivando ad edificare un
Impero, anche se ben lontano dalla
portata del vasto e variegato Impero britannico che si formò nel tempo con la
violenza delle armi e con il sangue, estendendosi in ogni angolo del pianeta e
dagli immensi Imperi, possedimenti e sfruttamenti territoriali, palesi o
mascherati, di statunitensi e francesi, che garantivano ai rispettivi tenutari
e pirateschi ladroni, la possibilità di sottrarre risorse naturali e mano
d’opera, per garantirsi tenori di vita sopra le righe.
Senza trascurare
infine l’Unione Sovietica che alle soglie della seconda guerra mondiale mise in
moto un percorso espansivo che poi con la vittoria militare e gli accordi di
Jalta si risolse nella costruzione di un blocco di paesi invasi militarmente e
ad essa assoggettati, la quale, con la motivazione dell’esportazione del
comunismo, ebbe a palesarsi come un vero e proprio “Impero” sotto le mentite
spoglie di una costituzione di nazioni di paesi socialisti fratelli dietro la
guida della casa madre del comunismo che era l’’URSS.
Una favoletta per ingenui,
essendo invece, quello sovietico comunista, un vero e proprio “Impero” con
tanto di restrizioni libertarie, imposizioni territoriali e obblighi militari,
pianificazione economica e quant’altro, imposte a forza e mai verificate da un
suffragio elettorale e anzi con tanto di repressioni nel sangue e deportazioni,
nel caso di ribellioni.
Le ragioni che indussero il
fascismo alla svolta “imperiale” che tanto entusiasmo suscitò nel paese, al
punto da indurre molti noti antifascisti a rivedere le loro posizioni contrarie
al regime di Mussolini, furono
1
essenzialmente di natura
storica e geopolitica, anche se le necessità della ricerca di materie prime in
cui, come Nazione, eravamo strutturalmente carenti, e la ricerca di spazi
geografici dove travasare l’abbondanza di manodopera e stroncare
definitivamente il fenomeno della nostra emigrazione, ebbero un loro forte
ruolo.
Fu così, come sovente accade
nella Storia, che le necessità e le contingenze del tempo, determinarono uno
sviluppo storico del fascismo, divergente dai suoi presupposti come movimento
rivoluzionario di portata universale, privilegiando gli interessi nazionali che
del resto erano la ragione di nascita ed esistenza del fascismo stesso. Questa
contraddizione si palesò quando il fascismo fu costretto a ingaggiare una lotta
mortale proprio contro gli imperi plutocratici e colonialisti.
Ma non fu solo il fascismo
come partito nazionale a propugnare la conquista di “un posto al sole”, su
questa linea si trovarono anche le altre componenti che gestivano il potere
assieme o dietro le quinte del governo di Mussolini: dalla diarchia con la
Monarchia, al cattolicesimo desideroso di esercitare la funzione missionaria,
dalle correnti borghesi e liberali e dagli interessi confindustriali, tutti da
sempre “colonialisti”, come del resto erano stati i governi precedenti al
fascismo, anche se con partecipazione di socialisti.
Quando dietro all’entusiasmo
per il grande impulso delle costruzioni e realizzazioni in Libia, dove nel 1934
venne mandato Italo Balbo come “Governatore”, in Italia si suonavano le note di
valorizzazione del colonialismo, tutte queste vecchie e sopravvissute
componenti sociali, politiche, culturali e istituzionali, da tempo, ne
accompagnavano la musica.
A livello ideale, Mussolini
aveva iniziato a pensare ad una ampliata e definitiva sistemazione in Africa,
fin dal 1929, ma le ragioni storiche della “impresa imperiale africana” vanno
ricercate nel contesto internazionale del tempo, laddove all’Italia, già
emarginata ed umiliata nelle trattative di pace per la definizione della Grande
Guerra e soprattutto dopo gli sforzi di Mussolini nel 1933 per raggiungere un
equo balance of power in Europa, disinnescando futuri gravi contrasti, tramite
il “Patto a Quattro” con Germania, Inghilterra e Francia, del 1933, prima
firmato da tutti i contraenti e poi rifiutato di ratificarlo da britannici e
francesi, veniva ad essere inchiodata dai britannici e dai francesi in una
posizione subordinata, costringendo Mussolini a reagire e ad indirizzarsi verso
la conquista di uno spazio in Africa che ribaltasse e scompaginasse i criminali
progetti dei nostri ex alleati, tutti tesi a negare la crescita e il legittimo
nostro ruolo, soprattutto nel mediterraneo.
Basti pensare che gli inglesi
considerarono sempre il Mediterraneo, ragione geopolitica della nostra
esistenza, un loro Lago (così come gli Stati Uniti consideravano l’America
Latina il loro “giardino di casa”), ponendosi in tal modo come il nostro
principale e irriducibile nemico.
2
Cosicché
l’Italia pensò bene di espandersi in Africa incuneando nelle terre orientali di
quel continente (circa 1.120.400 kmq, quasi il quadruplo dell’Italia, con una
popolazione di circa 28.000.000 di abitanti, di diverse etnie), una presenza
che i britannici avvertirono subito come potenzialmente pericolosa per la
tranquillità politica del loro controllo imperiale in Africa (sulla Abissinia,
come veniva ad essere impropriamente chiamata l’Ethiopia, retta da Ras con
sistemi feudali e tanto di schiavitù legittimata, gli inglesi, non
considerandola remunerativa per i loro interessi, si erano sempre limitati ad
esercitare solo una discreta ingerenza politica a distanza).
Fu così che il
Duce confermò il nostro ruolo di paese colonialista anche se questo aspetto era
in contrasto con alcuni principi, tra cui l’autodeterminazione dei popoli, per
cui era nato il movimento fascista.
Non fu un caso quindi, né
retorica propaganda, che Mussolini e varie correnti culturali del fascismo, con
in prima linea l’Universale di Berto Ricci, che al contempo partiva volontario
per la guerra d’Ethiopia, intesero dare, come vedremo più avanti, all’Impero
italiano quell’aspetto “romano”, nella tradizione di Roma, che lo distinguesse
dagli imperialismi fine a sé stessi e finalizzati al solo alla rapina e mero
sfruttamento di altrui risorse e beni, relegando gli autoctoni, in tal modo
assoggettati, nella apartheid o nella brutale sottomissione, se non al
genocidio o alla estinzione come era avvenuto per gli amerindi, i pellirossa,
in America.
In ogni caso il
fascismo come partito di governo, nel ventennio, fu colonialista, anche se come
movimento, come idea rivoluzionaria, concettualmente almeno, non lo era
affatto.
Questi concetti e
queste asserzioni, che possono sembrare strane a chi non è ben informato, non
le diciamo solo noi, ma come vedremo, riportandone ampi stralci, da un
ricercatore storico di ottima caratura, politologo, scrittore e giornalista di
comprovata fede fascista e affermata cultura, come lo scomparso e compianto
dottor Alberto B. Mariantoni del quale ci avvarremo del suo Saggio “Il posto sole – Guerra d’Africa”, che
per la chiarezza di idee e precisione di riferimenti, è una insostituibile
guida.
Le distorsioni storiche e concettuali del neofascismo
Non
è qui il caso di riassumere e illustrare il percorso umano, ideologico e
politico dei reduci del fascismo dal dopoguerra in avanti, forzato e
condizionato da forze e interessi di varia natura, in primis le Intelligence
dei nostri occupanti americani, che si configurò come “neofascismo”, laddove in
pochi anni, emarginato ogni dissenso, prese forma, una specifica di “fascismo” che era proprio quella che gli
antifascisti avevano sempre desiderato che fosse, bandendo ogni presupposto
rivoluzionario per attestarsi su posizioni politicamente qualunquiste e
socialmente conservatrici, elidendo ogni indirizzo socialista del fascismo e
palesando una ideologia dai caratteri
3
reazionari
con posizioni a dir poco aberranti, tutte supportate dall’ alibi dell’anticomunismo
che ne doveva giustificare ogni atto.
Tanto per darne un
accenno, oltre a sostenere il cosiddetto “mondo libero”, quale male minore,
quando invece, persino sotto l’aspetto esistenziale, il mondo libero conformato dalla way of life americana, costituiva il
peggior nemico dell’uomo, si finiva
persino di praticare, in via sistematica e continuativa, il tradimento degli
interessi nazionali per dover sostenere e difendere quelli dei nostri occupanti
Atlantici.
In questo contesto i
neofascisti estendevano il concetto di Europa a tutto l’Occidente,
essenzialmente dominato dagli Stati Uniti e incluso nella Alleanza Atlantica,
comprendendovi nazioni come il Sud Africa e la Rodhesia e persino simpatie
verso Israele, definito un baluardo dell’uomo bianco (!) nel vicino oriente.
Espunto quindi il fascismo di ogni sua specifica rivoluzionaria, il neofascismo
non poteva che schierarsi per gli Stati
d’ordine, persino golpisti e militari, come i Colonnelli in grecia e
Pinocht in Cila (che di fatto avevano consegnato il paese agli interessi
statunitensi), e i regimi conservatori di Spagna e Portogallo dove il potere
era posto nelle mani di esosi capitalisti supportati dalla Chiesa.
Di conseguenza
venivano difese le posizioni colonialiste di queste nazioni, quando la loro
occupazione coloniale non aveva alcuna giustificazione, neppure quella di una
presunta superiorità spirituale di razza o missione civilizzatrice.
Praticamente il
neofascismo si è palesato come una variante di destra dell’antafascismo e
nessuna attinenza o riferimento può esservi con il fascismo, in particolare il
fascismo repubblicano e socialista della RSI che, sgravato da compromessi e
adattamenti, rappresenta la genuina e naturale evoluzione della rivoluzione
fascista.
Si da il caso,
però che il neofascismo, in varie sue componenti, attestato su queste posizioni
di destra, si è investito anche della giustificazione storica e ideologica del
colonialismo, gia fin dai tempi delle sue simpatie verso l’Oas e la confusione
che ne è derivata esige oggi una chiarificazione, netta e definitiva.
IL COLONIALISMO
Torniamo quindi al citato Saggio di Alberto
Mariantoni, il quale scrive:
«Il Colonialismo, sotto qualsiasi forma, ivi
compreso il particolare modello
fascista, è una contraddizione in termini con i principi ed i valori di
libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità politica, economica,
culturale e militare a cui ogni Popolo-Nazione del mondo, non solo ha diritto
di ambire o di desiderare ma
4
addirittura, ha il dovere
civile e morale di rivendicare e di ottenere, con qualsiasi mezzo, per poterli
tangibilmente concretizzare, per la propria gente e gli altri popoli, nel
contesto della società umana»
E prosegue Mariantoni senza peli sulla lingua:
«Colonialismo: una volgare
idea malsana
Il concetto (moderno) di
colonialismo – inizialmente giustificato ed incoraggiato da un Bolla papale
(quella di Alessandro VI Borgia che, nel 1493, aveva suddiviso il Globo
terrestre in due metà, l’una arbitrariamente assegnata al Portogallo e l’altra
alla Spagna), successivamente legittimato, il 7 Giugno 1494, dal Trattato di Tordesillas (tra i Re cattolici di Spagna e Giovanni II
del Portogallo) e, dopo diversi secoli, ulteriormente convalidato dalla Conferenza
geografica di Bruxelles (1876) ed, in
ultima istanza, ugualmente ed aggiuntivamente ufficializzato e reso ammissibile
e praticabile da 14 Paesi[1] che
partecipavano alla Conferenza di Berlino
(15 Novembre 1884 / 26 Febbraio 1885) – tende ad autorizzare, coonestare e
legalizzare l’occupazione militare, la dominazione politico-culturale e lo
sfruttamento economico di un Paese su un altro Paese e/o di un Popolo su un
altro Popolo.
Questo, ovviamente, quando non implica o non ha già implicato – come
nel caso degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia, dell’Olanda,
del Belgio, della Spagna, del Portogallo, del Sud-Africa e di Israele – la
sistematica eliminazione o marginalizzazione delle popolazioni dei territori
conquistati, la pulizia etnica o l’espulsione degli autoctoni, l’apartheid, la negazione,
il rifiuto o il plagio delle culture aborigene, l’assimilazione forzata delle
popolazioni sottomesse e, “dulcis in fundo”, perfino
l’ibridazione generalizzata e reciproca (salvo per gli Israeliani… che, nel
rapporto con le popolazioni palestinesi sottomesse, tendono a distinguersi e ad
isolarsi, praticando delle speciali unioni endogamiche, tra membri della stessa
setta, a partire da basi religiose e/o culturali e/o storiche) dei dominatori e
dei dominati, nel contesto di un inevitabile habitat multirazziale e
multirazzista.
In altre parole, il Colonialismo, ai miei
occhi ed a quelli (spero…) di chiunque possegga un minimo di umanità e di buon
senso, altro non è, né può essere, che l’ordinaria e ripugnante legalizzazione
dell’ingiustizia della violenza, del sopruso e della rapina, nonché di un
inevitabile, assurdo e devastatore autolesionismo o “masochismo”
etnico-culturale! ».
Cfr.: “Il posto sole – Guerra d’Africa”, visibile on line, tra gli altri
Siti, in:
http://www.abmariantoni.altervista.org/storia/Impero.pdf ed anche ripreso da:
http://www.mirorenzaglia.org/2011/05/5-5-1936-impero-italiano-le-ragioni-di-un-torto/.
5
Questa
posizione concettuale del movimento Fascista, si incanala perfettamente nelle
posizioni di quei fascisti, come Berto Ricci, che pur consci della ontologica
diversità degli uomini e quindi delle razze, hanno sempre rifiutato ogni forma
di razzismo suprematista.
Un conto è
riconoscere e anzi valorizzare le differenze culturali e razziali e tradizioni
nell’ambito di ciascuna specificità, ponendole in un contesto oranico, ed un
conto è praticare il suprematismo, l’ostracismo, l’apartheid, quando poi lo
stesso discorso delle rispettive “superiorità” e “inferiorità” è del tutto
relativo investendo oltretutto valori squisitamente spirituali.
Del resto si deve proprio alla
grande intuizione di Mussolini, superando il Socialismo senza rinnegarlo, la
valorizzazione delle diversità ontologiche degli uomini (principio avverso agli
“immortali principi”), mettendole a disposizioni del bene comune (socialismo).
Non fu casuale
quindi che il fascismo riuscì, forse per la prima volta nella storia a portare
veramente nello Stato il popolo, nelle sue componenti economiche sociali,
professionali, combattentistiche, arti e mestieri (antitesi ad ogni assetto
Istituzionale dell’era moderna poggiante su aristocrazie e dinastie travolte
dalla loro decadenza: «Dottrina del Fascismo: “Non si torna
indietro. La Dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre, L’assolutismo
monarchico, fù e così pure ogni
ecclesia. Così furono i privilegi feudali, e la divisione in caste
impenetrabili, e non comunicabili tra di loro.>>).
Berto Ricci, non a caso, ebbe ad affermare esplicitamente:
«“Uno dei punti sui quali ci dobbiamo
impegnare è la lotta al razzismo perché,
in una visione universale del fascismo, l’ascaro fedele è uguale a noi, è nostro fratello. […] In un a visione imperiale la discriminazion e razziale non è concepibile»”.
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Né più né meno d i quella
visione Imperiale di Roma, che conquista e fa tutti cittadin i dell’Impero,
riassumendoli e ordinandoli tutti nelle sue Leggi, rispettando anche la
pluralità del le confessioni
religiose, rappresentate nel
Pantheon.
E proprio il richia marsi a
Roma, ci induce ad accennare almeno ad un'altra spiegazion e:
non di rado gli antifascisti,
infatti, riferendosi a quei fascisti, oppure ai cosiddetti “rosso bruni”, che
nel dopoguerra si sono attestati su posizioni anti imperialiste e anti
americane, hanno fatto rilevare la contrad dizione che detti fascisti
parteggiano per le lotte di liberazione dei po poli, sottomessi
dall’imperialismo americano o israeliano, e ne condannano i relativi massacri,
ma per altro verso, non avversano il nostro imperialismo a danno di libici e
abissini e ne giustificano le repressioni ai tentativi di guerriglia degli
autoctoni. Questa contraddizione è evidente, ma se andiamo a ben vedere è più
apparente che reale. Non è il caso q ui di portarci su discorsi ideologici e
filosofici, basta accennare al fatto che, come già indicava la Sapienza antica,
nella natura umana, nell’uomo, è connaturata la conquista, la sopraffazio ne,
il possesso e l’esercizio del potere.
E’ un archetipo umano che è
impossibile eliminare, ma s emmai limitare, perché se non ci fossero i freni
inibitori, morali e religiosi, i fr eni di legge e del diritto, i freni di una
“autorità” super partes, la terra diverreb be una jungla e non ci sarebbero
limiti alla prevaricazione, alla rapina, al l’omicidio, nella peggior abiezione
umana, da parte del più forte o del più scaltro a danno degli altri, non
bastando le s ole virtù positive, pur presenti nell’ uomo, a frenare questi
istinti criminali e b elluini (homo homini lupus).
Stante così le cose e pres o
atto che a questo “archetipo” umano non può esserci “evoluzione” (l’uomo ucc
ideva e derubava dalla notte dei tem pi, esattamente come fa oggi, essendosi
evoluto solo il “modo” in cui lo fa e lo giustifica, il rapporto culturale in
cui si pone con gli altri), stante così le cose, si diceva, resta solo la
“sublimazion e”, l’incanalazione della natura uman a in un contesto di Diritto,
di bene comune, di civiltà, laddove sono le virtù che vengono valorizzate e i
lati negat ivi messi sotto controllo: è il princi pio della civiltà romana ed
infatti come vedremo, Mussolini cercherà di dare al colonialismo e poi
all’Impero i contorni e le specifica di Roma.
In questo senso quindi non si sarebbe più più potuto parlare d i
“colonialismo”
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come
sopraffazione e conquista, ma come espansione
di civiltà, dove si mette a disposizione dei nativi tecnologicamente meno
evoluti, se non quasi primitivi, tecnica e conoscenza e se ne socializzano le
risorse territoriali.
Una impostazione e una
impalcatura, umana, sociale ed istituzionale che per l’epoca storica
anteguerra, caratterizzata dal colonialismo sfrenato, poteva funzionare e
giustificarsi.
Se poi all’atto
pratica le cose, nella Africa da noi occupata, non andarono propriamente così e
si ebbero anche situazioni di puro colonialismo, più che al fascismo lo si deve
attribuire alle tradizioni che caratterizzavano le vecchie componenti
conservatrici del nostro paese Basti pensare che entrammo in guerra con la
tradizione monarchica del nostro esercito, che presentava una mensa ufficiali e
una mensa per i soldati, una stortura che gridava vendetta per per tutti coloro
che in quella guerra mettevano in gioco la vita e che infatti con la RSI si
cercò di porre rimedio.
Il discorso di
Mariantoni, quindi, poc’anzi visto sul colonialismo, in riferimento alla storia
moderna e contemporanea non fa una grinza, ma in termini metastorici e
atemporali, occorre anche fare le considerazioni su esposte.
I massacri perpetrati dagli Italiani in Africa
Prima di affrontare il discorso dell’IMPERO ITALIANO, delle sue
peculiarità e caratteristiche che lo distinguono dagli altri imperialismi,
vogliamo subito affrontare le accuse elevate dagli antifascisti all’Italia
fascista: quella di aver proceduto a sanguinose rappresaglie in Ethiopia e aver
persino usato i gas tossici, arma espressamente vietata dalla Convenzione di
Ginevra.
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Anche
in Libia, precedentemente, ci fu una sanguinosa repressione del movimento
senussita impegnato in una guerriglia contro l’Italia.
Non abbiamo alcuna
intenzione di voler nascondere queste pagine non certo edificanti, ma dobbiamo
subito premettere che a differenza di repressioni sanguinarie, perpetrate per
esempio dagli inglesi nelle loro colonie e possedimenti (per non parlare negli
anni a venire di quelle degli israeliani), aventi spesso il carattere e il fine
del vero e proprio genocidio, le stragi commesse da noi italiani furono una
reazione, per quanto esagerata, ad episodi di terrorismo, ad attentati
sanguinosi contro di noi, un terrorismo che si voleva stroncare definitivamente
per la sicurezza dei nostri connazionali e per garantire una pacifica
convivenza nella regione.
Una distinzione,
questa, non indifferente, soprattutto se vi aggiungiamo il fatto che la ricerca
storica su questi episodi è carente e non affatto chiara.
Gli attentati di
cui fummo oggetto in Ethiopia furono particolarmente sanguinosi e scatenarono
altrettante sanguinose e forse eccessive nostre rappresaglie, mentre in Libia
la repressione fu indispensabile a causa dei continui attacchi della guerriglia
senussita nell’Est della Libia.
Omar al Muktar, imam e
guerrigliero libico cirenaico, fu condannato a morte nel Settembre 1931 (e fu
comunque un errore) perché nel corso del processo, aveva formalmente
riconosciuto di avere ordinato l’assassinio di un certo numero di prigionieri
italiani e di essersi ugualmente reso responsabile della strage di Slauta, dove
un’intera tribù di disarmati beduini libici legati all’Italia, venne massacrata
dai suoi meharisti.
Per quanto riguarda l’uso dei gas
tossici, bombe all’iprite, oltretutto un episodio di portata contenuta e non
così intenso come lo si è voluto far passare (tantissimi nostri connazionali
impegnati in quella guerra non ne ebbero neppure sentore e alcune testimonianze
che lo attestano o lo esagerano sono
contestate da
innumerevoli testimonianze raccolte, in prima battuta, da “Storia Verità” (Marzo 1997), e da ultimo riportate da Filippo
Giannini su “Il Popolo d’Italia” del 5 Agosto 2005).
Questo limitato
impiego criminale, comunque avvenne a causa di una contingenza militare avversa
e pericolosa che aveva coinvolto, quello che anni dopo si paleserà come sua
indecenza il generale Pietro Badoglio.
Il ricorso ai gas,
infatti, sarebbe stato espressamente richiesto e preteso dal Generale Badoglio,
nel Gennaio del 1936, per poter frenare e quindi contrattaccate, un’inaspettata
e travolgente offensiva etiope:
«In particolare, quella condotta dai Ras, Immirù (40.000 uomini), Mulughietà (80.000), Cassa e Sejum (40.000 +
30.000) che – puntando in direzione di Tracazzè, Macallè e Tembien – aveva
facilmente travolto la 24ª Divisione italiana “Gran Sasso” (presso la località
di Dembeguinà), riconquistato la regione dello Sciré, sconfinato militarmente
in Eritrea, al punto che non era affatto escluso che potesse ugualmente
rinnovare o
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replicare, ai danni delle
truppe italiane di quella zona del fronte, il massacro di Dogali (26 Gennaio
1887) e/o l’eccidio di Adua-Abba Garima (1 Marzo 1896)»
[Cfr.: http://www.abmariantoni.altervista.org/storia/Impero.pdf[).
In definitiva, in
quell’epoca, l’impiego di bombe caricate ad iprite (e non limitato e
circostanziato come il nostro), si era già verificato in altre occasioni e per
motivi meno drammatici ed impellenti della nostra contingenza militare avversa,
per esempio: da parte di Sua Maestà britannica, in Russia, nel 1919, contro i
Bolscevichi, ed in Iraq, negli anni ’20, contro le popolazioni Curde ed Arabe
in rivolta; a cui possiamo aggiungere l’esercito spagnolo, il 29 Giugno 1924,
nella regione di Tétouan, in Marocco.
E se per noi, questo impiego
fu ritenuto dal Badoglio assolutamente necessario e quindi approvato da Roma,
per altri campioni di democrazia era invece una prospettiva naturale come
attesta, proprio in quel periodo storico, l’allora Ministro delle Colonie del
governo britannico Sir Winston S. Churchill:
“Non capisco questa schizzinosità circa l’uso
di gas. (… ) Sono fermamente per usare i gas contro le tribù incivili”).
(Cfr.: http://www.abmariantoni.altervista.org/storia/Impero.pdf)
L’IMPERIALISMO ITALIANO
Nelle
forme di colonialismo e imperialismo (ma già qui lo stesso nome “Imperialismo” risulta stonato) franco -
anglo - americano soprattutto, ma non solo (persino il piccolo e insignificante Belgio deteneva
e sfruttava
colonie), laddove queste nazioni pirata conquistarono e si
impadronirono di terre altrui da colonizzare, depredare e più o meno
schiavizzare, tutto il meccanismo imperialista di questi conquistatori era
basato sullo sfruttamento del territorio, della mano d’opera locale e dei beni
e materie prime sottratte alle terre occupate, genocidando o lasciando la
popolazione locale in condizioni indigenti, se non di semi schiavitù o
forzandone l’adeguamento alla cultura dei conquistatori per neutralizzarne ogni forma di ribellione.
Quel poco di infrastrutture
che venivano edificate: qualche strada, un ufficio postale, una banca, bordelli
e osterie e trasporti, residence e ospedali, per i civili e militari
colonizzatori, erano solo finalizzate allo
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sfruttamento pratico e
razionale di ciò che quelle terre o quella gente non progredita o addirittura
semi primitiva, poteva dare.
Diverso il comportamento
dell’Italia fascista (seppure risentiva degli influssi di una cultura borghese
e conservatrice e delle tradizioni sabaude proprie del ventennio, per cui, in
pratica e come accennato, non tutto fu poi così idilliaco) che costruì ogni
genere di infrastrutture e servizi, comprese le scuole e gli ospedali, di cui
le stesse popolazioni locali, senza alcuna apartheid, potevano beneficiare, in
pratica contribuendo alla crescita e sviluppo di quelle terre, da secoli
rimaste allo stato primitivo e apportando un beneficio a tutti esteso.
L’imperialismo
fascista quindi, in quei territori che già avevamo o vennero conquistati negli
anni ‘30, apportò un progresso civile di enorme portata costruendo strade,
ferrovie, case, scuole, ospedali, ogni genere di infrastrutture di cui
beneficiarono anche le popolazioni locali.
Basti pensare che
il nostro nemico, durante la guerra abissina, il Negus Hailé Selassié.
quando venne rimesso al potere, come
Imperatore, dagli inglesi, alla fine della seconda guerra mondiale, chiese agli
italiani ancora presenti di rimanere nel paese a beneficio di tutti.
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Tralasciando le grandi
realizzazioni italiane in tutta la Libia, che per efficienza e bellezza
risultarono un meraviglioso gioiello incastonato anche in regioni
sostanzialmente desertiche, e ponendo lo sguardo sulla conquistata Ethiopia,
dove le eterogenee genti vivevano in condizioni semi primitive e vigeva in
pieno il diritto alla schiavitù, ecco un riassunto di Alberto Mariantoni, delle
principali realizzazioni che furono operate in Etiopia, in soli 5 anni (!) di
presenza italiana:
«– furono costruiti ed
organizzati, ad esempio, numerosi villaggi popolari, come quelli di Oletta e di
Bischioftu, nelle vicinanze di Addis Abeba;
– venne realizzata la
costruzione, in meno di 18 mesi, di 6 grandi assi stradali, due dei quali, da
Addis Abeba, continuano ancora oggi a congiungere Massaua (una strada di 1.600
chilometri – e con i mezzi tecnici dell’epoca, cioè con i picconi, le pale e
molto “olio di gomito”) e Assab, sul Mar Rosso (la Kombolcia-Assab, una strada
di 480 chilometri, fu portata a compimento in soli 6 mesi!), ed un altro, che
congiungeva Mogadiscio, sull’Oceano Indiano;
– l’edificazione ex novo della
ferrovia Massaua-Asmara (attualmente in disuso);
– la ristrutturazione della
ferrovia Gibbuti-Addis Abeba e la costruzione, in parallelo a quest’ultima, di
una strada camionabile, sul tratto Gibbuti-Diredaua, fino alla stazione di
Harrar;
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–
la progettazione e la costruzione (non terminata) delle strade camionabili
verso i porti di Berbera e di Zeïla (nell’allora Somalia britannica) e la
località di Gambela, alla frontiera con il Sudan;
– questo, naturalmente, senza
contare le decine e decine di edifici pubblici, di uffici postali, di scuole,
di ospedali, di infermerie, di lebbrosari, di stazioni radio, stazioni
telefoniche, di alberghi, di caserme, di campi sportivi, di centrali
elettriche, di mattatoi, di fognature, di opere idrauliche e di contenimento
delle acque dei fiumi, i piani di appoderamento e della messa in cultura di
cereali, di fibre tessili, di piante oleaginose;
-
la ristrutturazione dei porti di Assab (Eritrea) e di Mogadiscio
(Somalia); la prospezione mineraria in Etiopia: il rame, nel Tigré e
nell’Amhara;
il ferro, quasi dappertutto;
il piombo e l’argento, nelle diverse regioni dell’altopiano; il carbon fossile
e la lignite nel Choa e nella regione del lago Tana; il potassio ed il
manganese, nel Tigré;
il salgemma, nella Dencalia;
il mica ed i silicati nell’Harrar; lo zolfo, nel bacino dell’Auasch, etc. ».
(Cfr.: http://www.abmariantoni.altervista.org/storia/Impero.pdf).
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Non è di certo casuale, nè un
gratuito omaggio al fascismo, se il settimanale The Economist in un articolo ha
raccontato il nobile passato urbanistico della capitale etiope, e le sue
prospettive future. Tanto che il giornale on line Il Post che ha commentato
l’articolo lo ha titolato: «Ad Addis
Abeba il colonialismo fascista ha
lasciato pregevoli architetture». Scrivendo:
«Addis Abeba ospita pregevoli e ammirate costruzioni dell’occupazione
fascista (come anche Asmara, in Eritrea),
a cui sono succeduti meno pregevoli edifici pubblici di stampo sovietico
durante il periodo marxista del paese, tra il 1974 e il 1991. La scuola
architettonica italiana è ancora tenuta in grande considerazione nei progetti
urbanistici in esame per affrontare la crescita della città, in cui sono stati
coinvolti anche architetti stranieri»
(Cfr.: http://www.ilpost.it/2010/08/29/addis-abeba-architettura/).
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Come afferma ancora Mariantoni:
«Mussolini, infatti, di lì a
poco – in aperta sfida e provocazione al colonialismo ed all’imperialismo che erano praticati dalle altre
potenze mondiali – volle inaugurare un nuovo tipo di ordinamento dei popoli che
allora facevano parte o erano parte integrante dello Stato italiano: quello,
per l’appunto, della Comunità Imperiale Romana.
Una Comunità, cioè – come spiega il costituzionalista Gaspare Ambrosini
– dove ”nessuna
parte ha funzione di semplice strumento, né
tanto meno è assoggettata a sfruttamento; tutte partecipano allo scopo
comune ed ai comuni vantaggi, conformemente alla tradizione di Roma che (…)
associava i popoli al suo destino” (citato da Michele Rallo, “L’epoca delle rivoluzioni nazionali in
Europa”, vol. IV°, Ed. Settimo Sigillo, Roma, 2002).
Qualunque sia o possa essere il giudizio che, oggi, si possa esprimere
sulla Colonizzazione fascista, è ovvio che quel tipo di ordinamento – sia nel
concetto che nella sua applicazione pratica – era diametralmente all’opposto di
ogni forma di dominazione dei popoli, quale era praticata, in quel periodo,
dall’insieme delle potenze coloniali europee ed extra-europee».
E non è superfluo sostenere
che mentre non era raro il caso che inglesi e francesi, da veri colonialisti,
soggiornavano o presidiavano le località a loro assoggettate, stando tra la
gente con il frustino in mano, gli italiani ebbero un ben diverso
comportamento.
Come conferma Romano Bracalini:
«“gli Italiani, anche col fucile e il
casco coloniale, restavano dei poveri
cristi che andavano in Africa per lavorare e come colonialisti erano dei
dilettanti. Si comportavano diversamente dagli Inglesi, che tenevano il
frustino sottobraccio e non davano confidenza agli indigeni” (“Storia Illustrata”, n. 334, Settembre 1985)».
Sintomatico, inoltre, era
stato, già dall’inizio della Guerra d’Africa (1935), il gesto di Luigi
Pirandello (che aveva offerto la medaglia d’oro del suo Premio Nobel); il filosofo
antifascista Benedetto Croce donò alla Patria della sua medaglietta d’oro di
Senatore, mentre il PCI, clandestino, dell’agosto 1936, nel suo mensile “Lo Stato Operaio” n. 8 pubblicò un
manifesto indirizzato a tutti gli Italiani, anche “ai fratelli in camicia nera”
invitando all’unione del popolo italiano, fascista e non fascista, in cui, tra
l’altro, si affermava: “Lavoratore
fascista ti diamo la mano. Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista
del 1919, che è un programma di pace e di libertà, di difesa dei lavoratori …
”.
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Propositi
che vennero ribaditi, nell’Ottobre del 1936, dal Comitato centrale dello stesso
Partito Comunista e sottoscritti da Togliatti, Di Vittorio, Longo, Negarville,
Sereni, Teresa Noce, Donini ed altri.
Chiariamo: lungi
dall’essere una sia pur parziale condivisione del fascismo, o un cedimente
all’operato del Duce, come ingenuamente hanno preteso di leggerlo alcuni,
questo manifesto era, di fatto , una furbesca trovata, propagandista e
psicologica, per far fronte alla incontenibile marea di consensi che stava
avendo il regime fascista con la conquista dell’Impero, mostrando solamente una
(finta) non estremistica e preconcetta opposizione.
Oggi che queste situazioni sono lontane anni luce, che le cosiddette
nazioni democratiche hanno mostrato il loro vero volto criminale, hanno
sterminato interi popoli, riportato all’età della pietra nazioni, come per
esempio l’Irak e la Libia, sufficientemente moderne, hanno sottratto e rapinato
tutte le risorse della terra, imponendosi con un colonialismo di stampo
finanziario e capitalista, che agisce attraverso banche e multinazionali, oggi,
chiunque intendesse rifarsi ai postulati, ai progetti del fascismo, proiettati
ai nostri giorni, non può che attestarsi in posizioni di assoluta avversione
contro questi “imperialismi”, soprattutto quello statunitense e israeliano,
schierandosi senza se e senza ma dalla parte dei popoli aggrediti o
assoggettati e alle loro lotte di liberazione.
Non possono più esserci
equivoci o mezze misure, né alibi per un comunismo oramai, grazie agli Dei,
defunto.
di Maurizio Barozzi
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