Fascismo: sintesi dell’unità di un popolo
Nato dall’immaginario
delle rivendicazioni rivoluzionarie durante il primo conflitto mondiale, il Fascismo
ha sempre destato clamori e divergenze in tutti gli ambienti della società
italiana. Ma da dove e come nasce questa sintesi ideologica tratta, come
Mussolini stesso affermò, dall’inconscio degli italiani? Il Fascismo molto comunemente viene accostato al mondo
politico della cosiddetta “destra”. Quest’etichetta, sicuramente inappropriata,
mal si identifica nella vera essenza del contenuto sociale, culturale,
spirituale e politico che esso cercò di incarnare nel corso della sua esistenza. Mussolini stesso dichiarò:
“Mi rifiuto
di qualificare di destra la cultura cui la mia rivoluzione ha dato origine.
Cultura di destra, del tutto rispettabile, è quella che fa capo all’Action
Française. Cultura di destra è quella di cui la gente di Codreanu è fautrice.
Cultura di destra è da considerarsi quella alla quale il mio amico inglese
Mosley sta lavorando. Ma la cultura fascista, che recupera valori dell’intero
Novecento italiano, non è di destra.”
Partendo da tali considerazioni, è opportuno fare un breve
excursus per comprendere meglio il contenuto di tale affermazione.
Aldilà del semplice significato della parola (fascio di
verghe portate nell’antica Roma dalle guardie del corpo del re, i littori), il
Fascismo, il cui emblema fu il Fascio Littorio, mirò essenzialmente a
riunificare tutto il popolo italiano che fino a quel momento era rimasto diviso
a causa delle tensioni sociali, cercando di portarsi al di sopra di tutti gli
interessi ideologici e partitici.
Il movimento fascista, considerato come fatto nuovo della
politica, nasce dalla sintesi di alcuni fenomeni insiti nella forma mentis
della società italiana dell’epoca: il Sindacalismo Rivoluzionario e il
Sindacalismo Nazionale. Il primo nato in Francia con Georges Sorel, vide in Italia
i suoi maggiori esponenti nelle figure di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni,
Michele Bianchi; il secondo rappresentato dalla figura di Enrico Corradini,
fondatore dell’A.N.I. (Associazione Nazionalista Italiana). Da non
sottovalutare certamente fu anche la partecipazione della componente anarchica.
La radicalizzazione di questi fenomeni, ebbe come
collante l’Interventismo. Esso, raccolse tutti coloro i quali vedevano nella
guerra la soluzione migliore per la Nazione, ovvero il simbolo della rottura con
il vecchio status quo e la conseguente rinascita del popolo italiano.
Grazie all’opera del fronte interventista, che
comprendeva tra le sue fila i sindacalisti rivoluzionari, i futuristi, i
nazionalisti, gli interventisti democratici, i repubblicani, i liberali di
destra e gli irredentisti, nacque un nuovo soggetto politico che prese il nome
di “Fascio d’Azione Rivoluzionaria”. Il movimento nacque a Milano nel dicembre
del 1914 grazie all’opera di Alceste De Ambris e Benito Mussolini.Quest’ultimo, nel frattempo assunse posizioni decisamente
interventiste che gli costarono l’espulsione dal P.S.I. e dalla carica di
direttore dell’Avanti dichiaratamente neutralisti, fondò il “Popolo d’Italia”,
organo e quotidiano più importante dell’interventismo di sinistra. Il Fascio,
esaurì la propria azione con l’entrata nella Grande Guerra il 24 maggio 1915 a
fianco dell’Intesa, ma andrà a confluire unitariamente, al termine del
conflitto stesso, nei Fasci Italiani di Combattimento.
Il Fascismo primogenito, nacque nel 1914 sotto il
fenomeno interventista e, si sviluppò in seguito sui campi di battaglia durante
la Grande Guerra; infatti proprio dopo le gravi perdite subite dall’esercito
italiano a Caporetto, nacque la “Trincerocrazia” che letteralmente significa
“potere al popolo combattente”. I “triceristi” costituirono una nuova élite di
combattenti e reduci di guerra che andrà a formare lo zoccolo duro del Fascismo
Sansepolcrista.
Al termine della Grande Guerra che diede la vittoria
all’Italia ed agli altri paesi dell’Intesa, si svolse a Parigi la Conferenza di
Pace. L’Italia rivendicò legittimamente i territori che le spettavano di
diritto secondo il Patto di Londra, con il quale essa entrò in guerra. La
Conferenza di Parigi non andò a buon fine, poiché restò aperta la questione riguardante
la città di Fiume. L’insoddisfazione italiana relativa alla Conferenza di Pace
portò all’affermazione dell’idea della “vittoria mutilata”, che vide in
Gabriele D’Annunzio il maggiore esponente. Quest’ultimo il 12 settembre 1919
marciò su Fiume rivendicando l’italianità della città. Mussolini ed il Popolo
d’Italia diedero aperto sostegno alla causa del poeta soldato, anche se fra i
due ci furono delle divergenze; all’esperienza fiumana parteciperanno anche
molti fascisti della prima ora.
Mussolini qualche mese prima, il 23 marzo, fondò a Milano
a Piazza San Sepolcro i Fasci Italiani di Combattimento. Il nuovo movimento
prevedeva l’attuazione di uno specifico programma, pubblicato sul Popolo
d’Italia tre mesi dopo, che poneva il Fascismo non solo come “Terza Via” al
Bolscevismo e al Capitalismo ma anche, come portatore di nuovi principi e
valori autenticamente rivoluzionari per l’epoca; gli stessi forse furono
addirittura superati e catapultati ampiamente verso il futuro dalla stesura
della Carta del Carnaro, elaborata dal sindacalista rivoluzionario Alceste De
Ambris e curata nello stile da Gabriele D’Annunzio e, promulgata l’8 settembre
1920 come costituzione della Reggenza Italiana del Carnaro. Con la firma del Trattato di Rapallo, Fiume si dichiarò
stato libero, ma sarà annessa all’Italia nel 1924 e, rimarrà come tale fino al
1947.
Con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, Mussolini ed il
Partito Nazionale Fascista (P.N.F.), nato nel 1921 (l’A.N.I. di Enrico Corridoni confluirà nel 1923), dovettero raggiungere una serie di compromessi
con le maggiori espressioni che determinavano la vita e la morte dell’Italia
dei primi anni Venti del Novecento (Monarchia, grandi gruppi industriali ed
agrari, Vaticano), virando in un certo senso verso posizioni di “destra”, ma
non abbandonando mai lo spirito sociale che caratterizzò tutto l’arco del
Ventennio. La Carta del Lavoro fu uno dei punti cardine dello “Stato Etico-Coporativo”
voluto da Mussolini, il quale disse: “Lo
Stato fascista è corporativo, o non è fascista”.
Il Duce, da sempre socialista e repubblicano, purtroppo
dovette cambiare rotta con l’assassinio del deputato socialista Giacomo
Matteotti, il quale con il famoso discorso alla Camera del 30 maggio 1924,
lanciò un pesante attaccò al Capo del Fascismo; quest’ultimo in realtà aveva
come obiettivo la collaborazione con i socialisti unitari e un’apertura a
“sinistra” verso le masse operaie e contadine, come dimostrò nella sua replica
al discorso del leader del P.S.U. il 7 giugno 1924.
Il 10 giugno del 1924, Matteotti fu sequestrato e ucciso
da un commando di squadristi: il giorno seguente egli avrebbe dovuto tenere un
discorso più aspro di quello del 30 maggio, poiché quasi sicuramente avrebbe
denunciato, con una cospicua documentazione raccolta segretamente a Londra
nell’aprile di quello stesso anno, gli scandali relativi ad alcuni membri del
Partito Fascista e di Casa Savoia, legati a doppio filo con gli ambienti di “Sua
Maestà”.
Cosa successe dopo il delitto Matteotti è ormai storia
conosciuta. Il Fascismo e Mussolini, attanagliati dai poteri forti si
districarono con abilità nel contesto della società italiana, riuscendo ad
ottenere grandi risultati soprattutto in campo sociale, tutt’oggi ancora presenti.
Socialità che, il Fascismo raggiunse con la nascita della Repubblica Sociale
Italiana attraverso la stesura e dei 18 punti di Verona, nel pieno della
Seconda Guerra Mondiale.
Il Fascismo, ritornò così alle origini “socialisteggianti”
che lo avevano contraddistinto nei primi anni venti: la Socializzazione, che si
affiancò ad un altro caposaldo dell’ideologia, il Corporativismo, fu la punta
di diamante del Manifesto del Partito Fascista Repubblicano.
“La socializzazione altro non è se non la
realizzazione italiana, umana, nostra, effettuabile del socialismo “, il Duce diede così alla
luce, in un momento tragico della storia d’Italia, ad uno dei suoi principali
cavalli di battaglia ed infatti furono socializzate molte imprese nazionali,
tra queste ricordiamo la Mondadori, la quale dopo solo pochi mesi raggiunse un
utile di circa di 3 milioni dell’epoca come dimostrò una lettera di Nicola
Bombacci inviata a Mussolini, dopo la sua visita all’impresa editoriale.
La “Legge sulla Socializzazione” fu abolita
dal CLNAI il 25 aprile 1945 e, mai fu attuata dai governi italiani del secondo
dopo guerra, tradendo così non solo l’articolo 46 della Costituzione della
Repubblica Italiana, ma soprattutto la dignità e i diritti delle classi lavoratrici.
Ma questa è tutta un’altra storia!
Francesco Marrara