Antica espressione toscana dell'epoca dei Comuni, vergata tra rami di lauro e sovrastato da una fiamma rossa, quale genio del nuovo spirito del lavoro.
Lavoro e fatica sono sinonimi del passato. Già agli inizi del novecento, grazie ai progressi della tecnologia la macchina sostituisce l'uomo nelle incombenze più gravose e l'operaio, il manovale, il contadino non dovrebbero essere più costretti a immolare le proprie energie sull'altare del privilegio, a vendere il proprio lavoro ad oziosi e parassiti.
Il lavoro non è più, non dovrebbe essere più fatica, dannazione, maledizione, peso del vivere, ma libera, gioiosa contribuzione al benessere collettivo.
Marx nel Capitale osserva che il regno della libertà comincia solo là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità, e nei Grundisse preconizza un futuro nel quale scienza e tecnica prenderanno il posto del lavoro umano.
Da quando il progresso tecnologico ha cominciato a sostituire la macchina all'uomo, ad alleviare la fatica, scrive Gentile nell'Umanesimo del Lavoro, la vecchia cultura dell'umanesimo letterario e filosofico è un'anacronismo, una falsa cultura, destinata a rimanere tale senza rimedio, finchè non si slargherà ad abbracciare ogni attività creativa di umanità, non diventerà espressione dell'umano fare.