venerdì 28 marzo 2014

SEGRETO NOVECENTO - Recensione di Roberto Cozzolino

SEGRETO NOVECENTO di Gian Paolo Pucciarelli
Un libro fondamentale per conoscere i retroscena della Storia
Recensione di Roberto Cozzolino


“La storia è la versione dei fatti di chi detiene il potere” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel)
“Ogni buon storico è quasi per definizione un revisionista” (Paul Johnson)
“Il nostro unico dovere nei confronti della Storia è di riscriverla” (Oscar Wilde)
“La Storia non esiste. Il passato è solo uno strumento del presente e come tale è raccontato e semplificato per servire gli interessi di oggi” (Tiziano Terzani)
“I libri di Storia vanno considerati come opere di pura immaginazione. Sono racconti fantastici di fatti mal osservati, accompagnati da spiegazioni inventate a cose fatte” (Gustave Le Bon)
“Storia: resoconto per lo più falso di eventi per lo più irrilevanti” (Ambrose Bierce)
“Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera… e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli accadimenti. Una storia vergognosa” (Honoré de Balzac)

   Gli aforismi che precedono, scelti quasi a caso nella vastissima produzione di eterogenei pensatori – appartenenti ad epoche e culture diverse - su questo tema, mostrano con notevole chiarezza quale sia in proposito l’opinione degli intellettuali seri; opinione peraltro non condivisa – in massima parte perché ignorata – dall’uomo medio, la cui cultura storica, quando presente, si è formata, nel migliore dei casi, grazie ai rituali programmi ministeriali inculcatigli sui banchi di scuola o, nel peggiore, grazie alla saggistica, alla letteratura ed alla filmografia politicamente corrette ovunque imperanti, pressoché tutte agiografiche delle vulgate correnti.
   Essendo del resto il ruolo dello storiografo quello di medium tra gli eventi accaduti e la loro narrazione ai fruitori, per lo stesso è sempre presente il rischio, in funzione della distanza temporale che lo separa dagli eventi indagati, di lasciarsi intrappolare sia dalla ambigua partigianeria che dalla scarsa attendibilità: la prima imputabile alla sua contemporaneità ai fatti, che ne determina un coinvolgimento emotivo sufficiente a minarne l’obiettività, la seconda dovuta invece alla lontananza, anche millenaria, dagli avvenimenti oggetti del suo studio, basato pertanto su fonti di seconda mano o difficilmente verificabili.
   Per quanto attiene poi alla seconda guerra mondiale bisogna tenere nel debito conto il fatto che tutti i vastissimi archivi inerenti la stessa sono finiti, con la vittoria degli Alleati, nella piena disponibilità di questi ultimi, che hanno sempre potuto esercitare la propria discrezionalità nel divulgarne – in tutto o parzialmente – le parti documentarie, o nel mantenerle celate, in funzione dei loro interessi contingenti; eloquente esempio di tale strumentalizzazione è ad esempio il caso dell’eccidio di Katin, contestato ai Tedeschi che sedevano sul banco degli imputati in quella mostruosità giuridica nota come processo di Norimberga, ma in realtà – come successivamente ed incontestabilmente appurato - operato dai Sovietici, comodamente assisi nella stessa occasione sugli scranni dei giudici.
   Anche la considerazione che è normale prassi, adottata da molti governi in relazione a diverse questioni, secretare dei documenti per lunghi periodi, quando non addirittura fornirne di falsi per giustificare operazioni altrimenti indifendibili, od anche decretarne la distruzione se ritenuti compromettenti, deve sollecitare il ricercatore serio in campo storiografico a verificare continuamente l’attendibilità delle proprie fonti, delle testimonianze, delle documentazioni, per approdare con la migliore approssimazione possibile alla obiettiva descrizione dei fatti. Oltre i quali, che sono oggettivi, c’è poi l’interpretazione degli stessi, che ha ovviamente carattere soggettivo ed è necessariamente dipendente da valutazioni di diversa natura. Per chiarire con un esempio: la contaminazione premeditata di diverse Nazioni, dei loro popoli e dei loro ambienti naturali attraverso l’uso di uranio impoverito è un fatto; che si tratti di “esportazione di democrazia”, come sostengono i fautori del Nuovo Ordine Mondiale, o piuttosto di una spaventosa impresa criminale dettata dall’inciviltà, dall’odio e dall’avidità, come sostengono altri – e noi tra questi -, sono interpretazioni. Ma deve lo storico fornire anche un’interpretazione dei fatti o limitarsi semplicemente alla loro scarna esibizione? Deve essere un valente ricercatore ma un arido cronista od anche un sagace commentatore? Deve solo informare od avere anche la presunzione di formare? Secondo noi entrambe le cose, ponendo massima cura nel testimoniare onestamente la verità così come la trova, senza preoccuparsi se questo operi in danno od a favore di eventuali – ed anche propri - pregiudizi. La totale imparzialità è pura utopia, tanto più evidente se si considera che, stante l’ovvia impossibilità di descrivere tutta la realtà, già la preliminare selezione di una parte di realtà piuttosto che un’altra è operazione soggettiva; l’ineludibile interpretazione di quei fatti avverrà naturaliter, in base al grado di cultura, coscienza e moralità; con la consapevolezza che la propria produzione sarà vagliata da altri storici, contemporanei o futuri: il che sottolinea, ancora una volta, la natura eminentemente “revisionista” della disciplina storiografica.
   Ovviamente l’opera dello storico revisionista è tanto più ardua quanto più vicini nel tempo sono i periodi storici ai quali egli dedica i suoi studi; oltre che per il rischio di faziosità, cui accennavamo prima, soprattutto per l’ostilità del potere costituito, che spesso non tollera infrazioni ai suoi tabù ufficiali; se pertanto risulta oggi pressoché indolore la tardiva riabilitazione dell’Imperatore Nerone, perseguitato per secoli da una damnatio memoriae imposta dai cristiani, molto meno agevole appare intaccare dei miti a noi più vicini nel tempo; come ad esempio quello risorgimentale, solo recentemente riletto da numerosi Autori come invasione del Sud dell’Italia da parte degli eserciti del Regno sabaudo; o quello resistenziale, dove a lungo misconosciute ed atroci efferatezze, tardivamente denunciate da alcuni Autori, hanno fatto loro guadagnare l’etichetta – usata in senso offensivo - di “fascista”; o quello degli Alleati “liberatori”, smentito, oltre che da molteplici episodi di gratuite stragi, dagli innumerevoli stupri a danno delle donne europee e dai tanti prigionieri fatti morire di fame e di stenti  nei malsani campi di prigionia angloamericani postbellici. Ancora più improbabile, quand’anche le nuove risultanze storiche ottenessero diritto di cittadinanza presso la ristrettissima cerchia degli addetti ai lavori, che le stesse trovino accoglienza nei testi scolastici – dalle elementari al liceo –, nei quali verranno riproposte le solite immutate versioni canoniche.
   Da quanto precede risulta ovvio, per chi abbia seriamente a cuore uno sviluppo della storiografia intesa come scienza piuttosto che come mito, il carattere necessariamente revisionista della stessa; in antitesi a tale aurea norma assistiamo oggi, purtroppo frequentemente, alla orwelliana introduzione dello psicoreato che, oltre ad erodere un diritto fondamentale - quello della libertà di ricerca e d’espressione -, pretende di delegare ad un tribunale, ovviamente privo di specifica competenza, il giudizio in campo storiografico; pervenendo peraltro al paradosso – reale - in base al quale ciò che è lecito affermare in un dato Paese diventerebbe reato se sostenuto in un altro Paese che, in relazione al tema trattato, avesse un orientamento giuridico – derivante da quello ideologico - differente.
   Gian Paolo Pucciarelli nella sua ultima opera, già a partire dal significativo titolo: “Segreto Novecento”, rivela immediatamente la sua natura di storico revisionista, ovvero, per le considerazioni suesposte, di storico tout court, che si propone di indagare su un periodo storico – il Novecento – che non sarebbe stato sufficientemente - e forse volutamente - indagato, rimanendo, appunto, “segreto”. All’incipit così pungente fanno seguito tre sottotitoli programmaticamente corrosivi: “L’inconfessabile storia del Potere dal XX secolo al Terzo Millennio”, “Perché il Capitalismo monopolistico creò e sostenne l’U.R.S.S.” e “Il debito perpetuo e il controllo dell’economia mondiale all’ombra del mito della democrazia”. Forte di fonti autorevoli – molte delle quali estere e mai tradotte in italiano – e numerosissime, la lucida analisi di Pucciarelli procede come un bulldozer, demolendo una dopo l’altra tutte le tessere costituenti il complesso mosaico delle verità ufficiali che, sgretolato in più punti, finisce per crollare con un effetto domino inarrestabile.
   Va subito detto che molte delle interpretazioni  difformi dalle versioni ufficiali sui temi storici più dibattuti del secolo scorso si trovano diffusamente presenti sul web, quell’immenso contenitore di informazioni – vere, verosimili e talvolta false – col quale tutti siamo abituati ad interagire da qualche decennio; nessuno aveva però fino ad oggi trattato tale materia cementando i singoli avvenimenti in un tessuto connettivo omogeneo, supportato da precise indicazioni bibliografiche, che rende tutti gli eventi logicamente concatenati, in quanto parti di un discorso complessivo più ampio.
   La storia segreta è fatta di avvenimenti incogniti e personaggi a volte del tutto sconosciuti; cosicché, seguendo il filo della narrazione, vediamo avanzare sul palcoscenico, impietosamente sferzate da Pucciarelli, le “eminenze grigie” fino ad oggi ignorate dal grande pubblico; avanzano costoro malvolentieri, con passo incerto, schermandosi gli occhi non avvezzi alla luce dei riflettori, basiti da questa improvvisa notorietà che non potevano immaginare, assuefatti com’erano da lungo tempo alla confortevole penombra in cui li avevano relegati gli storici distratti – o compiacenti - del passato. Non è intenzione di chi scrive prodursi in un riassunto del libro, la cui compilazione – oltre che sterile - risulterebbe estremamente ardua, stante la mole innumerevole di date, fatti, documenti; ci limiteremo pertanto ad accennare concisamente ad alcuni aspetti che, nell’opera di Pucciarelli, costituiscono elementi di rottura estrema, in quanto radicalmente difformi rispetto alle tesi accreditate dalla corrente vulgata storiografica.
   Uno dei pilastri di tale vulgata, che viene demolito con poderose spallate, è il luogo comune attestante sine ullo dubio la volontà guerrafondaia del regime nazionalsocialista; qualche più che timido accenno in questo senso era già stato avanzato da Ernst Nolte ne “I tre volti del fascismo” – con la nota tesi del “nazismo come reazione al bolscevismo” – o, più recentemente, da “Le origini della seconda guerra mondiale” di Taylor, dove veniva indicata la corresponsabilità delle potenze occidentali nello scoppio del conflitto. Ma soltanto leggendo le puntuali ricostruzioni qui fornite ci si rende conto che la Germania di Hitler fu addirittura la vittima, fino ad un certo punto inconsapevole, di una ben orchestrata congiura, che non le lasciava altra possibilità che agire come agì, dovendosi assumere per di più – quale tragica beffa - anche la gravissima responsabilità storica di aver causato il conflitto.
   Un altro punto estremamente interessante, sul quale grava un alone d’incredibilità e che susciterà forse l’astioso risentimento degli “orfani del comunismo” – ammesso che ancora siano presenti al mondo esemplari di tale specie in via d’estinzione – è la connotazione dell’U.R.S.S. quale totale ideazione della finanza internazionale. A tale proposito c’è da dire che, pur restando inoppugnabili le documentazioni dell’Autore a sostegno della sua tesi, in virtù del principio noto come eterogenesi dei fini va riconosciuta a molti sinceri attivisti, entusiasticamente impegnati nel trionfo della Rivoluzione d’ottobre - e verosimilmente ignari delle forze occulte che agivano dietro le quinte: pensiamo ad esempio ad uomini come Majakovskij, Tatlin, Eisenstein – la sincera volontà di costruire una società nuova, basata sulle legittime aspirazioni di giustizia sociale che quel mutamento prometteva; le quali aspirazioni, tra l’altro, costituiscono lo stesso humus ideologico sul quale si sarebbe innestata anche – dopo il ventennio fascista – la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, con l’apporto del “bolscevico” Bombacci. 
   Ma probabilmente il pregio principale del libro è la precisa individuazione, sia topografica che cronologica, della genesi e del successivo sviluppo del capitalismo monopolistico di stampo sionista, gestito da un pugno di banche internazionali in mano alle principali dinastie finanziarie, che operò attraverso abili e perfettamente pianificati interventi, in un progetto sviluppato in un arco temporale molto ampio, le cui tappe più significative sono: prima guerra mondiale, coi quasi contemporanei pogrom in Russia per favorire l’emigrazione ebraica verso gli Stati Uniti – finalizzata al rafforzamento della potente lobby sionista - e dissolvimento degli Imperi centrali; creazione, dopo Versailles, della moneta-debito atta a soffocare l’economia tedesca; controllo delle nuove fonti energetiche (petrolio) del Medio Oriente e del Golfo Persico; finanziamento della Rivoluzione russa e del nascente regime hitleriano; boicottaggio verso le merci tedesche finalizzato ad inasprire un antisemitismo che incoraggiasse l’emigrazione ebraica verso l’America e la Palestina; progetto di uno Stato ebraico in Palestina a difesa dei propri interessi in quell’area; creazione della Federal Reserve; seconda guerra mondiale e, attraverso la divisione e l’occupazione militare dell’Europa, asservita al sistema economico dei vincitori, annientamento della stessa quale possibile concorrente sui mercati.
   E non ci si venga a raccontare che qui si fa del complottismo, usando, com’è ormai prassi corrente della “neolingua” attuale, per definire un fenomeno, un termine che indica invece il suo esatto contrario; dal momento che complottista non è chi svela e denuncia occulte trame finalizzate alla riduzione in schiavitù di interi popoli, ma chi persegue tale perfido piano affidandosi alla pavida complicità dei media.
   Interessanti anche le pagine dedicate al concetto di libertà, apparentemente presente nei sistemi cosiddetti democratici ed assente in quelli totalitari; al di là della “guerra delle parole” risulta chiaro a tutti coloro che non siano ormai irrimediabilmente narcotizzati dalla propaganda di regime, che le attuali democrazie garantiscono solo un’apparenza di libertà – tra l’altro sempre più drasticamente limitata e ridotta, nel migliore dei casi, alla scelta tra partiti falsamente contrapposti -, privando la maggior parte dei cittadini delle fondamentali libertà sostanziali, ed arrivando addirittura a teorizzare l’evidente paradosso secondo il quale costituirebbe un vantaggio irrinunciabile – in termini appunto di libertà - la progressiva perdita di sovranità delle Nazioni. In linea con tali tematiche l’ultima parte del libro ci offre uno spaccato delle tesi auritiane, nutrite dalle precedenti intuizioni di Pound il quale, già durante la seconda guerra mondiale, denunciava l’usura esercitata a danno dei popoli dalla potente lobby dei banksters. Oggi che la piovra della finanza apolide ed internazionale ha steso i suoi mortiferi tentacoli su quasi tutto il pianeta – contrastata da rare ed eroiche sacche di resistenza – la conoscenza dei meccanismi che sono alla base della sua aggressiva volontà di dominio universale è fondamentale per tentare di contrastarla efficacemente.
   Nelle prime pagine del libro troviamo la prefazione di Giorgio Vitali, lucida, puntuale e ricca come sempre di preziosi spunti per ulteriori riflessioni. Per la precisa focalizzazione di alcuni aspetti particolari rimandiamo alla recensione del libro fatta dall’ amico Maurizio Barozzi, che precede questa nostra in ordine di tempo ed è reperibile in rete (https://fncrsi.altervista.org/).
   A ringraziamento e riconoscimento della fatica fatta dall’Autore per averci regalato quest’opera che riteniamo fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che volessero approfondire le tematiche affrontate, gli dedichiamo concludendo un altro aforisma di Oscar Wilde che Pucciarelli mostra di meritare appieno:Chiunque può fare la storia. Solo un grande uomo può scriverla”.
  informazioni sul libro