SEGRETO
NOVECENTO di Gian
Paolo Pucciarelli
Un libro fondamentale
per conoscere i retroscena della Storia
Recensione di Roberto Cozzolino
“La storia è la
versione dei fatti di chi detiene il potere” (Georg Wilhelm Friedrich Hegel)
“Ogni buon storico è quasi per definizione un
revisionista” (Paul Johnson)
“Il nostro unico dovere
nei confronti della Storia è di riscriverla” (Oscar Wilde)
“La Storia non esiste. Il
passato è solo uno strumento del presente e come tale è raccontato e
semplificato per servire gli interessi di oggi” (Tiziano Terzani)
“I libri di Storia vanno
considerati come opere di pura immaginazione. Sono racconti fantastici di fatti
mal osservati, accompagnati da spiegazioni inventate a cose fatte” (Gustave Le Bon)
“Storia: resoconto per lo
più falso di eventi per lo più irrilevanti” (Ambrose Bierce)
“Esistono due storie: la
storia ufficiale, menzognera… e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere
cause degli accadimenti. Una storia vergognosa” (Honoré de Balzac)
Gli aforismi che
precedono, scelti quasi a caso nella vastissima produzione di eterogenei pensatori
– appartenenti ad epoche e culture diverse - su questo tema, mostrano con
notevole chiarezza quale sia in proposito l’opinione degli intellettuali seri;
opinione peraltro non condivisa – in massima parte perché ignorata – dall’uomo
medio, la cui cultura storica, quando presente, si è formata, nel migliore dei
casi, grazie ai rituali programmi ministeriali inculcatigli sui banchi di
scuola o, nel peggiore, grazie alla saggistica, alla letteratura ed alla
filmografia politicamente corrette ovunque imperanti, pressoché tutte agiografiche
delle vulgate correnti.
Essendo del resto il
ruolo dello storiografo quello di medium
tra gli eventi accaduti e la loro narrazione ai fruitori, per lo stesso è
sempre presente il rischio, in funzione della distanza temporale che lo separa
dagli eventi indagati, di lasciarsi intrappolare sia dalla ambigua partigianeria
che dalla scarsa attendibilità: la prima imputabile alla sua contemporaneità ai
fatti, che ne determina un coinvolgimento emotivo sufficiente a minarne l’obiettività,
la seconda dovuta invece alla lontananza, anche millenaria, dagli avvenimenti oggetti
del suo studio, basato pertanto su fonti di seconda mano o difficilmente
verificabili.
Per quanto attiene
poi alla seconda guerra mondiale bisogna tenere nel debito conto il fatto che
tutti i vastissimi archivi inerenti la stessa sono finiti, con la vittoria
degli Alleati, nella piena disponibilità di questi ultimi, che hanno sempre
potuto esercitare la propria discrezionalità nel divulgarne – in tutto o parzialmente
– le parti documentarie, o nel mantenerle celate, in funzione dei loro
interessi contingenti; eloquente esempio di tale strumentalizzazione è ad
esempio il caso dell’eccidio di Katin, contestato ai Tedeschi che sedevano sul
banco degli imputati in quella mostruosità giuridica nota come processo di
Norimberga, ma in realtà – come successivamente ed incontestabilmente appurato
- operato dai Sovietici, comodamente assisi nella stessa occasione sugli
scranni dei giudici.
Anche la considerazione
che è normale prassi, adottata da molti governi in relazione a diverse
questioni, secretare dei documenti per lunghi periodi, quando non addirittura
fornirne di falsi per giustificare operazioni altrimenti indifendibili, od
anche decretarne la distruzione se ritenuti compromettenti, deve sollecitare il
ricercatore serio in campo storiografico a verificare continuamente l’attendibilità
delle proprie fonti, delle testimonianze, delle documentazioni, per approdare
con la migliore approssimazione possibile alla obiettiva descrizione dei fatti.
Oltre i quali, che sono oggettivi, c’è poi l’interpretazione degli stessi, che
ha ovviamente carattere soggettivo ed è necessariamente dipendente da
valutazioni di diversa natura. Per chiarire con un esempio: la contaminazione
premeditata di diverse Nazioni, dei loro popoli e dei loro ambienti naturali
attraverso l’uso di uranio impoverito è un fatto; che si tratti di
“esportazione di democrazia”, come sostengono i fautori del Nuovo Ordine Mondiale,
o piuttosto di una spaventosa impresa criminale dettata dall’inciviltà,
dall’odio e dall’avidità, come sostengono altri – e noi tra questi -, sono
interpretazioni. Ma deve lo storico fornire anche un’interpretazione dei fatti
o limitarsi semplicemente alla loro scarna esibizione? Deve essere un valente
ricercatore ma un arido cronista od anche un sagace commentatore? Deve solo
informare od avere anche la presunzione di formare? Secondo noi entrambe le
cose, ponendo massima cura nel testimoniare onestamente la verità così come la
trova, senza preoccuparsi se questo operi in danno od a favore di eventuali –
ed anche propri - pregiudizi. La totale imparzialità è pura utopia, tanto più
evidente se si considera che, stante l’ovvia impossibilità di descrivere tutta
la realtà, già la preliminare selezione di una parte di realtà piuttosto che un’altra
è operazione soggettiva; l’ineludibile interpretazione di quei fatti avverrà naturaliter, in base al grado di
cultura, coscienza e moralità; con la consapevolezza che la propria produzione
sarà vagliata da altri storici, contemporanei o futuri: il che sottolinea,
ancora una volta, la natura eminentemente “revisionista” della disciplina
storiografica.
Ovviamente l’opera
dello storico revisionista è tanto più ardua quanto più vicini nel tempo sono i
periodi storici ai quali egli dedica i suoi studi; oltre che per il rischio di
faziosità, cui accennavamo prima, soprattutto per l’ostilità del potere costituito,
che spesso non tollera infrazioni ai suoi tabù ufficiali; se pertanto risulta oggi
pressoché indolore la tardiva riabilitazione dell’Imperatore Nerone,
perseguitato per secoli da una damnatio
memoriae imposta dai cristiani, molto meno agevole appare intaccare dei
miti a noi più vicini nel tempo; come ad esempio quello risorgimentale, solo recentemente
riletto da numerosi Autori come invasione del Sud dell’Italia da parte degli
eserciti del Regno sabaudo; o quello resistenziale, dove a lungo misconosciute
ed atroci efferatezze, tardivamente denunciate da alcuni Autori, hanno fatto
loro guadagnare l’etichetta – usata in senso offensivo - di “fascista”; o
quello degli Alleati “liberatori”, smentito, oltre che da molteplici episodi di
gratuite stragi, dagli innumerevoli stupri a danno delle donne europee e dai
tanti prigionieri fatti morire di fame e di stenti nei malsani campi di prigionia angloamericani
postbellici. Ancora più improbabile, quand’anche le nuove risultanze storiche
ottenessero diritto di cittadinanza presso la ristrettissima cerchia degli
addetti ai lavori, che le stesse trovino accoglienza nei testi scolastici –
dalle elementari al liceo –, nei quali verranno riproposte le solite immutate versioni
canoniche.
Da quanto precede
risulta ovvio, per chi abbia seriamente a cuore uno sviluppo della storiografia
intesa come scienza piuttosto che come mito, il carattere necessariamente
revisionista della stessa; in antitesi a tale aurea norma assistiamo oggi,
purtroppo frequentemente, alla orwelliana introduzione dello psicoreato che,
oltre ad erodere un diritto fondamentale - quello della libertà di ricerca e d’espressione
-, pretende di delegare ad un tribunale, ovviamente privo di specifica
competenza, il giudizio in campo storiografico; pervenendo peraltro al
paradosso – reale - in base al quale ciò che è lecito affermare in un dato
Paese diventerebbe reato se sostenuto in un altro Paese che, in relazione al
tema trattato, avesse un orientamento giuridico – derivante da quello
ideologico - differente.
Gian Paolo
Pucciarelli nella sua ultima opera, già a partire dal significativo titolo: “Segreto Novecento”, rivela
immediatamente la sua natura di storico revisionista, ovvero, per le
considerazioni suesposte, di storico tout
court, che si propone di indagare su un periodo storico – il Novecento –
che non sarebbe stato sufficientemente - e forse volutamente - indagato,
rimanendo, appunto, “segreto”. All’incipit
così pungente fanno seguito tre sottotitoli programmaticamente corrosivi: “L’inconfessabile storia del Potere dal XX
secolo al Terzo Millennio”, “Perché
il Capitalismo monopolistico creò e sostenne l’U.R.S.S.” e “Il debito perpetuo e il controllo
dell’economia mondiale all’ombra del mito della democrazia”. Forte di fonti
autorevoli – molte delle quali estere e mai tradotte in italiano – e
numerosissime, la lucida analisi di Pucciarelli procede come un bulldozer,
demolendo una dopo l’altra tutte le tessere costituenti il complesso mosaico
delle verità ufficiali che, sgretolato in più punti, finisce per crollare con
un effetto domino inarrestabile.
Va subito detto che molte
delle interpretazioni difformi dalle
versioni ufficiali sui temi storici più dibattuti del secolo scorso si trovano
diffusamente presenti sul web, quell’immenso contenitore di informazioni –
vere, verosimili e talvolta false – col quale tutti siamo abituati ad
interagire da qualche decennio; nessuno aveva però fino ad oggi trattato tale
materia cementando i singoli avvenimenti in un tessuto connettivo omogeneo, supportato
da precise indicazioni bibliografiche, che rende tutti gli eventi logicamente
concatenati, in quanto parti di un discorso complessivo più ampio.
La storia segreta è
fatta di avvenimenti incogniti e personaggi a volte del tutto sconosciuti;
cosicché, seguendo il filo della narrazione, vediamo avanzare sul palcoscenico,
impietosamente sferzate da Pucciarelli, le “eminenze grigie” fino ad oggi ignorate
dal grande pubblico; avanzano costoro malvolentieri, con passo incerto,
schermandosi gli occhi non avvezzi alla luce dei riflettori, basiti da questa
improvvisa notorietà che non potevano immaginare, assuefatti com’erano da lungo
tempo alla confortevole penombra in cui li avevano relegati gli storici distratti
– o compiacenti - del passato. Non è intenzione di chi scrive prodursi in un
riassunto del libro, la cui compilazione – oltre che sterile - risulterebbe
estremamente ardua, stante la mole innumerevole di date, fatti, documenti; ci
limiteremo pertanto ad accennare concisamente ad alcuni aspetti che, nell’opera
di Pucciarelli, costituiscono elementi di rottura estrema, in quanto
radicalmente difformi rispetto alle tesi accreditate dalla corrente vulgata
storiografica.
Uno dei pilastri di
tale vulgata, che viene demolito con poderose spallate, è il luogo comune
attestante sine ullo dubio la volontà
guerrafondaia del regime nazionalsocialista; qualche più che timido accenno in
questo senso era già stato avanzato da Ernst Nolte ne “I tre volti del fascismo” – con la nota tesi del “nazismo come
reazione al bolscevismo” – o, più recentemente, da “Le origini della seconda guerra mondiale” di Taylor, dove veniva
indicata la corresponsabilità delle potenze occidentali nello scoppio del
conflitto. Ma soltanto leggendo le puntuali ricostruzioni qui fornite ci si
rende conto che la Germania di Hitler fu addirittura la vittima, fino ad un
certo punto inconsapevole, di una ben orchestrata congiura, che non le lasciava
altra possibilità che agire come agì, dovendosi assumere per di più – quale
tragica beffa - anche la gravissima responsabilità storica di aver causato il
conflitto.
Un altro punto
estremamente interessante, sul quale grava un alone d’incredibilità e che
susciterà forse l’astioso risentimento degli “orfani del comunismo” – ammesso
che ancora siano presenti al mondo esemplari di tale specie in via d’estinzione
– è la connotazione dell’U.R.S.S. quale totale ideazione della finanza
internazionale. A tale proposito c’è da dire che, pur restando inoppugnabili le
documentazioni dell’Autore a sostegno della sua tesi, in virtù del principio
noto come eterogenesi dei fini va riconosciuta a molti sinceri attivisti, entusiasticamente
impegnati nel trionfo della Rivoluzione d’ottobre - e verosimilmente ignari
delle forze occulte che agivano dietro le quinte: pensiamo ad esempio ad uomini
come Majakovskij, Tatlin, Eisenstein – la sincera volontà di costruire una
società nuova, basata sulle legittime aspirazioni di giustizia sociale che quel
mutamento prometteva; le quali aspirazioni, tra l’altro, costituiscono lo
stesso humus ideologico sul quale si sarebbe innestata anche – dopo il
ventennio fascista – la Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, con l’apporto
del “bolscevico” Bombacci.
Ma probabilmente il
pregio principale del libro è la precisa individuazione, sia topografica che
cronologica, della genesi e del successivo sviluppo del capitalismo monopolistico
di stampo sionista, gestito da un pugno di banche internazionali in mano alle
principali dinastie finanziarie, che operò attraverso abili e perfettamente
pianificati interventi, in un progetto sviluppato in un arco temporale molto
ampio, le cui tappe più significative sono: prima guerra mondiale, coi quasi
contemporanei pogrom in Russia per favorire l’emigrazione ebraica verso gli
Stati Uniti – finalizzata al rafforzamento della potente lobby sionista - e
dissolvimento degli Imperi centrali; creazione, dopo Versailles, della
moneta-debito atta a soffocare l’economia tedesca; controllo delle nuove fonti
energetiche (petrolio) del Medio Oriente e del Golfo Persico; finanziamento
della Rivoluzione russa e del nascente regime hitleriano; boicottaggio verso le
merci tedesche finalizzato ad inasprire un antisemitismo che incoraggiasse
l’emigrazione ebraica verso l’America e la Palestina; progetto di uno Stato
ebraico in Palestina a difesa dei propri interessi in quell’area; creazione
della Federal Reserve; seconda guerra mondiale e, attraverso la divisione e
l’occupazione militare dell’Europa, asservita al sistema economico dei
vincitori, annientamento della stessa quale possibile concorrente sui mercati.
E non ci si venga a
raccontare che qui si fa del complottismo, usando, com’è ormai prassi corrente
della “neolingua” attuale, per definire un fenomeno, un termine che indica invece
il suo esatto contrario; dal momento che complottista non è chi svela e
denuncia occulte trame finalizzate alla riduzione in schiavitù di interi
popoli, ma chi persegue tale perfido piano affidandosi alla pavida complicità
dei media.
Interessanti anche
le pagine dedicate al concetto di libertà, apparentemente presente nei sistemi
cosiddetti democratici ed assente in quelli totalitari; al di là della “guerra
delle parole” risulta chiaro a tutti coloro che non siano ormai irrimediabilmente
narcotizzati dalla propaganda di regime, che le attuali democrazie garantiscono
solo un’apparenza di libertà – tra l’altro sempre più drasticamente limitata e
ridotta, nel migliore dei casi, alla scelta tra partiti falsamente contrapposti
-, privando la maggior parte dei cittadini delle fondamentali libertà
sostanziali, ed arrivando addirittura a teorizzare l’evidente paradosso secondo
il quale costituirebbe un vantaggio irrinunciabile – in termini appunto di
libertà - la progressiva perdita di sovranità delle Nazioni. In linea con tali
tematiche l’ultima parte del libro ci offre uno spaccato delle tesi auritiane,
nutrite dalle precedenti intuizioni di Pound il quale, già durante la seconda
guerra mondiale, denunciava l’usura esercitata a danno dei popoli dalla potente
lobby dei banksters. Oggi che la piovra della finanza apolide ed internazionale
ha steso i suoi mortiferi tentacoli su quasi tutto il pianeta – contrastata da
rare ed eroiche sacche di resistenza – la conoscenza dei meccanismi che sono
alla base della sua aggressiva volontà di dominio universale è fondamentale per
tentare di contrastarla efficacemente.
Nelle prime pagine
del libro troviamo la prefazione di Giorgio Vitali, lucida, puntuale e ricca come
sempre di preziosi spunti per ulteriori riflessioni. Per la precisa focalizzazione
di alcuni aspetti particolari rimandiamo alla recensione del libro fatta dall’
amico Maurizio Barozzi, che precede questa nostra in ordine di tempo ed è
reperibile in rete (https://fncrsi.altervista.org/).
A ringraziamento e
riconoscimento della fatica fatta dall’Autore per averci regalato quest’opera
che riteniamo fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che volessero
approfondire le tematiche affrontate, gli dedichiamo concludendo un altro
aforisma di Oscar Wilde che Pucciarelli mostra di meritare appieno:
“Chiunque può fare la storia. Solo un grande
uomo può scriverla”.
informazioni sul libro