LA CRISI STRUTTURALE DELLA POLITICA (*)
O CORPORATIVISMO MAGGIORITARIO
Non si può affliggersi delle conseguenze dopo essersi accomodati alle cause, solo perché si scopre oggi che con i prestiti europei Telecom viene acquistata da spagnoli come prima e da tempo tante altre sono state acquisite specialmente da francesi e dai tedeschi che hanno concordato con la Francia di lasciare ad essa il Sud Europa tenendo per se stessi, in cambio, l'Est-europeo.
Assistiamo sempre più, anche sulla stampa nazionale, ad espressioni di stupore e disgusto per la degenerazione personalistica della politica. Soprattutto da parte dei fautori dell’elettoralismo maggioritario-uninominale, e della personalizzazione monocratica dei poteri di sindaci e presidenti di regione. Questa coscienza contraddittoria implicita in chi si lamenta di ciò che ha contribuito a produrre, è rivelatrice di un comportamento ancora da “uomini delle caverne” (l’espressione è di Gramsci).
Denota cioè un agire incoerente, incapace di perseguire quello che si pensa o si dice di volere. E’ il vizio del pragmatismo.
Si dice che non si è ideologici quando si dice di pensare in un modo ma si agisce in un altro. In realtà si continua, inevitabilmente, ad essere ideologici nel senso che, nella pratica, si agisce in base ad una altrui concezione. Nel caso quella individualista della politica. Non fossero stati incoerenti e strumentali, coloro che contro la proporzionale dicevano di “privilegiare i contenuti” e “votare i governi e non le persone”, essi per primi avrebbero dovuto respingere l’uninominale. L’intercambiabilità dei soggetti in funzione dei contenuti ha motivato, storicamente, il superamento del notabilato e dell’uninominale. E’ la “scoperta” che ha portato alla nascita dei partiti di massa e della proporzionale. Perché nella società complessa e di massa contemporanea, non possono contare “le persone” in quanto tali, ma contano e, quindi, anche istituzionalmente debbono contare i contenuti.
Dietro i quali ci può essere chiunque, non a titolo personale ma in quanto democraticamente “organizzato” sulla base del pluralismo. Che si traduce istituzionalmente nel diritto al voto di preferenza e a una rappresentanza politica degli interessi sociali di tipo proporzionale; non nel “corporativismo” uninominale e maggioritario dei sistemi anglosassoni e tedesco (mistificatoriamente falsato come proporzionale).
E’ falsa, oggi, la stessa rappresentazione che il sistema uninominale fa dell’importanza della persona (al posto dei
partiti di massa). Talmente anacronistico che persino il sistema presidenziale
americano, dove non esistono le preferenze e i partiti non contano, si è inevitabilmente configurato sul potere “non individuale” delle corporazioni e delle lobby, cioè sul sistema d'impresa. Era dunque facile prevedere, che in Italia “questo significa che conterebbero solo persone che contano, come Raul Gardini, Berlusconi, ecc., che a loro volta sono centri di potere, gruppi di aggregazione corporativa di interessi, di clientele, di poteri spesso occulti" (“Movimento Antifascista Rilancio della Costituzione”, Milano 1991, in Conflitti di classe e "riforme istituzionali",Ed. “Il Lavoratore”).
Con l’uninominale contano i candidati dei vertici delle corporazioni e delle professioni, dei ceti di grido, di maggiore immagine ed entrature masmediologiche che, pirandellianamente, cercano di apparire all’elettore “come tu mi vuoi”. Appartenenti alle stesse élite e agli stessi ceti, ma collocati in liste e sostenuti da lobby e corporazioni diverse. Quelle “direttamente” in campo con il “partito azienda” di Berlusconi. E quelle (ad es. di Colaninno, Benetton, Bnl, Unicredit, Enel, Legambiente, De Benedetti, Agnelli, ecc.) che si fanno rappresentare “indirettamente” dai “gruppi” di centro-sinistra.
Ma il potere non è delle “persone”, bensì delle formazioni corporative, che diventano esse l’istituzione diretta di supporto dello stato.
In un permanente “conflitto d’interessi” e connubio tra interessi privati, politica e stato elevati a sistema di potere, in cui il “politico istituzionale” è luogo di simbiosi tra “capi” politici e “capi” esponenti degli interessi d’impresa.
Questo non basta per cancellare i partiti. Ma è sufficiente per stravolgerne la funzione democratica. Anche di una Cgil, ridotta a “gruppo di pressione”. Con Cofferati rappresentante di Palazzo non dei lavoratori, ma della sua lobby che, in quanto tale, non prevede all’interno nemmeno la libertà di opinione (come insegna l’intolleranza reazionaria verso la segreteria generale della Cgil-Lombardia). In questo stravolgimento, risiedono le ragioni delle degenerazioni personalistiche della politica.
(pubblicato il 17-11-00, titolo redazionale)