INSEGNARE NON E’ LAVORARE
In questi giorni, dopo la proposta del Ministro dell’Istruzione Profumo, relativa alla possibilità di aggiungere sei ore lavorative alle 18 settimanali, si sta discutendo molto sul lavoro dell’insegnante.
Da quando la proposta è stata inserita nel Patto di Stabilità il mondo della scuola è entrato in agitazione con molte forme di protesta fra cui giornate di sciopero, blocco dell’attività didattica in classe, blocco di tutte le attività che non siano didattiche, blocco delle gite, correzione dei compiti in piazza ecc. Il corpo insegnanti si è mobilitato, nuovamente, instancabilmente, come due anni fa, ai tempi della Riforma Gelmini.
In realtà il malcontento non è cessato mai, perché la cosa veramente grave che percepiamo sempre più chiaramente è la volontà di demolire, pezzo per pezzo, la scuola pubblica attraverso una riduzione delle ore (spesso quelle caratterizzanti l’istituto!) nel quadro orario settimanale, una attenzione all’edilizia scolastica assente, classi sovraffollate, riduzione degli insegnanti di sostegno, e potremmo continuare ancora .
Ma veniamo alla vexata quaestio.
Prima ancora che un attacco, inaudito, ad una singola e specifica categoria di lavoratori, il progetto di aumentare l’orario di lezione dei docenti medi superiori da 18 a 24 ore settimanali (un terzo!), senza nemmeno prendere in considerazione un aumento corrispondente di retribuzione, è un vero e proprio insulto, verso tutti i docenti.
Infatti, una simile misura può essere anche solo ipotizzata soltanto facendo leva, con spirito populistico, su un pregiudizio tanto falso quanto diffuso (e ora ulteriormente ribadito): che i docenti non facciano niente, che lavorino solo 18 ore, e che dunque, in fondo, sgobbare un terzo delle ore in più, a parità di stipendio, è il minimo che si meritano.
Tutto ciò è, semplicemente, falso!
Che l’uomo qualunque non veda e non conosca tutto il lavoro che c’è oltre le 18 ore di lezione è comprensibile; che il Ministro Professor Profumo ragioni come l’uomo qualunque, o ne sfrutti il qualunquismo, è inaccettabile.
Al populismo implicito di tale misura, potremmo rispondere, con la mera e razionale analisi dei fatti. Facciamo due conti: solo come presenza a scuola, alle 18 ore di lezione a settimana, vanno aggiunte un’ora di ricevimento per i genitori, una media di due ore settimanali di impegni in riunioni varie, scrutini, consigli di classe (peraltro, impegni non continuativi, distribuiti in modo irregolare nei pomeriggi, e che quindi occupano ancora più tempo di quello effettivo), archiviazione dei compiti in classe, compilazione di registro, schede e pagelle, redazione e invio di comunicazioni scritte alle famiglie, fare medie e calcoli, scrivere programmazioni e relazioni, aggiornarsi sulla normativa, fare il computo delle assenze (lavoro questo che grava sui docenti perché qualche volta bisogna, anche, collaborare con le segreterie didattiche).
Veniamo poi al lavoro svolto a casa. Prendiamo il caso di un docente di materie letterarie. Con un numero di alunni per classe che può arrivare a 30, e quattro insegnamenti che prevedono prove scritte, deve correggere in un anno ca. 700 elaborati; vi si aggiungono tutte le prove scritte che noi docenti (ingenuamente, a questo punto) spesso facciamo svolgere in sostituzione delle interrogazioni orali in classe, per risparmiare tempo prezioso di lezione; aggiungiamo qualche controllo di prove svolte a casa. Con queste arriviamo – ma ci teniamo bassi – ad un totale di ca. 1.100-1200 elaborati. Dedicando una media di dieci minuti alla correzione di ogni prova (meno per un test, ma molto più per un tema), abbiamo un impegno annuo di 11/12.000 minuti, cioè 6 ore a settimana (ore piene, pienissime: non è un fare presenza). Naturalmente queste prove si devono preparare; fare svolgere una prova strutturata o un saggio breve non è come scrivere la traccia di un tema alla lavagna; una prova di latino, affinché i ragazzi non facciano copia conforme, richiede la ricerca di tre o quattro versioni simili per difficoltà, ma non uguali. Due conti, così, solo per fare un esempio.
E se poi vogliamo entrare in contatto con nostri studenti, dobbiamo aggiornarci continuamente, usare una didattica multimediale, anzi no, non è più attuale questo termine: oggi si parla di didattica Web, 2.0., preparare powerpoint, entrare nei social network e condividere pagine e gruppi con gli studenti.
E ancora, potrà sembrare strano, forse, ma i nostri ragazzi spesso leggono e questo ci porta, volentieri, a dover leggere i libri che amano loro e così suggerire qualche classico, che spesso occorrerà rileggere, o, almeno, rivedere.
Insegnare, a questo punto speriamo sia un po’ più chiaro, non è semplicemente lavorare.
La classe degli insegnanti, sottopagata da sempre, non può tollerare che venga offesa la professionalità di uomini e donne che hanno affrontato un lungo e ricco percorso di formazione, hanno studiato e continuano a studiare sempre, si occupano della formazione degli adulti di domani; la formazione che non è solo conoscenza, non è solo istruzione, non è solo educazione.
Forse la proposta non verrà accolta, la Commissione cultura ha già espresso il proprio dissenso, ma ciò che conta non è soltanto questo.
Gli insegnanti italiani, in questo momento storico così difficile, possono ancora essere un punto di riferimento, una guida per rifondare i valori etici che un mondo disordinato e disorientato ha perso di vista. Se davvero c’è la volontà di considerare ancora possibile un futuro per questo Paese.
prof. Loredana Pitino