Come nel capolavoro di Cervantes, si ha l’impressione che le cose siano fuori sintonia. Il direttore d’orchestra legge uno spartito e i suonatori un altro, con una confusione totale nell’esecuzione. Gli attori hanno imparato le battute di una commedia diversa da quella rappresentata; entrano ed escono fuori tempo e luogo, incespicano in una sceneggiatura sconosciuta, e invano si rivolgono al suggeritore per aiuto.[1]
Non si può che convenire. La diffusissima ignoranza di
cose religiose, morali, giuridiche e politiche impedisce anche il più tenue cambio
nella direzione giusta.
Dal che non segue che conoscenza e intelligenza da sole possano
ribaltare la situazione: ci vuole l’azione. La quale però in assenza delle due è
destinata al fallimento.
Furore non implica violenza, né tanto meno spargimento di
sangue. Implica una forza irresistibile da applicare ai punti deboli del nemico
per indurlo prima alla ragione e poi ad un’azione legittima, feconda e
benevola.
La tesi è che un popolo consapevole, unito e ordinato ha in sé le qualità per produrre gli
effetti ventilati, anche a corto termine.
Ma non si arriva ad un popolo senza passare per le
persone in carne ed ossa che lo compongono. Ognuna di esse ha bisogno di
consapevolezza, unità e ordine personale prima di farne uso in unità sociale.
Ci si rende conto sempre di più di essere in guerra, ma
si hanno idee poco chiare circa l’identità del nemico, le sue strategie e le
sue tattiche. Per conoscerlo occorre prima liberarsi di una confusione artatamente
mantenuta tra Governo e Stato. Vediamola.
Nemico Numero
Uno: lo Stato
La confusione tra Governo e Stato oggi imperante non è di
antica data. Il Governo è un istituto naturale, cioè necessario sempre e dovunque
un gruppo di persone si prefiggano uno scopo comune; lo Stato è un istituto
artificiale, con noi dal 1648, anno del Trattato di Westphalia che mise fine alle
guerre di religione in Europa.
L’aggettivo “sovrano” che decora il nome di Stato, ha una
doppia connotazione: una, giuridica, che ne afferma l’indipendenza da altri
Stati; l’altra, politica, che fa dello Stato una macchina liberticida
inarrestabile.
A postulare codesta sovranità politica fu il francese
Jean Bodin (1530-1596), che non fece mistero di quel che intendeva: un istituto senza rivali all’interno.
Lo Stato, quindi, cominciando a fingere di ausiliare il
governo regio, non perse tempo a muovere guerra senza quartiere prima alle libertà
concrete delle corporazioni di arti e mestieri, poi a quella della Chiesa
tentando di ridurla a parte di sé stesso, poi ai regnanti, di cui si liberò con
tattiche più o meno confessabili, poi ai municipi e altri corpi intermedi tra sé
e l’individuo, e oggi alla famiglia, ultimo bastione di resistenza alle sue
pretese.
“Non è l’euro, è il fisco impazzito che sta rovinando il
paese”, mi disse un ex vigile urbano di Milano. “Le multe che facevo io 20 anni
fa si aggiravano sulle 5mila lire; i loro equivalenti oggi ammontano a 850mila
lire” cioè un aumento (anche se nominale) del 170mila per cento. La cosa mi
venne corroborata a Udine: “Tre GdF in borghese entrano in un esercizio e
comprano cianfrusaglie. L’esercente emette gli scontrini IVA. Prima di uscire,
uno acchiappa una bottiglia di acqua minerale dicendo: ‘Prendo anche questa’, e
lascia una moneta di 1€ sul banco senza dar tempo all’esercente di fare lo
scontrino”. Rientrano i tre dopo cinque minuti e lo multano per 162€. 162mila
per cento!
In Internet trovo (non presi nota a suo tempo perchè
anteriore ai fatti su riportati) che la Guardia di Finanza non accerta più. Si prefigge
invece una somma annuale da convogliare all’erario e la estorce come può attaccando vittime isolate e indifese.
La tassazione selvaggia non è il solo mezzo liberticida.
Dal tempo della sua entrata in lizza, lo Stato ha puntato sul monopolio
dell’educazione per ridurre il popolo a una massa amorfa e incretinita. 300
anni fa, nel 1708, Alfonso de’ Liguori veniva ammesso alla Facoltà di legge di
Napoli appena dodicenne. Oggi i suoi coetanei di ambo i sessi si possono udire
per strada, nei pressi di qualunque scuola, grugnendo, ululando o cinguettando senza
il minimo sembiante di razionalità.
Completano il ritratto i mezzi di comunicazione di massa,
anch’essi o monopolio di Stato o di poderosi interessi creati in combutta con
esso.
L’inganno della “sovranità popolare”, bagarinato sotto il
nome fraudolento di “democrazia rappresentativa” appare sempre più come una farsa
che porta verso la servitù della gleba quando non verso la schiavitù più
abbietta.
Prima di pianificare una contro-strategia e
contro-tattiche, occorre apprezzare l’esistenza, le strategie e le tattiche di
un secondo nemico con le cui insidie lo Stato è in combutta non solo contro il
popolo, ma anche contro il Governo. Sarebbe imprudente pianificare un
contrattacco ignorandolo.
Nemico Numero
Due: l’Usura
Il 20 novembre 2014 scorso la Camera dei Comuni del Parlamento
britannico ospitava un dibattito storico su una questione che non veniva
dibattuta da 170 anni: la creazione
bancaria del denaro. Alcuni interventi sono altamente significativi:
“La questione non è ben capita dal pubblico… e neanche
dai deputati. Sospetto che molti sarebbero pronti ad ammettere che la
stregoneria della quale stiamo parlando è di una complessità tale che pochi la
capiscono come si deve”.[2]
“Ci troviamo in una crisi di debito di proporzioni
storiche, perché troppo a lungo le banche hanno creato denaro sotto forma di
debito con pochissimi controlli effettivi sulla loro condotta. I rischi di una
tale condotta sono stati imposti al contribuente con il potere coercitivo dello
Stato.
Il denaro non è neutrale. Ridistribuisce il reddito reale
dagli ultimi ai primi arrivati, cioè dai poveri ai ricchi tutto considerato.
Codesta ridistribuzione è la chiave per capire gli effetti di denaro nuovo
sulla società. È la causa prima di quasi tutti i conflitti che girano attorno
alla produzione di denaro e alle relazioni tra creditori e debitori”.[3]
“Questa assemblea e il governo sono ossessionati dal
denaro e dall’economia, ma non dibattiamo mai la creazione di denaro o di
credito. Dovremmo farlo, perché nel considerare la situazione economica
presente e il modus operandi delle
banche e dell’economia, ecco l’elefante nella stanza. È tempo di pensare non
fuori dalla scatola ma fuori dalle banche; è tempo di occuparsi della creazione
di credito e di denaro”.[4]
Ci devono essere ragioni perché il deputato Goldsmith
chiami il modus operandi della
finanza “stregoneria” (wizardry).
Il sistema bancario infatti fa uso di incantesimi da
lunga data.
Il primo incantesimo consiste nel far credere che una
moneta debba possedere un misterioso “valore intrinseco”, quindi o fatta di
metallo prezioso o “supportata” da una certa quantità dello stesso giacente nei
sotterranei di una banca[5].
Questa idea non è innocua: sta alla base della
“crematistica”, cioè della credenza che essere ricco vuol dire possedere
denaro, considerato come merce oltre che mezzo di scambio[6].
Da qui nasce l’usura
come il tributo che chi ha bisogno
di denaro come mezzo di scambio deve pagare a chi lo tesoreggia come “riserva
di valore”.
Chi non assimili gli ultimi tre paragrafi, non vada oltre
fino a riuscirvi.
Il secondo incantesimo viene chiamato “riserva
frazionaria”, in funzione dal 1609 data della fondazione del Banco di
Amsterdam. Su di una base minima di contante, la banca emette dodici, quindici
volte quello che chiama “credito”, in realtà una serie di stregonerie analizzate
sotto.
I banchieri stregoni chiamano i loro incantesimi
“prestiti”. In un prestito reale il prestante si priva di quello che presta; in un “prestito” bancario, la banca non
si priva di alcunché. Il banchiere si informa prima della ricchezza reale (edifici,
terre, fabbriche, beni mobili di un certo valore) posseduta dal “prestatario”,
e se questa lo soddisfa, “concede” il prestito, cioè autorizza l’incauto “prestatario” a emettere denaro nuovo ogni volta che firma assegni fino alla
somma convenuta.
Qui l’usura viene ribattezzata “interesse”. A che titolo
la banca domanda interesse per un’autorizzazione a stampare denaro? Non lo ha mai
chiarito nessuno. Ma è una domanda pertinente: non esistendo un vero prestito,
non esiste né lucro cessante né danno emergente. Si tratta di un puro
abracadabra che convince il “prestatario” a dover “restituire” un denaro mai preso in prestito più interessi che
però non è autorizzato a creare firmando assegni. Gli interessi deve ottenerli
o lavorando di più, o estraendoli dalla concorrenza, o indebitandosi
ulteriormente. Il che matematicamente garantisce che un certo numero di
“prestatari” debba andare in bancarotta con monotona regolarità.
Quando il banchiere si informa, come poc’anzi detto, del
valore dei beni di garanzia (in inglese collateral)
in realtà stima se e quando può appropriarsene, con uno dei tre stratagemmi
seguenti:
1.
Negando credito nel
momento in cui il “prestatario” ne ha più bisogno;
2.
Domandando senza
preavviso la “restituzione” anticipata della somma prestata;
3.
Emettendo ingiunzioni
di pagamento di somme non pattuite, pertanto arbitrarie, protetto da una
“legge” che impone al “prestatario” la scelta tra pagare e poi contestare il
pagamento, o non pagare e vedersi pignorati beni mobili e immobili.
Non abbiamo
toccato il fondo. Se e quando il “prestatario” riesce a “ripagare” tanto il
capitale quanto gli interessi, le somme, create dal nulla al tempo del
“prestito” spariscono nel nulla al tempo del loro “pagamento”.
Avete letto bene: spariscono,
sepolte in conti non correnti dai quali non escono più. Ma la somma che
sparisce rappresenta ricchezza reale, e per giunta eccedente quella “presa in
prestito”. È evidente che un tale meccanismo non faccia che inasprire la
mancanza cronica di contante, anch’essa promossa dalla banca per imporre le
stregonerie che chiama “credito”.
Le quantità distrutte nel ripagare debiti privati non
sono trascurabili, ma neanche sono ingenti. Sono ingenti invece quelle
distrutte nel ripagare il cosiddetto “debito pubblico”, imposto dallo stesso sistema
ai governi e pagate sempre come prima rateazione (detta ampollosamente tranche)
al tempo del bilancio preventivo (oggi detto budget in omaggio all’anglosassonismo imperante).
Dovrebbe essere evidente dal discorso che precede perché
i governi di oggi non governano: essi obbediscono ordini da chi detiene il
potere di creare e distruggere denaro.
Scelga il lettore i pertinenti aggettivi qualificativi di
codesto modus operandi. Qui notiamo
solo che contro un tale doppio nemico, una strategia puramente difensiva condurrebbe
alla sconfitta.[7]
Oltre alla consapevolezza, è assolutamente necessario acquistare unità, prima a livello personale e poi
a quello sociale.
Unità personale:
religiosa e morale
Per capire l’importanza dell’unità, si rifletta prima
sulla sua attuale mancanza, non percepita a causa di un’educazione
deliberatamente instupidente, da una disinformazione depistante e dal rumore continuo
dell’industria dell’intrattenimento.
Il discorso che segue risulterà ostico a molti, ma va
fatto. Chi non lo gradisca smetta pure di leggere e vada a farsi intrattenere
dal Rigoletto di turno.
Cinque secoli di beffa, dileggio e vaniloquio sono
riusciti a cancellare dalla mente dei più l’idea stessa di un peccato di
origine alla base del disordine (“guerra civile” la chiamava Aristotele tre
secoli prima della Redenzione) che infuria nell’intimo di ogni essere umano.
E un secolo di colpevole silenzio di chi avrebbe dovuto
–e dovrebbe ancora- parlare, ha completato lo sfascio.
Quando chi doveva parlare lo faceva, e l’azione seguiva
la sana dottrina, si anteponeva la preparazione spirituale all’azione anche militare.
Racconta Hilaire Belloc (1870-1953),
che alla battaglia di Muret[8] i mille cavalieri di Simon
de Montfort ascoltarono Messa a cavallo, armati e in corazza, prima di
attaccare il centro dell’armata nemica, da 40 a 50 volte più numerosa, e
sbaragliarla. E Papa Pio V inviò a Messina, dove la flotta in partenza per
Lepanto era alla fonda, 500 preti per celebrare Messa e confessare i
combattenti per rimetterli in stato di grazia prima di salpare. Don Giovanni
d’Austria Grande Ammiraglio, affiancato dal settantenne Sebastiano Veniero,
decretò la pena capitale per chiunque osasse pubblicamente infrangere la legge
divina da quel momento.
Non scherzavano: due disgraziati sorpresi a bestemmiare
durante una partita a carte furono impiccati a vista di tutti prima di salpare
per lo scontro con la marina ottomana.
Papa Pio V era anche conscio dell’importanza della
preghiera: indisse una crociata di Rosari in tutta la Cristianità per implorare
la vittoria dal Cielo.
Fu così che una accozzaglia di galere veneziane e
spagnole, nonostante l’astio che divideva i due popoli, coadiuvata da galere
genovesi, papali e maltesi, ebbe ragione di una flotta numericamente e
fisicamente superiore per non aver dovuto sottostare a lunghe rotte prima dello
scontro. La festa della Madonna del Rosario viene ancora celebrata il 7
ottobre.
Ebbene, i mezzi sono ancora quelli. Il battezzato perseguente
unità personale non la troverà che
nella Messa e nel Rosario, cominciando a percepirli per quello che sono.
La Messa, per cominciare, è la ri-attuazione (si noti
bene il termine, non “ri-petizione”) del sacrificio del Calvario; si tratta
dello stesso sacrificio, che
trascende spazio e tempo per ri-attuarsi davanti a chi celebra o assiste.
Nella vita del battezzato la Messa agisce come l’asse
attorno al quale ruotano le vicende quotidiane; egli adesso trasmette energia
invece di disperderla oscillando in disordine.
E niente lo scuote, neanche la persecuzione. Il vescovo
di Saigon Nguyen Van Thuan (1928-2002) trovò la forza di resistere durante 13
anni di carcere (9 in cella di isolamento) nella Messa, celebrata nottetempo a
memoria e con solo tre gocce di vino e una d’acqua nel palmo della mano.
Se alla Messa aggiunge il Rosario[9], gli effetti lo
sorprenderanno: migliorerà non solo la conoscenza e la padronanza di sé, ma anche
il giudizio di eventi, cose e circostanze che domina ora dal centro fisso,
senza il quale veniva prima dominato e trascinato in disordine.
E si accorgerebbe che l’accozzaglia apparentemente senza
senso che lo circonda non è che lo schieramento del nemico, i cui mirmidoni percepisce
ora chiaramente.
La consapevolezza di trovarsi in perpetuo assetto di
battaglia agli ordini di Chi disse: “Senza di Me non potete far nulla”, è conditio sine qua non per vincere, ma
non è che l’inizio. L’unità dalla persona individuale va estesa al piccolo
esercito in ordine di battaglia.
Cominciamo con l’individuare i punti deboli del nemico.
Primo: il potere politico di oggi, dovunque si guardi, è illegittimo. Il rifiuto di ogni controllo
esterno propugnato sempre più bellicosamente dall’Umanesimo rinascimentale, poi
dalla Riforma Protestante e infine dalla Rivoluzione Illuministica con le sue
“costituzioni” (tentativi falliti di promulgare leggi immortali fatte da
mortali), fa sì che codesto potere manchi di una base che lo legittimizzi,
nonostante i salti mortali di Max Weber e quelli di “padri costituenti” in sede
di assemblee più o meno variopinte.
Chi ha una certa dimestichezza con il giuridichese può intraprendere
ricerche. Qui ci interessa la pratica, cioè che leggi positive ma ingiuste
emesse dallo Stato sono altrettanto illegittime: vincolano o per paura o per
convenienza, ma non in coscienza. Non si infrange il Quarto Comandamento
disubbidendole.
Ma l’uomo è nato per esser libero, e anche da solo ha mezzi per asserire la sua libertà.
Rispetto allo Stato ha già cominciato a praticare l’astensione dal voto. Il senso di
panico che ha colto gli uomini di potere davanti al recente drammatico calo di
votanti in due regioni italiane è altamente significativo, ma è solo un passo nella
direzione giusta.
Il secondo è divestirsi del corredo di mezzi di
distrazione di massa: televisione e intrattenimenti del genere.
Il terzo è scrollarsi di dosso non tanto i contenuti più
o meno inutili della cosiddetta “istruzione” di Stato quanto il condizionamento
da essa inculcato che a un tipo di
istruzione debba corrispondere un tipo
di lavoro, dipendente e con posto fisso.
Questa visione l’ha fatta a pezzi proprio il premier
Renzi dicendo: “Il posto fisso non c’è più.”
Per chi gode (rectius
soffre) di un solo tipo di istruzione, una notizia del genere è devastante; ma chi
è conscio che la specializzazione è caratteristica del mondo degli insetti e
non degli uomini, vede nella stessa notizia la via esilarante verso la libertà.
Mi spiego.
L’uomo, nella fattispecie il maschio della specie, si
apre naturalmente a ventaglio verso varie realtà a partire dall’infanzia. A
lasciarlo libero, incoraggiandolo a sviluppare quello che gli piace e in cui
mostra abilità, ai 14-15 anni il ragazzo svilupperebbe già un certo numero di
talenti in combinazione unica per ogni individuo.
Glie lo impedisce la scuola d’obbligo, che a sei anni lo
rinchiude in una prigione a tempo parziale per altri dodici, e dalla quale esce
mentalmente anchilosato e moralmente indebolito.
Ma i talenti sono solo in letargo. È questione quindi di
scoprirli e svilupparli sotto la guida di un maestro per ciascuno di essi.
Questo una volta si chiamava apprendistato, distrutto
dalle politiche scolastiche statali negli ultimi 70 anni. Ma niente proibisce
di ravvivarlo e praticarlo privatamente. Le attività commercializzabili, sia
intellettuali che manuali, sono legione; chi ne ha un discreto pacchetto può
offrirle a tempi e luoghi di sua scelta. Diverrebbe così un bersaglio mobile per
non dire invisibile al fisco impazzito di cui sopra; “aprire bottega”, invece,
lo renderebbe facile preda dello stesso.
Qui va fatto un discorso sulla tassazione. Uno Stato,
anche se illegittimo, emette quantità ingenti di leggi, non tutte ingiuste. Come
fa il soggetto isolato a distinguerle?
Con tre criteri infallibili: a) una tassa è giusta se
colpisce non il valore aggiunto dallo sforzo di chi lavora ma quello sottratto alle risorse naturali, come il
suolo, lo spettro elettromagnetico, ecc. Una tassa di occupazione del suolo,
che lascia i frutti del lavoro al produttore, e convoglia alla comunità il
valore prodottone, è eminentemente giusta.
b) una tassa è giusta se promulgata in funzione del bene
comune e non di una sezione privilegiata della popolazione.
c) una tassa è giusta quando i suoi autori non se ne auto-esentano.
Ogni altra tassa va evasa come si può, dal lavoro in nero
all’emigrazione parziale: evadere tasse ingiuste non è che legittima difesa
contro le angherie suddescritte.
Questi i soli mezzi di difesa a livello individuale contro
lo Stato liberticida. Prima di analizzare i mezzi di contrattacco sociali,
esponiamo quelli contro l’usura, fortificati dalla conoscenza del suo modus operandi.
Il primo è evidente: mai
indebitarsi con il sistema bancario. Quando Henry Ford fondò la sua
fabbrica nel 1903, prese 30mila dollari in prestito ma da un amico, non dalle banche (che detestava come loro detestavano
lui). 16 anni dopo, nel 1919, la sua intrapresa valeva 900 milioni di dollari.
L’infima base di contante su cui le banche basano la
riserva frazionaria è anche il loro tallone d’Achille. La tattica si suggerisce
da sé: sempre prelevare, mai depositare
contante in banca. Il luogo naturale del contante sono le tasche del
popolo, dalle quali deve regolarmente uscire per regolarmente rientrarvi senza
essere accaparrato da nessuno.
Così le banche sarebbero costrette a scoprire le proprie
carte: forzate a fare uscire contante senza mai vederlo entrare, dovrebbero
farlo stampare per non rivelare di essere insolventi, così rendendolo più
abbondante.
Un ulteriore mezzo di lotta individuale è
l’autosufficienza, a cominciare dalla produzione di sussistenza degli elementi
essenziali come cibo, vestiario e tetto. Evidentemente questa non sarà
possibile al 100%, ma quanto più si avvicini a quel traguardo, meglio. In altre
parole comprare il meno possibile, produrre il più possibile.
L’ultimo è favorire l’economia locale a spada tratta. Se
comprare si deve, farlo dal produttore più vicino, anche se il costo sembra
superiore a quello dei supermercati: il guadagno in qualità compenserà la
perdita di quantità. E non ci si dimentichi di calcolare gli spostamenti in
auto, che costano qualcosa come 0.4€/km
Sono possibili quindi un certo numero di misure difensive
individuali, ma esse non bastano per passare al contrattacco: va messo in
azione il principio di solidarietà.
Unità sociale: i
corpi intermedi dalla famiglia alla categoria lavorativa
Dal fatto che la famiglia sia l’ultimo bastione di
resistenza all’azione demolitrice dello Stato e delle banche, segue che la
famiglia è la prima, e più efficace piattaforma di lancio per il contrattacco.
Solo che bisogna prima capirla e poi amarla per quello che è, non per quello a
cui è stata ridotta da offensive degne di miglior causa.
Per famiglia intendo il consorzio che chi viene al mondo sperimenta
come primo hotel, primo ospedale, prima scuola, primo centro di produzione e
prima comunità politica.
La famiglia naturale
è fondata sull’istituto del matrimonio naturale,
la cui definizione, altrettanto naturale, è valida per ogni tempo e luogo a
prescindere da considerazioni religiose o sociologiche: il matrimonio, unione
permanente e indissolubile tra un uomo e una donna, è un guanto di sfida in faccia a Monna Morte. I due sposi le dicono: “Tu
ci prenderai tutti e due, ma noi ti sconfiggeremo, lasciando dietro una prole
più numerosa e migliore di noi”.
Nessun’altro istituto, dalla poligamia alle unioni
aberrosessuali, è in grado di lanciare quella sfida. Per cui rafforzare la
famiglia significa in primis
rafforzare il matrimonio, che poi se sacramento, aggiunge la forza della grazia
a quella della natura. Per chi lo abbia dimenticato, il ministro di quel
sacramento non è il prete che lo celebra ma gli sposi che lo vivono,
amministrandosi grazia ogni qualvolta compiono atti di servizio reciproci.
Una famiglia poi che regolarmente offre il Sacrificio e
prega, diventa una roccaforte impregnabile agli assalti più furibondi del
Maligno e dei suoi lacchè.
Quante più famiglie così si uniscono, tanto più efficaci
saranno nel contrattacco ai poteri statali e usurari. Ma come?
Nella Respublica Christiana erano le
corporazioni di arti e mestieri che radunavano e proteggevano le famiglie di
chi aveva la stessa occupazione. Le corporazioni patteggiavano la tassazione con il potere regio, che non si sognava
neanche di attaccare un membro isolato di una corporazione come fecero i tre
GdF summenzionati.
La Respublica
Christiana (o Cristianità) era una società
di società, non di individui atomizzati da una politica statale dissolvente
e totalitarizzante. Se non è possibile per ovvie ragioni ritornare alle Corporazioni
com’erano, è però possibile restaurare il principio di associazione militante, eliminando
così l’isolamento e controbilanciando il potere nemico.
Si rifletta: se i tre GdF, all’uscita dalla bottega
dell’esercente summenzionato avessero trovato 50 - 100 suoi colleghi chiamati a
raccolta da un cellulare, e con cipiglio da “vattene se no…”, sarebbero stati indotti a più miti consigli,
cominciando con l’annullare la multa.[10]
Come seconda linea di attacco sono da considerare il
baratto e la cambiale, nemici naturali dell’usura insieme all’autosufficienza.
Il baratto può avvenire con beni, servizi o combinazioni
dei due. I soli suoi limiti sono l’immaginazione e lo spirito di intrapresa di
chi lo pratica. La cambiale verrà discussa più tardi sotto il titolo di unità a
livello comunale.
La terza linea sarebbe la rivolta fiscale, però non come
rifiuto tout court di pagare le
tasse, ma come ritorno ad una tassazione giusta a furor di popolo. Come
arrivare alla meta lo vedremo nel corso dell’argomento; ma siccome bisogna
partire in qualche maniera, indichiamo il punto più debole: l’IVA. Analizziamo.
L’Imposta sul
Valore Aggiunto è la più regressiva, controproducente e assurda mai escogitata.[11] La ragione è che il costo
di esazione supera per definizione il gettito erariale. È difficile capire che
tipo di ragionamento abbia indotto i suoi “inventori” a proporla. Ma loro,
furbi, hanno evitato allo Stato il lavoro di esattore trasferendo quella
responsabilità agli operatori economici. Senza pagarli naturalmente, cioè permettendo
all’istituto della schiavitù di rientrare dalla finestra dopo essere stato
espulso durante il millennio precedente.
Si parta quindi con il rifiutarsi di lavorare da schiavi,
o di pagare un commercialista per farlo lavorare per il potere: che lo paghi il
potere. Dopo aver sensibilizzato tutte le categorie, si celebrerebbe l’inizio
della rivolta con un falò pubblico, a livello nazionale e in un giorno
prefissato, di tutte le partite IVA.
Il fine è quello di ritornare
a una tassazione patteggiata tra le categorie (che potrebbero anche essere
i Comuni) e lo Stato, fissando una somma forfettaria per ognuna di esse, con
criteri anch’essi patteggiati. Perché detta tassazione sia giusta, va
introdotta l’idea di imponibile come valore
sottratto dalle risorse naturali - o dalla sovranità dello Stato -.
Il resto delle tasse ingiuste: sul reddito, che ostacola
la produzione, e quelle indirette che ostacolano il consumo delle fasce più
povere, va eliminato non appena il gettito fiscale raggiunga quello della spesa
pubblica.
Due altre misure da prendere a furor di popolo sono: a) abrogare
le tasse escogitate da burocrati non eletti, e b) ripudiare il debito pubblico, uno sconcio che impoverisce chi
lavora senza recare beneficio alcuno.
Unità a Livello Comunale
Dato che la combutta Stato-banche esautora il Governo al
di sopra e opprime il popolo al di sotto, segue che va raggiunta un unione
effettiva di popolo e di Governo per farvi fronte con successo.
Il Governo da rafforzare, però, non è quello dello Stato,
irragiungibile e sotto ricatto da poteri troppo forti per farsi impressionare
dal furore popolare: è il governo
municipale, più vicino al popolo e partecipe dei suoi stessi interessi.
Il discorso è lungo, ma va fatto.
Nel coltivare un appezzamento, la prima cosa da fare è
eliminare le erbacce. Le due di stampo politico che hanno contribuito più poderosamente
a ridurre il Comune da quel glorioso istituto che fu al miserevole apparato che
è oggi sono il partito politico e il sindacato.
Per capire i danni che queste due istituzioni hanno causato
a chi lavora fingendo di esserne protettori e benefattori, vediamone la storia,
che l’istruzione di Stato si guarda bene dal raccontare nei cosiddetti
“programmi ministeriali”.
Trasportiamoci nella Londra del 1694. L'invasore
principe consorte della regina Maria, l'olandese Guglielmo III d'Orange,
ottiene l'assenso reale per la fondazione della Banca “d'Inghilterra” e per
l'istituzione del Debito Pubblico.
"Questo statuto", scrive
A.M.Ramsey, "consegnò a un comitato anonimo la prerogativa reale di batter
moneta; intronizzò l'oro come base di ricchezza; e permise agli usurai
internazionali di garantire i loro prestiti con le tasse del paese invece che
con le promesse incerte di un capo di stato o di un potentato anch'esso
incerto...
L'unione politica ed economica con
l'Inghilterra fu imposta da lì a poco alla Scozia per mezzo di diffusa
corruzione, e in barba alle proteste formali di ogni contea e municipio...
l'artiglio dell'usuraio stringeva ora tutta la Gran Bretagna.
Ma c'era un pericolo: i membri del
nuovo Parlamento Unito avrebbero prima o poi sfidato il nuovo 'sistema' nello
spirito dei loro antenati.
Per difendersi dal pericolo fu
avviato il sistema partitocratico (neretto mio) per frustrare la
reazione nazionale e permettere agli usurai il divide et impera. Il loro
potere finanziario, da recente acquisito, avrebbe loro permesso di far salire
alla ribalta i loro uomini e le loro politiche, sostenuti dai loro giornali,
opuscoli e conti in banca... L'oro doveva diventare la base dei prestiti, per
un ammontare di dieci volte la quantità depositata. Al 3%, 100 sterline in oro
procuravano così al loro padrone 30 sterline all'anno, senza dover fare altro
sforzo che quello di riempire dei registri. Ma chi le 100 sterline le aveva
sotto forma di terra, doveva lavorare ogni ora di luce perchè gli rendessero al
massimo un 4%. Il processo doveva inesorabilmente rendere milionario l'usuraio,
e rovinare il terratenente inglese e scozzese.[12]
Questo l'inizio. Un secolo
dopo i partiti politici si istituivano nel Continente a partire dalla
Rivoluzione in Francia. Gli ostacoli da abbattere colà, oltre al clero e i
nobili, erano le Corporazioni (in Inghilterra queste erano già state distrutte
a cominciare da Enrico VIII nel secolo XVI). Il decreto Turgot del 1778 ne
decretò la sparizione, e la Loi Chapelier del 1791 abolì addirittura il
diritto di associazione, stabilendo il “principio” che non vi dovessero essere
organi intermedi tra il cittadino e lo Stato. Eccezion fatta, s'intende, per i
partiti politici, che pochi anni dopo avrebbero fatto il loro ingresso anche in
Italia.
La scusa era sempre la
stessa: “rappresentare” quella porzione di popolo che fosse d'accordo con la
loro politica. Ma la realtà era ben diversa, e se ne accorse Antonio Rosmini,
che nel 1839 scriveva:
“Ciò che impedisce la giustizia
e la moralità sono i partiti politici. Ecco il verme che corrode
la società, il male che confonde le previsioni de' filosofi, e rende vane le
più belle teorie. Conciossiachè i partiti sono formati da uomini che non
si prefiggono nel loro operare né quello che è giusto, né quello che è
moralmente onesto e virtuoso.
Il partito ha per iscopo il proprio
vantaggio, non la giustizia, l'equità, la vita morale. Partito dunque ed
equità, giustizia e virtù, sono cose opposte"[13]
Ma ci vuole altro che gli
ammonimenti di un filosofo per convincere persone anche intelligenti. Una delle
quali fu il già citato Hilaire Belloc che nel 1906 aveva ancora tanta fiducia
nel Party System da candidarsi per la circoscrizione elettorale di
Salford, Manchester, con il partito liberale.
Venne eletto, ma non durò.
Belloc vide con i suoi occhi cosa c'era dietro il Party System, e nel
1910 non si ripresentò. Nel 1911, insieme a Cecil Chesterton (fratello del
grande G.K. e caduto in guerra nel 1918) pubblicò The Party System che
rimane, per quanto io sappia, un insuperato atto di accusa contro la
partitocrazia.
La tesi è che il partito
politico, lungi dal rappresentare gli elettori, rappresenta interessi occulti,
i quali non hanno scrupoli nel sostenere finanziariamente tanto il partito al
potere quanto quello all'opposizione con il sostegno di uomini inetti, corrotti
e quindi sotto minaccia permanente di ricatto, costretti quindi ad abbassarsi a
livelli intellettuali infimi.
"Bisogna notare" -scrive
Belloc- "che l'effetto del sistema partitocratico sugli uomini politici
anche più abili, è di deprimere il loro livello intellettuale. È tutt'affatto
incredibile che uomini come Mr Asquith e Mr Lloyd George, Mr Balfour e Mr
F.E.Smith possano in qualunque circostanza proferire le imbecillità che
costantemente adornano i loro discorsi pubblici. Non parlerebbero così a una
cena, o nei loro club. Ma lo standard intellettuale in politica è così basso
che uomini di capacità mentale media devono piegarsi in due per raggiungerne il
livello"[14].
La tesi di Belloc ebbe una
triste conferma nel 1914, all'inizio della Grande Guerra. Gli eventi sportivi
come le Olimpiadi e i campionati di calcio vennero sospesi, ma non le gare
ippiche. Con la mitraglia che falciava giornalmente vittime su tutti i fronti
in numero spesso uguagliante quello dell'ecatombe di Hiroshima, i fantini di
Lord Rosebery continuavano a spronare le loro monte sulle piste di Ascot. Ed è
che il buon Lord aveva minacciato di sospendere i finanziamenti ad entrambi
i partiti se gli uomini di governo avessero osato privarlo, lui e i suoi degni
compari, dello sport dei re, Grande Guerra o non Grande Guerra.
Nell’autobiografia del
1928 Mussolini scriveva:
“Tutte le idee dei cosiddetti
partiti storici sembravano vestiti larghi oltremisura, sformati, fuori moda e
inutili. Erano divenuti sgargianti e insufficienti, incapaci di adattarsi ai
colpi di scena politici, alla storia e alla vita moderna"[15]
Il termine partito è il participio passato di partire,
dividere. È evidente quindi che la necessaria pluralità partitica non possa, né
di fatto abbia mai rappresentato la totalità di un popolo, né promossone
l’unità politica. Si è visto invece come i partiti italiani siano riusciti ad
usurpare il potere dello Stato, così da imporre che
“Tutto avvenga nei partiti, tutto
si decida attraverso i partiti, nulla esista fuori dai partiti, nulla contro i
partiti. Così ogni altro gruppo, ogni altra forza sociale, economica,
culturale, ogni categoria, non ha un proprio canale per arrivare
istituzionalmente e costituzionalmente allo Stato, per inserirsi nella gestione dello Stato, per tutelare e organizzare
nello Stato i propri interessi.”[16]
Dal 1945 alla crisi finanziaria del 2008, tutti i partiti politici, europei e
non, si sono venduti anima e corpo ai diktat della finanza, tradendo pertanto i
loro adepti illusi di trovare protezione in qualche “onorevole” poderoso di
turno. Una figura particolarmente penosa l’hanno fatta i partiti cosiddetti “di
sinistra”, saliti in massa sul carrozzone del capitalismo trionfante dopo aver
finto per decenni di militare dal lato opposto.
I sindacati hanno fatto lo stesso gioco ma su un’altra falsariga,
vendendosi anima e corpo a Marx. Il quale, da maestro prestidigitatore che fu, riuscì
ad occultare la presenza di usurai e latifondisti, ai quali i datori di lavoro
convogliavano (e convogliano), da docili sensali, i salari dei dipendenti. E propose
una lotta di classe falsa e inumana tra datori di lavoro e operai, tradizionalmente
uniti dagli stessi interessi e che al tempo delle Corporazioni lo erano anche formalmente.
Oggi è più che chiaro come i sindacati siano una forza spenta, parassitaria, da
spazzar via a furor di popolo dalla vita politica insieme ai partiti. Non
rinnovando più la tessera d’iscrizione, e non votando fino a raggiungere il
100% di astensione effettiva, si otterrebbe il doppio scopo.
È significativo che né sindacati né partiti abbiano mai
difeso la libertà artigianale e medio-piccola agricola entrambe distrutte dalla
scarsezza cronica di contante, favorendo invece il lavoro aziendale, che anche
se ben retribuito è sempre di natura coatta.
Vediamo ora le potenzialità di una unione Comune-Popolo.
Il
Comune ha tutte le condizioni di autosufficienza, nonché capacità di promuovere
e ottenere piena occupazione, trasformandosi così da mendicante dello Stato in
aiutante effettivo del Governo del Paese. I mezzi vengono elencati sotto.
Dopo aver spazzato via partiti e sindacati, si
tratterebbe di eleggere un sindaco esclusivamente su merito, cosa non difficile
data la conoscenza ravvicinata degli abitanti di un comune. Il sindaco
resterebbe in carica fino al decesso/dimissioni. Egli sceglierebbe i membri
della giunta. Una tale misura ridimensionerebbe e rafforzerebbe il Comune.
Le restrizioni e i danni causati dalla politica
deflattiva del sistema bancario non permetterebbero al Comune di risolvere la
Questione Fondiaria. Chi potrebbe risolverla sarebbe invece il Governo dello
Stato, riappropriandosi della prerogativa di batter moneta, e facendolo con
moneta geselliana a circolazione forzata. Ciò sposterebbe drammaticamente il
potere politico dal denaro al lavoro, eliminando allo stesso tempo la principale
fonte di corruzione. Ma si tratta di un discorso troppo lungo per farlo qui.
Il nuovo Comune è però in grado di risolvere la Questione
Monetaria, sempre sostenendo politicamente la cambiale sociale, e nelle dovute
circostanze emettendo una Moneta Comunale. Le due misure metterebbero fine alla
disoccupazione, povertà cronica, criminalità e anche all’immigrazione.
Procediamo con ordine.
La Cambiale
Sociale
Una ostilità secolare da parte dei due poteri già
esaminati, statale e bancario, ha fatto sì che la cambiale appaia ai più come qualcosa
da evitare come la peste.
Fin dalla prima edizione (1906) del suo magnum opus, però, Gesell faceva notare
che se lo Stato sussidiasse la
cambiale invece di tassarla, la renderebbe liquida come il contante. Ecco
perchè le banche la ostacolano come possono.
Ed ecco anche perché pochissimi ne captano le
potenzialità. Il sistema bancario, che le capta anche troppo bene, fa di tutto
per convincere lo Stato a vilipendiare, screditare, tassare e impastoiare la
cambiale con una legislazione complicatissima e sconcertante,[17] così da scoraggiarne l’uso.
L’asservimento dello Stato al potere finanziario è accuratamente misurabile con
il trattamento politico riservato alla cambiale.
La storia ci viene incontro ancora una volta con un
esempio eclatante, che naturalmente è inutile cercare nella letteratura
economica ufficiale: le Taglie.[18]
Il lettore ha davanti a sé una riproduzione, a scala 1:1,
di uno strumento di pagamento che funzionò per ben 726 anni (1100-1826) in
Inghilterra, dal basso medioevo in cui il contante era ancora scarsissimo
grazie alla superstizione di Creso che lo ha sempre voluto di metallo prezioso,
al periodo della moneta cartacea, anche se sotto il controllo ferreo
dell’istituzione usuraria conosciuta come Banca d’Inghilterra. Eccone un excursus.
Le taglie erano bastoncini di salice, nocciolo o bosso,
sui quali veniva registrata una transazione di debito/credito. L’ammontare lo
si segnava con intacchi diversi secondo si trattasse di sterline, scellini o
sottomultipli. Poi li si spaccava longitudinalmente, lasciando un record
permanente e infalsificabile. La metà del creditore continuava a circolare,
così facendo automaticamente coincidere la quantità di mezzo di scambio con la
produzione di ricchezza. I prezzi erano stabili perché era impossibile speculare sul mezzo di scambio.
Quando Enrico I, ultimogenito di Guglielmo il
Conquistatore, salì al trono nel 1100, le taglie circolavano già, efficacemente
lubrificando l’economia. Non furono invenzione regia come alcuni vogliono dare
a credere, ma democratica, di
produttori, commercianti e abbazie.
Il merito del re fu di fare accettare le taglie, invenzione del popolo, in pagamento di tasse allo Scacchiere, e da colà riimmetterle nel
circolo sanguigno dell’economia.
Le banche cominciarono a ostacolarle dal 1485, dopo la
Guerra delle Rose che vide i Lancaster trionfare sulla casata York. La storia
ufficiale qui dice che i cambiavalute cominciarono a farla da banchieri
attraendo i depositanti con il luccichìo dei lingotti d’oro che avrebbero
‘garantito’ le loro ricevute. Queste eccedevano di gran lunga le ‘riserve’ (lo
fanno ancora oggi) ma il metallo giallo seduceva i gonzi allora proprio come li
seduce oggi.
La concorrenza ostacolava le taglie, ma non riusciva a
detronizzarle. E fino a quando i re d’Inghilterra furono sovrani de iure e de facto, sostennero le xilo-cambiali popolari continuando a farle
accettare dal Fisco.
L’attacco alle taglie si intensificò a partire dal 1694,
con la fondazione della Banca d’Inghilterra, che esercitava pressioni sempre
più forti sul Parlamento per metterle fuorilegge.
Ci vollero 132 anni. Nel 1826 il Parlamento madre di
tutte le democrazie la diede vinta alla Gran Dama di Threadneedle Street[19].
Ma che fare con quelle decine di migliaia di bastoncini
che avevano fatto girare ricchezza per più di sette secoli, l’ultimo sotto il
nuovo Regno Unito (1711)? Per otto anni raccolsero polvere nei sotterranei del
Parlamento. Nel 1834 un mirmidone di Mammona ebbe l’idea di farne un falò.
All’aperto avrebbe attratto la sgradita attenzione del pubblico, cosicchè pensò
di bruciarle in un camino dell’edificio.
Non l’avesse mai fatto. Le taglie si vendicarono
all’istante, appiccando il fuoco ai pannelli di legno circostanti e radendo l’edificio
al suolo in una immane conflagrazione. Di taglie ne rimangono pochi esemplari,
con le diciture dei contraenti ancora leggibili.
Cosa insegna la storia? Che a prescindere dall’uso del
legno, il principio rimane valido. Chi produce ricchezza reale è in grado di
emettere un certificato di produzione, avallato dal controcertificato dell’acquirente.
Lo avevano intuito anche molte piccole aziende italiane, facendo circolare
cambiali senza farle andare ‘in protesto’[20]. Ma “la legge” lo proibì
e oggi si è afflitti da una carestia monetaria del tutto innecessaria e
operante solo perchè imposta dall’alto e incontrastata
dal basso.
La cambiale va restaurata, rafforzata, snellita e messa
in giro dall’unione Comune-Popolo. La loro abbondanza va accoppiata alla moneta
comunale a circolazione forzata; le due faranno sparire la disoccupazione, la
povertà, e manterranno l’immigrazione selvaggia entro limiti ben definiti.
Cioè: se un immigrato vuole lavorare ed inserirsi nell’economia comunale,
accetterà le due; se no, vada a cercarsi Euro dove questi ci sono.
Le cambiali interaziendali permetterebbero scambi di una
certa entità.[21]
Per quelli extra-comunali continuerebbe a vigere l’euro. Il Comune dovrebbe
solamente accettare la cambiale sociale così come Re Enrico I d’Inghilterra
accettava le Taglie.
La Moneta
Comunale
Il principio di una doppia moneta, una per transazioni
domestiche e una per quelle internazionali, fu applicato dall’Unione Monetaria Latina tra Francia,
Italia, Belgio, Svizzera e Grecia nei 50 anni 1865-1915. Fu la Grande Guerra a
mandare tutto a gambe all’aria. I lettori ne troveranno una descrizione
particolareggiata in Rete.
Che un Comune quindi faccia lo stesso esperimento a scala
locale emettendo la sua moneta complementare insieme alla moneta ufficiale, fa
eminente senso, ma il passo va fatto oculatamente e sapientemente. Se non riesce
di primo acchito fallirà per non riprendersi più.
Così attuò il municipio di Wörgl nel Tirolo austriaco
(1932-33), il quale fa ancora testo circa il successo di una moneta comunale
complementare a quella statale.
Per assicurarne il successo, il borgomastro Michael
Unterguggenberger fece tre passi essenziali che garantirono il successo dei
suoi Certificati di Lavoro:
1.
Si accertò che il
paese avesse la suddivisione di lavoro minima per giustificare una moneta
locale;[22]
2.
Sensibilizzò la
popolazione ad accettare i certificati con un paziente lavoro di avvicinamento
di tutte le categorie produttrici e scambiatrici di ricchezza;
3.
Si impegnò ad
accettare la stessa moneta in pagamento di imposte.
Questi tre criteri rimangono validi per qualunque Comune
che volesse fare lo stesso esperimento. Mancando una sola delle condizioni
l’esperimento fallirebbe. Ma vi sono differenze tra quello che era Wörgl 80
anni fa e quello che è un Comune italiano oggi.
La più importante è che i servizi pubblici di acqua,
fognature e smaltimento di rifiuti sono stati privatizzati, cioè imprudentemente ceduti a monopoli privati. I
quali, mirando solo al profitto e non al servizio, tartassano i cittadini
peggio di quanto non faccia lo Stato.
La moneta locale potrebbe giocare un ruolo importante nel
far ridiventare i monopoli naturali servizi pubblici. Una volta arrivato al
pieno impiego e ad un certo livello di prosperità, il popolo si renderebbe
conto che codesti servizi potrebbero benissimo esser pagati in moneta comunale,
che le aziende private naturalmente rifiuterebbero.
Qui il furor di popolo, capitanato dal sindaco come i
cavalieri capitanati a Muret da Simon de Montfort, sarebbe in grado di
ribaltare la situazione, con procedure ovviamente diverse da Comune a Comune.
Lascio per ultima la giustizia. È ovvio che codesta virtù
sociale, definita da Ulpiano come “volontà costante di dare a ciascuno il suo”,
sia sparita da tempo dall’ordinamento giuridico statale.
Una volta il sindaco faceva anche da giudice nelle
vertenze locali. Lo Stato moderno ha usurpato quella prerogativa comunale, con
il risultato che la macchina della giustizia è divenuta farraginosa e inutile, dacché
giustizia ritardata è giustizia negata.[23]
Una tale funzione andrebbe ristabilita per mezzo di
giuristi locali che ancora pensino in termini di diritto naturale e non
esclusivamente positivo. Una considerazione non indifferente è che giudici
infetti da massoneria o comunismo anteporranno i dettami di loggia o di partito
a quelli della giustizia.[24]
Mi rendo conto di non aver suggerito una scampagnata, ma
una battaglia campale. E mi permetto di chiudere con una citazione che la dice
lunga sulla natura di codesta battaglia:
Non abbiamo da combattere contro sangue e carne, ma
contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori cosmici di questa
tenebra, contro gli esseri spirituali della nequizia che abitano le regioni
celesti. …In piedi dunque… sopratutto impugnando lo scudo della fede, con il quale
potrete estinguere tutte le frecce infuocate del Maligno.[25]
Silvano Borruso
5 dicembre 2014
[1] Malcolm Muggeridge
(1903-1990), Tread Softly p. 165.
[4] Deputato
Austin Mitchell.
[5] Il 30
novembre 2014 gli svizzeri, chiamati in referendum, hanno mostrato di aver
mangiato la foglia, bocciando con un sonoro 78% un tentativo di far comprare
alla Banca Centrale varie centinaia di tonnellate del metallo giallo solo per
raccogliere polvere nei suoi sotterranei.
[6] Immortalato
da Disney come Paperon de’ Paperoni.
[7] Ci si è
cominciati ad agitare per ricuperare la legislazione del Glass-Steagall Act,
che dal 1933 al 1999 impedì alle banche di affari di immischiarsi negli assunti
di quelle commerciali. Si tratta di una misura macroeconomica nella direzione
giusta, ma che non intacca minimamente il modus
operandi suddescritto a danno di chi ingenuamente crede che “fare un mutuo”
sia di vantaggio ad entrambi le parti contraenti.
[8] 12 settembre
1213
[9] Van Thuan ne
recitava 15 ogni giorno.
[10] Questa
tecnica viene già applicata in Sardegna. Nulla osta perchè lo venga altrove.
[11] La Spagna
perdette i Paesi Bassi proprio dopo avervela introdotta.
[15]My
Autobiography, Hutchinson & Co., Londra 1928 p. 73. Ritradotto
dall'inglese in mancanza del testo originale.
[16]La Grua, La Democrazia Corporativa, Misuraca Ed. 1976
p. 37
[17]
Si controlli la voce CAMBIALE (Bill of Exchange in inglese) su qualsiasi
dizionario di economia.
[18]
“Taglia” è una trascrizione
dell’inglese “tally”, non una traduzione. Come si può constatare dalla figura,
“to tally” vuol dire far combaciare.
[19] Nomignolo
della Banca d’Inghilterra.
[20]
Solo una legge pro-banche può inventare il protesto. Le taglie non lo
contemplavano.
[21] il Sardex che
vige in Sardegna espleta proprio questo compito. Ma l’assenza di autorità
pubbliche da esso non permette di completare il circuito.
[22] Se la
suddivisione di lavoro nel territorio di un Comune non fosse sufficiente, nulla
osterebbe ad espandere l’esperimento a Comuni circonvicini.
[23] Nella causa
contro i danni per amianto ci sono voluti ben 28 anni per una prima sentenza.
[24] Grazie a
internet anche le pietre sanno che massoneria e comunismo sono i due
specchietti per allodole escogitati dal giudaismo per scristianizzare la prima
le élites e il secondo le masse. A livello comunale sarebbe molto più facile
impedire a individui influenzati dall’uno o dall’altra di fare da giudice.
[25]
Lettera agli Efesini, 6, 12-16 passim.