martedì 16 dicembre 2014

FUROR DI POPOLO di Silvano Borruso

Come nel capolavoro di Cervantes, si ha l’impressione che le cose siano fuori sintonia. Il direttore d’orchestra legge uno spartito e i suonatori un altro, con una confusione totale nell’esecuzione. Gli attori hanno imparato le battute di una commedia diversa da quella rappresentata; entrano ed escono fuori tempo e luogo, incespicano in una sceneggiatura sconosciuta, e invano si rivolgono al suggeritore per aiuto.[1]
Non si può che convenire. La diffusissima ignoranza di cose religiose, morali, giuridiche e politiche impedisce anche il più tenue cambio nella direzione giusta.
Dal che non segue che conoscenza e intelligenza da sole possano ribaltare la situazione: ci vuole l’azione. La quale però in assenza delle due è destinata al fallimento.
Furore non implica violenza, né tanto meno spargimento di sangue. Implica una forza irresistibile da applicare ai punti deboli del nemico per indurlo prima alla ragione e poi ad un’azione legittima, feconda e benevola.
La tesi è che un popolo consapevole, unito e ordinato ha in sé le qualità per produrre gli effetti ventilati, anche a corto termine.
Ma non si arriva ad un popolo senza passare per le persone in carne ed ossa che lo compongono. Ognuna di esse ha bisogno di consapevolezza, unità e ordine personale prima di farne uso in unità sociale.
Ci si rende conto sempre di più di essere in guerra, ma si hanno idee poco chiare circa l’identità del nemico, le sue strategie e le sue tattiche. Per conoscerlo occorre prima liberarsi di una confusione artatamente mantenuta tra Governo e Stato. Vediamola.
Nemico Numero Uno: lo Stato
La confusione tra Governo e Stato oggi imperante non è di antica data. Il Governo è un istituto naturale, cioè necessario sempre e dovunque un gruppo di persone si prefiggano uno scopo comune; lo Stato è un istituto artificiale, con noi dal 1648, anno del Trattato di Westphalia che mise fine alle guerre di religione in Europa.
L’aggettivo “sovrano” che decora il nome di Stato, ha una doppia connotazione: una, giuridica, che ne afferma l’indipendenza da altri Stati; l’altra, politica, che fa dello Stato una macchina liberticida inarrestabile.
A postulare codesta sovranità politica fu il francese Jean Bodin (1530-1596), che non fece mistero di quel che intendeva: un istituto senza rivali all’interno.
Lo Stato, quindi, cominciando a fingere di ausiliare il governo regio, non perse tempo a muovere guerra senza quartiere prima alle libertà concrete delle corporazioni di arti e mestieri, poi a quella della Chiesa tentando di ridurla a parte di sé stesso, poi ai regnanti, di cui si liberò con tattiche più o meno confessabili, poi ai municipi e altri corpi intermedi tra sé e l’individuo, e oggi alla famiglia, ultimo bastione di resistenza alle sue pretese.
“Non è l’euro, è il fisco impazzito che sta rovinando il paese”, mi disse un ex vigile urbano di Milano. “Le multe che facevo io 20 anni fa si aggiravano sulle 5mila lire; i loro equivalenti oggi ammontano a 850mila lire” cioè un aumento (anche se nominale) del 170mila per cento. La cosa mi venne corroborata a Udine: “Tre GdF in borghese entrano in un esercizio e comprano cianfrusaglie. L’esercente emette gli scontrini IVA. Prima di uscire, uno acchiappa una bottiglia di acqua minerale dicendo: ‘Prendo anche questa’, e lascia una moneta di 1€ sul banco senza dar tempo all’esercente di fare lo scontrino”. Rientrano i tre dopo cinque minuti e lo multano per 162€. 162mila per cento!
In Internet trovo (non presi nota a suo tempo perchè anteriore ai fatti su riportati) che la Guardia di Finanza non accerta più. Si prefigge invece una somma annuale da convogliare all’erario e la estorce come può attaccando vittime isolate e indifese.
La tassazione selvaggia non è il solo mezzo liberticida. Dal tempo della sua entrata in lizza, lo Stato ha puntato sul monopolio dell’educazione per ridurre il popolo a una massa amorfa e incretinita. 300 anni fa, nel 1708, Alfonso de’ Liguori veniva ammesso alla Facoltà di legge di Napoli appena dodicenne. Oggi i suoi coetanei di ambo i sessi si possono udire per strada, nei pressi di qualunque scuola, grugnendo, ululando o cinguettando senza il minimo sembiante di razionalità.
Completano il ritratto i mezzi di comunicazione di massa, anch’essi o monopolio di Stato o di poderosi interessi creati in combutta con esso.
L’inganno della “sovranità popolare”, bagarinato sotto il nome fraudolento di “democrazia rappresentativa” appare sempre più come una farsa che porta verso la servitù della gleba quando non verso la schiavitù più abbietta.
Prima di pianificare una contro-strategia e contro-tattiche, occorre apprezzare l’esistenza, le strategie e le tattiche di un secondo nemico con le cui insidie lo Stato è in combutta non solo contro il popolo, ma anche contro il Governo. Sarebbe imprudente pianificare un contrattacco ignorandolo.
Nemico Numero Due: l’Usura
Il 20 novembre 2014 scorso la Camera dei Comuni del Parlamento britannico ospitava un dibattito storico su una questione che non veniva dibattuta da 170 anni: la creazione bancaria del denaro. Alcuni interventi sono altamente significativi:
“La questione non è ben capita dal pubblico… e neanche dai deputati. Sospetto che molti sarebbero pronti ad ammettere che la stregoneria della quale stiamo parlando è di una complessità tale che pochi la capiscono come si deve”.[2]
“Ci troviamo in una crisi di debito di proporzioni storiche, perché troppo a lungo le banche hanno creato denaro sotto forma di debito con pochissimi controlli effettivi sulla loro condotta. I rischi di una tale condotta sono stati imposti al contribuente con il potere coercitivo dello Stato.
Il denaro non è neutrale. Ridistribuisce il reddito reale dagli ultimi ai primi arrivati, cioè dai poveri ai ricchi tutto considerato. Codesta ridistribuzione è la chiave per capire gli effetti di denaro nuovo sulla società. È la causa prima di quasi tutti i conflitti che girano attorno alla produzione di denaro e alle relazioni tra creditori e debitori”.[3]
“Questa assemblea e il governo sono ossessionati dal denaro e dall’economia, ma non dibattiamo mai la creazione di denaro o di credito. Dovremmo farlo, perché nel considerare la situazione economica presente e il modus operandi delle banche e dell’economia, ecco l’elefante nella stanza. È tempo di pensare non fuori dalla scatola ma fuori dalle banche; è tempo di occuparsi della creazione di credito e di denaro”.[4]
Ci devono essere ragioni perché il deputato Goldsmith chiami il modus operandi della finanza “stregoneria” (wizardry).
Il sistema bancario infatti fa uso di incantesimi da lunga data.
Il primo incantesimo consiste nel far credere che una moneta debba possedere un misterioso “valore intrinseco”, quindi o fatta di metallo prezioso o “supportata” da una certa quantità dello stesso giacente nei sotterranei di una banca[5].
Questa idea non è innocua: sta alla base della “crematistica”, cioè della credenza che essere ricco vuol dire possedere denaro, considerato come merce oltre che mezzo di scambio[6].
Da qui nasce l’usura come il tributo che chi ha bisogno di denaro come mezzo di scambio deve pagare a chi lo tesoreggia come “riserva di valore”.
Chi non assimili gli ultimi tre paragrafi, non vada oltre fino a riuscirvi.
Il secondo incantesimo viene chiamato “riserva frazionaria”, in funzione dal 1609 data della fondazione del Banco di Amsterdam. Su di una base minima di contante, la banca emette dodici, quindici volte quello che chiama “credito”, in realtà una serie di stregonerie analizzate sotto.
I banchieri stregoni chiamano i loro incantesimi “prestiti”. In un prestito reale il prestante si priva di quello che presta; in un “prestito” bancario, la banca non si priva di alcunché. Il banchiere si informa prima della ricchezza reale (edifici, terre, fabbriche, beni mobili di un certo valore) posseduta dal “prestatario”, e se questa lo soddisfa, “concede” il prestito, cioè autorizza l’incauto “prestatario” a emettere denaro nuovo ogni volta che firma assegni fino alla somma convenuta.
Qui l’usura viene ribattezzata “interesse”. A che titolo la banca domanda interesse per un’autorizzazione a stampare denaro? Non lo ha mai chiarito nessuno. Ma è una domanda pertinente: non esistendo un vero prestito, non esiste né lucro cessante né danno emergente. Si tratta di un puro abracadabra che convince il “prestatario” a dover “restituire” un denaro mai preso in prestito più interessi che però non è autorizzato a creare firmando assegni. Gli interessi deve ottenerli o lavorando di più, o estraendoli dalla concorrenza, o indebitandosi ulteriormente. Il che matematicamente garantisce che un certo numero di “prestatari” debba andare in bancarotta con monotona regolarità.
Quando il banchiere si informa, come poc’anzi detto, del valore dei beni di garanzia (in inglese collateral) in realtà stima se e quando può appropriarsene, con uno dei tre stratagemmi seguenti:
1.      Negando credito nel momento in cui il “prestatario” ne ha più bisogno;
2.      Domandando senza preavviso la “restituzione” anticipata della somma prestata;
3.      Emettendo ingiunzioni di pagamento di somme non pattuite, pertanto arbitrarie, protetto da una “legge” che impone al “prestatario” la scelta tra pagare e poi contestare il pagamento, o non pagare e vedersi pignorati beni mobili e immobili.
 Non abbiamo toccato il fondo. Se e quando il “prestatario” riesce a “ripagare” tanto il capitale quanto gli interessi, le somme, create dal nulla al tempo del “prestito” spariscono nel nulla al tempo del loro “pagamento”.
Avete letto bene: spariscono, sepolte in conti non correnti dai quali non escono più. Ma la somma che sparisce rappresenta ricchezza reale, e per giunta eccedente quella “presa in prestito”. È evidente che un tale meccanismo non faccia che inasprire la mancanza cronica di contante, anch’essa promossa dalla banca per imporre le stregonerie che chiama “credito”.
Le quantità distrutte nel ripagare debiti privati non sono trascurabili, ma neanche sono ingenti. Sono ingenti invece quelle distrutte nel ripagare il cosiddetto “debito pubblico”, imposto dallo stesso sistema ai governi e pagate sempre come prima rateazione (detta ampollosamente  tranche) al tempo del bilancio preventivo (oggi detto budget in omaggio all’anglosassonismo imperante).
Dovrebbe essere evidente dal discorso che precede perché i governi di oggi non governano: essi obbediscono ordini da chi detiene il potere di creare e distruggere denaro.
Scelga il lettore i pertinenti aggettivi qualificativi di codesto modus operandi. Qui notiamo solo che contro un tale doppio nemico, una strategia puramente difensiva condurrebbe alla sconfitta.[7] Oltre alla consapevolezza, è assolutamente necessario acquistare unità, prima a livello personale e poi a quello sociale.
Unità personale: religiosa e morale
Per capire l’importanza dell’unità, si rifletta prima sulla sua attuale mancanza, non percepita a causa di un’educazione deliberatamente instupidente, da una disinformazione depistante e dal rumore continuo dell’industria dell’intrattenimento.
Il discorso che segue risulterà ostico a molti, ma va fatto. Chi non lo gradisca smetta pure di leggere e vada a farsi intrattenere dal Rigoletto di turno.
Cinque secoli di beffa, dileggio e vaniloquio sono riusciti a cancellare dalla mente dei più l’idea stessa di un peccato di origine alla base del disordine (“guerra civile” la chiamava Aristotele tre secoli prima della Redenzione) che infuria nell’intimo di ogni essere umano.
E un secolo di colpevole silenzio di chi avrebbe dovuto –e dovrebbe ancora- parlare, ha completato lo sfascio.
Quando chi doveva parlare lo faceva, e l’azione seguiva la sana dottrina, si anteponeva la preparazione spirituale all’azione anche militare.
Racconta Hilaire Belloc (1870-1953), che alla battaglia di Muret[8] i mille cavalieri di Simon de Montfort ascoltarono Messa a cavallo, armati e in corazza, prima di attaccare il centro dell’armata nemica, da 40 a 50 volte più numerosa, e sbaragliarla. E Papa Pio V inviò a Messina, dove la flotta in partenza per Lepanto era alla fonda, 500 preti per celebrare Messa e confessare i combattenti per rimetterli in stato di grazia prima di salpare. Don Giovanni d’Austria Grande Ammiraglio, affiancato dal settantenne Sebastiano Veniero, decretò la pena capitale per chiunque osasse pubblicamente infrangere la legge divina da quel momento.
Non scherzavano: due disgraziati sorpresi a bestemmiare durante una partita a carte furono impiccati a vista di tutti prima di salpare per lo scontro con la marina ottomana.
Papa Pio V era anche conscio dell’importanza della preghiera: indisse una crociata di Rosari in tutta la Cristianità per implorare la vittoria dal Cielo.
Fu così che una accozzaglia di galere veneziane e spagnole, nonostante l’astio che divideva i due popoli, coadiuvata da galere genovesi, papali e maltesi, ebbe ragione di una flotta numericamente e fisicamente superiore per non aver dovuto sottostare a lunghe rotte prima dello scontro. La festa della Madonna del Rosario viene ancora celebrata il 7 ottobre.
Ebbene, i mezzi sono ancora quelli. Il battezzato perseguente unità personale non la troverà che nella Messa e nel Rosario, cominciando a percepirli per quello che sono.
La Messa, per cominciare, è la ri-attuazione (si noti bene il termine, non “ri-petizione”) del sacrificio del Calvario; si tratta dello stesso sacrificio, che trascende spazio e tempo per ri-attuarsi davanti a chi celebra o assiste.
Nella vita del battezzato la Messa agisce come l’asse attorno al quale ruotano le vicende quotidiane; egli adesso trasmette energia invece di disperderla oscillando in disordine.
E niente lo scuote, neanche la persecuzione. Il vescovo di Saigon Nguyen Van Thuan (1928-2002) trovò la forza di resistere durante 13 anni di carcere (9 in cella di isolamento) nella Messa, celebrata nottetempo a memoria e con solo tre gocce di vino e una d’acqua nel palmo della mano.
Se alla Messa aggiunge il Rosario[9], gli effetti lo sorprenderanno: migliorerà non solo la conoscenza e la padronanza di sé, ma anche il giudizio di eventi, cose e circostanze che domina ora dal centro fisso, senza il quale veniva prima dominato e trascinato in disordine.
E si accorgerebbe che l’accozzaglia apparentemente senza senso che lo circonda non è che lo schieramento del nemico, i cui mirmidoni percepisce ora chiaramente.
La consapevolezza di trovarsi in perpetuo assetto di battaglia agli ordini di Chi disse: “Senza di Me non potete far nulla”, è conditio sine qua non per vincere, ma non è che l’inizio. L’unità dalla persona individuale va estesa al piccolo esercito in ordine di battaglia.
Cominciamo con l’individuare i punti deboli del nemico.
Primo: il potere politico di oggi, dovunque si guardi, è illegittimo. Il rifiuto di ogni controllo esterno propugnato sempre più bellicosamente dall’Umanesimo rinascimentale, poi dalla Riforma Protestante e infine dalla Rivoluzione Illuministica con le sue “costituzioni” (tentativi falliti di promulgare leggi immortali fatte da mortali), fa sì che codesto potere manchi di una base che lo legittimizzi, nonostante i salti mortali di Max Weber e quelli di “padri costituenti” in sede di assemblee più o meno variopinte.
Chi ha una certa dimestichezza con il giuridichese può intraprendere ricerche. Qui ci interessa la pratica, cioè che leggi positive ma ingiuste emesse dallo Stato sono altrettanto illegittime: vincolano o per paura o per convenienza, ma non in coscienza. Non si infrange il Quarto Comandamento disubbidendole.
Ma l’uomo è nato per esser libero, e anche da solo ha mezzi per asserire la sua libertà.
Rispetto allo Stato ha già cominciato a praticare l’astensione dal voto. Il senso di panico che ha colto gli uomini di potere davanti al recente drammatico calo di votanti in due regioni italiane è altamente significativo, ma è solo un passo nella direzione giusta.
Il secondo è divestirsi del corredo di mezzi di distrazione di massa: televisione e intrattenimenti del genere.
Il terzo è scrollarsi di dosso non tanto i contenuti più o meno inutili della cosiddetta “istruzione” di Stato quanto il condizionamento da essa inculcato che a un tipo di istruzione debba corrispondere un tipo di lavoro, dipendente e con posto fisso.
Questa visione l’ha fatta a pezzi proprio il premier Renzi dicendo: “Il posto fisso non c’è più.”
Per chi gode (rectius soffre) di un solo tipo di istruzione, una notizia del genere è devastante; ma chi è conscio che la specializzazione è caratteristica del mondo degli insetti e non degli uomini, vede nella stessa notizia la via esilarante verso la libertà. Mi spiego.
L’uomo, nella fattispecie il maschio della specie, si apre naturalmente a ventaglio verso varie realtà a partire dall’infanzia. A lasciarlo libero, incoraggiandolo a sviluppare quello che gli piace e in cui mostra abilità, ai 14-15 anni il ragazzo svilupperebbe già un certo numero di talenti in combinazione unica per ogni individuo.
Glie lo impedisce la scuola d’obbligo, che a sei anni lo rinchiude in una prigione a tempo parziale per altri dodici, e dalla quale esce mentalmente anchilosato e moralmente indebolito.
Ma i talenti sono solo in letargo. È questione quindi di scoprirli e svilupparli sotto la guida di un maestro per ciascuno di essi.
Questo una volta si chiamava apprendistato, distrutto dalle politiche scolastiche statali negli ultimi 70 anni. Ma niente proibisce di ravvivarlo e praticarlo privatamente. Le attività commercializzabili, sia intellettuali che manuali, sono legione; chi ne ha un discreto pacchetto può offrirle a tempi e luoghi di sua scelta. Diverrebbe così un bersaglio mobile per non dire invisibile al fisco impazzito di cui sopra; “aprire bottega”, invece, lo renderebbe facile preda dello stesso.
Qui va fatto un discorso sulla tassazione. Uno Stato, anche se illegittimo, emette quantità ingenti di leggi, non tutte ingiuste. Come fa il soggetto isolato a distinguerle?
Con tre criteri infallibili: a) una tassa è giusta se colpisce non il valore aggiunto dallo sforzo di chi lavora ma quello sottratto alle risorse naturali, come il suolo, lo spettro elettromagnetico, ecc. Una tassa di occupazione del suolo, che lascia i frutti del lavoro al produttore, e convoglia alla comunità il valore prodottone, è eminentemente giusta.
b) una tassa è giusta se promulgata in funzione del bene comune e non di una sezione privilegiata della popolazione.
c) una tassa è giusta quando i suoi autori non se ne auto-esentano.
Ogni altra tassa va evasa come si può, dal lavoro in nero all’emigrazione parziale: evadere tasse ingiuste non è che legittima difesa contro le angherie suddescritte.
Questi i soli mezzi di difesa a livello individuale contro lo Stato liberticida. Prima di analizzare i mezzi di contrattacco sociali, esponiamo quelli contro l’usura, fortificati dalla conoscenza del suo modus operandi.
Il primo è evidente: mai indebitarsi con il sistema bancario. Quando Henry Ford fondò la sua fabbrica nel 1903, prese 30mila dollari in prestito ma da un amico, non dalle banche (che detestava come loro detestavano lui). 16 anni dopo, nel 1919, la sua intrapresa valeva 900 milioni di dollari.
L’infima base di contante su cui le banche basano la riserva frazionaria è anche il loro tallone d’Achille. La tattica si suggerisce da sé: sempre prelevare, mai depositare contante in banca. Il luogo naturale del contante sono le tasche del popolo, dalle quali deve regolarmente uscire per regolarmente rientrarvi senza essere accaparrato da nessuno.
Così le banche sarebbero costrette a scoprire le proprie carte: forzate a fare uscire contante senza mai vederlo entrare, dovrebbero farlo stampare per non rivelare di essere insolventi, così rendendolo più abbondante.
Un ulteriore mezzo di lotta individuale è l’autosufficienza, a cominciare dalla produzione di sussistenza degli elementi essenziali come cibo, vestiario e tetto. Evidentemente questa non sarà possibile al 100%, ma quanto più si avvicini a quel traguardo, meglio. In altre parole comprare il meno possibile, produrre il più possibile.
L’ultimo è favorire l’economia locale a spada tratta. Se comprare si deve, farlo dal produttore più vicino, anche se il costo sembra superiore a quello dei supermercati: il guadagno in qualità compenserà la perdita di quantità. E non ci si dimentichi di calcolare gli spostamenti in auto, che costano qualcosa come 0.4€/km
Sono possibili quindi un certo numero di misure difensive individuali, ma esse non bastano per passare al contrattacco: va messo in azione il principio di solidarietà.
Unità sociale: i corpi intermedi dalla famiglia alla categoria lavorativa
Dal fatto che la famiglia sia l’ultimo bastione di resistenza all’azione demolitrice dello Stato e delle banche, segue che la famiglia è la prima, e più efficace piattaforma di lancio per il contrattacco. Solo che bisogna prima capirla e poi amarla per quello che è, non per quello a cui è stata ridotta da offensive degne di miglior causa.
Per famiglia intendo il consorzio che chi viene al mondo sperimenta come primo hotel, primo ospedale, prima scuola, primo centro di produzione e prima comunità politica.
La famiglia naturale è fondata sull’istituto del matrimonio naturale, la cui definizione, altrettanto naturale, è valida per ogni tempo e luogo a prescindere da considerazioni religiose o sociologiche: il matrimonio, unione permanente e indissolubile tra un uomo e una donna, è un guanto di sfida in faccia a Monna Morte. I due sposi le dicono: “Tu ci prenderai tutti e due, ma noi ti sconfiggeremo, lasciando dietro una prole più numerosa e migliore di noi”.
Nessun’altro istituto, dalla poligamia alle unioni aberrosessuali, è in grado di lanciare quella sfida. Per cui rafforzare la famiglia significa in primis rafforzare il matrimonio, che poi se sacramento, aggiunge la forza della grazia a quella della natura. Per chi lo abbia dimenticato, il ministro di quel sacramento non è il prete che lo celebra ma gli sposi che lo vivono, amministrandosi grazia ogni qualvolta compiono atti di servizio reciproci.
Una famiglia poi che regolarmente offre il Sacrificio e prega, diventa una roccaforte impregnabile agli assalti più furibondi del Maligno e dei suoi lacchè.
Quante più famiglie così si uniscono, tanto più efficaci saranno nel contrattacco ai poteri statali e usurari. Ma come?
 Nella Respublica Christiana erano le corporazioni di arti e mestieri che radunavano e proteggevano le famiglie di chi aveva la stessa occupazione. Le corporazioni patteggiavano la tassazione con il potere regio, che non si sognava neanche di attaccare un membro isolato di una corporazione come fecero i tre GdF summenzionati.
La Respublica Christiana (o Cristianità) era una società di società, non di individui atomizzati da una politica statale dissolvente e totalitarizzante. Se non è possibile per ovvie ragioni ritornare alle Corporazioni com’erano, è però possibile restaurare il principio di associazione militante, eliminando così l’isolamento e controbilanciando il potere nemico.
Si rifletta: se i tre GdF, all’uscita dalla bottega dell’esercente summenzionato avessero trovato 50 - 100 suoi colleghi chiamati a raccolta da un cellulare, e con cipiglio da “vattene se no…”,  sarebbero stati indotti a più miti consigli, cominciando con l’annullare la multa.[10]
Come seconda linea di attacco sono da considerare il baratto e la cambiale, nemici naturali dell’usura insieme all’autosufficienza.
Il baratto può avvenire con beni, servizi o combinazioni dei due. I soli suoi limiti sono l’immaginazione e lo spirito di intrapresa di chi lo pratica. La cambiale verrà discussa più tardi sotto il titolo di unità a livello comunale.
La terza linea sarebbe la rivolta fiscale, però non come rifiuto tout court di pagare le tasse, ma come ritorno ad una tassazione giusta a furor di popolo. Come arrivare alla meta lo vedremo nel corso dell’argomento; ma siccome bisogna partire in qualche maniera, indichiamo il punto più debole: l’IVA. Analizziamo.
 L’Imposta sul Valore Aggiunto è la più regressiva, controproducente e assurda mai escogitata.[11] La ragione è che il costo di esazione supera per definizione il gettito erariale. È difficile capire che tipo di ragionamento abbia indotto i suoi “inventori” a proporla. Ma loro, furbi, hanno evitato allo Stato il lavoro di esattore trasferendo quella responsabilità agli operatori economici. Senza pagarli naturalmente, cioè permettendo all’istituto della schiavitù di rientrare dalla finestra dopo essere stato espulso durante il millennio precedente.
Si parta quindi con il rifiutarsi di lavorare da schiavi, o di pagare un commercialista per farlo lavorare per il potere: che lo paghi il potere. Dopo aver sensibilizzato tutte le categorie, si celebrerebbe l’inizio della rivolta con un falò pubblico, a livello nazionale e in un giorno prefissato, di tutte le partite IVA.
Il fine è quello di ritornare a una tassazione patteggiata tra le categorie (che potrebbero anche essere i Comuni) e lo Stato, fissando una somma forfettaria per ognuna di esse, con criteri anch’essi patteggiati. Perché detta tassazione sia giusta, va introdotta l’idea di imponibile come valore sottratto dalle risorse naturali - o dalla sovranità dello Stato -.
Il resto delle tasse ingiuste: sul reddito, che ostacola la produzione, e quelle indirette che ostacolano il consumo delle fasce più povere, va eliminato non appena il gettito fiscale raggiunga quello della spesa pubblica.
Due altre misure da prendere a furor di popolo sono: a) abrogare le tasse escogitate da burocrati non eletti, e b) ripudiare il debito pubblico, uno sconcio che impoverisce chi lavora senza recare beneficio alcuno.
Unità a Livello Comunale
Dato che la combutta Stato-banche esautora il Governo al di sopra e opprime il popolo al di sotto, segue che va raggiunta un unione effettiva di popolo e di Governo per farvi fronte con successo.
Il Governo da rafforzare, però, non è quello dello Stato, irragiungibile e sotto ricatto da poteri troppo forti per farsi impressionare dal furore popolare: è il governo municipale, più vicino al popolo e partecipe dei suoi stessi interessi.
Il discorso è lungo, ma va fatto.
Nel coltivare un appezzamento, la prima cosa da fare è eliminare le erbacce. Le due di stampo politico che hanno contribuito più poderosamente a ridurre il Comune da quel glorioso istituto che fu al miserevole apparato che è oggi sono il partito politico e il sindacato.
Per capire i danni che queste due istituzioni hanno causato a chi lavora fingendo di esserne protettori e benefattori, vediamone la storia, che l’istruzione di Stato si guarda bene dal raccontare nei cosiddetti “programmi ministeriali”.
Trasportiamoci nella Londra del 1694. L'invasore principe consorte della regina Maria, l'olandese Guglielmo III d'Orange, ottiene l'assenso reale per la fondazione della Banca “d'Inghilterra” e per l'istituzione del Debito Pubblico.
"Questo statuto", scrive A.M.Ramsey, "consegnò a un comitato anonimo la prerogativa reale di batter moneta; intronizzò l'oro come base di ricchezza; e permise agli usurai internazionali di garantire i loro prestiti con le tasse del paese invece che con le promesse incerte di un capo di stato o di un potentato anch'esso incerto...
L'unione politica ed economica con l'Inghilterra fu imposta da lì a poco alla Scozia per mezzo di diffusa corruzione, e in barba alle proteste formali di ogni contea e municipio... l'artiglio dell'usuraio stringeva ora tutta la Gran Bretagna.     
Ma c'era un pericolo: i membri del nuovo Parlamento Unito avrebbero prima o poi sfidato il nuovo 'sistema' nello spirito dei loro antenati.
Per difendersi dal pericolo fu avviato il sistema partitocratico (neretto mio) per frustrare la reazione nazionale e permettere agli usurai il divide et impera. Il loro potere finanziario, da recente acquisito, avrebbe loro permesso di far salire alla ribalta i loro uomini e le loro politiche, sostenuti dai loro giornali, opuscoli e conti in banca... L'oro doveva diventare la base dei prestiti, per un ammontare di dieci volte la quantità depositata. Al 3%, 100 sterline in oro procuravano così al loro padrone 30 sterline all'anno, senza dover fare altro sforzo che quello di riempire dei registri. Ma chi le 100 sterline le aveva sotto forma di terra, doveva lavorare ogni ora di luce perchè gli rendessero al massimo un 4%. Il processo doveva inesorabilmente rendere milionario l'usuraio, e rovinare il terratenente inglese e scozzese.[12]
            Questo l'inizio. Un secolo dopo i partiti politici si istituivano nel Continente a partire dalla Rivoluzione in Francia. Gli ostacoli da abbattere colà, oltre al clero e i nobili, erano le Corporazioni (in Inghilterra queste erano già state distrutte a cominciare da Enrico VIII nel secolo XVI). Il decreto Turgot del 1778 ne decretò la sparizione, e la Loi Chapelier del 1791 abolì addirittura il diritto di associazione, stabilendo il “principio” che non vi dovessero essere organi intermedi tra il cittadino e lo Stato. Eccezion fatta, s'intende, per i partiti politici, che pochi anni dopo avrebbero fatto il loro ingresso anche in Italia.
            La scusa era sempre la stessa: “rappresentare” quella porzione di popolo che fosse d'accordo con la loro politica. Ma la realtà era ben diversa, e se ne accorse Antonio Rosmini, che nel 1839 scriveva:
“Ciò che impedisce la giustizia e la moralità sono i partiti politici. Ecco il verme che corrode la società, il male che confonde le previsioni de' filosofi, e rende vane le più belle teorie. Conciossiachè i partiti sono formati da uomini che non si prefiggono nel loro operare né quello che è giusto, né quello che è moralmente onesto e virtuoso.
Il partito ha per iscopo il proprio vantaggio, non la giustizia, l'equità, la vita morale. Partito dunque ed equità, giustizia e virtù, sono cose opposte"[13]
            Ma ci vuole altro che gli ammonimenti di un filosofo per convincere persone anche intelligenti. Una delle quali fu il già citato Hilaire Belloc che nel 1906 aveva ancora tanta fiducia nel Party System da candidarsi per la circoscrizione elettorale di Salford, Manchester, con il partito liberale.
            Venne eletto, ma non durò. Belloc vide con i suoi occhi cosa c'era dietro il Party System, e nel 1910 non si ripresentò. Nel 1911, insieme a Cecil Chesterton (fratello del grande G.K. e caduto in guerra nel 1918) pubblicò The Party System che rimane, per quanto io sappia, un insuperato atto di accusa contro la partitocrazia.
            La tesi è che il partito politico, lungi dal rappresentare gli elettori, rappresenta interessi occulti, i quali non hanno scrupoli nel sostenere finanziariamente tanto il partito al potere quanto quello all'opposizione con il sostegno di uomini inetti, corrotti e quindi sotto minaccia permanente di ricatto, costretti quindi ad abbassarsi a livelli intellettuali infimi.
"Bisogna notare" -scrive Belloc- "che l'effetto del sistema partitocratico sugli uomini politici anche più abili, è di deprimere il loro livello intellettuale. È tutt'affatto incredibile che uomini come Mr Asquith e Mr Lloyd George, Mr Balfour e Mr F.E.Smith possano in qualunque circostanza proferire le imbecillità che costantemente adornano i loro discorsi pubblici. Non parlerebbero così a una cena, o nei loro club. Ma lo standard intellettuale in politica è così basso che uomini di capacità mentale media devono piegarsi in due per raggiungerne il livello"[14].
            La tesi di Belloc ebbe una triste conferma nel 1914, all'inizio della Grande Guerra. Gli eventi sportivi come le Olimpiadi e i campionati di calcio vennero sospesi, ma non le gare ippiche. Con la mitraglia che falciava giornalmente vittime su tutti i fronti in numero spesso uguagliante quello dell'ecatombe di Hiroshima, i fantini di Lord Rosebery continuavano a spronare le loro monte sulle piste di Ascot. Ed è che il buon Lord aveva minacciato di sospendere i finanziamenti ad entrambi i partiti se gli uomini di governo avessero osato privarlo, lui e i suoi degni compari, dello sport dei re, Grande Guerra o non Grande Guerra.
            Nell’autobiografia del 1928 Mussolini scriveva:
“Tutte le idee dei cosiddetti partiti storici sembravano vestiti larghi oltremisura, sformati, fuori moda e inutili. Erano divenuti sgargianti e insufficienti, incapaci di adattarsi ai colpi di scena politici, alla storia e alla vita moderna"[15]
            Il termine partito è il participio passato di partire, dividere. È evidente quindi che la necessaria pluralità partitica non possa, né di fatto abbia mai rappresentato la totalità di un popolo, né promossone l’unità politica. Si è visto invece come i partiti italiani siano riusciti ad usurpare il potere dello Stato, così da imporre che
“Tutto avvenga nei partiti, tutto si decida attraverso i partiti, nulla esista fuori dai partiti, nulla contro i partiti. Così ogni altro gruppo, ogni altra forza sociale, economica, culturale, ogni categoria, non ha un proprio canale per arrivare istituzionalmente e costituzionalmente allo Stato, per inserirsi nella gestione dello Stato, per tutelare e organizzare nello Stato i propri interessi.”[16]
Dal 1945 alla crisi finanziaria del 2008, tutti i partiti politici, europei e non, si sono venduti anima e corpo ai diktat della finanza, tradendo pertanto i loro adepti illusi di trovare protezione in qualche “onorevole” poderoso di turno. Una figura particolarmente penosa l’hanno fatta i partiti cosiddetti “di sinistra”, saliti in massa sul carrozzone del capitalismo trionfante dopo aver finto per decenni di militare dal lato opposto.
I sindacati hanno fatto lo stesso gioco ma su un’altra falsariga, vendendosi anima e corpo a Marx. Il quale, da maestro prestidigitatore che fu, riuscì ad occultare la presenza di usurai e latifondisti, ai quali i datori di lavoro convogliavano (e convogliano), da docili sensali, i salari dei dipendenti. E propose una lotta di classe falsa e inumana tra datori di lavoro e operai, tradizionalmente uniti dagli stessi interessi e che al tempo delle Corporazioni lo erano anche formalmente. Oggi è più che chiaro come i sindacati siano una forza spenta, parassitaria, da spazzar via a furor di popolo dalla vita politica insieme ai partiti. Non rinnovando più la tessera d’iscrizione, e non votando fino a raggiungere il 100% di astensione effettiva, si otterrebbe il doppio scopo.
È significativo che né sindacati né partiti abbiano mai difeso la libertà artigianale e medio-piccola agricola entrambe distrutte dalla scarsezza cronica di contante, favorendo invece il lavoro aziendale, che anche se ben retribuito è sempre di natura coatta.
Vediamo ora le potenzialità di una unione Comune-Popolo.
            Il Comune ha tutte le condizioni di autosufficienza, nonché capacità di promuovere e ottenere piena occupazione, trasformandosi così da mendicante dello Stato in aiutante effettivo del Governo del Paese. I mezzi vengono elencati sotto.
Dopo aver spazzato via partiti e sindacati, si tratterebbe di eleggere un sindaco esclusivamente su merito, cosa non difficile data la conoscenza ravvicinata degli abitanti di un comune. Il sindaco resterebbe in carica fino al decesso/dimissioni. Egli sceglierebbe i membri della giunta. Una tale misura ridimensionerebbe e rafforzerebbe il Comune.
Le restrizioni e i danni causati dalla politica deflattiva del sistema bancario non permetterebbero al Comune di risolvere la Questione Fondiaria. Chi potrebbe risolverla sarebbe invece il Governo dello Stato, riappropriandosi della prerogativa di batter moneta, e facendolo con moneta geselliana a circolazione forzata. Ciò sposterebbe drammaticamente il potere politico dal denaro al lavoro, eliminando allo stesso tempo la principale fonte di corruzione. Ma si tratta di un discorso troppo lungo per farlo qui.
Il nuovo Comune è però in grado di risolvere la Questione Monetaria, sempre sostenendo politicamente la cambiale sociale, e nelle dovute circostanze emettendo una Moneta Comunale. Le due misure metterebbero fine alla disoccupazione, povertà cronica, criminalità e anche all’immigrazione. Procediamo con ordine.
La Cambiale Sociale
Una ostilità secolare da parte dei due poteri già esaminati, statale e bancario, ha fatto sì che la cambiale appaia ai più come qualcosa da evitare come la peste.
Fin dalla prima edizione (1906) del suo magnum opus, però, Gesell faceva notare che se lo Stato sussidiasse la cambiale invece di tassarla, la renderebbe liquida come il contante. Ecco perchè le banche la ostacolano come possono.
Ed ecco anche perché pochissimi ne captano le potenzialità. Il sistema bancario, che le capta anche troppo bene, fa di tutto per convincere lo Stato a vilipendiare, screditare, tassare e impastoiare la cambiale con una legislazione complicatissima e sconcertante,[17] così da scoraggiarne l’uso. L’asservimento dello Stato al potere finanziario è accuratamente misurabile con il trattamento politico riservato alla cambiale.
La storia ci viene incontro ancora una volta con un esempio eclatante, che naturalmente è inutile cercare nella letteratura economica ufficiale: le Taglie.[18]
Il lettore ha davanti a sé una riproduzione, a scala 1:1, di uno strumento di pagamento che funzionò per ben 726 anni (1100-1826) in Inghilterra, dal basso medioevo in cui il contante era ancora scarsissimo grazie alla superstizione di Creso che lo ha sempre voluto di metallo prezioso, al periodo della moneta cartacea, anche se sotto il controllo ferreo dell’istituzione usuraria conosciuta come Banca d’Inghilterra. Eccone un excursus.
Le taglie erano bastoncini di salice, nocciolo o bosso, sui quali veniva registrata una transazione di debito/credito. L’ammontare lo si segnava con intacchi diversi secondo si trattasse di sterline, scellini o sottomultipli. Poi li si spaccava longitudinalmente, lasciando un record permanente e infalsificabile. La metà del creditore continuava a circolare, così facendo automaticamente coincidere la quantità di mezzo di scambio con la produzione di ricchezza. I prezzi erano stabili perché era impossibile speculare sul mezzo di scambio.
Quando Enrico I, ultimogenito di Guglielmo il Conquistatore, salì al trono nel 1100, le taglie circolavano già, efficacemente lubrificando l’economia. Non furono invenzione regia come alcuni vogliono dare a credere, ma democratica, di produttori, commercianti e abbazie.
Il merito del re fu di fare accettare le taglie, invenzione del popolo, in pagamento di tasse allo Scacchiere, e da colà riimmetterle nel circolo sanguigno dell’economia.
Le banche cominciarono a ostacolarle dal 1485, dopo la Guerra delle Rose che vide i Lancaster trionfare sulla casata York. La storia ufficiale qui dice che i cambiavalute cominciarono a farla da banchieri attraendo i depositanti con il luccichìo dei lingotti d’oro che avrebbero ‘garantito’ le loro ricevute. Queste eccedevano di gran lunga le ‘riserve’ (lo fanno ancora oggi) ma il metallo giallo seduceva i gonzi allora proprio come li seduce oggi.
La concorrenza ostacolava le taglie, ma non riusciva a detronizzarle. E fino a quando i re d’Inghilterra furono sovrani de iure e de facto, sostennero le xilo-cambiali popolari continuando a farle accettare dal Fisco.
L’attacco alle taglie si intensificò a partire dal 1694, con la fondazione della Banca d’Inghilterra, che esercitava pressioni sempre più forti sul Parlamento per metterle fuorilegge.
Ci vollero 132 anni. Nel 1826 il Parlamento madre di tutte le democrazie la diede vinta alla Gran Dama di Threadneedle Street[19].
Ma che fare con quelle decine di migliaia di bastoncini che avevano fatto girare ricchezza per più di sette secoli, l’ultimo sotto il nuovo Regno Unito (1711)? Per otto anni raccolsero polvere nei sotterranei del Parlamento. Nel 1834 un mirmidone di Mammona ebbe l’idea di farne un falò. All’aperto avrebbe attratto la sgradita attenzione del pubblico, cosicchè pensò di bruciarle in un camino dell’edificio.
Non l’avesse mai fatto. Le taglie si vendicarono all’istante, appiccando il fuoco ai pannelli di legno circostanti e radendo l’edificio al suolo in una immane conflagrazione. Di taglie ne rimangono pochi esemplari, con le diciture dei contraenti ancora leggibili.
Cosa insegna la storia? Che a prescindere dall’uso del legno, il principio rimane valido. Chi produce ricchezza reale è in grado di emettere un certificato di produzione, avallato dal controcertificato dell’acquirente. Lo avevano intuito anche molte piccole aziende italiane, facendo circolare cambiali senza farle andare ‘in protesto’[20]. Ma “la legge” lo proibì e oggi si è afflitti da una carestia monetaria del tutto innecessaria e operante solo perchè imposta dall’alto e incontrastata dal basso.
La cambiale va restaurata, rafforzata, snellita e messa in giro dall’unione Comune-Popolo. La loro abbondanza va accoppiata alla moneta comunale a circolazione forzata; le due faranno sparire la disoccupazione, la povertà, e manterranno l’immigrazione selvaggia entro limiti ben definiti. Cioè: se un immigrato vuole lavorare ed inserirsi nell’economia comunale, accetterà le due; se no, vada a cercarsi Euro dove questi ci sono.
Le cambiali interaziendali permetterebbero scambi di una certa entità.[21] Per quelli extra-comunali continuerebbe a vigere l’euro. Il Comune dovrebbe solamente accettare la cambiale sociale così come Re Enrico I d’Inghilterra accettava le Taglie.
La Moneta Comunale
Il principio di una doppia moneta, una per transazioni domestiche e una per quelle internazionali, fu applicato dall’Unione Monetaria Latina tra Francia, Italia, Belgio, Svizzera e Grecia nei 50 anni 1865-1915. Fu la Grande Guerra a mandare tutto a gambe all’aria. I lettori ne troveranno una descrizione particolareggiata in Rete.
Che un Comune quindi faccia lo stesso esperimento a scala locale emettendo la sua moneta complementare insieme alla moneta ufficiale, fa eminente senso, ma il passo va fatto oculatamente e sapientemente. Se non riesce di primo acchito fallirà per non riprendersi più.
Così attuò il municipio di Wörgl nel Tirolo austriaco (1932-33), il quale fa ancora testo circa il successo di una moneta comunale complementare a quella statale.
Per assicurarne il successo, il borgomastro Michael Unterguggenberger fece tre passi essenziali che garantirono il successo dei suoi Certificati di Lavoro:
1.      Si accertò che il paese avesse la suddivisione di lavoro minima per giustificare una moneta locale;[22]
2.      Sensibilizzò la popolazione ad accettare i certificati con un paziente lavoro di avvicinamento di tutte le categorie produttrici e scambiatrici di ricchezza;
3.      Si impegnò ad accettare la stessa moneta in pagamento di imposte.
Questi tre criteri rimangono validi per qualunque Comune che volesse fare lo stesso esperimento. Mancando una sola delle condizioni l’esperimento fallirebbe. Ma vi sono differenze tra quello che era Wörgl 80 anni fa e quello che è un Comune italiano oggi.
La più importante è che i servizi pubblici di acqua, fognature e smaltimento di rifiuti sono stati privatizzati, cioè imprudentemente ceduti a monopoli privati. I quali, mirando solo al profitto e non al servizio, tartassano i cittadini peggio di quanto non faccia lo Stato.
La moneta locale potrebbe giocare un ruolo importante nel far ridiventare i monopoli naturali servizi pubblici. Una volta arrivato al pieno impiego e ad un certo livello di prosperità, il popolo si renderebbe conto che codesti servizi potrebbero benissimo esser pagati in moneta comunale, che le aziende private naturalmente rifiuterebbero.
Qui il furor di popolo, capitanato dal sindaco come i cavalieri capitanati a Muret da Simon de Montfort, sarebbe in grado di ribaltare la situazione, con procedure ovviamente diverse da Comune a Comune.
Lascio per ultima la giustizia. È ovvio che codesta virtù sociale, definita da Ulpiano come “volontà costante di dare a ciascuno il suo”, sia sparita da tempo dall’ordinamento giuridico statale.
Una volta il sindaco faceva anche da giudice nelle vertenze locali. Lo Stato moderno ha usurpato quella prerogativa comunale, con il risultato che la macchina della giustizia è divenuta farraginosa e inutile, dacché giustizia ritardata è giustizia negata.[23]
Una tale funzione andrebbe ristabilita per mezzo di giuristi locali che ancora pensino in termini di diritto naturale e non esclusivamente positivo. Una considerazione non indifferente è che giudici infetti da massoneria o comunismo anteporranno i dettami di loggia o di partito a quelli della giustizia.[24]
Mi rendo conto di non aver suggerito una scampagnata, ma una battaglia campale. E mi permetto di chiudere con una citazione che la dice lunga sulla natura di codesta battaglia:
Non abbiamo da combattere contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori cosmici di questa tenebra, contro gli esseri spirituali della nequizia che abitano le regioni celesti. …In piedi dunque… sopratutto impugnando lo scudo della fede, con il quale potrete estinguere tutte le frecce infuocate del Maligno.[25]




Silvano Borruso
5 dicembre 2014



[1] Malcolm Muggeridge (1903-1990), Tread Softly p. 165.
[2] Deputato Zac Goldsmith.
[3] Deputato Steve Baker.
[4] Deputato Austin Mitchell.
[5] Il 30 novembre 2014 gli svizzeri, chiamati in referendum, hanno mostrato di aver mangiato la foglia, bocciando con un sonoro 78% un tentativo di far comprare alla Banca Centrale varie centinaia di tonnellate del metallo giallo solo per raccogliere polvere nei suoi sotterranei.
[6] Immortalato da Disney come Paperon de’ Paperoni.
[7] Ci si è cominciati ad agitare per ricuperare la legislazione del Glass-Steagall Act, che dal 1933 al 1999 impedì alle banche di affari di immischiarsi negli assunti di quelle commerciali. Si tratta di una misura macroeconomica nella direzione giusta, ma che non intacca minimamente il modus operandi suddescritto a danno di chi ingenuamente crede che “fare un mutuo” sia di vantaggio ad entrambi le parti contraenti.
[8] 12 settembre 1213
[9] Van Thuan ne recitava 15 ogni giorno.
[10] Questa tecnica viene già applicata in Sardegna. Nulla osta perchè lo venga altrove.
[11] La Spagna perdette i Paesi Bassi proprio dopo avervela introdotta.
    [12]The Nameless War, Britons 1952 pp. 19-20
    [13]Filosofia politica  1839. Marzorati 1972 pp. 227 e 232. Neretto di Rosmini
[14]The Party System, Stephen Swift 1911 p. 172.
[15]My Autobiography, Hutchinson & Co., Londra 1928 p. 73. Ritradotto dall'inglese in mancanza del testo originale.
[16]La Grua, La Democrazia Corporativa, Misuraca Ed. 1976 p. 37
[17] Si controlli la voce CAMBIALE (Bill of Exchange in inglese) su qualsiasi dizionario di economia.
[18] “Taglia” è una trascrizione dell’inglese “tally”, non una traduzione. Come si può constatare dalla figura, “to tally” vuol dire far combaciare.
[19] Nomignolo della Banca d’Inghilterra.
[20] Solo una legge pro-banche può inventare il protesto. Le taglie non lo contemplavano.
[21] il Sardex che vige in Sardegna espleta proprio questo compito. Ma l’assenza di autorità pubbliche da esso non permette di completare il circuito.
[22] Se la suddivisione di lavoro nel territorio di un Comune non fosse sufficiente, nulla osterebbe ad espandere l’esperimento a Comuni circonvicini.
[23] Nella causa contro i danni per amianto ci sono voluti ben 28 anni per una prima sentenza.
[24] Grazie a internet anche le pietre sanno che massoneria e comunismo sono i due specchietti per allodole escogitati dal giudaismo per scristianizzare la prima le élites e il secondo le masse. A livello comunale sarebbe molto più facile impedire a individui influenzati dall’uno o dall’altra di fare da giudice.
[25] Lettera agli Efesini, 6, 12-16 passim.