giovedì 28 febbraio 2019
Vent'anni di euro si stanno mangiando 50 anni di risparmi di duro lavoro del Popolo Italiano!
Vent'anni di euro si stanno mangiando 50 anni di risparmi di duro lavoro del Popolo Italiano!
mercoledì 27 febbraio 2019
Bunker di Sicilia..grazie ai gruppi di ricerca e salvaguardia
Andavo per bunker, fin da bambino (anni '1955-'60) tra Messina e Catania..poi nel siracusano ed altrove. Ma.. senza documentare,se non mnemonicamente.
Oggi, grazie ai gruppi di nuovi (e meno nuovi) appassionati, pure estremamente competenti, ritrovo postazioni "perdute nella memoria" e "spiegazioni tecniche e costruttive" delle casematte e delle fortificazioni antisbarco presenti in Sicilia nel 1943..con tantissime di queste del tutto sconosciute ma, oggi, pure "salvaguardate" storicamente dall'operato dei numerosi volontari.
Oggi, grazie ai gruppi di nuovi (e meno nuovi) appassionati, pure estremamente competenti, ritrovo postazioni "perdute nella memoria" e "spiegazioni tecniche e costruttive" delle casematte e delle fortificazioni antisbarco presenti in Sicilia nel 1943..con tantissime di queste del tutto sconosciute ma, oggi, pure "salvaguardate" storicamente dall'operato dei numerosi volontari.
Io mi sono ritrovato ad aver potuto utilizzare le mie visioni e testimonianze "sul campo" per la "rivalutazione" del "soldato italiano" (quello tedesco godeva da sempre della stima per lo "spirito guerresco") nella Difesa della Sicilia nel 1943. Gli amici delle "pagine" che trattano questa tematica fanno pure di più..spiegano e documentano, oggi per domani, la "memoria storica" pietra per pietra (con annesse coordinate), offrendo il tutto non solo agli appassionati ma pure a quelle istituzioni che, nel passato, se ne fregavano altamente di quanto io o (pochi) altri potessimo loro chiedere per la salvaguardia del patrimonio storico della II Guerra Mondiale.
Grazie, grazie a tutti voi😊😊😊
Vincenzo Mannello
martedì 26 febbraio 2019
COME è COMPOSTA L'ATMOSFERA
- Troposfera (0-20 km dal suolo)
- Stratosfera (20-50 km dal suolo)
- Mesosfera (50-80 km dal suolo)
- Termosfera (80-600 km dal suolo)
- Esosfera ( >600 km dal suolo)
Del Cristo
Più si cerca il Gesù storico più questo sfugge
Più si cerca il Cristo interiore
più lui si manifesta
lunedì 25 febbraio 2019
CRONACHE VARIE DAL VIAGGIO ALLE FONTI DELL' OURIKA A MARRAKECH
Vittime delle debolezze linguistiche e degli acciacchi dell'età (un incipiente attacco di gotta stroncato con dieta ipoacida e ipoproteica e tanta acqua a Ph alcalino, e un dente capriccioso in trattamento canalare, che resiste alle terapie pesanti farmacologiche con antibiotici cortisonici e fans mirati) dopo la galoppata sui cammelli nel palmeto di Marrakech, partiamo con grande fretta e con grande ritardo per le fonti dell'Ourika dove piccole cascate scendono fino alla vallata trasformata in una enorme meta turistica e in grande Souk, ai piedi della catena montuosa innevata dell'Atlante.
Incontriamo nel viaggo due svizzero italiani con cui facciamo squadra aiutati dalle guide e da tutti i pellegrini delle fonti dell'Ourika. Ci si può domandare perchè tanta gente affronta una scalata densa di pericoli per le deboli articolazioni dei cittadini, tra cui quello di sfracellarsi in uno dei tanti dirupi che caraterizzano la salita. La bellezza c'è, ma è niente a fronte della cascate del Niagara o delle mille cascate che si trovano nella nostra via di sempre. Una qualche risposta potrebbe venire dal report del dente dolente che in alto, sotto la cascata dell'Ourika torna leggero, indolente, anche a fronte di un mega the alla menta caldo che di solito lo fa esplodere di dolore. Una climatoterapia del dolore di altitudine e dell'effetto ionico della cascata, si potrebbe ipotizzare sul modello della terapia del dolore cronico sulle colline di Pietracupa in Molise dove fu misurata una prevalenza di ioni negativi configurando una ionoterapia naturale del dolore da artrosi e da fibromialgie resistente alle comuni terapie del dolore a Roma.
Quando scendiamo a valle per il pranzo sul fiume, prima di ripartire per Marrakech, il dente riparte disturbando il pranzo e lo spirito della viandante. Si riprendono Augmentin, un aulin e un medrol e qualche alleggerimento si osserva. Al ritorno a Marrakech attraversando la Kasba per giungere al nostro Riad (l'albergo tipico della Kasba), ripenso a rifare un cuscino speciale WR con materiali che ho visto esposti nel mercato di strada (frammenti di lana di acciaio sufficienti per gli strati con delle buste di tessuto non tessuto che avevamo già usato con un cuscino rayan air).
Questo di fatto più che un cuscino e una piccola bag orgonica che si può produrre facilmente qui a Marrakech con meno di un euro ) e che nel dopo cena che il dente si risveglia anche perché qui si cena all'aperto si giunge all'ennesima assunzione di augmentin e brufen e cortisone con applicazioni locali di citozym. Che fanno molto, ma ancora una volta non bastano e quindi nella notte si passa all'uso dell'inedita applicazione orgonica con una piccola bag rosa che irradia non si sa cosa, ma con una certa efficienza e ben conosciuta da oltre 80 anni, cosicchè la mattina comincia con un dente in ordine e l'ultimo giorno di Marrakech libero da dolore e infezione per Alba.
Il Dispositivo speciale come si vede si può produrre con meno di un euro qui a Marrakech e in varie forme è usato da centinaia di persone di varie età per contrastare meteoropatie dolori cronici, ustioni e ricaricare le "batterie biologiche" come si è misurato con un EAV (Elettoragopuntura id Voll).
C'è molto da studiare sulla fisica dell'Atmosfera tra primo e secondo principio della termodinamica e sul fronte delle creazione dei Potenziali spontanei in Natura (quelli che tra l'altro danno vita alle formazioni temporalesche che si scaricano nei fulmini), sull'origine del magnetismo e del potenziale vettore che mi disse Renata è la fonte sorgente del campo elettromagnetico oltre a essere molte altre cose oltre ad un ente matematico come scoperto da Bohm Arhonov e da Josephson .
Se ne parla nel numero in edicola di Scienza e Conoscenza. Se ne scrisse a cinquantanni dalla morte in carcere negli USA per truffa del grande scienziato europeo allievo di Freud, Whilhelm Reich curato con De Marchi https://www.macrolibrarsi.it/autori/_luigi_de_marchi.php che fece il punto sulle ricerche dei principali protagonisti che negli ultimi decenni hanno studiato questa vicenda scientifica tanto rilevante in pratica quanto enigmaticamente trascurata e marginalizzata anche se da Novasibirsky a San Pietroburgo da Roma a molti altri centri di ricerche internazionali più meno vergognosamente la ricerca teorica e sperimentale procede non finanziata e bannata.
Noi dopo averle tentate tutte per sconfiggere il dolore acuto al dente (che non si augura al peggior nemico) abbiamo dovuto ricorrere all'estrema arma orgonica. Forse sarebbe il caso di smetterla di arricciare il naso e guardare che accade nei fenomeni della Natura a cielo aperto, e con poco.
Marrakech 25 Febbraio 2019 Vincenzo Valenzi
Galleria foto video in costruzione
Corridoio 5
HCT - Treno
Alta Capacità
Possibile ci sia nessuno pentastellato che possa avere un'idea semplice e risolutiva sulla HCT (High Capacity Train) Treno Alta Capacità per il trasporto delle merci?
Ormai il corridoio 5 Kiev-Lisbona ha perso la propaggine portoghese per gli alti costi che il Portogallo non intende più sostenere, per cui ci sarà il Kiev-Algesiras con il terminale nel Sud della Spagna.
Per corrispondere ai desiderata di chi ha concepito tale opera "in-dispensabile?", a detta degli europeisti, basterebbe permettere la sua costruzione senza ulteriori costi per le casse italiane con pagamento del pedaggio per il transito sul territorio italiano e qualora questo servizio fosse richiesto dal sistema produttivo italiano, fissarne i costi nella ricontrattazione dello stesso in sede europea.
Perciò è da ridiscutere il tutto alla luce di queste nuove condizioni.
Renzo Riva
Renzo Riva
Buja
SCIENZA DELLA MALORA[1]
SCIENZA DELLA MALORA[1]
Sapere, capire e ordinare sono i
tre gradini della maturità filosofica, che cominciando con l’osservazione,
continua percependo collegamenti tra le realtà osservate, per poi finire
ordinandole secondo una gerarchia naturale che dalle cose si trasferisce alla
mente. Ecco il significato di verità come adaequatio
intellectus et rei.
In economia sono passati due
secoli e mezzo dalla sua, diciamo, invenzione ad opera principalmente di Jean Baptiste
Say (1767-1832) e Adam Smith (1723-1790), ma continuiamo a muoverci a tentoni
nel buio più pesto per non salire quei gradini. Cosa lo impedisce?
Uno, la mancanza di osservazione.
Le cosiddette “facoltà” di economia fanno leggere
libri di testo e articoli eruditi di riviste di grido. Ma non insegnano a
guardarsi attorno e osservare le
baraccopoli ai piedi dei grattacieli, i mendicanti per le strade di città
opulente, i senzatetto fatti sparire forzatamente dagli spazi pubblici, la
disoccupazione imparabile tanto quanto la strapotenza bancaria, le tasse a tapis-roulant su chi lavora, l’assoluta
impotenza della politica sulla crematistica, per non parlare di guerre
pressoché eterne.
Due, l’incapacità di pensare.
Quando die Professoren, come
ironizzava Gesell, definiscono l’economia come “assegnazione di risorse
scarseggianti”, nessuno alza una mano che contesti l’affermazione, chiedendo a)
da quando data codesta definizione,
b) un esempio di risorsa naturalmente
scarseggiante, e c) chi ha la
funzione assegnatrice.
A farlo, le risposte (vere) sarebbero
rivelatrici. La prima è che quella definizione data dalla fine delle Seconda
Guerra. Prima di essa, l’economia veniva definita come la creazione e distribuzione
di ricchezza. La seconda è che non esistono risorse naturalmente scarseggianti.
Se qualcuna lo è, sono interessi creati a farla scarseggiare. E la terza è che l’assegnazione
è compito di onniscienti e onnipotenti burocrati del potere, esautorando così
per principio un paterfamilias, un
piccolo agricoltore, un libero artigiano ecc.
Qui viene a pennello un episodio
di vita vissuta. Nel 2007-8 in Kenya, Africa Orientale, i disordini sanguinosi
seguiti alle elezioni presidenziali causarono la perdita di un intero raccolto
di patate, il cui prezzo schizzò alle stelle. La perdita fu aggravata dall’appropriazione indebita del
campo sperimentale di coltivazione e dal diminuito vigore del cultivar di patata di allora.
Mentre il Ministro
dell’Agricoltura organizzava “task-forces” e burocrazzate del genere, un umile
contadino di quel di Nyandarwa gironzolava nel mercato ortofrutticolo di
Nairobi. Vide arrivarvi un camion carico di tuberi bellissimi, di color bianco
sporco con germogli rossastri proveniente da chissà dove. Offrì di acquistarne,
ma il carico era già venduto.
Non si diede per vinto. Aspettò
che gli incaricati spazzassero il cassone, e tra l’immondizia erano dei tuberi.
Li portò a casa in un sacchetto di plastica, li tagliò e piantò, e in 50 giorni
ebbe il primo raccolto. Ritagliò, ripiantò, e in altri 50 giorni il raccolto gli
permise di venderne ai vicini. Per farla breve, in meno di un anno la scarsezza
era ridivenuta abbondanza grazie all’iniziativa di un solo contadino con gli occhi aperti. I burocrati stavano ancora
formando “comitati” et similia.
Basterebbe tutto ciò per dare
ragione a Carlyle? Cosa succederebbe ritornando alla definizione classica di
economia? Tentiamo di salire l’ultimo gradino di maturità filosofica: ordinare.
La definizione classica di economia,
quindi, era (e sarebbe opportuno che sia) la scienza della creazione e distribuzione di ricchezza. Bisogna pertanto cominciare
con il definire quest’ultima, con l’aiuto di Frédéric Bastiat (1801-1850): la ricchezza non è che la sommatoria di servizi, o offerti da persona a persona
(insegnante, medico, avvocato), per una somma detta onorario, oppure incorporati ad un bene per una somma detta prezzo[2].
Codesta definizione, però,
nasconde una trappola, invisibile al pensiero debole. Le due operazioni: creazione e distribuzione, non ne fanno una scienza, ma due. Faceva notare Henry George (1839-1897) 125 anni fa, che creare
ricchezza obbedisce a condizioni fisiche,
cioè aver terra sotto i piedi e lavorare; distribuirla invece obbedisce a criteri
morali di giustizia, senza la quale
la ricchezza viene sì distribuita, ma da una tassazione perversa, da corruzione,
malversazione, peculato, furto e tutta una serie di operazioni notissime ab immemorabili.
Nulla di tutto ciò viene offerto
nelle prestigiose “facoltà”: la distribuzione di ricchezza la si fa dipendere
da una “econometria” piena di equazioni, formule, modelli, grafici e astrazioni
del tutto avulse, per esempio, da un’immagine che fece il giro del mondo: un piccolo
risparmiatore greco che prono su un marciapiede singhiozzava disperato per aver
perdutto tutto il suo in seguito a chissà che modello applicato da “esperti”.
La distribuzione di ricchezza
viene favorita, o impedita secondo i casi, dal denaro, utilissima invenzione dello spirito umano che però soffre
di una contraddizione secolare della quale ci occuperemo fra breve. Questo
saggio tratterà quindi di terra e lavoro che creano ricchezza, e denaro che la distribuisce, secondo
giustizia o no. I due argomenti principe saranno le Questioni Fondiaria e
Monetaria.
La Questione
Fondiaria
Gli economisti di Stato disattendono la suddetta questione.
Alcuni la considerano risolta da decenni. Ma vedremo che a meno di affrontarla,
l’economia non si capisce. Cominciamo, come sempre, dall’osservazione.
Sempre e dovunque, chi lavora crea rendita. Una volta si diceva che questa fosse il compenso della
proprietà fondiaria; non è vero, per cui a dirlo non si farebbe altro che confondere
le idee.
Affermano Harrison e Gaffney, autori di Beyond Brexit: the Blueprint, che nel
Regno Unito la rendita da lavoro nel 2016 ammontava a una corposa somma di 493 miliardi di sterline.
Secondo giustizia, chi aveva prodotto quell’ingente somma dovrebbe
goderne i frutti come servizi pubblici: elettricità, acqua, sanità, stipendi
alle madri che scegliessero di accudire i figli, trasporto pubblico, eccetera.
Ma così non è: tutta
quella somma è andata a finire nelle tasche dei landlords, i terratenenti britannici. Un excursus storico aiuterà a capire.
Prima degli anni fatidici 1536-1541, le terre che oggi convogliano
le rendite ai landlords secolari le
convogliavano a quelli clericali: vescovi e alto clero. Nonostante disordini morali,
le rendite coprivano la previdenza sociale: scuole, ospedali, orfanotrofi, alberghi[3], ecc.
Ma le guerre di Re Enrico VIII
avevano bisogno di soldi, e lui non capiva la relazione tra lavoro e rendita.
Cosicché confiscò le terre ecclesiastiche, fece distruggere 900 monasteri dallo
scagnozzo Thomas Cromwell e commise l’errore fatale di vendere le terre a nobili danarosi, i quali non persero tempo a luteranizzarsi
per sfuggire a un benché minimo suggerimento di restituzione. Neanche Maria
Tudor (Bloody Mary come viene “ossequiata”
ancora oggi), durante il brevissimo quinquennio di restaurazione cattolica osò
chiedere la restituzione di terre. I nuovi landlords
chiesero, e ottennero, titoli di
proprietà garantiti dalla Corona.
Così apparvero in Inghilterra i poveri, per non andarsene più. Per disfarsi
dell’odiosa imposta sulla rendita, e fregandosene altamente della previdenza
sociale, nel secolo XVII i discendenti dei landlords
del XVI inventarono le imposte indirette, che ancora oggi impediscono alle
classi meno abbienti acquisti di ogni genere. Il sistema bicamerale completa il
quadro: The House of Lords esiste, si
sappia o no, per impedire alla House of
Commons di legislare contro i loro interessi fondiari.[4]
Ed ecco apparire la disoccupazione, completata dalla
Rivoluzione industriale prima e politica dopo, che derubarono le famiglie dell’uso della terra e della proprietà dei
mezzi di produzione. Nel frattempo i commons,
le terre demaniali, venivano anch’esse accorpate alle proprietà degli eredi dei
landlords del XVI secolo. La
Rivoluzione Industriale restituì un’infima parte del furto sotto forma di
salari da fame (Legge Ferrea di David Ricardo [1772-1823]).
I poveri non morirono di inanizione. Ma nel 1864 il
professore Edwin Thorold Rogers (1823-1890) di Oxford pubblicava una Storia
Economica d’Inghilterra dove dimostrava, cifre alla mano, che ogni sovrano da
Enrico VIII in poi aveva lasciato il popolo più povero alla sua morte di quanto
lo aveva trovato all’accessione al trono. In pieno secolo XIX i poveri non
potevano permettersi neanche un piatto di carne all’anno. Il Prof. Rogers venne
radiato da Oxford.
Nel 1896 Vilfredo Pareto
(1848-1923) formulava il suo “principio”: il 20% di una popolazione era in
grado di fornire tutti i bisogni al rimanente 80%.
La scoperta di Pareto però non è
un “principio” cioè un punto di partenza. È una constatazione, cioè un punto di
arrivo. Egli aveva quantificato il fenomeno della disoccupazione, Bisogna
chiedersi: “e il resto”?
Si è tentato di tutto: sindacati,
Stato Provvidenza, carrozzoni, ONG, eserciti smisurati, prigioni strapiene,
pensioni, case dei poveri, orfanotrofi, “posti di lavoro”, “certificati” di
chissà che abilità arcane, et similia.
Il montaggio non ha fatto che turlupinare il pubblico, facendo credere che
lavoro = posto fisso con stipendio mensile assicurato. Si continua ad avere una
paura matta del “precariato”, considerato come ripiego nell’assenza sempre più
evidente di “posti fissi”.
Eppure, prima del gran furto
storico ventilato sopra tutti erano precari. Il piccolo agricoltore, la domina che confezionava squisiti
manicaretti, conserve e capi di vestiario per uso proprio e altrui, il
calzolaio (non ciabattino) che disegnava ed eseguiva calzature originali, il
piccolo costruttore conoscitore di antichi segreti, l’esecutore di arti e
mestieri perdentesi nella notte dei tempi, erano uomini e donne liberi, non oppressi da “padroni” e
trattati come cani.
Il precariato diffuso è sintomo
non solo di libertà, ma anche e sopratutto di sviluppo economico, inteso come incremento del numero di lavoratori. La proprietà industriale degli essenziali:
cibo, vestiario e tetto, ha spostato l’equilibrio economico verso la crescita, cioè l’incremento di dimensioni dell’unità produttrice di
ricchezza. Macchinismo e posto fisso hanno instituzionalizzato disoccupazione e
povertà: chi lavora non è che “costo di produzione.[5]
Quel che è peggio è la sparizione della memoria storica di
tutto ciò, e con essa ogni idea che una legge morale dovesse reggere l’attività
economica dall’alto[6].
Si è istituzionalizzato quello che un tempo la Chiesa bollava come il quarto
dei peccati che gridano vendetta al Cielo: “negare la mercede a chi lavora”.
Il secolo XX ha introdotto l’imposta sul reddito e l’IVA,
che completano quelle che Harrison e Gaffney chiamano treadmill taxes, il tapis-roulant
che costringe chi lavora a correre sempre più veloce e con maggiore sforzo per stare
dov’è.
Se Enrico VIII avesse trattenuto quelle terre per la
Corona, oggi le entrate nello Scacchiere di Madame May sarebbero sufficienti
per sostenere il grosso, se non il tutto, della spesa pubblica. Il referendum
del 2016 le ha conferito il mandato; lo eseguirà, o troverà scuse per
continuare a tartassare chi lavora con treadmill
taxes?
Che non sono innocue. Harrison e Gaffney mostrano, cifre
alla mano, che chi nasce oggi in un quartiere povero di una città britannica ha
una aspettativa di vita fino a 17 anni meno
di chi nasce in un quartiere benestante.
La controprova del suddetto
argomento è osservabile in Zambia, Africa centro-meridionale. Nel 1975 l’allora
presidente Kenneth Kaunda (1924- ) abolì i titoli di proprietà e proibì per
legge la compravendita di terreni, soggiacenti a costruzioni o no. Chi ha
bisogno di terra in Zambia ne contratta l’affitto
con l’ufficio del Presidente per un tempo e prezzo convenuti.
I risultati parlano da sé. Per cominciare, vivono e
lavorano in Zambia circa 120 coloni bianchi espulsi da Zimbabwe, che coltivano tabacco
e granturco come prima, ma contribuendo all’economia del paese di accoglienza.
Chi visita Lusaka non può fare a meno di notare un traffico senza ingorghi,
numerose strade a doppia carreggiata, piste ciclabili, parcheggi ampi e gratis anche
in centro, edifici a più di due piani solo se pubblici, e un senso diffuso di
tranquillità. Ma quel che più conta, non
una goccia di sangue è stata sparsa in più di 40 anni di regime fondiario
collettivo. Il contrasto con Kenya non potrebbe essere più vistoso.
Kaunda mise in pratica nel 1975 quello
che aveva capito benissimo Re Afonso Mvemba Nzinga (m. 1543) del Kongo, soprannominato
Costantino d’Africa dai Portoghesi. Si era sempre rifiutato di vendere terre. Apostrofava
l’ambasciatore di quel paese: “Castro, quale è il castigo per chi mette i piedi
a terra”?
La stessa controprova si poteva (l’imperfetto è d’obbligo)
constatare nella Libia di Gaddafi (1942-2011). La stampa occidentale ne ha
sempre detto peste e corna, ma la realtà era che elettricità, scuola e sanità
erano gratis. Alle coppie contraenti
matrimonio la Banca di Stato concedeva un prestito ad interesse 0% di 50mila
dollari; lo Stato pagava le rette degli studenti all’estero, la benzina costava
14 centesimi di euro al litro; chi voleva dedicarsi all’agricoltura riceveva
terra, sementi e bestiame iniziale gratis,
e in 25 anni la Libia aveva costruito –senza indebitarsi- il Gran Fiume
Artificiale, un acquedotto che aveva appena finito di convogliare acqua dolce
dalle profondità freatiche di Kufra alla costa, in 6mila kilometri di tubatura
da 4m di diametro. I bombardieri NATO si fecero un dovere di distruggerlo.[7]
Questo il succo della Questione Fondiaria. In Italia, per
non aver risolto quella Questione, Mussolini dovette muover guerra all’Etiopia
per “un posto al sole”, che c’era ampio a casa ma occupato da latifondisti
nostrani.
Perchè il latifondo, non dimentichiamolo, è causa di
guerra, intestina prima e straniera poi. Diceva Plinio: Latifundia perdidere Italiam. Si legga Tito Livio per confermarlo. Si
aggiunga che nessuna conclamata “riforma agraria” basata sulla proprietà
allodiale abbia mai avuto successo.
La ragione è che i meno abili all’uso di terre preferiscono venderle piuttosto
che lavorarle. E il carosello ricomincia.
I partiti politici disattendono
la questione dal tempo dell’Unità, e continuano a disattenderla. Cosa dovrebbe
fare un governo che veramente governi?
Una sola cosa: spostare l’imponibile fiscale dal valore aggiunto dallo sforzo di chi
lavora al valore sottratto all’uso
comune dalla proprietà fondiaria. Il che suppone consapevolezza della doppia rendita di ogni proprietà: una
da lavoro, che appartiene al 100% a
chi ha costruito, coltivato o fatto uso del terreno in qualunque maniera; e una
da ubicazione, che appartiene al
100% a chi l’ha creata, cioè a chi lavora attorno
alla proprietà, a cominciare dalle donne che fanno figli e li accudiscono.
Una tale misura implicherebbe sfidare
un potere capace di aver sottomesso la politica per secoli. Ma questo è proprio
il punto. Totò direbbe: siamo statisti o caporali?
La Questione Monetaria
Se l’ignoranza della Questione
Fondiaria non permette né di capirla né di ordinarne i contenuti, quella Monetaria
al contrario la si conosce sempre meglio, ma si capisce poco, e meno ancora se
ne ordinano i contenuti.
Vengo immediatamente al punto: se
esistono due scienze economiche,
rispondenti a criteri diversi ma complementari,
esistono anche due realtà monetarie,
questa volta non complemetari ma contraddittorie.
Il punto è di importanza capitale.
Chi manca di un minimo di formazione filosofica per capire la differenza tra
idee/proposizioni contraddittorie, contrarie o subcontrarie non legga oltre.
Ciò vale specialmente per gli hegeliani: per Georg Frederick non esiste la
contraddizione, ma un cauto confronto tra tesi e antitesi, sintetizzate ad nutum philosophantis.
Però chi si basa sulla filosofia
dell’essere sa che due idee o proposizioni contraddittorie non possono coesistere
nella medesima realtà. Se una è vera l’altra è falsa e viceversa: se una è falsa l’altra è necessariamente vera. Una
delle due deve cedere il posto.
Ecco il punctum dolens della questione monetaria. Da due millenni e mezzo
ci trasciniamo un tipo di moneta con due funzioni contraddittorie forzate a
coesistere nello stesso pezzo di qualsivoglia materiale: metallo prezioso,
vile, carta, vetro, cuoio, conchiglie, manufatturati e chi più ne ha più ne
metta. Questa contraddizione è all’origine di tre problemi ancora oggi
incompresi e pertanto irrisolti: 1) la confusione dell’economia con la
crematistica, 2) la riduzione dell’usura al prestito con interesse e 3) la
guerra del credito al contante.
Le funzioni contraddittorie sono mezzo di scambio e riserva di valore.
Ecco perchè si confonde l’economia
con la crematistica. Quest’ultima disattende la produzione e distribuzione di
ricchezza, ma promuove la superstizione che essere ricco equivale a possedere
denaro. Paperon de’ Paperoni di Walt Disney è un esempio classico: i mucchi di
monete d’oro che costui contempla nei suoi forzieri sono economicamente
sterili, ma condizionano i lettori a farsi venire l’acquolina in bocca nel
vedere “ricchi” che prendono un bagno in una vasca piena di biglietti di banca.[8]
La cosa non è divertente: è
tragica. Chi afferma che l’unica moneta valida è quella sostenuta da oro non ha
idea di stare affermando esattamente il contrario della verità. Potrebbe provarlo
a sé stesso, chiedendosi: se avessi una moneta d’oro, la spenderei o la
risparmierei? Più alla portata, estragga dal portafoglio due biglietti di
taglio uguale, uno nuovo di tipografia e l’altro sporco e puzzolente. Quale dei
due spenderebbe per primo? Il secondo, che di “valore intrinseco” di gran lunga inferiore al primo, farebbe
muovere beni e servizi in quantità di
gran lunga superiore. Solo la superstizione di Creso[9] impedisce di percepirlo.
C’è di più. La contraddizione
impedisce persino di definire il
termine “moneta”. I libri di testo portano fino a quattro descrizioni di funzioni, ma non una sola definizione. La ragione è che si può definire solo ciò che è uno. Se non c’è accordo per definire il
termine “economia”, con due realtà complementari,
non ve ne può essere assolutamente
per definire il termine “moneta” con due realtà contraddittorie. O si definisce il mezzo di scambio, o la riserva
di valore, mai i due insieme. Sarebbe come definire un cerchio quadrato.
Qui si comincia a capire perchè
l’economia di produzione e scambio fa a pugni con l’economia di speculazione e
manipolazione di denaro. Solo la pigrizia mentale affibia a quest’ultima il
nome di “economia”, che in realtà è crematistica, o superstizione di Creso che
dir si voglia[10].
Lo stesso discorso vale a livello
politico. Una misura monetaria non può che favorire i possessori di riserva di
valore danneggiando gli utenti di mezzo di scambio, o vice versa; mai favorirli
entrambi. Consultiamo la storia.
Nei “secoli bui” medievali a Firenze
si producevano ed esportavano magnifici indumenti di lana. La materia prima era
di importazione inglese, ma veniva cardata, tinta, filata e tessuta da una gran
quantità e diversità di corporazioni che controllavano l’industria laniera
fiorentina.
Dante aveva collocato sodomiti e
usurai nella stessa bolgia infernale: i primi per sterilizzare l’atto sessuale
di natura sua fecondo, e i secondi per rendere fecondo il denaro, di natura sua
sterile. Era un avvertimento oculato, ma i Medici al potere lo disattesero, cominciando
a praticare il prestito a usura. E divennero banchieri, arricchendosi
(crematisticamente parlando) e ostentando ricchezza a livelli fino allora
sconosciuti. Lo stesso avveniva in tutta la Cristianità.
Chi pagò? I salari dei Ciompi
(1378), i cardatori di lana al livello più basso della filiera di produzione. Era
inevitabile: l’usura di Stato a spese di chi lavora, oggi ribattezzata capitalismo sferrò un colpo durissimo
all’ordine sociale cristiano. In tutta
la Cristianità esplosero rivolte sociali. In quella di John Ball e Wat Tyler,
in Inghilterra (1381), l’Arcivescovo di
Westminster Simone di Sudbury perdette la vita linciato dalla folla per aver
preso le parti del potere contro il popolo; 200 anni prima l’aveva perduta Thomas
Becket ucciso da quattro cavalieri del re per aver preso le parti del popolo.
I princìpî perdurano,
sia qual sia il secolo o paese osservato. Il 30 marzo 1925 l’allora Ministro
dell’Economia Alberto De Stefani (1879-1969) fece appiccare il fuoco a 320
milioni di lire, “per combattere l’inflazione” come gli avevano insegnato in
chissà che facoltà di economia. Sono d’obbligo due domande: 1) Chi ne trasse vantaggio? 2) Chi ne pagò le
conseguenze?
Le risposte sono anch’esse due. Gli
avvantaggiati del falò furono i manipolatori di riserva di valore, usurai e non.
E chi pagò furono i lavoratori, vedendosi sparire dalle mani ben 320 milioni di
mezzo di scambio.
Agli usurai non bastò. L’anno
dopo quattro di essi: Springher, Paratore, Beneduce e Volpi incantarono Mussolini
“con la gran fregnaccia” (come la bollava Giacinto Auriti [1923-2006]) che “il
prestigio della nazione” dipendesse dal tasso di scambio tra lira e sterlina.
Questo era salito (per gli usurai) o sceso (per i lavoratori) da 90:1 a 154:1
in quattro anni. E il Duce pronunziò a Pesaro “Quota Novanta.” La beffa si
aggiungeva al danno: migliaia di piccole imprese chiusero per asfissia di
contante, ossigeno dell’economia di piccolo cabotaggio.
I fenomeni appena descritti sono fenomeni usurari. È venuto il momento di
tuffarsi nel profondo della questione. Cosè l’usura? Dove nasce? È possibile
definirla? E liberarsene?
Se l’usura si definisce rigorosamente, e se ne individua
con esattezza l’origine, le risposte alle due ultime domande saranno
affermative. Bisogna però ammettere che prima del XX secolo ciò non era mai stato fatto, come vedremo subito.
Ab immemorabili, cioè da 4000 anni circa,
l’usura era stata sempre vista come prestito
con interesse. Dall’antichità più remota, prestare una somma di denaro e
richiederne una superiore al prestato è stata una pratica sempre mal vista, e
condannata in teoria e in pratica da filosofi, politici, benpensanti, uomini di
Chiesa, di Moschea (ma non di Sinagoga eccetto che per correligionari) ecc.
Furono i prestiti ad interesse a causare la maggior parte delle persecuzioni
anti-giudaiche, nella Cristianità e altrove.
San Tommaso d’Aquino fa il seguente ragionamento[11]: quando ci si
disfa di un bene duraturo per
prestarlo, come un immobile, un veicolo, ecc. è naturalmente possibile chiedere
per l’uso un compenso distinto (affitto, locazione ecc.) dalla proprietà. Ma
quando si presta un bene fungibile,
come farina o denaro, il prestato viene consumato:
la separazione tra proprietà e uso è illegittima e quindi immorale. Ecco
l’origine del termine usura,
dispregiativo di usus.
Il ragionamento non fa una grinza, ma neanche definisce
rigorosamente la pratica né identifica la sua origine. L’Aquinate presumeva questa essere il prestito, come
avevano presunto tutti i suoi predecessori dall’antichità pagana in poi. Ma limitarla
ai prestiti è un errore filosofico di riduzione.
La condanna ecclesiastica del prestito ad interesse e la
sconfitta di quella condanna, dal tardo Medioevo al rifiuto di Papa Gregorio
XVI di pronunciarsi su di essa nel 1830, è allo stesso tempo istruttiva e fuorviante:
istruttiva per far capire come i manipolatori di denaro, usurai e non,
gioiscano ancora oggi davanti a una loro conclamata vittoria, ma fuorviante per
non capire come gli uomini di Chiesa prendessero di mira il bersaglio sbagliato.
In altre parole, né definirono l’usura rigorosamente, né ne identificarono
l’origine.
Nei secoli vi furono numerosi tentativi di aggirare la
proibizione ecclesiastica. Nel 1630 ne usciva una difesa del neo-calvinista
Claude de la Soumaise (1588-1653) lodato ancora oggi da membri dell’Istituto
Von Mises come “quegli che sferrò l’ultima pedata alla dottrina medievale
contro l’usura”. Il che non è vero, dacché Jeremy Bentham (1748-1832) ne
sferrava un’altra sulla stessa linea: l’usura è un interesse “eccessivo” o
“irragionevole” richiesto per un prestito. Il pensiero debole, comune ai due,
non permise loro di riflettere che è logicamente impossibile stabilire dove comincia l’eccesso o dove finisce la “ragionevolezza”, che
poi è lo stesso. Sarebbe come decidere quando un certo numero di peli sul mento
di un uomo possano venir chiamati “barba”.
Chi definì rigorosamente, e identificò l’origine,
dell’usura fu, nei primi del XX secolo, Silvio Gesell (1862-1930) mercante
germanico che fece fortuna in Argentina nella seconda metà del XIX secolo, e
scrittore acuto di economia senza essere un accademico. Vediamole subito:
1.
L’usura è il tributo che chi tesoreggia
riserva di valore impone a chi ha bisogno di mezzo di scambio;
2.
L’usura nasce agli scambi; solo
secondariamente appare ai prestiti.
Le due proposizioni permettono di identificare l’origine dell’usura nella contraddizione
già ampiamente trattata. Ogni esempio che segue lo corrobora.
Ritorniamo ai Ciompi della Firenze medicea del 1378. I
Medici non prestavano ai Ciompi, né questi ai Medici. I primi prestavano ai re
d’Inghilterra, e questi pagavano loro usura. Quando uno Stato incorpora nelle
sue leggi il principio della fecondità del denaro, prima o poi tutti i
cittadini saranno in debito, seguiti dallo Stato stesso, e un bel giorno non vi
sarà denaro sufficiente per estinguerlo. È quel che stiamo osservando oggi. Prima
o poi l’interesse avrebbe colpito i salari dei lavoratori di base, i Ciompi.
Continuiamo con un esempio recente. Dei campeggiatori
arrivano di buon mattino al mercato del pesce di Genova, con un preventivo di
200 euro. E vi trovano una magnifica ricciola, pescata la notte prima. Il
pescivendolo chiede 300 euro, loro ne offrono 200, tutto quello che hanno. E
che fa lui? Accetta. A malincuore, ma accetta.
L’alternativa era scommettere su un
eventuale compratore prima di sera, con la ricciola non più vendibile. I campeggiatori
imposero al pescivendolo un tributo, un’usura, del 33% sul reddito.
Diamo un’occhiata al cosiddetto “mercato” dei diamanti.
Dieci volte all’anno, in date prestabilite, i gioiellieri delle grandi città
ricevono un mandato di comparizione (camuffato da invito) di recarsi a Londra
da De Beers a Charterhouse Street. Di buon mattino ognuno viene fatto sedere
davanti a una finestra esposta a nord (per evitare riflessi ingannevoli) e
riceve una scatola piena di diamanti grezzi e il prezzo. Ha tutto il giorno per
decidere. Ma decidere cosa? Solo quanto guadagno può cavare da un miscuglio di
poche pietre di prima e un certo numero di seconda e terza scelta. Può
scegliere di non comprare? Può, ma, non riceverebbe più il mandato di
comparizione, pardon l’invito. Può contrattare? No. Può tirare sul prezzo? No.
Quanta usura deve pagare per continuare a fare il gioielliere? La calcoli il
lettore se può, ma di usura si tratta, non di prestito.
Nei sotterranei londinesi di De Beers giacciono tonnellate
su tonnellate di diamanti grezzi, classificati secondo dimensioni e purezza. Un
cercatore di diamanti che avesse la sfortuna di trovarne e tentasse di venderli
fuori dal circuito De Beers, vedrebbe il mercato improvvisamente inondarsi di
grandi quantità di diamanti della stessa qualità ma di prezzo considerevolmente
inferiore. Un bel giorno un rappresentante di De Beers gli proporrebbe di
vendere (in contanti), a prezzi stracciati. È il tributo imposto da chi ha
riserva di valore su chi ne ha bisogno come mezzo di scambio: usura ancora una
volta. Anche chi vuole diamanti industriali deve pagare usura a De Beers sotto
forma di prezzi esorbitanti.
È la stessa tecnica di John D. Rockefeller dopo la
scoperta del petrolio negli anni Cinquanta del secolo XIX. I suoi scagnozzi
forzavano i concorrenti o a vendere a basso prezzo, o a soffrire l’incendio,
non raramente l’assassinio.
In Rete l’usura viene nascosta,
se deliberatamente o no è irrilevante; i suoi effetti (ostentazione di
ricchezza, disprezzo per chi lavora ecc.) vengono offerti come cause delle rivolte sociali tardo-medioevali.
Nella stessa Rete però si
ammirano (!) personaggi seduti davanti a un imponente schieramento di computers
con i quali speculano tutto il giorno al rialzo/ribasso di tassi di scambio,
prezzi di derrate ecc. Nessuno fa notare che un guadagno da manipolazione di
denaro aumenta il potere d’acquisto dello speculatore, oggi rinominato
“investitore”, su beni e servizi prodotti da altri, inevitabilmente costretti a
lavorare senza essere pagati.
Quando i multischermi non
c’erano, il buon J.M.Keynes (1883-1946) faceva lo stesso prima di colazione con
uno o due colpi di telefono ai suoi agenti di cambio. Ma nessuno neanche oggi
gli dà dell’usuraio.
La banca islamica nasconde l’usura spostando il prezzo del
denaro a un pizzo sull’impiego del prestito, al quale essa rinuncia se le cose
non vanno come progettato. Ma si tratta sempre di tributo imposto da chi ha
riserva di valore a chi ha bisogno di mezzo di scambio. L’usura, viene rinominata
mudarabah invece di ribah.
Chi ama l’arte non può fare a
meno di notare come da allora la bellezza diminuisca, per dar luogo a orrori
che oggi decorano (se è la parola giusta) luoghi pubblici un po’ dappertutto.
Ezra Pound (1885-1972) aveva ragione: con usura non si costruisce né solido né
bello.
Profetava Lord Acton (1834-1902),
nel lontanissimo 1875, che “la questione che si trascina da secoli, e che prima
o poi va risolta, è quella del popolo contro le banche”. Lo stiamo vedendo.
Ma il decennio 2007-2018 ha
segnato una vittoria duratura di chi lavora su l’usura, e in Africa per giunta.
Vale la pena descriverla con una certa dovizia di particolari.
Nel 2007 una compagnia telefonica
di Nairobi lanciava MPESA[12]. Lo scopo era
di iniettare contante nelle campagne, giacché la politica bancaria basata sul
credito lo faceva scarseggiare, quando non sparire, proprio dalle zone di
produzione per concentrarlo in quelle finanziarie delle grandi città.
Il metodo era semplice: in
chioschi muniti di cellulare, oltre a comprarvi le solite derrate si potevano
depositare somme anche infime e telefonare a un altro chiosco dove dietro
identificazione si riscuoteva la somma.
Nessuno notò al principio che il
contante nei chioschi aveva lasciato le banche, e non vi sarebbe tornato più.
Ma quando i chioschi schizzarono da 700 a oltre 1000, 10mila, 100mila, le
banche si accorsero di essere state prese in contropiede, e tentarono di
fermare MPESA con tutti i mezzi a loro disposizione, incluse le vie legali.
Dovevano dimostrare al giudice
che MPESA usurpava il loro modus operandi; ma non vi riuscirono:
nessuna banca offriva lo stesso servizio, neanche l’ufficio postale.
Nel 2007 i cellulari erano
costosi ma non più rari. Scendendo il loro prezzo, la situazione si ribaltava drammaticamente:
Nel 2001 vi erano in Kenya 250mila linee telefoniche fisse e un milione di
cellulari. Oggi questi sorpassano i 20 milioni e continuano ad aumentare. La
telefonia mobile migliora anche l’economia di produzione: un agricoltore può stare
al tanto dei prezzi di mercato in tempo reale, impossibile per il coltivatore
di patate di pochi paragrafi fa.
La vera rivoluzione avvenne
quando il contante cominciò a trasferirsi da un cellulare all’altro. L’importanza
dei chioschi diminuì e la velocità di circolazione di contante come impulsi
elettronici accelerò. Le transazioni hanno raggiunto la rispettabilissima cifra
di 7 miliardi di scellini al giorno, così sorpassando il bilancio
statale ma senza aumentare la quantità di moneta. La bufala dell’inflazione
causata “da troppo denaro che insegue troppo poche merci” è stata consegnata al
dimenticatoio.
Chi ha pagato? Le banche, che ancora
tentano di imitare, inglobare, o difendersi dal fenomeno MPESA come possono.
Sono riuscite a fermarlo in altri paesi, Italia inclusa. Chi però fa un giro in
zone del Kenya che fino a pochi anni fa erano savana incolta, percepisce come
l’abbondanza di contante fuori dal
sistema bancario sia basilare per una economia di produzione e di scambi.
Occupiamoci adesso del credito bancario. Il 1 novembre
1745 Papa Benedetto XIV (Lambertini) emise la primissima enciclica: Vix Pervenit, dedicata all’usura. In un
documento di 14 punti, appena una pagina, il papa si limitava a distinguere
usura da interesse. Riprendendo la dottrina tomistica, la prima era il prezzo
del denaro come mercanzia; il secondo, invece, era l’onorario richiesto per riunirne la quantità necessaria,
quindi compenso legittimo da lavoro.
Ma l’enciclica era nata morta. Dal 1609, fondazione della
Banca di Amsterdam, le banche non prestavano più denaro fisico; permettevano ai
clienti di crearlo firmando assegni.
La differenza tra un prestito, dove il prestatore rinuncia
alla proprietà, e un permesso di creare una certa somma dal nulla senza
rinunciare a niente, quindi a rischio nullo, è (o dovrebbe essere) lampante. Ma
no: una specie di incantesimo grava sugli occhi e la mente del prestatario, che
non contesta minimamente la pretesa bancaria di un interesse sulla somma
convenuta (non “prestata”, perchè un vero prestito non esiste). E da dove
vengono gli interessi? Lo si vede: o da un’aumentata attività lavorativa del
prestatario, o dalla bancarotta di uno o più concorrenti, o da un ulteriore prestito
per pagare gli interessi del debito precedente.
Ciò vale anche per il cosiddetto “debito pubblico”.
Nessuno si domanda: cosa si è “prestato”? La risposta è: “niente”. Per cui
niente è dovuto a nessuno. Ma governi impotenti tassano e tartassano i
cittadini per pagare un “interesse” crescente che non fa altro che impoverirli.
In tutti gli esempi precedenti si avverte la presenza
dell’usura sotto mentite spoglie. Cosa impedisce alle sue vittime di
avvertirla, condannarla, evitarla e soprattutto liberarsene? Solo quello che
abbiamo notato al principio: abbinarla ai prestiti senza vederla negli scambi.
Chi riesce a spostare il paradigma mentale, finirà per vederla venire a galla dovunque:
la distruzione dei trasporti pubblici ad opera del monopolio dell’induatria
automobilistica, l’introduzione dell’agricoltura estensiva a spese di quella
intensiva, la cultura usa-e-getta invece della manutenzione, l’auge del
trasporto su gomma a spese di quello marittimo e via aggiungendo disoccupati su
disoccupati in tutte le occupazioni summenzionate. Il tributo usuraio è così
proteiforme da sfuggire ad analisi dettagliate: solo una visione d’insieme sarebbe
capace di romperne l’incantesimo.
Rimane da trattare il solo esempio storico di una
sconfitta di questa pratica millenaria ad opera di due uomini di visione e di
azione: Herr Hebecker proprietario di una miniera di carbone a Schwanenkirchen,
Baviera nel 1930 e Herr Unterguggenberger, borgomastro di Wörgl, Tirolo Settentrionale
nel 1932-33.
Il primo emise buoni Wära
per pagare i dipendenti, che li spendevano nel piccolo centro di 500 abitanti;
i negozianti redimevano i buoni in carbone prodotto dai dipendenti di Hebecker.
Il secondo emise Certificati di Lavoro
con i quali pagava i dipendenti e le fatture del municipio; chi li riceveva
acquistava tutto (tranne biglietti ferroviari e servizi postali) e pagava le
tasse locali, con le quali il municipio costruì un ponte sul fiume Inn (ancora
esistente) asfaltò sette strade, estese le fognature ad altre due, migliorò i
giardini pubblici e si permise perfino di costruire un trampolino di salto con
sci (Wörgl è stazione alpina).
Il tratto comune dei due esperimenti fu la funzione di puro mezzo di scambio delle due monete
complementari. La funzione di riserva di valore la esercitavano il marco
tedesco e lo scellino austriaco rispettivamente. In parole povere le due
località godevano di una doppia moneta:
una per le transazioni domestiche e l’altra per quelle esterne.
I due pionieri monetari si inspirarono a Silvio Gesell per
la funzione univoca del Wära e dei Certificati di Lavoro, ma la doppia
moneta era già esistita, con successo cinquantennale, con l’Unione Monetaria
Latina tra Francia, Italia, Belgio, Svizzera e Grecia tra il 1865 e il 1915.
I cinque paesi mantenevano la moneta nazionale per
transazioni domestiche, ma un pezzo da 5 franchi d’argento circolava
liberamente insieme a franchi (francesi, belgi e svizzeri), lire e drachme. La
massa monetaria del pezzo da 5 franchi arrivava più o meno al 40%. Se
oltrepassava codesto limite, lo sbilancio commerciale verso le esportazioni si
correggeva abbassando i prezzi; se scendeva troppo, lo si correggeva alzandoli.
Ad applicare lo stesso principio e metodo nel
2001, nessuno griderebbe oggi “Usciamo dall’Euro!” Non ce ne sarebbe bisogno.
Ogni paese che commercia con altri ha bisogno di due divise: una nazionale, inconvertibile e puro mezzo di scambio e
una internazionale, convertibile ma usata liberamente, non imposta dall’usura.
Cosa impedisce una tale misura? Lasciando al lettore ogni
giudizio morale, un governo che veramente governi riporterebbe alla ribalta
politica il Glass-Steagall Act di Roosevelt (1933) dissennatamente abrogato da
Clinton nel 1999: separazione totale delle banche di affari da quelle
commerciali. In più istituirebbe una banca pubblica come nel North Dakota, che
riesce a difendersi dalla finanza predatoria dal 1919. Ritengo di aver fornito
sufficienti ragioni economiche verso
una strada battibile da chi è dotato di prudenza politica e di buona volontà.
Silvano Borruso
24 febbraio 2018
[1] L’epiteto è di Thomas Carlyle (1795-1881), che
bollò l’economia come “dismal science”. Dismal
è inglese, ma l’etimologia è latina: dies
mala.
[2] Il valore e
“teorie” derivate non merita più di una nota a pié di pagina. Il valore,
puramente soggettivo, di un bene o servizio, è quel che uno è disposto a cedere
per farlo suo. Un bene/servizio che non interessa ha valore nullo, e pertanto
esula da un argomento scientifico, che per definizione usa idee universali.
[3] Un pellegrino poteva alloggiare gratis in
qualunque albergo lungo la via per due giorni.
[4] È facile indovinare l’origine del lascito di otto miliardi di sterline del
fu Duca di Westminster (1951-2016).
[5] È visionabile in YouTube il documentario Luce Nulla si Distrugge (1939), che mostra il riciclaggio dei rifiuti a
Milano. L’operazione occupava torme di lavoratori, ma la finanza la considera
“inefficiente”
[6] Ricordo ancora la prima lezione di economia politica alla Facoltà di
Agraria. Il professore affermava con sicumera che homo oeconomicus non è né morale né immorale, ma solo “amorale”. Da
ventenne ingenuo e ignorante la bevvi, ma non per molto
[7] In The Green Book, scaricabile,
Gaddafi espone le sue teorie politiche in 33 pagine. Legga chi vuol capire.
[8] L’immagine si può vedere in Rete.
[10] In greco, “economia” vuol dire “legge del
focolare domestico”, idea del tutto aliena al pensiero debole.
[11] 2-2- Q. 78
[12] M = mobile, cioè il cellulare; PESA è Swahili per
denaro.
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