QUESTIONE PALESTINESE
E DISINFORMAZIONE
La scoperta della verità non ufficiale e le
alternative alla bugie di regime
Nel corso dell’ultima terroristica azione di
pulizia etnica condotta dall’entità sionista contro la popolazione palestinese,
appoggiata da una vasta e miserabile campagna mediatica che ha visto in prima
linea i mezzibusti ed i pennivendoli di regime, strenuamente impegnati a
difendere le indifendibili ragioni dei colonizzatori razzisti con la stella di
Davide, abbiamo avuto frequentemente l’opportunità di confrontare le nostre
opinioni su tale argomento di attualità
- come capita sovente in tali occasioni - con quelle di altre persone,
le cui interpretazioni dei fatti variano, ovviamente con diverse sfumature, da
una sostanziale condivisione delle nostre tesi – antisioniste e filopalestinesi
– ad un totale rigetto delle stesse.
Premesso che noi non siamo fautori di verità
assolute, ma semplicemente della necessità di coerenza entro uno schema
generale condiviso da tutti ed in accordo coi postulati da tutti accettati al
fine di una convivenza civile, ci resta oltremodo difficile comprendere come
alcuni presupposti basilari del cosiddetto diritto internazionale possano –
almeno teoricamente – essere recepiti come intangibili da quasi tutti ma
sistematicamente ignorati quando entra in gioco l’imperialismo israeliano; si
tratta, evidentemente, della martellante propaganda che dura da più di mezzo secolo,
in virtù della quale sentiamo spesso contrabbandare come verità incontestabili demenziali
amenità autoreferenziali basate sul nulla assoluto: come ad esempio che
l’immigrazione ebraica in Palestina avrebbe ovviato al problema “di un popolo
senza terra per una terra senza popolo”; che i coloni ebrei avrebbero
“trasformato il deserto in un giardino”; che gli ebrei godrebbero del diritto
di “tornare nella terra dei loro avi” perché loro “promessa da Dio”; che risulterebbe
giusto che lo stato israeliano si fondi sul concetto razzista di “popolo eletto”,
in base al quale costituisce “conditio
sine qua non” essere ebrei per ottenerne la cittadinanza; che gli ebrei
dovrebbero in qualche modo essere risarciti per essere stati vittime di quella atroce
sintesi della malvagità umana nota come “olocausto”.
Non è nostra
intenzione in questa sede dimostrare la totale inconsistenza di tutti i miti
fondatori dello Stato sionista - peraltro già abbondantemente analizzati da
diversi e qualificati autori di varia estrazione politica ed ideologica -,
quanto piuttosto rilevare come tali miti, amplificati da tutti i mezzi di
disinformazione di massa – cinema fumetti televisione narrativa saggistica –
finiscano per costituire delle “verità” acriticamente accettate dai destinatari
delle stesse, addivenendo alla condizione tipica del totalitarismo dell’informazione,
per cui è vero non tanto ciò che risulta dimostrabile col supporto di prove
documentarie, ma ciò che viene quotidianamente ed universalmente spacciato come
tale. In tale contesto è difficile imbattersi in qualcuno che, esaminando
alcuni fatti prima sconosciuti o visti attraverso la lente deformante dei media
di regime, abbia l’onestà intellettuale di riesaminare la questione alla luce
di informazioni non correttamente valutate fino a quel momento; essendoci però recentemente capitato
esattamente questo, abbiamo ideato quest’intervista che può essere illuminante,
dal momento che il nostro interlocutore può aiutarci – come nessuno - a
scoprire i meccanismi che lo avevano mantenuto in uno stato di relativa
ignoranza, nel senso squisitamente etimologico del termine, su tali argomenti;
il nostro uomo è un facoltoso imprenditore di mezza età, laureato, dinamico, di
viva intelligenza e con un grado di cultura superiore alla media; che, per ovvi
motivi di riservatezza, preferisce mantenere l’anonimato. Qualcuno potrebbe
maliziosamente supporre che per la stesura di queste note avremmo anche potuto
inventare un simile personaggio e presentarlo come reale, adattando le sue
risposte alla dimostrazione di tesi precostituite; ma non abbiamo certo bisogno
di ricorrere a simili artifizi per continuare a scrivere quel che ci aggrada; essendo
in realtà vero il contrario, ossia che l’idea dell’intervista nasce proprio
dopo il nostro incontro, riteniamo invece che il risultato sia degno di nota
proprio per la singolare unicità della circostanza. Presentiamo quindi di
seguito le sue cortesi risposte alla nostre domande.
D - Prima di attingere a
fonti di informazione alternativa cosa sapevi della questione palestinese?
R - Avevo informazioni frammentarie provenienti da un solo canale informativo,
ovvero i TG nazionali! In sostanza mi ero fatto un'idea lontana dalla realtà: i
palestinesi li percepivo erroneamente in chiave negativa; li consideravo un
pericolo per la società civile! Avevo una rappresentazione parziale e mai chiara
di quali fossero le reali motivazioni che spingessero tanti uomini e donne a
combattere gli israeliani.
D - In che modo hai
scoperto che le tue informazioni sulla questione palestinese erano parziali o
distorte?
R - In realtà osservando la reazione spropositata degli israeliani
al rapimento ed uccisione dei tre ragazzi, ho deciso di vederci chiaro.
Ho consultato siti stranieri americani, russi arabi! Ho cercato di
comprendere i diversi punti di vista! Ho letto articoli di giornalisti
indipendenti, che operano sul campo e pubblicano sui loro siti! Ho visto gli
orrori che uno stato "civile" è stato capace di allestire; ho
compreso che non esiste una sola verità. Ho compreso che l'informazione è
concepita per rappresentare un solo punto di vista.
D - Prima di scoprire la
presenza di fonti di informazione alternativa quali erano i tuoi canali per
informarti?
R - Distrattamente seguivo i vari TG nazionali e proprio perché non attento mi
sono lasciato facilmente condizionare.
D - Ritieni che tali
canali offrano una versione “di parte” per ignoranza, scarsa capacità di
analisi o servilismo verso il potere?
R - Non sono certo che si tratti di condizionamenti, di interessi o di
servilismo: sono certo che forniscono informazioni alterate e ci sarà
sicuramente una ragione che spinge a questo tipo di
approccio. So solo che ora non li ascolto.
D - Secondo te può
definirsi deontologicamente corretto chi fa giornalismo in questo modo?
R - Il giornalista è un dipendente e potrebbe allinearsi al volere del
proprio editore. Fornire informazioni distorte implica malafede. Laddove si
rappresentino fatti in maniera non conforme alla realtà si andrebbe ben oltre
agli aspetti deontologici: parlerei di malafede.
D - Il sistema
d’informazione presente in Italia è compatibile con una organizzazione sociale
che ama definirsi “democratica” o siamo piuttosto in presenza di un
“totalitarismo democratico”?
R - Democrazia? Raramente vedo casi di indipendenza; non parlerei di
totalitarismo democratico, ma di tutela di interessi attraverso la
manipolazione o alterazione dell'informazione.
D - La disinformazione
fornita dai media nazionali è secondo te riconducibile al nostro sistema di
alleanze internazionali ed anche – peggio – al nostro status di colonia
nordamericana?
R - Non credo che sia legata alla nostra
sudditanza verso gli USA. Chi fa informazione e manipola la verità lo fa perché
tutela degli interessi. Non posso definire esattamente di che tipo di interessi
si tratti, non ho gli elementi e non ho certezze. Le sensazioni in tal senso
sono forti.
D - Ritieni possibile che
ci siano altre questioni che vengono appositamente presentate dai media in
forma faziosa ed incompleta per garantire il consenso della popolazione su
scelte del governo altrimenti indifendibili?
R - E' evidente.
D - Credi attendibile –
come sostengono pochi e pressoché ignorati ricercatori - che anche in campo
storiografico sia stata assecondata la tendenza diretta a fornire una versione
dei fatti spesso falsa ma imposta dai vincitori del secondo conflitto mondiale?
R - Non sono in grado di dare una risposta . Ritengo che sia doveroso lasciare
agli storici questo compito e non al vincitore di un conflitto.
D - Quale potrebbero
essere secondo te – posto che ve ne siano - i mezzi più efficaci per tentare di
contrastare in Italia questa orwelliana situazione dell’informazione?
R - Internet non è manipolabile. Quando si cerca di bloccare o censurare si
apre sempre una nuova strada per comunicare e diffondere. La rete non può
essere controllata e quindi offre l'opportunità di documentarsi e di
valutare fonti disparate.
Qualche breve considerazione finale. Dalle parole
dell’intervistato emerge chiaramente – e noi siamo perfettamente d’accordo con
lui – che l’informazione di regime non è assolutamente attendibile, in nessun
campo; ne consegue la necessità, per chi voglia approfondire certe tematiche,
di dedicarsi alla ricerca di fonti alternative, spesso straniere e spesso reperibili
soltanto sul web. Ma al di là dell’innegabile diffusione di Internet presso le
nuove generazioni – nella maggioranza dei casi adoperato comunque per finalità
meno impegnative ed anzi antitetiche al personale accrescimento culturale ed
alla ricerca di un’informazione indipendente – viene da chiedersi: quanta
gente, nel mondo attuale, ha la capacità e la volontà di impegnarsi in tale
attività? Forse un operaio, che cerca riposo al termine della faticosa giornata
lavorativa? Forse un impiegato, che vuole rilassarsi dall’abituale alienazione?
Forse una massaia, alle prese con i mille problemi quotidiani? O non cercano
piuttosto tutti costoro la dolce narcosi dispensata con prodigalità dalle monolitiche
emittenze pubbliche e private, generose distributrici di prodotti demenziali
quali: reality show, film d’importazione, partite di pallone, soap operas o,
nel migliore dei casi, sedicenti programmi di approfondimento politico, dove mediocri
governanti fingono di litigare con la falsa opposizione, in perfetta aderenza
all’attuale società dello spettacolo? E non si contenteranno invece, tutti
costoro, della lettura dei quotidiani e dell’ascolto dei telegiornali di
regime, per informarsi – qualora ne abbiano lo stimolo – sulle questioni di
politica nazionale ed internazionale? Le domande sono retoriche e la risposta
scontata: una percentuale minima degli utenti del web è in grado - od ha il
tempo, la voglia e la costanza – di usare tale strumento per accrescere le proprie
conoscenze in merito a quel che accade nel mondo; ed essendo oggi quello
dell’informazione uno dei campi di battaglia in cui vengono programmate e
pianificate le guerre vere – si vedano a questo proposito, tra i casi più
eclatanti della storia recente, le “armi di distruzione di massa” irachene,
l’attentato alle Torri Gemelle o, attualissima, la campagna di demonizzazione
della Russia di Putin – risulta essenziale, per un movimento che voglia
incidere sulla realtà, la possibilità di compiere efficace opera di
controinformazione. Sanno bene questo i detentori del potere, che impudicamente
elargiscono a piene mani e sotto forme le più disparate finanziamenti ai loro
sodali, condannando ad un regime di concorrenza insostenibile le sempre più
rare voci controcorrente in campo editoriale. In virtù di quanto suesposto ed
in disaccordo con le ottimistiche previsioni di alcuni esponenti del M5S, noi
non crediamo che un’alternativa all’attuale sistema possa nascere da un
movimento che trovi nel web il suo punto di aggregazione; siamo inoltre sicuri che
tale ambiente – in modo particolare le piattaforme di discussione note come
social network -, oltre che facilmente manipolabile e controllabile, fornisca
ampie possibilità d’infiltrazione di provocatori, appositamente addestrati per
inficiare la formazione di realtà antagoniste.
Resta
pertanto prioritaria – ed al momento, purtroppo, assente – la necessità di fare
controinformazione e la contemporanea individuazione dei mezzi idonei alla
creazione di un incisivo movimento di massa in grado di contrastare efficacemente
il sistema, cominciando soprattutto sul piano dell’informazione: prassi
propedeutica ed ineliminabile per una concreta opposizione che non voglia
essere illusoria e che pertanto trovi il suo naturale sviluppo nel sostegno
della popolazione alle successive scelte e lotte politiche, che proprio dalla diffusione
della corretta informazione deriva.
Roberto
Cozzolino