venerdì 31 luglio 2020

NO ALLA PROROGA DELLO STATO DI EMERGENZA IL 1° AGOSTO INVIA QUESTO VIDEO...

DIEGO FUSARO: Oliviero Toscani: "L’immigrazione sarà ricchezza del futur...

LA DITTATURA DELL’USURA.

Quello dei presunti successi del nostro governo in campo economico, sembra
essere il nuovo tormentone estivo. Mentre i dati di Istat, Eurobanca e
compagnia bella, per il nostro paese, descrivono una situazione tutt’altro che
rosea, il nostro paese sembra esser stato investito da una folata di euforia.
Per quest’ultimo semestre, il Pil del nostro paese è il più basso dell’Eurozona,
mentre tra le assolate strade delle nostre città, è un desolante susseguirsi di
serrande chiuse e saracinesche abbassate per chiusura attività.

A tutto questo,si aggiunge il continuo altalenarsi di bollettini epidemiologici, a
volte intonati al più fausto ottimismo, a volte, invece, impostati al più cieco
allarmismo. Il tutto, condito da ridicole sfilate di uomini in divisa sulle spiagge
e da una perenne indecisione sull’apertura dell’anno scolastico, mentre
proseguono ininterrotti gli sbarchi di centinaia di “migrantes” clandestini (tra
cui molti positivi...) che poi, se la danno dai centri di prima assistenza,
facendo perdere le loro tracce sul territorio nazionale. Ma il nostro esecutivo è
lì a magnificare gli “splendidi” risultati ottenuti in sede europea, con il
cosiddetto “Recovery Fund”.

Per esser, una volta di più, chiari. L’Europa ci ha concesso sui 200 e passa
miliardi di Euro, di cui 80 a fondo perduto ed il resto in prestito a tasso
“agevolato”. Ora, non dovrebbe neanche esserci bisogno di dire che, per far
ripartire e far ricuperare all’economia di un paese come il nostro, di miliardi di
euro a fondo perduto, ce ne vorrebbero almeno 7/800, accompagnati da un
periodo di 7/8 mesi, di esenzione dai tributi per tutti, a cui dovrebbe far
seguito un regime fiscale, impostato su una tassazione molto bassa (flat
tax...). Il governo giallo-rosso sembra, però, aver preso tutt’altra via.

Ai toni trionfalistici seguono fatti di ben altro tipo. Puntuali come sempre, sono
arrivate le varie scadenze fiscali. Le casse integrazioni sono arrivate per
pochi, e spesso, in cospicuo ritardo. Senza poi contare che, i soldi con tanta
solerte generosità, elargiti da Bruxelles, arriveranno solamente nel 2021. Ad
onor del vero, il problema qui non è l’Europa e la sua miope inconsistenza,
morale, spirituale e politica, ma il nostro sistema.

Di fronte agli atteggiamenti da duri e puri di certe nazioni europee come
Olanda, Austria, Svezia, Polonia e via dicendo, il governo di un paese che
contribuisce all’Unione con più di 150 miliardi di Euro l’anno, (in questo
secondo solo alla Germania), avrebbe preso e sarebbe uscito sbattendo la
porta in faccia a questi signori, trascinandosi appresso Spagna, Portogallo,
Grecia e chissà quanti altri ancora, determinando giuoco forza un vero e
proprio sconvolgimento negli equilibri di cartapesta dell’euro-palude.

Di fronte all’emergenza del profilarsi di una pandemia, il governo di un paese
avrebbe saputo agire con tempestività, giuocando d’anticipo, attraverso la
distribuzione di dispositivi sanitari e conducendo test di massa, senza per
questo arrivare a limitare le libertà economiche e personali dei cittadini, in un
modo così rilevante. Ma, ancora una volta, da noi si è voluto seguire
l’andazzo generale, chiaramente imitando gli esempi più deleteri. Nel limitare
le libertà dei cittadini e nella nobile arte della coercizione, siamo stati secondi
solo alla beneamata Cina capital-comunista. Mentre, quanto a deprimere e
mettere in seria difficoltà l’ economia del nostro paese, siamo stati e, ad ora,
siamo imbattibili.

Festeggiano, certo. Ma chi? Non certo chi ha dovuto chiudere la propria
attività, i disoccupati o coloro che hanno perduto i propri cari, senza neanche
la consolazione di un ultimo saluto, perché detenuti in alienanti strutture
ospedaliere. A festeggiare sono i big delle industrie farmaceutiche che, sotto
l’alto patronato di Bill Gates e delle sue amorevoli sovvenzioni, potranno
immettere sul mercato vaccini anti-Covid di dubbia efficacia e provenienza. A
festeggiare, sono tutti quei fondi sovrani e quelle grandi trust di capitali che
ora, potranno venire “a far la spesa” di aziende e patrimoni, qui in Italia.

Non senza considerare che, il nostro è il secondo paese al mondo per
risparmio pro capite ed una cosa del genere, non può che ingenerare gli
appetiti e le invidie di chi, invece vorrebbe far liquidizzare in fondi e titoli
azionari, queste masse di denaro. “At last but not least”, a festeggiare sono,
naturalmente, anche le mafie nostrane e straniere. La massiccia chiusura di
esercizi commerciali ed attività produttive, permette di rilevare tali attività a

fini di riciclaggio, dando ai vari sodalizi criminali l’occasione giusta per metter
radici nel circuito produttivo sano di un paese.

Ma, a festeggiare più di tutti, è il procrastinarsi della dittatura dell’usura di chi,
cioè, con l’occasione del virus può finalmente e senza più freni, senza
ulteriori e fastidiose opposizioni, può ora imporre il proprio modus agendi a
livello globale. Ogni aspetto della nostra vita, potrà esser sottoposto alla
legge di una inestricabile e totale mercificazione. Ogni cosa un prezzo, al
quale bisognerà aggiungere un sovrapprezzo, un plus valore che, a sua volta
ingenererà un ulteriore plus valore e così via, all’infinito.

In un mondo totalmente sterilizzato, interconnesso e privatizzato, avverrà la
tanto auspicata mutazione antropogenica: l’individuo dovrà farsi pagatore
totale, animato dall’unico scopo di pagare per ogni aspetto, anche il più infimo
della propria esistenza, visto che qualunque altra velleità, sarà stata annullata
dalla paura della contaminazione e dal luccichio della società dei consumi. L’
“Homo Pagans” è alle porte e spinge per entrare con prepotenza sul
proscenio della Storia.

Un esito deludente, rispetto a quanto preconizzato tra la metà del 19° e gli
inizi del 20° secolo da quelle Avanguardie, il cui sogno di un Futuro “altro”, è
andato invece arenandosi nella palude della passiva rassegnazione e dell’
accettazione di un modello disumano ed alienante.

UMBERTO BIANCHI

Le 4 Leggi della Resilienza| Francesca Gammicchia| TEDxCoriano | Frances...

giovedì 30 luglio 2020

FUORI DAL VIRUS Speciale mascherine!

NO ALLA PROROGA DELLO STATO DI EMERGENZA IL 1° AGOSTO INVIA QUESTO VIDEO...

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MENO MANZONI, PIU’ ISLAM


MENO MANZONI, PIU’ ISLAM


Lettera aperta al Ministro della Pubblica Istruzione Sig.ra Russo Jervolino

Articolo pubblicato nella rivista Studi Cattolici n.386, giugno 1993
Note a piè di pagina giugno 2001



Signor Ministro,
quando ho letto che Lei aveva decretato che nelle scuole italiane si dovesse studiare “meno Manzoni e più Islam”, ne ho positivamente gioito, dato che da lungo tempo sono dell’opinione che occorra ampliare gli orizzonti culturali italiani. E se c’è un’area in cui ciò è urgente penso sia proprio l’Islam.
            Ho paura però che i burocrati del Suo ministero, attenendosi scrupolosamente alla Sue direttive, si contentino di sostituire un certo numero di versi del nostro don Alessandro con uno equivalente, diciamo, di Omar Khayyam.
            Sarebbe come dare un tocco cosmetico alla foglia di fico sotto la quale si nascondono realtà di tutt’altro genere che, una volta scoperte, riducono la storia della Monaca di Monza - che tanto scandalizzava Don Bosco (!) - al rango di telenovela.
            Se permette dei suggerimenti da parte di chi tra questa gente ha vissuto per più di trent’anni, comincerei con l’illuminare gli studenti italiani sull’ammirevole logica islamica, da studiare evidentemente in sede filosofica e non letteraria. Sarebbe come “meno Aristotele e più Islam”.
            Nel Kenya vivono un mezzo milione di musulmani, che su un totale di 25 milioni costituiscono circa il 2% della popolazione. Ebbene, costoro affermano instancabilmente di essere il 25%, cioè dodici volte e mezzo di quel che dicono i numeri. Come fanno? Semplicemente passando dalla categoria territorio alla categoria popolazione con una disinvoltura degna del Barone di Münchhausen: Viviamo nel 25% del territorio, ergo siamo il 25% della popolazione. E il censimento? Oh, quello lo si addomestica forzando il governo e eliminare la voce “religione” dal modulo, proprio come è avvenuto nel 1989.
            L’acrobazia mentale da una categoria all’altra Lei potrebbe costatarla di persona all’aeroporto di Jeddah, se mai un giorno si recasse nell’Arabia Saudita. Non pensi neppure di portar con sé una bottiglietta di alcool denaturato: se i doganieri glie la scoprono, la frantumano al suolo senza pensarci due volte. Che l’alcool sia per uso esterno e non da bere, non importa: è anti-islamico e basta. E non Le ripeto gli epiteti usati dal mio amico Domenico S. a cui ciò accadde davvero.
            Potrei dilungarmi ad nauseam, ma non lo faccio per roba così poco importante.


In Attesa del Gran Giorno

            Passo invece alla cosmovisione islamica, molto più importante e avvincente. Nell’ipotesi che Lei un giorno si trovi in quella che un giorno fu l’Arabia Felix, lasci pure la patente di guida a casa: in quel paese una donna al volante commette reato. E se un saudita La citasse in giudizio, si ricordi di portare con sé un’altra donna: ce ne vogliono due per equivalere la testimonianza di un uomo. “Le tue donne sono per te il tuo orto”, dice la seconda Sura del Corano; “Vieni a godere del tuo orto quando ti pare”. Non crede Lei che le femministe in erba delle nostre scuole non debbano più a lungo rimanere ignoranti di questa citazione?[1]
            Immagino, signor Ministro, che Lei vada a Messa la domenica, ma in Arabia Saudita non ci tenti neppure: celebrare la Messa è reato, anche in privato. Il sacerdote che osasse farlo sarebbe deportato la sera stessa. Che poi lavorino nell’Arabia Saudita circa mezzo milione di cattolici non importa: gli infedeli non hanno diritti, meno di tutti quello di commettere il peccato di idolatria sul suolo santificato dalle orme del Profeta (che la pace sia con lui).
            E il venerdì, se non avesse di meglio da fare, potrebbe visitare il bazaar di Jeddah, dove al grido unanime di “Allah akbar” Lei vedrebbe saltare teste di decapitati, mani mozzate, e scorrere il sangue a fiotti dalle schiene dei fustigati per ubriachezza. A esservi stata nel gennaio del 1978, in quel bazaar, Lei avrebbe “goduto” di presenziare all’esecuzione capitale nientemeno che della principessa reale Misha, fucilata davanti al marito, e costui decapitato immediatamente dopo. Il reato? La famiglia reale non aveva approvato il matrimonio di una principessa con un borghese. La povera Misha forse non sapeva (o forse sì, non ho modo di accertarlo), in vita, di essere stata preceduta dalle vittime della ferrea “legge del fratricidio” secondo la quale i sultani ottomani, immediatamente dopo la loro elezione, si sbarazzavano di tutti i fratelli maschi figli delle varie concubine dell’harem imperiale. Il carnefice li raggiungeva dovunque fossero e li strangolava senza complimenti con un arco dalla corda di seta.
            Sarebbe bene che lo studente italiano conoscesse la cultura islamica perché è parte di essa che un bel giorno, “Il Gran Giorno”, il giorno che coronerà il trionfo dell’Islam tutti noi, da cafri infedeli, verremo fatti morire tra le torture più atroci. A meno, naturalmente, di non esserci guadagnati le “simpatie” di alcuni di loro. Ecco infatti che cosa diceva un giardiniere musulmano alla sua datrice di lavoro, una signora francese della Costa Azzurra che lo aveva trattato così bene da attrarsene le “simpatie”: “Quando verrà il Gran Giorno io non ti torturerò; ti taglierò la gola senza farti soffrire.”[2]
            E non ho mostrato che la punta dell’iceberg. Converrà con me che queste informazioncine darebbero a conoscere l’Islam più della quartine scelte del Rubayiat di Omar Khayyam. Io proporrei di insegnarle nell’ora di religione, scommettendo che riuscirebbero ad attrarre il 100% degli studenti anche se questa non fosse obbligatoria.


Le eccezioni di Maometto

            E’ nella sua storia, però, dove l’Islam ridurrebbe al rango di raccolta di pie favole quello che passa per “storia” nelle scuole italiane.
            Cominciamo con Maometto il suo fondatore. Parassita del lavoro altrui da quando sposò la ricca vedova Khadija, fu ridotto alla miseria dalla morte di costei, e non trovò maniera migliore di rifarsi un capitale che quella di razziare carovane durante il mese di Ramadhan, già sacro nell’Arabia pre-islamica e durante il quale le razzie erano convenzionalmente proibite. Da allora in poi tutta una serie di successi manu militari lo confermarono come capo del nuovo movimento, risultato di un sincretismo analfabeta tra il giudaismo talmudista e un cristianesimo apocrifo ed eretico. “Ero ammalato e non veniste a visitarmi, disse Dio a Mosè”: questo gioiello lo si può leggere oggi nei foglietti che costoro distribuiscono per accattivarsi le simpatie cristiane.
            “Sedusse la gente con promesse di piaceri carnali”, nota San Tommaso d’Aquino nella Summa Contra Gentes, “e non è da sorprendersi che lo seguissero uomini brutali e nomadi del deserto, completamente ignoranti di ogni insegnamento divino, e con i quali Maometto forzò altri a seguirlo con la forza delle armi (I, 6, 4). Guadagnerei a scommettere che questa citazione è sconosciuta al 100% degli studenti italiani e a un 99% dei loro maestri? E sanno, questi scolari italiani “come storpiato è Macometto” nella Commedia?

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva, e ‘l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia
(Inf. 28,25).

            Lo sanno però i nostri fratelli islamici, che bisogna pur comprendere e perdonare, ma che nel frattempo hanno già promesso di far saltare in aria la tomba di Dante, e si può star sicuri che per lo meno lo tenteranno.[3]
            La legge di Maometto ammette fino a quattro mogli; ma non per lui, il fondatore, che ne ebbe nove[4] e che morì con la testa che scoppiava di emicrania nel grembo della favorita, Aisha, della quale era così geloso da farla velare (ecco l’origine del chador).
            I quattro califfi, successori del Profeta fino al colpo di stato di Muawiya, morirono tutti assassinati; e da lì in poi è tutta una storia di guerre, di massacri, di distruzioni vandaliche (come quella di Edessa nel 1144, che il nostro mondo post-cristiano non ricorda, figuriamoci poi se la rimpiange), e anche, perchè non ammetterlo, di letteratura, filosofia, architettura, matematica, ingegneria e urbanistica che completano la complessità del quadro.
            Ma la storia continua: domenica 9 luglio 1989 un musulmano abbattè con un solo colpo al cuore l’arcivescovo di Mogadiscio Mons. Salvatore Colombo, che aveva conosciuto solo poche ore prima; la giustizia somala non lo ha mai raggiunto, e non parliamo dell’interesse mostrato dal governo italiano.
            E buon per Mons.Colombo che non sia stata una turba ad aggredirlo, come quella che nel 1480 mise le mani su Mons Stefano Pendinelli vescovo di Otranto, e lo segò in due.
            Quindi, signor Ministro, siamo d’accordo: meno Manzoni e più Islam, e per soprammercato diciamo meno storielle e più verità. Ma dove fermarsi? I nostri scolari, male istruiti, non sanno che i successi politici, militari, tecnologici, amministrativi, finanziari, ecc. islamici, furono dovuti in maniera preponderante a rinnegati cristiani di tutte le nazioni.




Collaborazionisti cristiani

            Cominciamo con Eufemio da Messina, che consegnò la Sicilia agli Aglabiti, venendone ricompensato con la dedica di Calatafimi (Castello Eufemio, degno precedente della moschea di Monte Antenne); nel secolo seguente, ecco Jawahar Al Siqilli (il Siciliano), fondatore di Città del Cairo, che compie quest’anno il 1050o anniversario[5] (lo hanno ricordato i francobolli italiani?); re Giovanni d’Inghilterra (sì, proprio quello della Magna Charta), che pensava di farsi musulmano per sottrarsi alla giurisdizione di Innocenzo III. Che ne sarebbe di quella nazione, per non dire dell’Europa, se lo avesse fatto?; “lo secondo Federico”, come lo chiama Dante, che da musulmano viveva, con ben due harem, in barba al Papa e alle scomuniche; i maestri d’ascia genovesi che insegnarono ai turchi, tradizionalmente caprai, a costruire galere da guerra con le quali attaccare la cristianità; Urbano il valacco di Adrianopoli, che fuse per Maometto II il mostruoso basilisco usato all’assedio di Costantinopoli nel 1453; Francesco I re di Francia, che permise a Khair-ed-din Barbarossa, il rinnegato greco ammiraglio della flotta ottomana, di proibire il tocco delle campane di Tolone dove la flotta svernava all’ancora; il fiammingo Simon Danser, che insegnò loro l’uso della vela, al quale non erano arrivati da soli in tre secoli; il calabrese Luca Galeni, ex frate domenicano, che forse neanche Lei sospetta esser stato lo stesso Ulug Ali comandante l’ala sinistra della flotta ottomana a Lepanto; il croata Piali Pasha, comandante delle forze di mare contro i cavalieri di San Giovanni durante il Grande Assedio di Malta nel 1565 (a proposito: perchè i programmi ministeriali italiani hanno sempre omesso il Grande Assedio?); e, per non dilungarmi troppo, finisco con il britannico Abdullah Philby, passato alle file dell’Islam negli anni Trenta e degno padre del figlio Kim, passato all’Unione Sovietica dopo aver tradito il suo Paese nel 1963.
            Ripeto che non scherzo nell’affermare che questo genere di informazioni farebbe del bene enorme alla salute intellettuale della gioventù italiana, aiutandola a uscire dal buco in cui l’ha sprofondata un’educazione di Stato povera e livellante. Finisco con l’augurarLe, Signor Ministro, di essere l’antesignana di un rinascimento culturale  che faccia risalire i nostri giovani ai livelli che meritano, e che una politica miope e asservita a ideologie dissolventi ha loro negato per troppo tempo.

          
            Silvano Borruso



[1] E’ del gennaio 2001 la notizia che una giovane nigeriana, incinta per stupro, ricevette 100 sferzate. Il colpevole non fu neanche ricercato.
[2] Non è molto che otto religiosi cattolici di un convento algerino fecero proprio quella fine. E’ possibile che sia stata loro risparmiata la tortura per essersi accattivati le “simpatie” dei locali.
[3] Al tempo della stesura non ero al corrente della donazione che il Cardinale Pappalardo aveva fatto di una chiesa (sconsacrata?) di Palermo agli immigrati islamici per convertirla in moschea. Secondo il prelato, evidentemente si trattave di grandi valori come Fratellanza/Distensione/Dialogo/Ecumenismo e chi più ne ha più ne metta. Non secondo i giornali tunisini, che il giorno dopo gongolavano: “Vittoria dell’Islam sul cristianesimo. Cardinale di Palermo costretto a cedere una chiesa”.
[4] Secondo altre fonti, 13
[5] Il lapsus memoriae è mio: la fondazione risale al 969, non al 943

Moneta debito (parte seconda)

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Giorgio NAPOLITANO il Comunista FIGLIO DI RE UMBERTO II DI SAVOIA che do...

Il governo e´in panico e ricorre alla proroga dell´emergenza

RUSSIA INVASION OF AMERICA BY THE ORGANIC ROBOTOIDS / SYNTHETIC HUMANs /...

martedì 28 luglio 2020

Senato per l’incontro “Covid-19 in Italia" (ascoltatelo tutto)

Sara Cunial ci è o ci fa?

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DURISSIMO AFFONDO DI SALVINI A CONTE IN SENATO, CITA SABINO CASSESE E MA...

Luca Barbareschi: “I numeri sul covid non tornano. E il vero vincitore della pandemia sarà Big Pharma”

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Sara Cunial e Covid, conferenza stampa a Montecitorio ----- RIPARTIAMO DALLA VERITA’ E DA CHI LA DICE

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"LA MENZOGNA REGNA SOVRANA: RECOVERY FUND NON RISOLVE NULLA" ► PROF. SAP...

End of Mussolini - 1945 | Movietone Moment | 28 Apr 17

MOMENTI IMBARAZZANTI RIPRESI IN DIRETTA ( MILITARI E SOLDATI )

«Medici per la verità»: una voce che cambia la storia del Covide 20 meno 1

"Governo Conte ha mentito sui numeri: non esiste nessun contributo a fon...

lunedì 27 luglio 2020

TOH, MENTRE L'EUROPA FINGE DI DARCI I SOLDI (CASUALMENTE) RIPARTONO GLI ...

"Governo Conte ha mentito sui numeri: non esiste nessun contributo a fon...

Vanguard, BlackRock e State Street Global Advisor sono i 3 maggiori Mutual Funds del mondo

di
                   Glauco Benigni                                 
Si chiamano Vanguard, BlackRock e State Street Global Advisor, sono i 3 maggiori Mutual Funds del mondo. Sono noti anche come "Fondi comuni", ovvero Fondi di investimento, gestiti da esperti professionisti, che raccolgono denaro "fresco" da una sterminata e variegata quantità di investitori e risparmiatori. Con questo "denaro fresco" acquistano titoli nelle diverse borse del pianeta e ridistribuiscono utili (quando va bene) a coloro i quali hanno loro affidato l'eccedenza del proprio capitale e/o i propri risparmi. Gli investitori possono essere di natura commerciale o istituzionale, ma anche semplici privati che accedono ai diversi piani di investimento riconducibili e controllati dai Big 3.

I 3 appaiono strettamente interconnessi l'uno con l'altro, grazie a incroci proprietari e legami molto riservati e personali tra i loro rappresentanti al vertice delle operazioni e dei rispettivi Boards.

In sostanza quando si parla di "capitalismo finanziario", di "imperialismo neoliberista" o quando si evoca "la Finanza" tout court, quale bussola per orientare i destini della contemporaneità e del futuro, si parla di o meglio "si evocano" Loro senza menzionarli. Come ogni vero Potere sono già Tabù.

I 3 sono al centro di una vasta galassia di sigle, in cui compaiono altri importanti Mutual Funds e soggetti finanziari (tra cui: Fidelity, T-Rowe, Goldman Sachs, J.P. Morgan, Morgan Stanley). Le masse finanziarie da loro gestite agiscono come all'interno di un sistema gravitazionale, provocando attrazioni e repulsioni sull'intera costellazione bancaria e assicurativa. Grazie alle posizioni strategiche nei diversi azionariati, costituite dai loro imponenti investimenti, i Big 3 sono in grado di "condizionare" gli indirizzi di ogni area di attività: produzione, distribuzione di merci e servizi, trasporti, sanità, ricerca, etc.

Immaginate che, negli ultimi 12 anni, siano cresciuti a dismisura, in un sistema planetario, dinamico sì ma fondamentalmente equilibrato, 3 imponenti nuovi pianeti e abbiano assunto una posizione centrale nel sistema, determinando in tal modo nuovi equilibri e squilibri e nuove orbite di tutti i precedenti pianeti e satelliti che erano presenti nel sistema.

I 3 godono ovviamente di massimo rispetto, ma fanno veramente paura a tutti coloro i quali – giustamente – temono la verticalizzazione del Potere.

Già nel 2017, Jan Fichtner, Eelke M. Heemskerk e Javier Garcia, tre ricercatori dell'Università di Amsterdam, spiegavano che: "Dal 2008 si è verificato un massiccio spostamento dalle strategie di investimento attivo a quelle passive (vedi in seguito n.d.r.). Il settore dei fondi indicizzati passivi è dominato dalle "Big Three". Abbiamo mappato in modo esaustivo la proprietà delle Big Three negli Stati Uniti e abbiamo scoperto che insieme costituiscono il maggiore azionista dell'88% delle 500 società presenti nell'indice S&P."

Tradotto, vuol dire che i Big Three sono i maggiori azionisti in quasi il 90% delle società in cui la maggior parte delle persone investe. Per dare un'idea, nello S&P 500 si rinvengono sia vecchi giganti della Old Economy quali: ExxonMobil, General Electric, Coca-Cola, Johnson & Johnson, J.P. Morgan; sia tutti i nuovi giganti dell'Era Digitale: Alphabet-Google, Amazon, Facebook, Microsoft e Apple. Ciò vuol dire che la loro influenza è estesa anche ai maggiori veicoli di informazione e dell'e-commerce.

Sono constatazioni eccezionali. Se - come sembra - corrispondono alla realtà, la scena che appare contravviene a ogni precedente visione di libera concorrenza e descrive una posizione dominante che mai si era realizzata nella storia.

"Attraverso un'analisi delle registrazioni delle deleghe di voto - continuano i professori di Amsterdam - si può affermare che le Tre Grandi utilizzano strategie di voto coordinate e quindi perseguono obiettivi di corporate governance centralizzata. Generalmente votano con il management, tranne che alle (ri)elezioni dei direttori. Inoltre, le Tre Grandi possono esercitare un "potere occulto" attraverso due canali: in primo luogo, attraverso impegni privati con il management delle società investite; e in secondo luogo, perché i dirigenti delle società potrebbero essere inclini ad assecondare gli obiettivi delle Big Three."

BlackRock ha recentemente sostenuto di non essere legalmente il "proprietario" delle azioni che detiene. "Siamo piuttosto i custodi del denaro a noi affidato dagli investitori"- affermano.

È un tecnicismo da interpretare: ciò che è innegabile è che i Big Three esercitano i diritti di voto associati a queste azioni. Pertanto, devono essere percepiti come proprietari di fatto dai dirigenti aziendali. È facile "essere inclini" quando la tua poltrona e la tua liquidazione milionaria dipende da chi "custodisce" il pacchetto azionario di controllo della società per cui lavori.

Fin quando l'indice accusatorio veniva puntato dagli europei - e nonostante le preoccupazioni della commissione antitrust della UE - la scena, in USA, veniva minimizzata e i rischi, ad essa connessi, sottovalutati. L'anno scorso però si sono svegliati l'Antitrust e il Dipartimento di Giustizia statunitensi. I veri motivi del nuovo stato di allerta sono ovviamente politici e riconducibili agli assetti di potere dentro e intorno alla Casa Bianca. Ufficialmente le autorità hanno mostrato preoccupazione perchè tra coloro i quali hanno messo sotto la lente d'ingrandimento i Big Three è comparsa la Harvard Law School. Dai loro prestigiosi scranni, Lucian Bebchulk e Scott Hirst, due accademici considerati tra i massimi esperti in corporate governance hanno prodotto uno studio allarmante che si intitola The Specter of Giant Three. In sostanza, conti alla mano, si dimostra che da soli i 3 gestiscono 16 trilioni di dollari (nel 2019) e che in tal modo si trovano a controllare 4 azioni su 10 delle maggiori corporation USA.

Come spiegato da Vincenzo Beltrami su Startmagazine: "Il paper di Harvard ha il merito di fotografare la crescita esponenziale che soprattutto BlackRock e Vanguard andranno a esercitare nei prossimi anni negli assetti finanziari ad oggi conosciuti, innescando un cambio di paradigma globale di cui già oggi è possibile prevedere gli effetti. Gli accademici di Harvard hanno calcolato che le masse gestite da questi giganti, con il relativo potere di rappresentanza che ne consegue, sono destinate a incrementarsi rispettivamente del 34% nei prossimi dieci anni e del 41% calcolando un arco temporale di un ventennio".

Vediamo ora qualche "dettaglio" pubblicato su Wikipedia:


The Vanguard Group ha sede a Malvern, un sobborgo di Philadelphia, in Pennsylvania. È stata fondata nel 1975 da John C. Bogle, gestisce un patrimonio pari a 6,2 trilioni di dollari grazie a circa 17.000 dipendenti. L’attuale CEO si chiama Mortimer J. Buckley.

BlackRock ha sede a New York. Gestisce un patrimonio totale di 7,5 trilioni di dollari, dei quali un terzo investito in Europa e 500 miliardi nella sola Italia. È stata fondata nel 1988 da Laurence D. Fink (CEO), Susan Wagner e Robert S. Kapito. Ha 15.000 dipendenti.

State Street Global Advisors è la divisione di gestione degli investimenti di State Street Corporation. Gestisce circa 3 trilioni di dollari. Ha sede a Boston, Massachusetts. Il CEO è Cyrus Taraporevala. Ha 2500 dipendenti.

Questi dati confermano che il patrimonio totale gestito da Big 3 ammonta a 16 trilioni nel 2019. Ora la domanda è: se la cassa è pari a 4 volte il PIL tedesco o, se volete, a 8 volte il debito pubblico italiano… qual è la visione del futuro di Chi la gestisce?

Ma soprattutto, tornando alle proiezioni degli accademici di Harvard, se si superano i 20 trilioni nel 2030 e si vola verso i 30 trilioni nel 2040, allora la cassa sarà pari a metà del PIL dell’intero pianeta Terra.

Come è possibile che, sommando tutti gli addetti dei 3 Big, pari a 35.000 persone, si possa gestire una simile massa finanziaria che è equivalente a quella prodotta da metà della popolazione, ovvero 3,5 miliardi di umani? Sta succedendo qualcosa di grave. Hanno ragione le antitrust dunque (ma sono in grado di intervenire?). Se c’è, dov’è il trucco?

Una prima risposta “tecnica” ce la fornisce Enrico Marro dalle colonne de Il Sole 24 Ore: “Va chiarito che il principale driver della crescita è rappresentato dalla gestione passiva: ovvero dagli ETF, destinati a toccare i 25mila miliardi di dollari di masse gestite entro i prossimi sette anni secondo le stime di Jim Ross, presidente di State Street".

Gli ETF, ovvero gli Exchange-Traded Fund, sono un tipo di fondi d'investimento appartenenti agli ETP (Exchange Traded Products), ovvero alla macro famiglia di prodotti a indice quotati, aventi il fine di replicare un indice di riferimento (benchmark) con interventi minimi. Diversamente dai fondi comuni d'investimento e dalle SICAV, hanno gestione passiva, sono svincolati dall'abilità del gestore e sono quotati in borsa con le stesse modalità di azioni ed obbligazioni. Gestione passiva significa che il loro rendimento è legato alla quotazione di un indice borsistico (che può essere azionario, per materie prime, obbligazionario, monetario etc.) e non all'abilità di compravendita del gestore del fondo. L'opera del gestore si limita a verificare la coerenza del fondo con l'indice di riferimento (che può variare per acquisizioni societarie, fallimenti, crolli delle quotazioni ecc.), nonché correggerne il valore in caso di scostamenti tra la quotazione del fondo e quella dell'indice di riferimento, che sono ammessi nell'ordine di pochi punti percentuali (1% o 2%).

La "gestione passiva" rende tali fondi molto economici, con spese di gestione solitamente inferiori al punto percentuale, e quindi competitivi nei confronti dei fondi attivi. La loro diversificazione grande o enorme, unita alla negoziazione borsistica, li rende competitivi nei confronti dell'investimento in singole azioni. Et voilà !

Sono nati negli Stati Uniti nel 1993, negoziati nell'AMEX per riprodurre l'andamento dell'indice Standard & Poor 500; (in Italia sono stati quotati a partire dal 2002).

Gli ETF si possono definire anche "cloni finanziarii" perchè imitano fedelmente l'andamento di un determinato indice.

Continua Enrico Marro: "Ormai esistono “cloni” di ogni tipo, da quelli legati alle quote rosa a quelli che seguono la Bibbia, da quelli che investono ascoltando Twitter a quelli guidati dalle intelligenze artificiali o che puntano sulla marijuana terapeutica. Senza contare gli ETF che seguono sofisticate strategie “smart beta”, più o meno controcorrenti, talvolta stravaganti. Manca solo un “clone” sul Bitcoin, bloccato sul nascere dalle autorità di regolamentazione statunitensi per ovvi motivi di stabilità finanziaria e di buonsenso".

Vorrei aggiungere a questa spiegazione tecnica alcune considerazioni di macro politica finanziaria. Prima del boom delle borse, e in dettaglio prima dell'avvio di Nasdaq, che ha sostituito la compravendita "umana" con la compravendita digitale gestita da algoritmi, il Valore di Scambio (capitalizzazione finanziaria) era fortemente correlato con il Valore d'Uso (prodotto dall'economia reale). Semplificando si può dire che la ricchezza materiale (il PIL) aveva un suo contrappasso ragionevole nella ricchezza trattata nelle borse. Con l'avvento di Nasdaq e la prima collocazione in borsa delle società "all digital" la finanza inizia un percorso di virtualizzazione numerica, favorito dagli scambi digitali che avvengono in uno spazio tempo in cui la velocità e i volumi tendono a infinito mentre i tempi d'accesso e di scambio tendono a zero. In questa nuova "dimensione numerica-finanziaria" la produzione di valore di scambio viene esaltata e cresce esponenzialmente il suo volume "slegandosi" dal contrappasso materico (l'economia reale). Ciò ha consentito agli speculatori di accedere alla produzione e gestione di masse finanziarie sterminate, che vengono create in continuazione semplicemente grazie alla moltiplicazione degli "scambi" e non hanno a che vedere con l'economia materica reale. Tant'è che è noto ormai che per ogni dollaro o euro corrispondente a valore d'uso (economia reale) esiste in circolazione nelle borse (secondo il FMI ) un valore equivalente un po' maggiore. Così ce la racconta l'FMI. Secondo altre fonti però il valore della capitalizzazione nelle borse sarebbe da 4 a 8 volte superiore a quello del PIL planetario.

Ecco un'altra spiegazione - abbastanza sconcertante - del perchè 35.000 addetti gestiscono un valore equivalente a quello che viene prodotto da 3,5 miliardi di umani.

Vediamo ora la scena dal punto di vista delle norme.

Nel 1933 in USA il Banking Act venne inserito all'interno della più ampia legge Glass-Steagall Act. Era la risposta alla crisi finanziaria del 1929, mirata a introdurre misure per contenere la speculazione da parte degli intermediari finanziari e prevenire le situazioni di panico bancario. Tra le misure si prevedeva l'introduzione di una netta separazione tra attività bancaria tradizionale e attività bancaria di investimento. In base alla legge, le due attività non poterono più essere esercitate dallo stesso intermediario, realizzandosi così la separazione tra banche commerciali e banche di investimento. Si impediva, di fatto, che l'economia reale fosse direttamente esposta all'influenza della finanza. A causa della sua successiva abrogazione nel 1999, nella crisi del 2007 è accaduto invece proprio il contrario: l'insolvenza nel mercato dei mutui subprime, iniziata nel 2006, ha scatenato una crisi di liquidità che si è trasmessa immediatamente all'attività bancaria tradizionale, perchè quest'ultima era in commistione con l'attività di investimento.

Tra gli effetti dell'abrogazione si è permesso la costituzione di gruppi bancari che, al loro interno, consentono, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l'attività bancaria tradizionale sia l'attività assicurativa e di investment banking. Dopo la nuova Grande recessione del 2008, durante la presidenza Obama, si tentò di ripristinare almeno parzialmente la Glass Steagall con il Dodd-Frank Act. In realtà la porta si era aperta e i buoi erano già tutti scappati. Oggi alcuni osservatori ritengono che la marcia trionfale dei Mutual Funds è stata resa possibile proprio dall'abrogazione del Glass-Steagall Act.

E infatti l'entità del cambiamento è sorprendente: dal 2007 al 2016, i fondi gestiti attivamente hanno registrato deflussi per circa 1.200 miliardi di dollari USA, mentre i fondi indicizzati hanno avuto afflussi di oltre 1.400 miliardi di dollari USA.

Giungiamo ora a delle considerazioni-conclusioni di ordine storico filosofico che riguardano il comportamento collettivo della specie umana. A seguito delle Grandi Rivoluzioni si era diffusa l'idea di uguaglianza e i Diritti, in alcune stagioni, apparivano migliori degli Interessi. Ciò rimandava all'idea di distribuzione della ricchezza, da perseguire grazie alla contrattazione tra Forza Lavoro e Capitale. Era un'azione che si conclamava con l'ipotesi che i mezzi di produzione dovessero appartenere a chi produceva di fatto la ricchezza e non ai Padroni del Capitale. Nonostante le molte battaglie civili e politiche, con la resa incondizionata dell'URSS e il tramonto delle idee socialiste e comuniste, il capitalismo e i suoi succedanei hanno vinto il braccio di ferro con le masse operaie e contadine e con la classe di intellettuali che li sostenevano. Le Elites hanno imposto un neoliberismo che si fonda non più e non solo sull'egemonia derivante da accumulo di plusvalore ricavato dalla produzione di merci, ma su una serie di nuove fonti di reddito, tra le quali brilla - come descritto - la produzione incontrollata di valore di scambio nelle borse.

Ebbene, è qui che si è posta la scelta da parte della popolazione mondiale negli ultimi 30 anni: è meglio lottare per possedere i mezzi e le infrastrutture di produzione o è meglio tentare di partecipare agli utili che il sistema neoliberista produce in borsa?

Visto lo scarto svantaggioso tra i volumi dell'economia reale e quelli della finanza-numerica; viste le aliquote di tassazione rispettive che favoriscono la finanza; unitamente alla propaganda politica, alla seduzione della pubblicità e all'induzione di stili di vita favorevoli al liberismo individualista, la scelta si sta sempre più orientando verso la seconda opzione. E così la weltanschaung anglo-american neoliberista, caratterizzata dall'accettazione della "scommessa" batte ai punti le visioni caratterizzate dalla ricerca delle "certezze". In questo momento decine (forse centinaia) di milioni di risparmiatori e milioni di piccole e medie aziende non re-investono i propri risparmi e le proprie eccedenze di capitale in strutture produttive e solo un'esigua minoranza immagina di generare lavoro per sé e per i propri "uguali". Non ci pensano proprio! Non appena c'è un po' di risparmio, un trattamento di fine rapporto, un lascito ereditario o un capitale immobilizzato, la stragrande maggioranza cerca "una via breve" per farlo fruttare, ovvero il modo migliore di investirlo per trarne utili e rendite di posizione senza affaticarsi e preoccuparsi "del prossimo".

Un dato eloquente: secondo un’analisi di Morningstar riportata dal Financial Times, BlackRock e Vanguard nel 2018 hanno raccolto da soli il 57% di quanto affluito globalmente nel variegato panorama dei fondi comuni.

Diciamo che nell'eterno oscillare tra individualismo e solidarietà collettiva, il polo che rappresenta gli interessi personali immediati e misurabili sta conducendo la partita su un terreno che è totalmente sfuggito al controllo dell'Umanesimo solidale.

Per tornare all'argomento Mutual Funds e concludere: sono in molti a ritenere che sia tutto lecito e che il loro successo sia determinato da circostanze storiche e conoscenze alte e superiori alla media delle capacità di massa. Ma si sa che dietro questa immagine di efficienza si celano pratiche molto opache e ambigue. Pratiche che potrebbero consentire perfino, viste le enormi quantità di denaro in ballo, di comprare non solo i manager delle aziende ma anche i Governi e le Opposizioni delle democrazie. Teniamone conto.

fonte

PATTO JULIAN ASSANGE E NON SOLO CON MORENO PASQUINELLI

venerdì 24 luglio 2020

German Army Parade (1938) | British Pathé

Battaglia di El Alamein: prima corrispondenza cinematografica (1942)

Nazi General Anton Dostler is tied to a stake before his execution by a ...

A PROPOSITO DI ATTENTATI O AUTOATTENTATI SDV 0071 1

FILOSOFIA DELLA SALUTE di Silvano Borruso


FILOSOFIA DELLA SALUTE
Preliminari
Se lo studio della filosofia fosse rimasto, come suggeriva S. Tommaso, una ricerca della verità e non un catalogo di pensatori più o meno bendati che danno colpi a vuoto, avremmo avuto, per il XX secolo, una filosofia per ognuno dei campi del sapere: della scienza, del linguaggio, dell’economia e via dicendo.
Purtroppo non è stato così. Dall’abbandono del principio e metodo scolastici, la filosofia ha perduto i suoi strumenti di ricerca. Il risultato è sotto gli occhi non di tutti, ma di chi si inoltra, anche brevememte, negli anfratti delle facoltà omonime. Cosa vi trova? Vi trova adepti (si stenta a chiamarli “filosofi”) che avanzano a tentoni senza principio né metodo.
Se vi fossero un tale principio e metodo, i medici comincerebbero definendo la salute per poi investigare le cause di una perdita di essa. Ma una tale filosofia non esiste. Esistono ipotesi, promosse a teoria senza passare per le forche caudine della sperimentazione. Per imporre le quali esistono potenti organizzazioni che “certificano” chi passa per le loro forche caudine, in realtà asserendo non più del fatto che il detentore del variopinto pezzo di carta ha passato un certo numero di prove messe su, giudicate e approvate da “professori” da loro qualificati.
C’è chi scopre principi e metodo con l’esperienza. Molti anni fa ebbi la gran fortuna di attendere due lezioni di pronto soccorso da un medico con 40 anni di pratica in Africa. Tra le cose che non dimenticherò mai ci disse:
“Noi medici non curiamo niente. Non possiamo. Il nostro compito è di stare attorno al paziente, ispirando confidenza e serenità, mentre la natura si occupa di restituirgli la salute”.
Il grosso dei medici, specialmente se alle prime armi, non sospettano la saggezza di codeste parole da Ippocrate redivivo, ma seguono, con una sicumera degna di miglior causa, non una ma tre false filosofie, retaggio di altrettanti ciarlatani immeritatamente promossi a idoli.
Teofrasto Bombasto von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541)
Svizzero, gran viaggiatore e scrittore, viene chiamato “padre della tossicologia”, per aver scoperto che nessuna sostanza è tossica al di sotto di un certo limite, e che tutte lo sono al di sopra di un altro.
Scoprì anche che un farmaco (anche di origine minerale) poteva far sparire certi sintomi, dando così l’impressione di aver curato la malattia. Con questa teoria fa i soldoni oggi un’industria farmaceutica con giri di miliardi, il cui interesse è far vivere la gente a lungo, ma permanentemente inferma di qualcosa. E ci riesce, grazie a un’armata di medici addestrati, quando non lautamente retribuiti, dai suoi imbonitori.
René Descartes, detto Cartesio (1596-1650)
Francese, padre della geometria analitica e nemico giurato della filosofia Scolastica, fu l’inventore del metodo anti-filosofico cogito ergo sum, cioè l’illusione che il pensiero umano sia all’origine della conoscenza, e non le cose che esistono indipendentemente da esso.
La medicina ufficiale prende ordini da due dettami del Nostro: primo, che corpo e anima sono due sostanze separate, ognuna con le sue leggi; secondo, che il corpo umano è una macchina, per cui ad un certo stimolo corrisponde invariabilmente una certa reazione.
L’applicazione pratica del principio e metodo cartesiani, nella medicina ufficiale, è il protocollo, dettato da una diagnosi non da un medico in persona, ma da una macchina che compone una base di dati raccolti da numerose prove di sangue, urina ecc.
Ma Natura non irridetur. A volte il protocollo funziona, a volte no, e data l’immensa varietà degli esseri umani, nessuno può prevederne il risultato finale. Quando è il decesso, se il medico curante ha seguito il protocollo viene automaticamente scagionato da ogni responsabilità. Se ha agito in scientia et conscientia, cioè criterio personale, egli viene automaticamente incolpato delle conseguenze. Giudichi il lettore quanto ciò giovi al paziente, al medico, alla scienza e all’umana società.
Louis Pasteur (1822-1895)
Francese, padre della teoria del monomorfismo microbico all’origine delle malattie, della disinfezione, del termine virus, della vaccinazione generalizzata, e quant’altro. È impossibile affermare chi dei tre abbia causato più danni. È possibile invece affermare che senza i tre, e liberandosi non da Ippocrate ma da Galeno, che per secoli tenne la medicina all’oscuro, l’ecatombe del 1918 (la spagnola), lo stillicidio di morti inutili durante il secolo XX e la falsa pandemia del 2020 non sarebbero accadute.
Questo saggio si propone di esporre una filosofia della salute e non della scienza medica, per una ragione squisitamente filosofica: le più che 4mila “malattie” elencate dalla medicina ufficiale, non esistono. Nessuno si è mai imbattuto in una sola di esse. Esistono invece gli ammalati, ognuno dei quali soffre di un disordine o di una combinazione di essi unica, e pertanto non ripetibile. E dato che de particularibus non est scientia, come ammonivano gli Scolastici, non vi può essere una scienza delle malattie o degli ammalati. Vi può solo essere una scienza di quello che metafisicamente è un ordine di ciò che è, la salute.
Il saggio vertirà quindi sulla definizione, cause ed effetti, relazioni ecc. della salute, sia  corporale sia spirituale, e di cosa accade quando quell’ordine viene violato per una ragione qualsiasi. In altre parole, tratterà di una teoria della salute, dove tutti e solo i suoi elementi trovano un posto. Sarà quindi una scienza di universali, applicabile a ogni membro della specie umana senza eccezioni.
Che cos’è la salute corporale?
Un filosofo distratto potrebbe cominciare cercando di definire il suo soggetto, ma sarebbe richiamato presto all’ordine dal breve testo di De Ente et Essentia dove S. Tommaso ammonisce  che solo un ens con essenza, cioè una sostanza, è passibile di definizione.
E non sempre. Degli esseri viventi, per esempio, benché siano tutti sostanze, l’uomo ignora l’essenza. Per cui si deve contentare di descrizioni più o meno superficiali, accettando che la mente umana è incapace di penetrarne l’essere fino a raggiungerne l’essenza.
E la salute? Essa non è sostanza, per cui non ve ne può essere una definizione. Si può solo descriverla seguendo le gradazioni del metodo scientifico: osservazione, enunciato del problema, ipotesi, esperimento, teoria. Tentiamolo.
La salute è l’ordine di due flussi concomitanti: Il primo, di sostanze nutritive che, partendo dalla microflora del suolo, raggiungono il sangue e da questo le cellule dopo aver attraversato radici, fusti, foglie e frutti di piante commestibili, e il canale alimentare.
Il secondo è di sostanze tossiche dovute al metabolismo, che ritornano al medio ambiente dopo aver attraversato uno o più dei quattro grandi emuntori del corpo umano: intestino, reni, polmoni, pelle. Lunghetta la descrizione, ma adatta, penso, alla bisogna.
Se non vi sono ostacoli a nessuno dei due flussi, vi è salute. Se l’uno, o l’altro, o entrambi, vengono disturbati o peggio ostacolati, ecco apparire tutta una congerie di sintomi che la medicina ufficiale chiama “malattia”. Così facendo, essa medicina ufficiale promuove sintomi miscugli di qualità e relazione, ossia accidenti esistenti in una sostanza e non di diritto proprio, a sostanza, che per definizione esiste di diritto proprio e non in qualcos’altro.
Ecco perchè codesta medicina è incapace di definire, o anche descrivere, la salute. Se dice “assenza di malattia” prende non uno ma due granchi: a) considera la malattia come res, cosa; b) fa uso di una proposizione negativa, il peggior tipo che vi sia. Dire poi “benessere” o “buono stato” sono esercizi semantici senza valore alcuno.
Consideriamo ora che mentre per le malattie i sintomi sono legione, per la salute essi sono pochi, chiari, universali, ma soprattutto misurabili e quindi gestibili. Diamo loro un’occhiata.
I sintomi della salute
La salute ha sette sintomi: il sonno, l’appetito, la defecazione, la minzione, la forma fisica, la difesa effettiva contro agenti invasori, e la chiusura rapida delle ferite. Codesti sintomi non sono indipendenti, ma connessi. Analizziamoli:
1.      Il sonno
Passiamo un terzo della vita dormendo, o dovremmo. Ma troppe cose ci impediscono di farlo come natura vuole.
Per essere effettivo, il sonno deve essere profondo e a tempo, cioè di notte. Addormentarsi disordinatamente conduce inevitabilmente ad altri disordini, che non c’è maniera di prognosticare, essendo diversi l’uno dall’altro.
Il sonno ristora le forze spese di giorno, ma ecco un secondo problema: la vita sedentaria di molti non crea quel senso di salutare stanchezza che fa dormire bene. La vita contadina, con una attività fisica moderata ma incessante, era ideale per conciliare un buon sonno. Chi fa una vita da atleta (fino a quando le forze glie lo consentono), ha bisogno di più ore di sonno, fino a dieci dalle sette-otto di chi fa vita ordinaria.
Diceva Ippocrate: “Camminare è la miglior medicina”. C’è chi raccomanda 45 minuti giornalieri per raggiungere il grado di stanchezza che permetta un sonno profondo. Come sempre, per alcuni funziona, per altri no. Questo paragrafo è solamente un suggerimento.
Il sonno è anche terapeutico. Quando un ammalato cade in un sonno profondo è buon segno. Si sveglierà da sé forse non guarito, ma certo migliorato. Il sonno induce le cellule del corpo a liberarsi di tossine da espellere per mezzo di uno dei quattro grandi emuntori su elencati.
L’insonnia non è “malattia”, ma un sintomo di salute che sparisce. Trovarne la causa non è facile, data l’umana diversità commentata sopra. Qui entra la sperimentazione, meglio se sotto controllo di un medico che capisca.
Privarsi di sonno per qualunque motivo prima o poi fa apparire un insieme di sintomi che la medicina ufficiale promuove a malattia, e tenta di curare con un farmaco. Ma i farmaci non curano: trasferiscono un sintomo da qui a li, per venire sostituito da un altro sintomo, così prolungando la vita dell’infermo, e foraggiando l’industria di chi vive a spese di chi sta male.
L’organo del sonno è il corpo nel suo insieme. Ecco perché va messo al principio, per farlo seguire dai sei sintomi che rimangono.
2.      L‘appetito
Facciamo il nostro ingresso nel canale alimentare, e capiremo presto perchè Ippocrate di Kos  (460-370 a.C.) aveva, tra i suoi aforismi, “Tutte le malattie cominciano nelle budella”.
La prima percezione è capire che esistono due appetiti, uno vero e uno falso. Quello vero è determinato da uno stomaco vuoto, che richiede cibo senza mezzi termini. Quello falso è determinato da cattive abitudini, specialmente il mangiare disordinato. Come distinguerli? Bevendo acqua, l’appetito falso sparisce. Quello vero rimane, quindi va soddisfatto.
Ma come e quando? Mangiare a casaccio è disordine, foriero inevitabile di disordini ulteriori.
Si mangia con ordine prestando attenzione al ciclo digestione – assimilazione – eliminazione, così da gestire il primo flusso salutifero e parte di quello escretivo, come vedremo subito.
In un soggetto sano, questo ciclo dura circa 14 ore da ingestione ad eliminazione. Se dura di più, qualcosa non funziona, ma non esiste una diagnosi universale: bisogna esaminare le proprie abitudini con il pettine fine fino a dare nel segno. Ma seguiamo il ciclo naturale.
“Quanto, come e cosa mangiare”?, non sono domande oziose, ma vitali per mantenersi in salute. Il volume naturale per qualsiasi pasto è quello di un pugno chiuso. “Pochissimo” diranno i più. E lo dicono perchè il principio fisico che è alla base non solo del nutrirsi ma anche della tecnica del trattamento del cibo (vulgo “cucina”) viene loro occultato da una scuola inutile che Giovanni Papini (1881-1956) nel lontanissimo 1914 già proponeva di chiudere.[1]
Questo principio è il rapporto tra superficie e volume, che interessa non solo i due campi suddetti, ma molti altri che esulano da questo saggio. Se un detto latino dice “prima digestio fit in ore” è perché masticando a fondo tutto quello che si mangia si fa aumentare geometricamente la superficie di cibo attaccata dai succhi gastrici, mentre il volume del cibo deglutito rimane lo stesso. Se si conta il numero di masticazioni per ogni boccone, si arriverà a una media di 30. Masticare richiede tempo, ma questo è proprio il punto: mettendo in bocca bocconi piccoli si ha tempo per conversare e pensare, senza aumentare a dismisura la quantità che stomaco, intestino e colon dovranno trattare nelle prossime 14 ore. E si soddisfarrà l’appetito con il “pugno chiuso”.
Cosa mangiare è questione di idiosincrasia personale, della quale non vi è scienza come già notato. Ma esistono dei principi validi che assicurano la salute applicandoli.
Si fa colazione al tempo dell’eliminazione. Sia che si preferisca salata, o dolce, o di qualunque altro gusto, è bene cominciarla con frutta fresca e polposa, che facilita l’eliminazione di scorie dal cibo ingerito il giorno prima e assimilato durante la notte.
Si pranza alla fine dell’eliminazione e all’inizio della digestione. Non importa quello che si mangia, purchè non si violi il doppio principio del pugno chiuso e della masticazione a fondo. Lo stomaco si incaricherà di completare la digestione nelle prossime tre-quattro ore.
Si cena abitualmente al tempo della fine della digestione e dell’inizio dell’assimilazione. Dal già detto si dovrebbe evincere che codesto pasto è più una questione di moda e di abitudini non sempre sane che di necessità. Non per niente un proverbio ispanico recita “Di buone cene son le tombe piene”, corroborando Ippocrate con il suo “ogni malattia comincia nelle budella”.
Le cattive abitudini mangerecce sono numerosissime. Ne esporrò alcune per darne una idea, senza pretendere di esaurirle.
Mangiare senza appetito, cioè senza un evidente sintomo di salute. Se l’appetito sparisce, è segno che il corpo ha bisogno delle sue energie per far fronte a problemi diversi dalla digestione. Seguiva Ippocrate: “Ognuno di noi ha un dottore dentro di sé. Sono le forze vitali che vogliono fare il loro lavoro indisturbate, o meglio essere aiutate, non ostacolate.” Ingerendo cibo in uno stomaco non preparato da un salubre appetito, si invita il cibo ingerito a fermentare anaerobicamente producendo veleni. Questi vanno espulsi, ma lo saranno? A volte sí, a volte no. Il rischio, comunque, è meglio evitarlo.
Mangiare senza masticare. Da diversi anni il Guinness Book of Records non registra primati da ingestione di cibo. La ragione è che questa pessima pratica è risultata letale per un certo numero di sprovveduti. Uno di costoro fu un giovane di 26 anni che voleva battere il record di ingestione di lumache, che mandava giù senza masticare. L’indigestione lo uccise. La mancata masticazione porta invariabilmente ad eccedere il volume del pugno chiuso, inghiottendo cibo voluminoso ma con poca superficie di attacco per i succhi gastrici. La fermentazione sostituisce la digestione, con risultati deleteri.
Mangiare senza un orario che secondi il ciclo naturale visto sopra. Durante la digestione naturale, nel pomeriggio, è possibile esser tentati da qualche manicaretto incontrato qui o là, e mangiato senza bisogno. Aggiungere una seconda digestione ad una già in corso disordina il ciclo, disperdendo le forze vitali. Si mangia con gli occhi invece che con lo stomaco. Peggio se la digestione fuori tempo ha luogo durante l’assimilazione, di notte. Passando davanti a un frigorifero dirigendosi al bagno, si è tentati di aprirlo per vederne i contenuti, e ingestirne uno per semplice sfizio. Lo scontro tra le due funzioni non può non portare malessere, anche se non percepito immediatamente.
Ingerire cibo spazzatura. Gli ultimi 100 anni hanno visto la produzione, e continuano a vederla, di grandi quantità di sostanze piacevoli al palato, ma non appartenenti alla natura delle cose, e pertanto non riconosciuti dal corpo come cibo. Il primo esempio nel tempo fu la margarina, un grasso idrogenato lanciato sul mercato nel 1912. Invece di assimilarlo, il corpo lo spazza sotto il tappeto, cioè nei tessuti adiposi, e ve lo accumula. Chi ingrassa senza capire perché, troverà la ragione in questa pratica, spesso inosservata per pura ignoranza.
Mangiare cibo deficiente in elementi nutritivi. Codesto punctum dolens è di lunga data. Risale alle nefaste “scoperte” del barone Justus von Liebig (1805-1873). Si credeva, al tempo, che lo humus del suolo fosse il cibo naturale delle piante. Il barone “scienziato” sbugiardò quella credenza, provando che il cibo vero delle piante fossero invece i sali di azoto, fosforo e potassio. E così nacque l’industria dei concimi chimici, che tiene banco ancora oggi in tutti i paesi flagellati dall’agricoltura industriale, cioè con poca manodopera e potenti macchine.
Mai granchio fu più esiziale per la salute dell’uomo e del suo bestiame. Avvenne che il buon barone, chimico specializzato ma ignorante di biologia, non capì la vera funzione del cosiddetto humus. Cerchiamo di capirla qui.
Lo humus è un sustrato vivo, detto anche microflora del suolo. Consiste di una quantità tale di micro organismi come batteri, protozoi, vermi, molluschi, perfino crostacei, che una sua analisi completa non è mai stata fatta, né mai lo sarà, per l’eterna frustrazione della scienza.
Come si evince dalla descrizione della salute, la funzione di codesti microorganismi è di convogliare sostanze nutritive dai minerali del suolo alle radici dei raccolti, nel tempo e modo richiesti dalla natura.
È un processo che richiede tempo. I contadini di una volta sapevano che bisognava aspettare perché si formassero le radici, sulle quali crescevano vigorosi fusti, foglie e frutti di piante naturalmente resistenti a parassiti di ogni tipo, e che sintetizzavano praticamente tutti i composti organici responsabili per il mantenimento della salute di uomini e bestie.
I fertilizzanti artificiali fanno da scorciatoia che permette all’agricoltore lauti guadagni in breve tempo, con raccolti di apparenze bellissime, attraenti. Ma i proventi che aumentano a monte andranno spesi a valle in cure sanitarie, o in farmaci e integratori dispendiosissimi nonché inutili, pacchia dell’industria della malattia a spese di una salute  danneggiata da una insufficiente ingestione di elementi nutritivi.
Chi ricorda i sapori di una volta si accorge immediatamente dell’inganno: prugne ed angurie di peso da Guinness Book of Records ma insipide più di una zucca, e via assaggiando.
Per difendersi da un tale stato di cose bisognerebbe identificare tutti gli elementi nutritivi mancanti, impresa evidentemente impossibile. È possibile però adottare un regime quanto più possibile autarchico: un fazzoletto di terra anche di 100m2 può produrre meraviglie se gestito bene; c’è chi coltiva cibo in vasi da fiori di piccole dimensioni. Eccetera.
Chi deve acquistare cibo, lo faccia non da supermercati ma da aziende agricole famigliari (dove queste resistono), e che fanno uso del composto, non del fertilizzante chimico.
Anche così, non c’è garanzia che un certo cibo contenga proprio tutti gli elementi nutritivi per mantenere la salute. Ma è quanto di meglio si possa fare.
Ingerire  falsi cibi: il pane
L’industria alimentare usa numerosissimi additivi per “migliorare” cibi resi insipidi da trattamenti che ammalano il suolo quando non l’uccidono. La lista è lunga. Suggerirei di leggere attentamente gli ingredienti di quel cibo che si intenda comprare, particolarmente il pane, che da più di un secolo viene indebitamente impoverito dall’umana ingordigia.
Quando i mugnai macinavano il grano portato loro dagli agricoltori, bisognava ripetere l’operazione a breve scadenza, date le caratteristiche del chicco di frumento.
Questo, così come nel mais o qualunque cereale, consiste di tre elementi visibili anche ad occhio nudo o con una lente di ingrandimento. Essi sono il germe, che racchiude tutte le sostanze vitali che svilupperanno la pianta; l’amido, che provvede il nutrimento al germe durante la crescita iniziale; e la crusca, protettrice dei primi due, e ricca di proteine, che macinata provvede una superficie che facilita la digestione degli altri due elementi.
Macinati insieme, i tre elementi hanno una durata di conservazione non superiore ai tre giorni: dopodiché il germe diventa rancido ed immangiabile.
La difficoltà venne aggirata dall’invenzione del mulino a dischi piani, che separa nettamente i tre elementi l’uno dall’altro, ma dei quali solo l’amido viene panificato; con gli altri due si fanno cereali di lusso che, venduti separatamente, producono lauti proventi ai commercianti.
E il pane? L’amido ha una durata di conservazione praticamente illimitata, ma la la sua farina ha sapore nullo, per cui il gusto si “migliora” con “additivi”, primo di tutti lo zucchero.
Ma non è lo stesso pane di una volta. Un prigioniero a pane e acqua non sopravvivrebbe che pochi giorni. Gli insetti non si avvicinano neanche a un amido che riempie senza nutrire.
Chi si contenta gode, ma chi non si contenta ha oggi l’ausilio di potenti mulini elettrici portatili, capaci di macinare grosso, medio o fino la quantià richiesta non solo per panificare, ma anche per piatti come la polenta, la piadina di mais e altro.
Ma costa di più!, lamenta il patito del profitto capitalista. Evidentemente, ma questo è proprio il punto. In altri termini, la salute ha un prezzo, e se questo prezzo è lavoro, benvenuto sia.
3.      La defecazione
Completato il ciclo digestione-assimilazione-eliminazione, le scorie aspettano lo stimolo giusto per lasciare il corpo e ritornare al medio ambiente.
C’è più di quanto sembri in codesto processo. Quando le feci sono indicatrici di salute, e quando di disordine?
Primo, quando non puzzano, come quelle degli animali selvatici, la cui digestione è infallibilmente del 100%. Ciò vuol dire che contengono esclusivamente scorie indigeribili, mentre tutto il digeribile è stato digerito.
Da ciò non segue che feci maleodoranti siano sempre sintomo di fermentazione putrescente, dovuta normalmente a una masticazione insufficiente. L’intestino non è solo organo digerente, ma anche emuntore. Ecco perchè di tanto in tanto le feci puzzano, ma di odori, diciamo, ad hoc, non noti. Alcuni emuntori scaricano nell’intestino veleni che non riescono, o non devono perchè non è la loro funzione, espellere da sé.
I cinesi conoscono benissimo la sindrome. Ecco perchè prosperano in quel paese odoratori professionisti di gas intestinali, che practicano il mestiere per le strade diagnosticando il tipo di disordine e inviando il cliente dallo specialista giusto. Costoro guadagnano, si dice, attorno ai 50mila dollari annuali.
Secondo, quando affondano in acqua. Se galleggiano, contengono gas da qualche fermentazione indebita.
Terzo, quando escono senza sforzo. Un pane ricco di crusca garantisce una defecazione salutare, così come la garantiscono verdure crude. Una dieta sbilanciata verso cibi cotti, raffinati, povera di scorie, fa tendere alla stitichezza, cioè alla sparizione di un sintomo di salute. Il ciclo, che dovrebbe completarsi in circa 14 ore, si prolunga alle volte per giorni, facendo sì che veleni che dovrebbero esser espulsi, si riciclino, tornando al sangue e da li a dove causano mal di testa e altro.
Le feci sono anche capaci di chelare, cioè di espellere metalli pesanti e indebitamente trattenuti in seguito a vaccini contenenti alluminio, bario e altri elementi usati per “preservarli”, come raccontato dai produttori.
Secondo natura, le feci dovrebbero esser espulse al mattino, ma le abitudini della vita moderna, sedentarie e con tre pasti al giorno, può far ripetere il processo varie volte. Niente paura: quello che deve star fuori dal corpo stia fuori: si ascolti la natura, non le convenzioni.
4.      La minzione 
Il metabolismo delle proteine conduce alla produzione di urina, utilissimo sintomo di salute o di malattia secondo i casi. Quando è l’urina sintomo di salute?
Quando il suo pH supera 7, il punto neutro tra alcalinità e acidità. Cerchiamo di capire.
Il principio di base è la differenza tra reazioni chimiche inorganiche e organiche. Le prime, di materia senza vita, sono normalmente spontanee, esotermiche, cioè producenti calore, e ossidanti; i loro sottoprodotti sono composti o di ossigeno, o di cloro o di fluoro, e irreversibili a meno di impiegare energia per strappare l’elemento all’ossido. Un esempio per tutti: l’alluminio, che fino a metà del secolo XIX era raro come l’oro, viene oggi estratto industrialmente dal suo ossido bauxite con enormi quantità di energia idroelettrica.
  Le reazioni chimiche organiche, al contrario, di materia vivente, richiedono energia sotto forma di calore e di ossigeno; esse sono riducenti, cioè i loro prodotti contengono meno ossigeno di quanto permetterebbe la loro struttura complessiva. L’ossigeno che respiriamo provvede l’energia necessaria a mantenere la riduzione. Per cui fin che essa prevale, c’è vita; quando prevale l’ossidazione, morte. Capire questo principio è determinante per mantenere la salute e tener lontane le cosiddette malattie, ossia la svariatissima gamma di sintomi che la medicina ufficiale si sente in dovere di catalogare con nomi stravaganti come se fossero cose.
Qui va capito il pH, una scala logaritmica che va da 0 a 14. Ogni grado della scala rappresenta un ordine di grandezza, non una successione lineare. Per cui un pH 6 è dieci volte, un pH 5 cento volte più acido di pH7 e cosi via.
Il sangue, il tessuto più importante del corpo, ha un limite di tolleranza per il pH che va da 7,35 a 7,45. A scala logaritimica, pH 7,35 è 350% più alcalino, 7,45 450% più alcalino di pH 7; pH 8, 1000%, o dieci volte di più.
Il sangue possiede quattro sistemi tampone per proteggersi da eccessivi sbilanci. Un pH 7, neutro per l’acqua e per l’orina, è letale per il sangue.
L’urina non è che sangue filtrato dai reni, e depurato di elementi tossici o comunque non desiderabili. Il suo pH varia da 4.5 a 8, cioè di un fattore di 1500 tra acido e alcalino. La tolleranza è molto più ampia che per il sangue, per cui un’urina di pH 5-6 indica non più di una dieta ricca di elementi acidi. Ma se dovesse scendere a 4,5 o meno, attenzione: un sintomo di salute sparisce. La malattia, o sintomo di disordine, è dietro l’angolo.
Per cui il fattore più importante per una dieta salutare non sono le calorie o altre caratteristiche dettate da una moda o da un’altra. Checché si mangi, si preferiscano cellule vive a tessuti morti, cioè metà di quel che si ingerisce consista di frutta e verdure crude.

5.      La forma fisica
Polmoni e cuore lavorano di conserva per mantenere la salute. Quattro tipi di esercizio fisico si prestano alla bisogna: camminare, correre, nuotare, pedalare. Quale dei quattro uno scelga è altamente idiosincratico. Si è in forma quando si è in grado di raddoppiare il ritmo cardiaco senza ansimare, e ricuperare il ritmo di riposo in pochi secondi.
Non c’è limite di età all’esercizio fisico: conosco un centenario che semina per strada uomini di mezzo secolo più giovani.
6.      La cute
Respirazione e perspirazione
Che la pelle sia un organo di respirazione lo scoprirono a Firenze nel 1515, quando Papa Leone X, un Medici, fece il suo ingresso trionfale nella città. Qualcuno ebbe l’idea di dipingere un giovanetto dalla testa ei piedi con pittura dorata. Il poveretto morì tra atroci dolori in circa un’ora. Quel ch’e peggio, non si apprese la lezione. Con l’avvento del cinema, vi sono stati attori salvati in extremis dopo aver subito lo stesso trattamento.
La cute, o pelle, è il quarto grande organo emuntore. Espelle tossine prodotte dal metabolismo o come gas (anidride carbonica), o liquido (sudore). L’espulsione di quest’ultimo è facilitata dai peli, che aumentando la superficie delle zone sudorifere, accelerano la fuoruscita di materiale tossico.
Ne segue l’insensatezza della moda depilatoria, che invece di espellere il sudore, lo trattiene. Questa escrezione ha un pH da 4,5 a 7, cioè acida. E acido, abbiamo visto, è sintomo di morte. Non ci si sorprenda, quindi, se un bel giorno spunta un cancro alla mammella anche in un uomo. Ciò non vuol dire che vi sia una corrispondenza di uno a uno tra causa ed effetto, ma che la cosa non è da escludere. Data la diversità umana, una causa può avere effetti diversi, così come una moltiplicità di cause può avere lo stesso effetto.
Quando la pelle emana cattivo odore, può esser sintomo di sporcizia; ma se eliminando questa con acqua e sapone, l’odore perdura, è sintomo che la pelle si sta accollando funzioni non strettamente sue, provenienti o da altri emuntori o da metabolismo maldiretto per una ragione od un’altra. Se ne trovi la causa sperimentando, o rivolgendosi a un medico ippocratico, una specie condannata dalla medicina ufficiale ma che ancora esiste (e resiste).
Chiusura delle ferite
L’11 aprile 1915 (gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra), un incrociatore ausiliario della Kriegsmarine germanica, Kronprinz Wilhelm, chiedeva permesso di attraccare nel porto di Newport News, in Virginia, per emergenza sanitaria. 150 membri dell’equipaggio giacevano chi con polmonite, chi con pleurite, chi con reumatismi; il medico di bordo, Dr Perrenon, riportava che le ferite, anche superficiali, tardavano troppo a rimarginarsi,  le fratture non si riducevano, eccetera. Solo gli ufficiali godevano di salute. Cos’era accaduto?
In sette mesi di assalti e cattura di navi passeggeri nemiche, l’equipaggio del K.W. ne aveva razziato le riserve alimentari, abbuffandosi di scatolame e altri prodotti della nuova (allora) industria alimentare. E fu lo scorbuto e la malnutrizione generale a forzare la nave a lasciare il teatro di guerra. Solo alla mensa ufficiali arrivava cibo fresco.
In un corpo sano, le ferite si chiudono in tempi brevissimi, senza cerotti, bende, disinfezione e inutilità del genere.
7.      Immunità naturale e resistenza alle infezioni
Inter faeces et urinam nascimur, et ridemus, recita un detto attribuito da alcuni a S. Agostino (354-430), da altri a S. Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Tralasciando considerazioni di tipo morale, l’aforisma fa capire che il neonato acquisisce la prima immunità strusciandosi contro i rimasugli di pipì e popò che trova nell’apparato urogenitale di mamma. Il che mostra anche la dissennatezza del parto cesareo innecessario, che nega detta immunità.
La superstizione pasteuriana ha instillato una microbofobia generale, al punto di averne fatto un feticcio: lavata di mani diverse volte al giorno, non bere acqua di rubinetto, disinfezione con questo o quell’ “antibatterico” ecc. È molto comune tra gli statunitensi, per esempio, che nell’avventurarsi anche nel vicino Messico vengano colpiti da malori intestinali di vario tipo, fino a ristabilire l’equilibrio tra i germi invadenti e le difese del sistema immunitario naturale.
L’evidenza del Cairo, dove i cristiani copti sono ridotti dalle politiche islamiche a occuparsi della raccolta e gestione di tonnellate di immondizia, è ancora più convincente: costoro godono di ottima salute, senza mai ammalarsi.
I corpi estranei che entrano nel corpo umano per le vie naturali vengono immediatamente confrontati, attaccati e neutralizzati da una efficiente armata di anticorpi e di “microorganismi” che si formano in e dal sangue, assolvono il loro compito e spariscono di nuovo nel sangue.
Questo meccanismo fu intravisto dal Dott. Antoine Béchamp (1816-1908), che chiamò codesta armata mycrozima, senza però osservarlo, giacché i microscopi di allora risolvevano diametri dal micron (10-6m) in su, ma non del nanometro (10-9m), mille volte più piccoli. Il microscopio elettronico, invenzione del XX secolo, li vede sì, ma “fissati”, cioè non vivi.
Il primo costruttore di un geniale microscopio ottico che ingrandiva fino a 30mila diametri, e quindi in grado di risolvere i corpuscoli di microzyma fu Royal Raymond Rife, americano (1888-1971). Sapendo che la luce naturale ha una lunghezza d’onda superiore alle dimensioni dell’oggetto da osservare, vi combinò la gamma ultravioletta, così risolvendo i corpuscoli intravisti da Béchamp quasi un secolo prima. Ma commise due errori di base.
Il primo fu di giudicare le forme che si muovevano nel campo di visione come causa di malattia, sulla linea di Pasteur invece che su quella di Béchamp; il secondo fu di immettersi nella riserva proibita della medicina ufficiale, dal 1913 dittatoriamente in mano ad A.M.A. (American Medical Asociation), temerariamente dichiarando che con certe “vibrazioni” avrebbe potuto debellare i “patogeni” del cancro.
Non l’avesse mai fatto. Nel 1939, un drappello di mirmidoni di Pasteur gli invase il laboratorio e gli distrusse il supermicroscopio con il quale aveva sperato di far fortuna. Rife morì emarginato e povero nel 1971, a 83 anni.
A rilevare il testimone di Rife è stato Gaston Naessens, francese (1924-), anche lui eccezionale costruttore di un microscopio che come quello di Rife risolve le nano-particelle rendendole osservabili. Le ribattezzò “somatidi”, e il microscopio “somatoscopio”.
Qualificato come biologo ricercatore e non come medico, la medicina ufficiale gallica gli mosse guerra, forzandolo a prendere l’esilio per il Canada, dove vive dal 1964. Si rese conto dell’inutilità di combattere “la malattia” tentando di uccidere sintomi, “patogeni” ed altri spauracchi, e dell’estrema utilità invece di rafforzare il sistema immunitario, che come natura vuole, confronta, attacca e neutralizza ogni invasore indebito.
Inventò anche un prodotto per lo scopo, sul quale non è il caso di soffermarci. La scoperta più clamorosa di Naessens è quella di un ciclo di 16 elementi pleomorfi, cioè trasformantisi mutualmente e sparendo quando ritorna la salute.
Uno di codesti elementi venne chiamato da Pasteur virus (Latino = veleno). Lo fece per ragioni politiche, non sanitarie. I britannici si erano appropriati del Canale di Suez nel 1882, causando l’ira del governo francese, il quale assoldò Pasteur perchè inventassse una bufala o due a discredito della Perfida Albione.
E a Pasteur venne l’idea geniale di accusare i britannici di importare il “virus” della peste nera dall’India. Di fatto, nessun “virus” ha mai ucciso nessuno, per la semplice ragione che nessun “virus” è stato mai osservato nel medio ambiente. Il Naessens lo ha identificato come una delle tredici forme di un ciclo sì patogeno, ma visibile solo nei tessuti ammalati fino a pulizia completa, dopodichè ridiventa un “somatide” qualunque. Ossia, Naessens ha confermato le intuizioni di Béchamp e le osservazioni di Rife, nonché quelle sul campo di Florence Nightingale (1820-1910) che sbugiardano Pasteur una volta per tutte. Era ora.
È questione di tempo prima che si imponga la verità, nonostante l’accanita resistenza offerta da interessi creati da giri di miliardi. Pratiche prese per scontate come la disinfezione, i farmaci, i vaccini, gli antibiotici, in generale tutti gli sforzi contro la malattia, sparirebbero per incanto davanti all’ovvietà di curare il malato rafforzandone le difese, secondo la visione olistica – ippocratica -  del trio Béchamp-Nightingale-Rife e seguaci.
Ricapitolando, ci si ammala e si muore o di malnutrizione o di avvelenamento, o di entrambi quando una deficienza nel flusso nutritivo indebolisce il potere espellente degli emuntori, così trattenendo i veleni invece di buttarli fuori.[2]


E LO SPIRITO?
“Non di solo pane vive l’uomo”, ammonisce un detto evangelico, al quale corrisponde “nè di solo disordine corporale egli soffre e muore”. Già, perchè, pace Cartesio, anima e corpo formano un tutt’uno, non due sostanze separate.
Il che vuol dire che, inevitabilmente, un disordine che interessa il corpo avrà i suoi effetti sull’anima, e viceversa. Valgano due esempi.
Molti anni fa frequentai due lezioni di pronto soccorso da un medico con 40 anni di esperienza africana. Ci raccontò di un Maasai che, sbudellato da una coltellata, raccolse le viscera in un cappello e camminò per chilometri fino a raggiungere il dispensario dove glie le risistemarono dopo averle sciacquate. “I Maasai”, ci disse, “non soffrono di shock”.
Il quale può uccidere per conto suo. Un soldato africano in servizio in Malesia durante la seconda guerra mondiale, si sentì punto vicino al piede. Voltandosi, intravide una serpe che scivolava nella boscaglia. Stramazzò al suolo, quasi in fin di vita, fino a quando in ospedale non verificarono che era stata una spina a pungerlo, non un rettile a morderlo. E si riebbe.
Senza intenderlo, abbiamo appena attraversato tre dei sette livelli di essere che compongono l’universo. Perché è inevitabile, anche proponendo una filosofia della salute, confrontarsi con la metafisica, anche se lo stretto necessario per capire.
A cominciare dal basso, i tre livelli sono la materia, la vita vegetativa con le tre funzioni di nutrizione, crescita e riproduzione, e quella sensitiva con i cinque sensi esterni, quattro interni e undici passioni. Chi vuole approfondire vada ai trattati corrispondenti.
Il quarto livello, del quale ci occupiamo adesso, è quello dello spirito, ma attenzione: il linguaggio umano è povero di termini per esprimere tutte le sfumature delle idee da comunicare, specialmente quando si passa da un livello di essere ad un altro.
Nel farlo, il linguaggio diventa analogico: uno stesso termine esprime concetti molto diversi. Nella fattispecie si tratta del termine “anima”.
L’anima, dove questa esiste, è un principio di unità. Ecco perchè la materia si dice “inanimata”: non vi è unità. Si può dividere ad infinitum rimanendo se stessa.
Non così dove c’è vita. Ma quando diciamo “anima” di vegetali, di animali, o di esseri umani, il termine è lo stesso, le realtà no: vi sono differenze.
L’anima vegetale è multiple, indifferenziata, mortale. La sua separazione dal corpo materiale causa la morte, ma la pianta può risvilupparsi anche da parti piccolissime rimaste in vita. Vi sono anche casi di morte apparente: la scrofulariacea africana Craterostigma pumilum,   e piante simili, si desidratano fino all’essiccamento completo durante periodi di siccità, per re-idratarsi nuove di zecca alla prossima stagione delle piogge.
L’anima animale, al contrario, è una, differenziata, ma  sempre mortale. Alla morte non si separa dal corpo fisico; semplicemente cessa di esistere.
L’anima umana è una, differenziata e immortale. Gli Scolastici, seguendo Aristotele, la denominavano come “forma” del corpo, per cui i due formano un unicum irripetibile.
Ciò vuol dire: a) che l’anima ha sintomi di salute suoi propri, spirituali; b) che essa partecipa della salute corporale; e viceversa, che il corpo è capacissimo di ammalarsi in seguito a un trauma psichico, sia esso di origine umana o sovrumana, come nei casi di ossessione, oppressione o possessione diabolica. Queste relazioni sono assolute bestie nere per la medicina incastonata nella Weltanschauung cartesiana. Ma vanno menzionate e analizzate, anche solo per capire certi fenomeni e non escluderli irragionevolmente a priori.
L’anima umana gode di salute quando si occupa del vero, del buono e del bello, i tre trascendentali dell’essere identificati dalla filosofia scolastica.
Un intellettuale non è chi sa scrivere bene, o chi coltiva un campo del sapere o un altro; è chi ama, cerca, trova e contempla la verità, definita da Avicenna[3] e adottata da S Tommaso come adaequatio intellectus et rei, adeguatezza della mente con le cose.
C’è più di quanto non sembri in quella definizione. Già, perchè la verità ha tre caratteristiche: coerenza, adeguatezza e praticabilità. Avicenna scelse l’adeguatezza fra le tre non perchè volesse applicare il rasoio di Ockham[4] (entia non sunt multiplicanda sine necessitate), che sarebbe nato più di due secoli dopo, ma perchè si rese conto che l’adeguatezza garantisce tanto la coerenza quanto la praticabilità, mentre nessuna di queste due garantisce nessuna delle altre.
Tra i numerosissimi esempi scegliamo le matematiche, regno della coerenza. Dato un problema, un certo algoritmo porta ad una soluzione altrettanto certa. La mente prova la soddisfazione della certezza, ma rischia di non percepire il pericolo di confonderla con la verità.
Già, perchè la verità, nelle matematiche, è solo rappresentata dai numeri interi: 1, 2…n. Dalle frazioni in poi, con i numeri irrazionali, trascendentali, complessi, infinitesimali e infinitamente continuando, si perde di vista che non si è mai osservata la radice quadrata di una gallina, o il pigreco di qualunque ens. In termini filosofici siamo nel dominio degli entia rationis, non degli entia realia. Ecco la pietra d’inciampo della sola coerenza come verità.
Codesto pericolo non è immaginario. Si pensi a chi tratta del tempo come quarta dimensione, o di un universo con nientemeno che undici di esse, tutti prodotti di computer infarciti con algoritmi progettati per l’uso; la confusione tra verità e certezza è sanzionata.
Con la prassi pura le cose vanno peggio. Valga solo un esempio. Esiste l’accordo, per ragioni puramente pragmatiche, di “concedere” al denaro la facoltà di moltiplicarsi come gli esseri viventi. La cosa si chiamava usura, però l’eufemistica imperante vuole che la si chiami “interesse”, termine meno offensivo: il banchiere che “domanda interesse per concedere credito” è molto più rispettabile dello strozzino che domanda usura per prestare contante.
Tutta un’armata di istituzioni: la Borsa, la Banca, la Finanza alta e bassa, Casse di Risparmio, ecc. non escluse le facoltà universitarie di cosiddetta “economia”, sono allestite con lo scopo preciso di permettere ad alcuni privilegiati di vivere di interesse. Anche il buon John Maynard Keynes (1883-1946) non disdegnava farsi il gruzzoletto quotidiano con un paio di telefonate ai suoi agenti di cambio dopo aver consultato le quotazioni borsistiche prima di colazione. Una distinzione tra l’economia, scienza fondata sul lavoro, e la crematistica, fondata sulla manipolazione di denaro, sarebbe in ordine, ma il pensiero debole non è all’altezza.
Ora se c’è chi guadagna senza lavorare, ci deve essere qualcun altro che lavora senza guadagnare, come aveva notato Leo Tolstoy ai primi del XX secolo. Questo sbilancio, oggi dato per scontato come “divario tra i ricchi e i poveri” non viene mai rintracciato alla causa, per ragioni che vanno dall’ignoranza pura, cioè non colpevole, alla malizia piu diabolica. È l’inevitabile risultato della pletora di esseri umani con l’anima malata di confusione, il più comune errore filosofico.
La verità è il cibo dell’intelligenza; ma attenzione ad usare i termini “vero” e “falso” a casaccio. Da quattro secoli, per esempio, ci viene martellata la testa con la “verità” del sistema copernicano, che ha destituito quello tolemaico, oggi riputato “falso”. Scaviamo un po’ per capire dove e quale sia la verità senza aggettivi, cioè la base di tutto il discorso.
Primo: nell’universo tutto è in movimento.
Secondo: se si vuole descrivere, o misurare, un movimento qualsiasi, è indispensabile avere un punto di riferimento, considerato immobile, che non esiste nell’universo reale.
Terzo: bisogna quindi sceglierne uno, e posizionarlo.
Quarto. La sopradetta operazione è del tutto libera, sottomessa solo alla convenienza di chi descrive, o misura.
Le quattro verità suelencate non sono dedotte logicamente, ma dalla natura delle cose, cioè metafisicamente. Applichiamole ai “due massimi sistemi del mondo” come ebbe a dire Galileo.
Il sistema tolemaico, geocentrico, ha la Terra come punto immobile di riferimento. I movimenti del sistema solare sono identificabili e descrivibili, ma non senza difficoltà. Il Sole e la Luna descrivono cerchi; i pianeti Mercurio e Venere ci tentano, ma non senza formare un cappio ciascuno; i cerchi dei pianeti da Marte in fuori sono intervallati da epicicli, che dalla Terra appaiono come retromovimenti. Alquanto goffo, bisogna ammettere.
Il sistema copernicano, eliocentrico, ha il Sole come punto di riferimento. E guarda un po’, i movimenti di tutti i pianeti diventano ellissi, appartenenti ad una sola famiglia di curve.
La soluzione è senza dubbio più elegante di quella tolemaica. Ma riflettiamo che se consideriamo uno dei due sistemi falso in partenza, non segue affatto che l’altro sia vero; è possibile infatti falsificarli entrambi scegliendo un punto di riferimento esterno tanto alla Terra quanto al Sole. Facendolo, si vede il Sole descrivere una curva lungo un braccio della Via Lattea, la nostra galassia; e ogni corpo celeste descrivere cicloidi attorno ad esso, come fa la valvola di una ruota da bicicletta che viaggia a 90° rispetto a un osservatore.
Tutto qui? Non proprio. Gli svarioni hanno conseguenze, spesso inaspettate. La questione vero/falso non si pone neanche, ma averla posta, promossa, e insegnata come verità, e per così tanto tempo, fa si che oggi nessuno, ripeto nessuno, è capace di descrivere quello che vede, cioè i movimenti geocentrici del sistema solare. Possiamo chiamarla una perdita di verum. 
Comunque sia, le verità suddette appartengono al livello più infimo dell’essere, quello della materia. L’intelligenza umana può occuparsene, come abbiamo fatto, e anche provarne una certa soddisfazione, anche emotiva. Ma da qui a postulare una intelligenza emotiva, come fanno alcuni, ce ne corre; costoro unificano il terzo con il quarto livello di essere, in una confusione metafisica molto più dannosa di una confusione logica.
Ecco completata, senza volerlo, la definizione di filosofia ricevuta a scuola: amore della sapienza, senza però mai definire quest’ultima. E come si può amare ciò che non si conosce? Ci viene incontro S. Tommaso nella Contra Gentes. Nel paragrafo iniziale dice: Sapientis est ordinare, è del sapiente ordinare. Ordinare cosa? Tutto quello che gli effetti del peccato di origine hanno disordinato, e mantengono tuttavia in disordine: i sensi, le passioni, la mente, la volontà, il corpo, l’anima, insomma l’uomo nella sua interezza. Trovarsi a proprio agio in qualsiasi livello di essere. In una parola, felicità.
Si può parlare di felicità anche analogicamente. Una macchina prodotta dall’ingegno umano è “felice” quando funziona al massimo della sua efficienza, esente da guasti. Ogni buon ingegnere sa che ciò non si ottiene senza manutenzione, e lo stesso vale per la felicità umana.
Ne segue che è inutile cercarla ai livelli inferiori di essere: sarebbe come cercare pietre preziose nella bottega del pescivendolo. Eppure folle immense si ostinano nel cercarla nelle sole tre cose che codesti livelli abbiano mai offerto: denaro, potere, sesso.   
La salute spirituale, quindi, va cercata e perseguita ai livelli di intelletto, volontà e memoria, con mezzi da sempre disponibili in una società che tesoreggia la verità come valore supremo. La lettura, la conversazione, l’amicizia, il tratto sociale fatto di compromessi come la parola data, e tanti eccetera sui quali sarebbe troppo lungo trattenersi, sono sintomi di salute spirituale.
I disordini economici, politici e sociali che oggi affliggono la società non sono che riflessi di disordini morali che colpiscono gli individui, inevitabilmente accompagnati da disordini intellettuali che fioriscono (si fa per dire) dove la verità viene passata in secondo piano, quando non abbandonata del tutto.
E non c’è da meravigliarsi se, come dice il blogger francese René Louis Berclaz, “Dove la verità non è libera, la libertà non è vera”.
23 luglio 2020


[1] Chiudiamo le Scuole, 1 giugno 1914, scaricabile.
[2] Sono disposto a ritrattare qualunque cosa affermata fin qui se mi si convince razionalmente di errore.
[3] 980-1037. Filosofo islamico persiano, che fu anche medico, letterato e molto altro.
[4] 1280-1349). Francescano inglese, fondatore del nominalismo, del quale non ci occuperemo qui.