Austriaci e monetaristi
di Piero Vernaglione
Per
una illustrazione della teoria di Milton Friedman, v. “La Scuola di
Chicago - il Monetarismo”.
Di
seguito vengono esaminate le differenze fra le due scuole.
1)
Metodologia
a)
La Scuola di
Chicago è positivista, preferisce l’analisi storica, quantitativa, basata sull’equilibrio;
le teorie devono essere testate empiricamente e, se i risultati le
contraddicono, devono essere respinte o riviste. Gli austriaci sono per un’analisi
deduttiva, soggettiva, qualitativa, basata sul processo di mercato in
squilibrio; l’economia dev’essere basata su assiomi autoevidenti; i dati
empirici non possono provare o confutare alcuna teoria. Le relazioni interpersonali
che si manifestano nello scambio non possono essere misurate, in quanto
espressione di preferenze soggettive e mutevoli, non suscettibili di previsione
econometrica e non imprigionabili in costanti quantitative.
Skousen
ha fatto notare che anche il modello di Friedman a volte ha sbagliato le
previsioni: ad es. negli anni ‘70 non previde l’aumento del prezzo del petrolio
e negli anni ‘80 sottostimò la disinflazione.
Per
un’illustrazione più approfondita delle differenze fra il metodo Austriaco e
quello positivista in generale, v. “Differenze
epistemologiche”.
b)
I Chicago sono per un modello di concorrenza pura “sempre in equilibrio”, che
assume che vi sia informazione perfetta e senza costi. Gli austriaci per un
modello più dinamico, che enfatizza il funzionamento del mercato come un
“processo”, che inevitabilmente è basato sulla creazione di “squilibri”
creativi.
2) La moneta
Entrambi sono favorevoli alla riserva del 100%, in
quanto sistema di stabilizzazione. Tuttavia la differenza è sul tipo di moneta
che funge da copertura: i Chicago sono per la fiat money, gli Austriaci per l’oro
o la merce pregiata scelta dal mercato.
Friedman è stato favorevole all’eliminazione di
qualsiasi legame delle valute con l’oro, e ad un sistema cartaceo
inconvertibile sotto il controllo completo del sistema della Riserva federale;
ogni Stato ha il potere e il monopolio assoluto di stampare la propria moneta fiat. Gli argomenti sono i seguenti: il
più importante è lo spreco di risorse necessario a estrarre, lavorare e
conservare l’oro (per lasciarlo poi immobilizzato nei forzieri di Fort Knox);
per Friedman il costo sarebbe pari al 4% del pil ogni anno, imparagonabile con
il costo trascurabile della produzione della moneta fiat. Il secondo motivo è che le variazioni della quantità di
moneta in conseguenza di scoperte di oro sarebbero considerevoli e improvvise,
determinando inflazione dei prezzi e instabilità ciclica.
Gli Austriaci sono favorevoli ad un sistema aureo
completo o al free banking. Per
quanto riguarda il costo di produrre oro, Garrison ha risposto a Friedman che
oggi si continua a estrarre e lavorare oro, dunque i costi ci sono comunque, non
lieviterebbero in misura particolare se si tornasse al gold standard; anzi, è
proprio la presenza della moneta cartacea ad accentuare i costi dell’estrazione-lavorazione
dell’oro, perché il sistema cartaceo fa salire il prezzo dell’oro, e dunque
incentiva la sua produzione. Per quanto riguarda le variazioni di potere d’acquisto
a seguito di scoperte d’oro, Rothbard ha replicato che, qualunque bene venga
scelto come moneta, le variazioni del valore di scambio sono inevitabili; e
comunque, davanti alla pessima prova fornita dalla moneta cartacea nel corso
del Novecento (inflazioni elevate), i rischi paventati per l’oro sono poca
cosa.
Friedman,
come Fisher, opera una separazione fra la sfera “micro” e la sfera “macro”. Da
un lato vi è il mondo in cui si formano i singoli prezzi, sulla base della
domanda e dell’offerta; da un altro lato esiste un “livello dei prezzi”
aggregato, determinato dalla quantità di moneta e dalla sua velocità di
circolazione; e questi due mondi non si incontrano. La sfera macro è tipicamente
l’oggetto dell’intervento statale, che si ritiene non interferisca con i
singoli prezzi. Lo Stato deve mantenere il livello dei prezzi stabile.
Gli
Austriaci hanno integrato sfera micro e macro. I prezzi devono fluttuare
liberamente. I monetaristi pongono come un dogma indimostrato la positività di
un livello dei prezzi stabile; ma, ad esempio, nella prima metà dell’Ottocento
il livello dei prezzi è stato costantemente in diminuzione; perché questo
evento dovrebbe essere ritenuto negativo? Tutt’altro. Dunque nel settore
monetario gli esponenti della scuola di Chicago non sono free-marketers.
Nei
rapporti fra monete Friedman è a favore di cambi flessibili, in quanto in tal
modo i tassi di cambio rifletterebbero le variazioni della domanda e dell’offerta
di monete, come avviene agli altri prezzi nel libero mercato. Gli Austriaci
obiettano che in questo campo il libero mercato è chiamato in causa a
sproposito, in quanto oggi le monete sono prodotte ed emesse dagli Stati.
Inoltre, le monete oggi esistenti, se si risale indietro nel tempo, non erano
altro che unità di peso dell’oro: ad es., prima del 1914 un dollaro era 1/20 di
un’oncia d’oro, la sterlina ¼. Esse dunque differivano solo nel nome, in quanto
erano differenti unità di peso dello stesso bene, l’oro. Una volta stabilita
inizialmente quale unità di peso d’oro ogni singola valuta rappresentasse, i
rapporti di scambio fra di loro erano automaticamente fissati: 1 sterlina pari
a 5 dollari. Dunque gli stati non potevano “fissare arbitrariamente” alcunché:
cambiare arbitrariamente i tassi di cambio sarebbe come cambiare
arbitrariamente le unità di misura, cioè come dire che 1 metro non è composto da 100 centimetri ma da
105, il che è un’assurdità.
Ancora:
perché non andare oltre e consentire monete diverse all’interno degli stati
americani, liberamente oscillanti fra di loro; e poi monete a livello di
contea, città, quartiere e così via? Ma a questo punto i commerci entrerebbero
in una condizione caotica, perché verrebbe meno la principale funzione della
moneta, l’essere mezzo di scambio generale, e con essa la possibilità del
calcolo economico[2].
Neutralità
o non neutralità della moneta – Per i monetaristi la moneta è neutrale nel
lungo periodo. Per gli Austriaci non è neutrale né nel breve né nel lungo
periodo, modifica l’economia reale, cioè la struttura produttiva, la
distribuzione del reddito e i prezzi relativi. La conclusione monetarista è
l’esito della summenzionata separazione fra sfera macro e sfera micro. In
conseguenza di questa, per i monetaristi è possibile ed utile concepire un
“livello dei prezzi”, misurabile attraverso un indice; mentre per gli Austriaci
tale aggregazione nasconde i mutamenti dei prezzi relativi, e la sua
misurazione è fuorviante e poco significativa, perché ogni individuo ha proprio
un paniere di beni, dunque un proprio indice dei prezzi, e amalgamarli non ha
senso[3].
3)
La teoria del ciclo economico
In
generale i Chicago ritengono che l’aspetto più debole, anzi completamente
sbagliato, della teoria Austriaca sia la teoria del ciclo, e la (connessa)
teoria del capitale.
La
teoria friedmaniana è puramente monetaria e aggregata. Aderendo all’ipotesi dei
mercati efficienti (attori razionali e mercati che si aggiustano rapidamente),
una recessione può essere causata solo da shock improvvisi. Il ciclo è
fondamentalmente una serie casuale di aumenti e riduzioni nel tempo del livello
dei prezzi. Non viene proposta una teoria sulla relazione causale fra i boom e
le depressioni. Si registra solo statisticamente che il mercato è sottoposto a
questa “danza della moneta”. Secondo il Plucking
Model di Friedman, esiste una stretta correlazione fra l’ampiezza della
contrazione e l’espansione successiva, ma non viceversa. Cioè, non è detto che
se si verifica un periodo di grande boom, sicuramente successivamente si
verifica una recessione altrettanto grande (critica della teoria del ciclo
austriaca), mentre è sempre vero che a una recessione segue una ripresa della
stessa consistenza (e successivamente una crescita più lenta ma stabile).
Se
le autorità monetarie eccedono nell’aumentare la quantità di moneta, l’effetto
è prevalentemente nominale (inflazione dei prezzi), non vi sono squilibri
strutturali di lungo periodo nell’economia [v. meccanismo di trasmissione]. La
moneta addizionale introdotta si diffonde in maniera uniforme per tutto il
sistema economico, e dunque altera i prezzi assoluti ma non i prezzi relativi e
i processi produttivi; nel lungo periodo dunque è neutrale (il motivo di questo
rifiuto a considerare più realisticamente gli effetti “parziali” della moneta
risiede nella difesa del libero mercato: un sistema liberamente competitivo
aggiusta rapidamente le distorsioni). L’obiettivo
dunque è che il governo controlli l’offerta di moneta per mantenere stabile il
livello dei prezzi.
Teoria
austriaca del ciclo: l’inflazione (o la riduzione del tasso di interesse al di
sotto di quello di mercato) provocata dalle autorità monetarie determina
distorsioni nel settore reale, in particolare sovrainvestimenti; la depressione
è l’aggiustamento degli eccessi (per un’illustrazione più approfondita della
teoria del ciclo Austriaca v. “Ciclo
economico”).
Il
punto di vista dei monetaristi è puramente macroeconomico e ignora i mutamenti
micro, cioè le modificazioni nella struttura produttiva, in particolare nel
settore dei beni capitali, che fanno seguito all’aumento della moneta. Questo
limite dipende anche dalla mancanza di una teoria del capitale (o di aver
assunto la teoria del capitale à la Clark ). I dati (USA anni ‘70, Giappone fine ‘80 e ‘90, USA
1995-2003) confermerebbero la tesi austriaca: nei periodi inflazionistici l’economia
è molto più volatile.
Lettura
della depressione del ‘29: per Friedman la Federal Reserve
erroneamente non aveva aumentato l’offerta di moneta durante la recessione,
anzi l’aveva ridotta di un terzo (aumento dei tassi, sterilizzazione delle
importazioni di oro, chiusura del credito alle banche) trasformando una
recessione in una depressione. Per gli Austriaci l’errore era stato di
inflazionare (aumento dell’offerta di moneta e del credito) durante gli anni ‘20,
creando un boom da sovrainvestimento, artificiale; la depressione non fu che l’inevitabile
aggiustamento di una struttura produttiva distorta. Inflazionare la quantità di
moneta avrebbe solo aggravato la situazione e posposto la ripresa sana. La
controversia dunque si sposta sull’evidenza empirica: Friedman mostra che nel
periodo 1921-’29 la quantità di moneta M2 è cresciuta del 46%, meno della
crescita del pil (4% contro 5,2% all’anno). Inoltre i prezzi negli anni ‘20
erano rimasti stabili (ma non quelli del mercato azionario); dunque la politica
monetaria era stata corretta. Rothbard obietta sul tipo di aggregati finanziari
da considerare: ad M2 aggiunge le azioni delle società cooperative che
erogavano mutui ai soci (savings and loans), i depositi presso le unioni di
credito e i valori di riscatto delle assicurazioni sulla vita, tutti sostituti
della moneta che potevano essere facilmente convertiti in moneta al loro valore
nominale. Considerando anche questi aggregati l’incremento della quantità di
moneta sarebbe del 61,7% e non del 46%. Economisti anche austriaci hanno detto
che non c’era bisogno di forzare così tanto la definizione di moneta (i riscatti
delle assicurazioni sulla vita in genere non sono trattati come attività
liquide), perché per dimostrare una politica di credito facile bastava far
riferimento alla riduzione artificiale del tasso di interesse al di sotto di
quello naturale, che potrebbe aver determinato il boom dei beni capitali.
4)
Politiche fiscali
a)
Friedman preferisce le imposte sul reddito. Prelevate attraverso la ritenuta
alla fonte, da Friedman proposta durante la seconda guerra mondiale quando era
al dipartimento del Tesoro.
Molti
Austriaci non anarcocapitalisti preferiscono le imposte indirette, perché
lasciano un margine di libertà in più.
b)
L’imposta negativa sul reddito, forma di assistenza ai più poveri. Per gli
Austriaci disincentiva il lavoro e grava sui contribuenti.
5)
Esternalità e servizi pubblici
Oltre
a giustizia, ordine pubblico e difesa, Friedman ammette per l’istruzione e i
parchi la mano pubblica, perché sono due casi in cui gli individui traggono
benefici che non pagano; dunque bisogna essere costretti a pagare attraverso le
imposte. Per gli Austriaci questo schema può essere applicato a quasi tutte le
situazioni della vita umana, dunque in tal modo si statalizzerebbe quasi tutto.
V. la critica degli Austriaci alla teoria dei beni pubblici in “Intervento coercitivo.
Lo Stato”.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
M. Friedman, Riformulazione
della teoria quantitativa della moneta (1956), in Metodo, consumo e moneta, il Mulino, Bologna, 1996, pp. 215-239;
ed. or. The Quantity Theory of Money:
a Restatement, in M. Friedman (a cura di), Studies
in the Quantity Theory of Money, University of Chicago Press, Chicago, 1956,
pp. 3-21.
- La metodologia dell’economia positiva (1953), in Metodo,
consumo e moneta, il Mulino, Bologna, 1996, pp. 93-136; ed. or. The Methodology of Positive Economics, in Essays in Positive Economics, University
of Chicago Press, Chicago, 1953.
M.N. Rothbard, Milton Friedman svelato, in http://gongoro.blogspot.com/2008/06/milton-friedman-svelato.html,
10 giugno 2008. Ed. or. Milton Friedman Unraveled, in «Individualist»,
febbraio 1971, pp. 3–7.
M. Skousen, Vienna and Chicago ,
Friends or Foes?, Capital Press, 2005.
Per la citazione del presente
saggio: P. Vernaglione, Austriaci e
Monetaristi, in “Rothbardiana”, http://www.rothbard.it/teoria/austriaci-vs-monetaristi.doc,
31 luglio 2009.
[1] La Scuola
di Chicago ha offerto un contributo decisivo anche alla tradizione di ricerca
di Law and Economics. Per
un’illustrazione di tale approccio e delle critiche degli Austriaci v. P.
Vernaglione, Austriaci e Analisi
economica del diritto, in http://www.rothbard.it/teoria/austriaci-vs-aed.doc,
31 luglio 2009.
[2] M.N.
Rothbard, Gold
vs. Fluctuating Fiat Exchange
Rates, in H. F. Sennholz (a cura di), Gold is Money, Greenwood Press,
Westport, Conn., 1975, pp. 24-40; ristampato in The Logic of Action One:
Method, Money, and the Austrian School, Edward Elgar, Cheltenham, 1997, pp.
350-363; The World Currency Crisis, in «The Free Market»,
febbraio 1986, pp. 1, 3–4.
[3] Su questo ultimo aspetto, v. M.N. Rothbard, Timberlake on the Austrian Theory of
Money: A Comment, in «Review of Austrian Economics» 2, 1988, pp.
179-187.