lunedì 5 dicembre 2016

UN POSSIBILE SCENARIO DOPO LA VITTORIA DEL NO

UN POSSIBILE SCENARIO DOPO LA VITTORIA DEL NO
Una vittoria dal sapore quasi scontato, quella del NO alla riforma costituzionale proposta da Renzi and Co. Una vittoria che segue mesi caratterizzati da un intenso fuoco di sbarramento mediatico, che, contrariamente a quanto qualcuno avrebbe potuto sperare, non lasciavano adito a speranze che non fossero quelle di una netta vittoria del NO al quesito referendario. Mai, nella lunga e travagliata storia della politica italiana, si era visto un fronte tanto variegato e composito, quanto compatto nel rifiuto alle lusinghe renziane. E questo, nonostante gli auspici ed, i più o meno espliciti, caldeggiamenti da parte delle istituzioni internazionali e dei papaveri del “mondo di sopra”. La ragione di questo repentino apparentamento, che ha visto marciare fianco a fianco SeL ed Alleanza Nazionale, Forza Italia, Grillo e PD dalemiano, non è solo da ricercarsi nella imperfetta e raffazzonata ingegneria giuridica alla base del quesito referendario, bensì in una serie di motivazioni, dalla non facile identificazione. In primis, sta l’innata ed italica tendenza alla conservazione dello status quo vigente, in ossequio ad un, troppe volte malinteso e mal applicato, “bon ton” nei riguardi di quella Carta Costituzionale che, come recita la solita filastrocca “nata dalla Resistenza etc., etc.”, ha finito con l’assumere una valenza di quasi sacrale intangibilità. Accanto a questa motivazione di superficie, sta il fatto dell’esasperata competizione tra i vari partiti, per cui, qualunque mezzo va bene per buttar giù l’avversario e questo, nonostante partiti come Forza Italia, avessero inizialmente appoggiato il governo Renzi, collaborando attivamente alla stesura di alcune tra le sue proposte di modifica istituzionale. Quello stesso  spirito competitivo, cruccio e delizia delle nostrane cronache politiche, va esacerbandosi all’interno di una stessa formazione politica, come nel caso dello stesso PD, al cui interno una fronda capeggiata da personaggi della caratura di un D’Alema e di un Bersani, hanno non poco contribuito alla vittoria del NO. Motivi sicuramente validi questi, ma non decisivi, a parere di chi scrive, per capire realmente il senso di questo risultato che andrebbe, invece, ricercato in un quel profondo senso di malessere che, da un po’ di tempo a questa parte, va montando un po’ in tutto il mondo occidentale. Il recente consolidamento dei consensi del Front National francese e di Marine Le Pen, la Brexit britannica, il clamoroso ed inaspettato successo di Donald Trump alle presidenziali USA, sembrano voler dar forza ad uno scontento generale, le cui ragioni vanno ricercate nel fallimento del modello liberista e delle sue dissennate politiche di deregulation e delocalizzazione, facenti leva sulla sostituzione delle strutture industriali dei vari paesi (attraverso la loro dislocazione in contesti esteri, sic!) in favore di una capillare finanziarizzazione delle economie locali, attraverso lo sviluppo di un comparto terziario e di servizi, collegati a sempre più fatiscenti strutture industriali. Queste ultime, sempre più caratterizzate da un dequalificato mercato del lavoro, grazie ad una indiscriminata e suicida politica di sovrapposizione di masse di disperati direttamente importati dal Terzo Mondo, al fine di sostituire i locali ceti lavoratori, con una forza lavoro a bassissimo costo, tra l’altro esente da qualunque seria forma di rivendicazione, in quanto estranea al contesto in cui si trova ad operare. Parimenti a livello internazionale, le cosiddette “primavere arabe” ed i crescenti costi di un eccessivo interventismo in politica estera, sia in termini di ricadute terroristiche interne (dalle Torri Gemelle a Nizza…), che di eccessivo appesantimento dei conti pubblici dei vari paesi, hanno non poco contribuito ad una sempre maggior disaffezione generale e ad un porsi delle serie domande sulla validità e la convenienza di quel modello liberista, proprio da parte di quegli stessi che, sino a poco tempo prima, avevano mostrato un atteggiamento quanto meno quiescente, se non di aperto appoggio. E l’elezione di Trump, più di tutti gli altri fatti qui riportati, rappresenta una riconferma di quanto sin qui detto. Si prospetta dunque il ritorno ad un keynesismo in chiave post moderna, accompagnato ad un progressivo isolazionismo USA ed occidentale? Il ritorno a politiche nazionalitarie attraverso la progressiva revisione dei vari accordi internazionali? Forse è troppo presto per dirlo. Intanto, quello lanciato dall’Italia, rappresenta un ulteriore e chiaro segnale in direzione di quanto abbiamo già descritto. Ora, volendo fare un pronostico sugli sviluppi interni, delle due, l’una: o Renzi si dimette in favore del varo di un governo di scopo, di probabile natura tecnica, sino all’indicazione della data prossime elezioni politiche. O, attraverso un rimpasto, si dà luogo ad una riedizione riveduta e corretta del Patto del Nazareno, con un Renzi alla testa di un esecutivo sempre più condizionato da una sempre meno credibile Forza Italia. Alla luce di questo risultato, a parere di chi scrive, resta da vedere cosa vorranno fare le varie forze di opposizione, dai 5 Stelle a SeL, dalla Lega a Fratelli d’Italia ed a qualunque altra forza d’opposizione, perché, e questo sia ben chiaro, questo risultato di per sé non ha un senso compiuto, se non integrato, a breve termine, da altri e più incisivi NO. In base a quello che abbiamo già scritto, non ha nessun senso negare una riforma che voleva imprimere al nostro paese ed alle sue istituzioni, una trasformazione in un senso rigidamente oligarchico ed elitario, senza poi andare a rivisitare, rinegoziare e smontare l’intero edificio globalista con tutte le sue ricadute. Dall’ adesione ai vari trattati internazionali, alla Moneta Unica, passando dall’importazione schiavistica di masse di manodopera straniera, alle politiche di privatizzazione e di deprivazione del ruolo dello Stato nel regolare i meccanismi dell’economia e del mercato, il ruolo di una forza di opposizione oggidì, dovrebbe esser quello di porsi dei ben precisi e chiari obiettivi, senza i quali, l’Italia rischierebbe, ancora una volta, di perpetuare “ab aeternum”, una tradizione di gattopardismo e di immobilismo politico. Il tutto, per la gioia e la letizia dei Poteri Forti e dei suoi solerti (e mai rassegnati) rappresentanti.
 
                                                                               UMBERTO BIANCHI