lunedì 26 dicembre 2016

AUDIOVISUALI PER CAPIRE LA MONETA


Da debito diffuso a debito nullo: prestidigitazione?
Da un po’ di tempo questa storiella circola in Rete.
Un turista appare dal nulla in una pensione sonnolenta di un paesino altrettanto sonnolento, dove i debiti non vengono pagati per mancanza cronica di contante. Dice di voler dare un’occhiata alla qualità dell’alloggio, lascia una caparra di 100 euro (due biglietti gialli da 50, che è la somma permessa nel Bel Paese nel 2016) e va ad esplorare la pensione.
Il cassiere-proprietario, in debito di 100 euro con il negozio di alimentari vicino, acchiappa i due biglietti e ne paga il gestore. Costui, ugualmente in debito per la stessa somma, si precipita dal macellaio al quale deve 100 euro ed estingue il debito. Il macellaio, che ha lo stesso debito con il veterinario fa lo stesso. Il quale si ricorda che deve la stessa somma alla “signora” residente più o meno stabilmente nella pensione, alla quale costei naturalmente deve l’affitto. E paga, depositando i 100 euro sul banco; al che ritorna il turista, si dichiara insoddisfatto della qualità dell’alloggio, acchiappa i biglietti gialli e se ne va.
Risultato: sei debiti vecchi di mesi estinti in poco più di un’ora. Chi racconta la storiella e chi la ascolta si fanno una gran risata come se si trattasse dell’ultima barzelletta.
Gesell
Il geniale inventore della storia non sembra aver sondato le profondità insospettate della sua invenzione, la quale, per chi ha letto (e capito) Gesell rivela tutto un mondo di teoria monetaria. Procediamo con ordine senza affrettarsi, così facilitando il capire questa realtà che ancora sfugge ai più da 27 secoli. Quali sono i punti da fissare permanentemente in mente?
Primo: per quell’ora in cui i due biglietti circolavano da un utente all’altro essi avevano una funzione portavalori nulla.  A nessuno degli utenti venne in mente di tesoreggiare una benché minima parte di quella somma per estorcere tributo a chi la volesse in  prestito. L’usura è la grande assente dalla storiella.
Secondo: i biglietti si comportavano analogamente a un pignone ruotante che spinge una cremagliera senza fine rappresentante le specie di debito considerate.
Terzo: i 100 euro non li aveva emessi la BCE a circolazione forzata, cioè con l’intenzione di farli andare fuori corso dopo un mese dall’emissione a meno di pagare una piccola tassa di magazzinaggio. Tutt’altro: era stata la necessità ad accelerarne la circolazione.
Quarto: estrapolando dall’ora di circolazione nella pensione sonnolenta, quanti beni e servizi avrebbe potuto muovere quella stessa somma? Si calcoli: circolando tre volte al giorno per un anno qualsiasi banconota è in condizioni di muovere circa 1000 volte il suo valore facciale. Non lo fa perchè la sosta nelle tasche di chi la accaparra non viene penalizzata. Quei 100 euro quindi, al ritmo di sei transazioni giornaliere, farebbero muovere la rispettabilissima somma di 200mila euro in un anno. Quei due biglietti gialli? Solo quei due biglietti gialli.
Quinto: Quale fu il ruolo del turista? Fu quello del banchiere naturale, cioè che presta contante che ha a chi ne ha bisogno ma non ne ha. Ad essere costretto anche lui da una moneta a circolazione forzata a sbarazzarsene prima della scadenza mensile (o bimestrale, in ogni caso convenzionale) la barzelletta diverrebbe il modus operandi normale di una economia fondata sul lavoro (vero, non quello sbandierato dalla Costituzione Italiana).
L’Elefante in Stanza
Si parlava un giorno, tra amici, dei 100 euro che avevano estinto debiti per sei volte il loro valore facciale in un’ora circa, e facevo gli elogi del concetto di Freigeld a circolazione forzata di Gesell.
“Ma ciò” intervenne uno, “è quel che fa il cassiere di una banca. Riceve contante e lo fa circolare da un cliente all’ altro, in un giro senza fine.”
Un secondo interlocutore chiese: “Ma come può una società moderna fare a meno delle banche?”
Rimasi di sasso. Lo scenario non aveva fatto menzione alcuna di banche, banchieri, credito e arnesi per l’uso, ma eccoti l’elefante introdotto in stanza senza fartene accorgere: la banca.
 La banca: l’istituto che autorizza ad emettere pezzi di carta con una cifra scrittavi su; che malchiama codesta operazione “prestito”; che vi carica interessi indebiti; che non permette di crearli mandando così centinaia di piccoli imprenditori in bancarotta; che deruba i clienti di ricchezza reale fatta servire da “garanzia” per i “debiti”; che dichiara guerra al contante per far deviare l’economia verso il credito così arricchendosi a spese di chi lavora; che nasconde nel contratto clausole dirompenti per farle esplodere al momento giusto così rovinando chi si lascia abbindolare dal “credito facile”; che da secoli usurpa il potere di emissione dal Governo; che così facendo travolse l’istituto monarchico rendendo impossibile il buon governo; che nega credito a chi produce ricchezza ma lo irrora senza limiti a chi la distrugge in guerre rovinose, così creando debiti inestinguibili per generazioni;[1] che forza lo Stato a far combutta con essa per impoverire il popolo, e dulcis in fundo (si fa per dire) che distrugge il denaro “restituito” per emetterne del nuovo così ripetendo il ciclo infernale ad infinitum.
E c’è riuscita così bene da convincere i più (inclusi i due amici interlocutori) che la banca è un istituto indispensabile per l’umanità invece di uno malevolo e parassitario come descritto nel paragrafo precedente.
Ma ritorniamo alla barzelletta. Quello che descrive non è che il modus operandi della Freigeld di Silvio Gesell, proposta da costui sin dal 1906 e messa in opera solo due volte: a Schwanenkirchen, Baviera, nel 1930 dal proprietario di una miniera di carbone in bancarotta e a Wörgl, Tirolo austriaco, nel 1932-33 dal borgomastro.
Nel 1918 Gesell aveva predetto che a meno di cambiare il sistema monetario sarebbe scoppiata un’altra guerra in meno di 25 anni, e così fu. La guerra l’avrebbe sventata l’adozione di Freigeld, sola vera moneta-sangue, da parte di Mussolini e/o Hitler, che invece tentarono di combattere con le stesse armi usuro-democratiche, rimanendone sconfitti.
Sorvolando sulle distruzioni belliche, analizziamo quelle delle forze della natura: il terremoto, che è di casa in Italia da sempre. Concentriamoci su come avrebbe funzionato Freigeld se la si fosse messa in opera in seguito al terremoto del Belice nel 1968.
Per sanare i danni di quel terremoto, vennero “stanziati” 12 mila miliardi di lire (circa 6 miliardi di euro), dimostratisi incapaci di completarne la ricostruzione in 40 anni e rotti. Lo hanno impedito i sottoprodotti dell’usura: sprechi, peculato, malversazione, incompetenza, prurito di novità, immobilità burosaurica, cattive leggi, pizzi, corruzione, eccetera. È deprimente che la popolazione della Valle del Belice sia rimasta praticamente quella che era quasi mezzo secolo fa.
Ma non è tutto. Non fu lo Stato italiano ad emettere quei 12 mila miliardi. Fu l’elefante in stanza: la banca, con cui lo Stato contrasse un debito che lo costringe tutt’ora a tassare e tartassare i cittadini per pagarne gli interessi. Cosa sarebbe successo invece con la Freigeld della barzelletta?
I Comuni dei paesi colpiti l’avrebbero emessa a terremoto finito, in ragione, diciamo, di 1000 lire x 100mila persone = 100 milioni. Circolando 400 volte in un anno (più realisticamente delle 2000 volte dei 100 euro della barzelletta), quei 100 milioni avrebbero finanziato lavoro e materiali locali per 40 miliardi. In due anni, gli stessi 100 milioni, continuando a circolare, avrebbero finanziato 80 miliardi di ricostruzione. Il tutto senza indebitare nessuno, e ricostruendo gli abitati dov’erano e com’erano, invece di farli deturpare da “furasteri” entusiasti ma su lunghezza d’onda culturale diversa. Ogni famiglia avrebbe ricostruito la propria abitazione secondo desideri proprî e canoni tradizionali. E non vi sarebbe stata emigrazione.
La Freigeld, libera da debito e da interesse com’è, non prevede “fondi”, “riduzione di costi”, “analisi costi-benefici”, “risparmi di tempo”, e altri termini usurari ai quali siamo tanto abituati da non riflettere quanto siano assurdi. Il costo di un’opera viene misurato in ore di lavoro, non in unità monetarie. Qualsiasi pagamento avviene in contanti e alla consegna, senza scadenze di “fine mese”. Si risparmia esclusivamente depositando Freigeld in banca (il turista di passaggio, non l’usuraio), che la riimmette immediatamente nel circolo sanguigno dell’economia reale. E non vi si può speculare su.
Cambiando i parametri, nulla osterebbe a che si applicassero le misure suddescritte al terremoto che ha appena colpito il centro Italia.
Nulla? Non proprio. I summenzionati sottoprodotti dell’usura sono vivi e vegeti: sprechi, peculato, malversazione, incompetenza, prurito di novità, immobilità burosaurica, cattive leggi, pizzi, corruzione, eccetera.
Perchè allora scrivere tutto ciò? La speranza è dura a morire, così che la possibilità di imbattersi in un sindaco con gli attributi di Michael Unterguggenberger di Wörgl o di un Herr Hebecker di Schwanenkirchen potrebbe, miracolosamente, tramutarsi in realtà.
16 novembre 2016 



[1] L’automobilista che fa il pieno è beatamente ignaro che tra le innumerevoli accise sul prezzo del carburante c’è ancora il debito contratto per la campagna di Etiopia del 1935.