Federazione fra le
associazioni ed i sindacati nazionali dei dirigenti, vicedirigenti, funzionari,
professionisti e pensionati della Pubblica Amministrazione e delle imprese
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IL VICE SEGRETARIO GENERALE
AGENZIE FISCALI – TROPPE
ELUCUBRAZIONI, POCHI I FATTI.
La recente
sentenza della Corte Costituzionale,che ha azzerato le nomine dirigenziali avvenute fuori dal quadro normativo di
riferimento, ha ripristinato il crisma della legalità,ma anche prodotto diffuse
e difficili situazioni di fatto in termini di gestione della macchina fiscale.
Tra i tanti
commentatori ha preso la parola anche il prof. Vincenzo Visco, economista ed ex
Ministro delle Finanze. Il cattedratico si produce in un meticoloso excursus
con cui rivendica il tangibile miglioramento ottenuto dall’Amministrazione
Fiscale con la istituzione delle Agenzie,rispetto ad un apparato vetusto come
era il Ministero delle Finanze alla fine del secolo scorso,quando lo stesso
Visco ne assunse la guida.
In sostanza, Visco ritiene che le Agenzie Fiscali devono
operare in aderenza allo scopo per cui sono nate, che è l’ammodernamento del
sistema impositivo. Tale obiettivo, ad avviso dell’ex ministro è raggiungibile
soltanto attraverso la gestione del Personale con i criteri propri dell’azienda
privata. Pur nel doveroso rispetto del Visco-pensiero, astrattamente anche
condivisibile,il prof. Visco non può dimenticare che mentre l’Amministrazione
Finanziaria affoga in una congerie perversa di leggi e leggine, di circolari e
risoluzioni, ed è vincolata al rigore del dettato costituzionale ed alle norme
di diritto amministrativo,l’impresa privata fa invece del management l’asse portante
della vita aziendale. La così detta stanza dei bottoni non è nel privato il luogo
nel quale si costruiscono le carriere,ma è l’ambito in cui si operano scelte strategiche
sulla base di oculate programmazioni finalizzate in via esclusiva al raggiungimento
di obiettivi. In tale ottica nasce allora l’esigenza che l’apparato dirigenziale
goda di autonomia decisionale che deriva a chi dirige,non per diritto naturale,
ma solo per aver dimostrato di poter indossare l’abito dirigenziale nella piena
consapevolezza che ogni suo errore non sarà mai scusabile. Tale essendo il
diverso profilo della dirigenza privata rispetto a quella pubblica,non può
ipotizzarsi che i sistemi dell’una siano importabili dall’altra,vuoi per la
diversità strutturale che le caratterizza,ma anche in relazione agli obiettivi
perseguiti che sono diametralmente opposti. Sbagliano poi le Agenzie Fiscali
–secondo Visco – ad adottare il noto criterio “one size fits all”,ovvero la
soluzione unica in ogni caso. La riflessione non può dirsi che sia priva di
pregio,ma traspare che la parola tradisce il pensiero,o tenta forse di occultarlo.
Ciò per la ragione che,mentre l’azienda privata aborre i compartimenti stagno e
non dà adito a soluzioni standard,nella P.A. è da sempre che accade l’esatto contrario.
Così facendo sulla dirigenza pubblica continuerà a pesare l’handicap della
limitatezza.Nessuno nasce dirigente,ma chi ha i numeri di base per diventarlo
ha bisogno di una palestra formativa che
sappia esaltarne le capacità. Insistere nel ritenere che la caratura del
dirigente sia misurabile soltanto sulla base del sapere giuridico è un tragico
errore. Non basta dirlo,non serve che Visco dica che le le Agenzie Fiscale sono
nate a questo scopo quando poi di fatto esse sono rimaste abbarbicate al vecchio modello del carrozzone
amministrativo su cui - per giunta pesano come un macigno le onnivore fauci
della politica,come è accaduto di recente con scriteriate operazioni di
accorpamento delle Agenzie fatte passare per risparmio di spese rivelatesi poi
impalpabili. E qui appare sempre più evidente l’incolmabile gap tra la conduzione
aziendale nel settore privato rispetto all’azienda pubblica come per dire che
accorpare e/o sopprimere sono verbi da coniugare con tanta avvedutezza,non con un
frettoloso tratto di penna.
Tornando
infine alla sentenza della Consulta appare un mero diversivo muovere critiche
di sorta che si rivelano speciose per il solo fatto che l’A.F.,pur sapendo di
avere imboccato una strada sbagliata, ha scelto di usare il braccio di ferro
contro la giustizia amministrativa. Il lungo contenzioso giunse così in
dirittura di arrivo dinanzi al Consiglio di Stato,dove l’esito negativo
appariva più che scontato, quando intervenne il legislatore che con mano
malaccorta pensò di poter sanare il pregresso
in via legislativa,pur disponendo per l’avvenire in conformità delle decisioni
assunte dal giudice amministrativo. L’intervento del legislatore non poteva
evitare che la parola conclusiva spettasse al Giudice delle leggi.
Così è stato
ed ora l’occupazione prevalente è la ricerca affannosa di rimedi che almeno
attenuino le conseguenze devastanti di comportamenti sbagliati ed arbitrari.
Concludendo,diciamo
che il percorso dirigenziale nella P.A. è doveroso che avvenga nel rigoroso rispetto delle leggi
dello Stato che assicurano non soltanto il
buon andamento della macchina pubblica,ma devono anche garantire i diritti legittimi
dei propri servitori.
Quanto
all’A.F.,che è stella di prima grandezza nella vasta galassia della P.A.,ben
può dirsi che essa è ora costretta a rivedere l’apparato dirigenziale
periferico e correre ai ripari con ogni urgenza possibile.
L’auspicio è
che entro breve si possa sopperire alle tante vacanze prodotte dalla sentenza
della Consulta,al fine di eliminare l’inutile e dannoso doppio incarico in sedi
spesso distanti,con la conseguenza che in entrambe l’attività direzionale ne risulta
precaria. Da ultimo è altresì auspicabile che prevalga il principio che il concorso
pubblico nomina il dirigente,il campo operativo ne consacra l’impegno e la professionalità. Molto
deve essere richiesto al dirigente,ma molto deve essere dato al dirigente in termini di risorse umane
ed economiche.
E’la via maestra,l’unica
percorribile per rendere la P.A.
efficace ed efficiente.
Dr. Pietro Paolo Boiano