martedì 5 maggio 2015

AGENZIE FISCALI – TROPPE ELUCUBRAZIONI, POCHI I FATTI.




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IL VICE SEGRETARIO GENERALE


AGENZIE  FISCALI –  TROPPE  ELUCUBRAZIONI, POCHI  I FATTI.

La recente sentenza della Corte Costituzionale,che ha azzerato le nomine dirigenziali  avvenute fuori dal quadro normativo di riferimento, ha ripristinato il crisma della legalità,ma anche prodotto diffuse e difficili situazioni di fatto in termini di gestione della macchina fiscale.
Tra i tanti commentatori ha preso la parola anche il prof. Vincenzo Visco, economista ed ex Ministro delle Finanze. Il cattedratico si produce in un meticoloso excursus con cui rivendica il tangibile miglioramento ottenuto dall’Amministrazione Fiscale con la istituzione delle Agenzie,rispetto ad un apparato vetusto come era il Ministero delle Finanze alla fine del secolo scorso,quando lo stesso Visco ne assunse la guida. In sostanza, Visco ritiene che le Agenzie Fiscali devono operare in aderenza allo scopo per cui sono nate, che è l’ammodernamento del sistema impositivo. Tale obiettivo, ad avviso dell’ex ministro è raggiungibile soltanto attraverso la gestione del Personale con i criteri propri dell’azienda privata. Pur nel doveroso rispetto del Visco-pensiero, astrattamente anche condivisibile,il prof. Visco non può dimenticare che mentre l’Amministrazione Finanziaria affoga in una congerie perversa di leggi e leggine, di circolari e risoluzioni, ed è vincolata al rigore del dettato costituzionale ed alle norme di diritto amministrativo,l’impresa privata fa invece del management l’asse portante della vita aziendale. La così detta stanza dei bottoni non è nel privato il luogo nel quale si costruiscono le carriere,ma è l’ambito in cui si operano scelte strategiche sulla base di oculate programmazioni finalizzate in via esclusiva al raggiungimento di obiettivi. In tale ottica nasce allora l’esigenza che l’apparato dirigenziale goda di autonomia decisionale che deriva a chi dirige,non per diritto naturale, ma solo per aver dimostrato di poter indossare l’abito dirigenziale nella piena consapevolezza che ogni suo errore non sarà mai scusabile. Tale essendo il diverso profilo della dirigenza privata rispetto a quella pubblica,non può ipotizzarsi che i sistemi dell’una siano importabili dall’altra,vuoi per la diversità strutturale che le caratterizza,ma anche in relazione agli obiettivi perseguiti che sono diametralmente opposti. Sbagliano poi le Agenzie Fiscali –secondo Visco – ad adottare il noto criterio “one size fits all”,ovvero la soluzione unica in ogni caso. La riflessione non può dirsi che sia priva di pregio,ma traspare che la parola tradisce il pensiero,o tenta forse di occultarlo. Ciò per la ragione che,mentre l’azienda privata aborre i compartimenti stagno e non dà adito a soluzioni standard,nella P.A. è da sempre che accade l’esatto contrario. Così facendo sulla dirigenza pubblica continuerà a pesare l’handicap della limitatezza.Nessuno nasce dirigente,ma chi ha i numeri di base per diventarlo ha  bisogno di una palestra formativa che sappia esaltarne le capacità. Insistere nel ritenere che la caratura del dirigente sia misurabile soltanto sulla base del sapere giuridico è un tragico errore. Non basta dirlo,non serve che Visco dica che le le Agenzie Fiscale sono nate a questo scopo quando poi di fatto esse sono rimaste  abbarbicate al vecchio modello del carrozzone amministrativo su cui - per giunta pesano come un macigno le onnivore fauci della politica,come è accaduto di recente con scriteriate operazioni di accorpamento delle Agenzie fatte passare per risparmio di spese rivelatesi poi impalpabili. E qui appare sempre più evidente l’incolmabile gap tra la conduzione aziendale nel settore privato rispetto all’azienda pubblica come per dire che accorpare e/o sopprimere sono verbi da coniugare con tanta avvedutezza,non con un frettoloso tratto di penna.
Tornando infine alla sentenza della Consulta appare un mero diversivo muovere critiche di sorta che si rivelano speciose per il solo fatto che l’A.F.,pur sapendo di avere imboccato una strada sbagliata, ha scelto di usare il braccio di ferro contro la giustizia amministrativa. Il lungo contenzioso giunse così in dirittura di arrivo dinanzi al Consiglio di Stato,dove l’esito negativo appariva più che scontato, quando intervenne il legislatore che con mano malaccorta  pensò di poter sanare il pregresso in via legislativa,pur disponendo per l’avvenire in conformità delle decisioni assunte dal giudice amministrativo. L’intervento del legislatore non poteva evitare che la parola conclusiva spettasse al Giudice delle leggi.
Così è stato ed ora l’occupazione prevalente è la ricerca affannosa di rimedi che almeno attenuino le conseguenze devastanti di comportamenti sbagliati ed arbitrari.
Concludendo,diciamo che il percorso dirigenziale nella P.A. è doveroso che  avvenga nel rigoroso rispetto delle leggi dello Stato che assicurano non soltanto  il buon andamento della macchina pubblica,ma devono anche garantire i diritti legittimi dei propri servitori.    
Quanto all’A.F.,che è stella di prima grandezza nella vasta galassia della P.A.,ben può dirsi che essa è ora costretta a rivedere l’apparato dirigenziale periferico e correre ai ripari con ogni urgenza possibile.
L’auspicio è che entro breve si possa sopperire alle tante vacanze prodotte dalla sentenza della Consulta,al fine di eliminare l’inutile e dannoso doppio incarico in sedi spesso distanti,con la conseguenza che in entrambe l’attività direzionale ne risulta precaria. Da ultimo è altresì auspicabile che prevalga il principio che il concorso pubblico nomina il dirigente,il campo operativo ne consacra l’impegno e la professionalità. Molto deve essere richiesto al dirigente,ma molto deve essere  dato al dirigente in termini di risorse umane ed economiche.
E’la via maestra,l’unica percorribile per rendere la P.A. efficace ed efficiente.
                                                    Dr. Pietro Paolo Boiano