lunedì 15 settembre 2014

La paura dell’ISIS unisce dove l’Ucraina divide





La politica internazionale è sempre piena di variabili che s’incrociano in modi imprevisti e, perfino per gli addetti ai lavori, diventa spesso impossibile poter prevedere tutti gli sviluppi e le conseguenze di atti o azioni decise seguendo una logica apparentemente lineare. A ciò va aggiunto che gli interessi dei vari Paesi non sono sempre univoci e un Paese amico per certi interessi può non esserlo per altri.

Così come un “nemico” da più o meno lunga data potrebbe diventare alleato su qualche situazione molto specifica pur mantenendo uno stato di conflitto su altri temi. Una dimostrazione sta nei rapporti tra Usa, Siria, Iran e Russia dopo la comparsa dell’ISIS in Medio Oriente.
Il sedicente Califfato Islamico è vissuto da tutti gli Stati dell’area come un pericolo mortale e la sua minaccia per la loro stabilità interna e per le conseguenze sullo scenario mondiale è condivisa da tutti, di là da ogni dissidio precedente. E’ per questa situazione che possono succedere cose paradossali quali quella che proprio coloro che tanto hanno fatto per sostenere i ribelli che miravano alla caduta di Assad in Siria potrebbero oggi bombardarli. Va da sé che attaccando i miliziani ISIS in Iraq e in Siria li si indebolisca nella loro azione offensiva contro Damasco e ciò consentirebbe alle truppe lealiste di meglio concentrare le proprie offensive contro gli altri combattenti.
D’altra parte, è evidente che Iran, Arabia Saudita, Iraq, Europa, Russia e USA (senza contare altri attori localmente meno presenti, ad esempio la Cina), non possono accettare che si crei veramente uno Stato con obiettivo dichiarato l’eliminazione di ogni “diversità” e che barbaramente trucidi soldati nemici e venda le loro donne come schiave. Gli occidentali temono attentati, gli altri arabi un contagio e russi e cinesi un revanscismo d’integralismo islamico nelle regioni musulmane al loro interno. Non a caso, oltre alle minacce lanciate verso gli USA e l’Europa, anche il Caucaso è stato recentemente oggetto di “avvertimenti” dei miliziani. Senza contare il possibile incoraggiamento che i successi del Califfato potrebbero rappresentare per la miriade di fanatici islamisti presenti in altre parti del mondo. E’ per questo che perfino turchi e qatarini, noti spalleggiatori dei Fratelli Musulmani che avevano pensato, in un primo momento, di fare sponda pure sugli estremisti han dovuto ricredersi, così com’è successo al Kuwait. Molte delle “associazioni caritatevoli” che raccoglievano fondi e finanziavano i Jihadisti con la nascosta complicità di questi Governi sono state precipitosamente chiuse. E mentre gli Usa compiono bombardamenti a sostegno delle controffensive curde e irachene e l’Iran manda suoi paramilitari a combattere (il loro esercito ufficialmente non compie azioni fuori dalle frontiere), i russi continuano a sostenere Assad ma, contemporaneamente, mandano aerei all'esercito di Baghdad.
Eppure, per arrivare alla sconfitta dell’ISIS, tutto ciò non è ancora sufficiente: se non si romperà il fronte tra i terroristi e le tribù sunnite locali, questa guerra potrebbe continuare indefinitamente e, anche qualora le milizie dovessero essere sconfitte sul campo, l’instabilità’ continuerebbe attraverso nuovi attentati. Un inizio positivo è il cambio della guardia avvenuto a Baghdad poiché fu proprio l’azione settaria anti-sunnita e anti-curda di Al Maliki a creare l’improbabile connubio tra alcune tribù sunnite irachene e i fanatici della Sharia. Tutte le speranze sono ora nella capacità di Al Abadi di riuscire a coinvolgere nella gestione del Paese, con pari dignità, ogni minoranza etnica e religiosa. Anche Al Maliki pur di ottenere l’investitura si era impegnato in quel senso ma era venuto immediatamente meno ai suoi impegni, creando un precedente di sfiducia cui ora non sarà facile porre rimedio. Solamente tra qualche settimana sapremo se per l’Iraq potrà veramente iniziare un nuovo pacifico futuro.
Tuttavia, questa possibile soluzione positiva della questione irachena si dimostrerà efficace solo dopo un accordo, più o meno dichiarato, tra iraniani, sauditi, turchi e americani e la domanda che ci si pone è fino a che punto questi accordi locali, queste alleanze “contingenti” potranno estendersi a intese più ampie e durature e favorire soluzioni a questioni sempre aperte come la Siria, la Palestina, il Golfo e, perché no?, l'Ucraina. Gli americani cercheranno di considerare ogni situazione come caso a sé stante e cercheranno di negare conseguenze dirette su altri fronti, ma sarebbe da stupirsi se iraniani e russi dovessero accettare la stessa logica.