martedì 15 aprile 2014

Storia del Front national


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Il Front national di Marine Le Pen è il partito nazionalpopulista che, nell’Europa occidentale, ha maggiori speranze di nutrire ambizioni di governo, o quanto meno di conseguire risultati elettorali eclatanti, destinati a segnare in profondità la storia politica del proprio paese. Per la gran parte degli osservatori resta non di meno un illustre sconosciuto, stretto com’è tra i racconti criminalizzanti dell’intellighenzia e un entusiasmo ingenuo che azzera i problemi e annulla le sfumature. Non sarà inutile, allora, ritracciare la storia del Fn a partire dalla fondazione del movimento che per 40 anni ha rappresentato lo spauracchio delle classi dirigenti politiche e giornalistiche europee.

Il Front national nasce il 5 ottobre 1972 come strumento elettorale del movimento nazionalrivoluzionario Ordre nouveau, che del resto sarà sciolto d’ufficio pochi mesi dopo. Nel giugno del 1973, infatti, la conferenza dal tema “Alt all’immigrazione selvaggia” organizzata da On verrà assaltata da militanti della Ligue communiste di Alain Krivine. I tafferugli fra questi ultimi e le forze dell’ordine porteranno allo scioglimento governativo sia del movimento assaltatore che di quello assaltato. Prima di questo evento, tuttavia, On stava cercando di riunire i pezzi della destra francese (neofascisti, petainisti, poujadisti) in un unico movimento, che sarebbe appunto stato il Front national pour l’Unité française, più semplicemente Front national.

Come simbolo del neonato movimento viene mutuata la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, che proprio nel maggio di quell’anno aveva ottenuto il suo maggior risultato elettorale di sempre, con l’8,7% alla Camera e il 9,2% al Senato. Il riferimento al partito italiano è evidente, ma non va esagerato, anche per le differenti storie della destra francese e italiana. Le altre componenti, oltre a Ordre nouveau – che fornisce alcuni dei quadri più consapevoli e attivi come François Duprat, Alain Robert e François Brigneau– contribuiscono alla nascita del Fn i movimenti Jeunesses Patriotes et Sociales (JPS) di Roger Holeindre (ex Oas), la rivista Militant di Pierre Bousquet (ex SS Charlemagne) e il Groupe union défense (Gud) di Alain Robert.

E poi c’è ovviamente lui, Jean-Marie Le Pen, un nome già piuttosto noto nell’ambiente e di cui poi diremo nel dettaglio. In un primissimo momento, Le Pen fa parte di un triumvirato composto da lui, François Brigneau (tendenza On) e Guy Ribeaud (sodale dell’ex gollista Georges Bidault). Quest’ultimo, tuttavia, lascerà quasi subito, lasciando un vuoto che sarà riempito appunto da Le Pen. Il primo ufficio politico del Fn è così composto: Jean-Marie Le Pen (presidente), François Brigneau (vicepresident), Alain Robert (segretario generale), Roger Holeindre (segretario generale aggiunto), Pierre Bousquet (tesoriere) e Pierre Durand (tesoriere aggiunto).

Snobbano invece la nascita del nuovo partito i quadri intellettuali della Nouvelle Droite di Alain de Benoist, l’esperienza metapolitica più interessante dell’epoca, allora ostentatamente ostile alla “politica politicante” in nome di una strategia gramsciana.

Ciononostante, nel corso degli anni una certa trasmigrazione di quadri si verificherà. I casi più eclatanti saranno quelli del medievista Pierre Vial (consigliere municipale frontista di Villeurbanne e poi consigliere regionale in Rhône-Alpes), di Jean-Yves Le Gallou (parlamentare europeo) e in qualche modo dello stesso Bruno Mégret, il numero due del partito che darà vita a una sfortunata scissione dal Fn alla fine del 1998.

Un ruolo prezioso di animatore anche culturale all’interno del Front national lo svolge invece François Duprat, storico e intellettuale militante (non privo di aspetti controversi) proveniente da Ordre nouveau, che porta nel nuovo partito una solida prospettiva storica (forti, nel suo discorso ideologico, riferimenti marcatamente fascisti estranei a molte componenti della destra francese) e una cultura politica nazionalrivoluzionaria. Tutto questo fino a sabato 18 marzo 1978 quando, alle 8.40, la sua Citroën GS salta in aria uccidendolo sul colpo e ferendo gravemente la moglie, in attentato attribuito spesso a milizie sioniste ma di fatto mai chiarito. Ogni 18 marzo, comunque, Jean-Marie Le Pen si reca presso la sua tomba, al cimitero di Montmartre, per rendere omaggio al vecchio compagno di lotta.Gli obbiettivi che Duprat, Le Pen e gli altri si pongono fondando il Front national son comunque ambiziosi: si punta almeno al 3% nelle elezioni legislative del 1973. Le Pen annuncia 400 candidati ma alla fine riesce a presentarne solo 105. Il risultato delle urne è deludente: il partito ottiene 108 mila voti, pari all’1,3% su scala nazionale e al 2,3% contando solo le circoscrizioni in cui il partito è riuscito a presentarsi. Solo Jean-Marie Le Pen supera il 5% nel suo collegio parigino. La “traversata nel deserto” è appena iniziata. 

I primi, deludenti risultati elettorali del Front national mettono comunque in evidenza un dato innegabile: il leader ha stoffa e agli elettori piace, anche più di quanto non piaccia, per il momento, la fiamma tricolore. Ma chi è questo uomo nuovo della politica francese che, in realtà, nuovo non lo è affatto?

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Nato il 20 giugno 1928 a Trinité sur Mer, nel Morbihan, Jean-Marie Le Pen è figlio di Jean Le Pen, un armatore, e di Anne-Marie Hervé, di famiglia contadina. Egli è “pupillo della nazione”, termine che in Francia designa i figli delle vittime di guerra. Il peschereccio del padre, infatti, salterà su una mina, causando la morte dell’uomo. Nel novembre del 1944, a 16 anni, chiede al colonnello Henri de La Vaissière di poter partecipare alla resistenza. Ebbene sì: il “fascista”, il “nazista” Le Pen ha tentato di partecipare alla resistenza! Il giovane ricevette tuttavia questa risposta: “Ormai è stato dato l’ordine di assicurarsi che i nostri volontari abbiano 18 anni compiuti. Sei un pupillo della nazione, bada a tua madre”.

Si laurea in scienze politiche con una tesi sulla corrente anarchica dopo il 1945, dopodiché svolge i più svariati mestieri, dal pescatore al minatore. Nel frattempo vende per le strade il giornale dell’Action française, “Aspects de la France” e non di rado sperimenta il confronto fisico con gli avversari politici. Durante la guerra d’Indocina si arruola nel 1° Battaglione paracadutisti. Nel 1955 diventa delegato generale dell’Union de Défense de la jeunesse française di Pierre Poujade, il movimento anti-fisco di matrice qualunquista che conquistò 52 deputati e 2,4 milioni di voti all’Assemblea nazionale nel 1956 (tra cui appunto Le Pen). In quell’anno diventa il primo uomo politico francese a far eleggere un francese di religione musulmana, tale Ahmed Djebbour. Per difendere quest’ultimo in una rissa, nel 1958, prende un colpo all’occhio sinistro, del quale perderà progressivamente l’uso nel corso degli anni. Il trauma lo costringe per qualche tempo a farsi vedere in giro con una benda da pirata, elemento che ne amplifica l’immagine picaresca. Quanto a lui, eletto a 27 anni, diventa il più giovane parlamentare eletto all’Assemblée nationale. Nonostante la precoce e già brillante carriera politica, lascia i banchi parlamentari per andare a volontario nella guerra d’Algeria. Partecipa anche allo sbarco delle forze franco-britanniche a Suez.

Decorato con la Croce al valore militare, dopo la guerra si impegna nella battaglia per l’Algeria francese. Partecipa anche alla campagna per Jean-Louis Tixier-Vignancourt, il primo candidato all’Eliseo a destra di De Gaulle, che nel 1965 prese il 5,2% dei voti. Nel 1972, come detto, è tra i fondatori del Front national. Nel 1984 viene eletto al Parlamento europeo, presso il quale verrà riconfermato anche nelle elezioni successive, fino alla decisione della Corte di Giustizia della Comunità europea che il 10 aprile del 2003 lo priva d’ufficio del suo seggio dopo i fatti di Mantes-la-Jolie, quando il leader del Fn, nel 1997, viene accolto da immigrati, attivisti di sinistra e di “S.O.S Racisme” pronti alla guerriglia. L’ex parà – all’epoca 69enne – si gettò nella mischia senza troppe remore (“Se mi aggrediscono, io non ho mai paura di un altro uomo, e nemmeno quando sono in tanti”), subendo per questo la denuncia della candidata socialista Annette Peulvast-Bergeal, in un processo la cui condanna causerà appunto la sua estromissione dal Parlamento europeo.

Dal suo primo matrimonio con Pierrette Lalanne (da cui divorzierà nel 1985) egli ha tre figli: Marie-Caroline, Yann, Marine, che a loro volta gli danno nove nipoti. Le Pen si risposa nel 1991 con Jeanne-Marie Paschos, detta Jany.

Dotato di grande carisma, istrionico, oratore magnetico, conversatore brillante dalla battuta pronta, uomo dotato di grande coraggio anche fisico, Le Pen è un leader populista – qualifica che egli ha spesso rivendicato con orgoglio – abbastanza tradizionale. Il suo solo magnetismo ha garantito per anni il “compromesso nazionalista” fra diverse correnti e sensibilità, anche a costo di procrastinare in eterno alcuni nodi politici. Tipico del suo ruolo è anche la difficoltà nell’affrontare la questione della successione, risolta infine – molto tradizionalmente – nell’ambito della famiglia stessa. Ha una struttura ideologica fluida, pragmatica, con un asse portante (sovranismo, nazionalismo, anti-immigrazionismo) e alcuni elementi variabili (posizioni economiche e di politica internazionale).

n un articolo del 2008, in un momento di stanca per il partito, Alain de Benoist, che non ha mai avuto troppa simpatia per Le Pen, ne tracciava questo ritratto in chiaroscuro: “Coraggioso, in possesso di una innegabile cultura storica, dotato di un istinto politico acuto, egli non è in compenso un teorico. Il suo scopo principale è meno quello di difendere delle idee, che egli cambia del resto frequentemente come attestato dalle variazioni del suo programma (specialmente in materia economica), che quello di riunire una ‘famiglia’ tradizionalmente divisa”. Ne emerge il ritratto sincero di un uomo di valore e di un politico di razza, anche se nell’approccio metapolitico del pensatore francese, il fatto di non essere un teorico appare come un difetto grave, laddove è facile immaginare che il fondatore del Fn se ne faccia un vanto. E a suo modo ha ragione.

Per bucare la cortina di silenzio attorno al suo partito, Le Pen ha fatto spesso ricorso alla sua ironia fulminante. In un comizio chiamò il ministro della Funzione pubblica del governo Mitterrand, Michel Durafour, “Dura-four crématoire”, creando un sinistro gioco di parole fra il suo cognome e l’espressione “forno crematorio”. In un’altra occasione celebre definì le camere a gas “un dettaglio della storia della Seconda guerra mondiale”.

Un altro esponente della Nouvelle Droite passato attraverso il Fronte, Pierre Vial, così ha spiegato la tendenza del leader frontista ad apparenti gaffe mediatiche a ciclo continuo: “Coloro che immaginano che questa o quell’uscita tonitruante, provocatrice, sia dovuta al nervosismo, alla perdita di controllo, a lapsus devastanti hanno tutti torto. Tutto, sempre, è calcolato nel migliore dei modi. Ivi compreso il numero ad effetto destinato all’interlocutore dubbioso. Ivi compreso ciò che sembra controproducente. Le Pen ha sempre le sue ragioni. Anche e soprattutto quando sembrano irrazionali”

Nei primi anni ’70, tuttavia, il talento politico di Jean-Marie Le Pen è ancora acerbo. E comunque, finché il partito resta misconosciuto, nessuno può farne esperienza. Tutto il decennio che va dalla fondazione del partito ai primi successi è stato chiamato dagli stessi frontisti “la traversata nel deserto”. Sono anni di isolamento e delusioni. Pesa anche la concorrenza dell’analogo Parti des forces nouvelles, forza nata per mano di alcuni membri di Ordre Nouveau e con maggiori contatti con l’ambiente nazionalrivoluzionario e neodestro.

Di conseguenza, il risultato alle presidenziali del 1974 è devastante: Le Pen ottiene appena lo 0,75% dei suffragi. Per il secondo turno, inviterà a votare Valéry Giscard d’Estaing. Alle legislative del 1978 non va meglio, dato che il Fn ottiene lo 0,33 %. In marzo, come detto, viene assassinato François Duprat. Alcune componenti nazionalrivoluzionarie di cui egli era il garante lasciano di conseguenza il movimento. Fra insuccessi elettorali e divisioni interne, il partito conta, nel 1980, appena 270 aderenti. Alle presidenziali del 1981 il Fn non riesce neanche a presentare le firme, mentre alle politiche ottiene lo 0,18%. Il momento è nerissimo, ma la riscossa è più vicina di quanto non possano pensare i frontisti.

Alle cantonali del 1982 si resta ancora nell’ambito dello zero virgola (0,20%) ma con alcune importanti eccezioni: il 12,62% a Dreux-Ouest, il 13,30% a Grande-Synthe. L’anno successivo arriva il boom: alle comunali Le Pen ottiene l’11,3% nel 20esimo arrondissement di Parigi. Alle comunali di Dreux Jean-Pierre Stirbois ottiene il 16,7% (al ballottaggio il centrodestra moderato si alleerà con il Fn totalizzando il 55% dei voti). Quest’ultimo è il vero artefice della svolta. Nel settembre 1977, Stirbois è entrato nel partito con la sua

Union solidariste e nel giugno 1981 è diventato segretario generale del partito. Figlio di operai, ha bazzicato anche lui gli ambienti dell’Oas e la lista di Jean-Louis Tixier-Vignancour. All’opposto di Le Pen, è sobrio, misurato, ma metodico. Cura l’organizzazione e il radicamento. Alain Escoffier, il giovane che si dà fuoco in seguito alla visita a Parigi di Breznev, nel 1977, e a cui è dedicata una celebre canzone della Compagnia dell’Anello, è un suo militante. In un partito improvvisato, che tutto delega al leader, il suo metodo è oro colato (qualità che lo porterà ad accumulare un enorme potere nel partito, che il leader ridimensionerà dosando le correnti e spingendo Bruno Mégret).

La vittoria di Dreux è stata preparata meticolosamente, battendo i quartieri operai palmo a palmo. Stirbois è infatti convinto – a ragione – che l’elettorato di riferimento del Front national sia da ricercare fra il popolo. Su suo impulso, il partito sceglie di puntare sull’asse immigrazione-insicurezza-disoccupazione. I suoi slogan sono privi di sfumature: “Due milioni di disoccupati, due milioni di immigrati di troppo”. Egli vuole semplicemente invertire i flussi migratori. Qualche anno dopo, nel 1988, sarà sempre lui ad avere un altro colpo di genio: appropriarsi e farsi un vanto dell’accusa di populismo, rivendicando così una vicinanza al popolo sconosciuta agli altri partiti.



                                       Jean-Marie Le Pen e Ronald Reagan
C’è però un problema: pur “solidarista”, Stirbois è filosionista e filoatlantista. E infatti, seguendo lui, in questo periodo il Front national acquisisce una connotazione vagamente liberale (sia pur a partire da un liberalismo “nazionale” e non “apolide”) e tendenzialmente filoamericana, cosa che porta al definitivo allontanamento dell’ala nazionalrivoluzionaria. Già nel 1974, del resto, Le Pen denunciava l’eccessiva presenza dello Stato e vantava le lodi del libero mercato. Rispondendo a una domanda in una trasmissione televisiva dei primi anni ’80, Le Pen definiva “un onore” il fatto di ricevere la qualifica di “Ronald Reagan francese”. A questo corpus ideologico contribuiva anche l’influenza della corrente nazional-liberale del Club de l’Horloge di Bruno Mégret e Jean-Yves Le Gallou. L’infatuazione americana scemerà nel corso degli anni, fino a scomparire del tutto in seguito all’aggressione statunitense all’Iraq del 1991.

Dopo aver fatto irruzione sulla scena politica francese, non resta che capitalizzare l’effetto novità, oltre al malcontento crescente di una Francia in via di trasformazione. Il 13 febbraio 1984 Le Pen viene invitato per la prima volta alla popolare trasmissione televisiva “L’Heure de vérité”, secondo alcuni su impulso di Mitterrand, intenzionato a sottrarre voti agli avversari aprendo la concorrenza alla loro destra. La Francia scopre un politico nuovo, brillante e controcorrente. Appena dopo l’exploit televisivo, le intenzioni di voto per il Fn passano dal 3,5 al 7%. Alle Europee di quell’anno il partito ottiene il 10,95% dei voti, il che significa più di due milioni di suffragi e 10 candidati eletti. Intanto nel Front national entrano i cattolici tradizionalisti e i transfughi dell’ormai dissolto Parti des forces nouvelles. Un nuova apparizione a “L’Heure de la verité” è un altro successo, a causa dell’ironia con cui si prende di gioco di Franz-Olivier Giesbert, in un plastico scontro visivo fra intellighenzia progressista e paese reale (un’altra comparsata, nel 1993, totalizzerà il 30% di share, miglior performance di sempre della trasmissione). Le successive tornate elettorali vedono il partito consolidare il successo e distribuirlo più omogeneamente sul territorio nazionale. I partiti di destra istituzionale sono costretti a rincorrere, spiazzati dalla novità e incapaci di far fronte ai problemi posti da Le Pen. E infatti il 50% dei simpatizzanti dell’Rpr e il 38% di quelli dell’Udf dichiarano, nei primi anni ’90, di approvare le posizioni di Le Pen. A sinistra, intanto, comincia l’opera di diabolizzazione del Front

Nel frattempo qualcosa si muove anche dal punto di vista ideologico. Il reaganismo è finito, l’era di Bush senior sembra rilanciare una più invasiva presenza americana nel mondo. Il liberalismo lepenista comincia a cedere il passo a una denuncia più precisa del nemico mondialista. Nel 1990 il leader frontista si reca in Iraq dove incontra Saddam Hussein alla testa di una delegazione europea di cui fa parte anche Gianfranco Fini. Nel 1996 ripeterà la visita. Negli anni ’90 Le Pen incontra anche Radovan Karadzic. Nel 1991, alla prima Guerra del Golfo, si schiera decisamente contro il conflitto, mentre negli anni a venire si impegnerà in azioni di solidarietà in favore della popolazione del nuovo “stato canaglia”.

I risultati elettorali, comunque, arrivano senza sosta e testimoniano l’esistenza di un elettorato frontista che vota il partito sistematicamente e non solo “per protesta”:

presidenziali 1988: 14,38%;
politiche 1988: 9,66%;
europee 1989: 11,73%;
politiche 1993: 12,42%;
europee 1994: 10,52%;
presidenziali 1995: 15%
politiche 1997: 14,94%.


Bruno Mégret 

Il successo aumenta però le aspirazioni degli altri esponenti del partito e così sul Fn si abbatte una tegola potenzialmente fatale. La scissione del 1998 viene incubata dalla metà degli anni ’90. Bruno Mégret era stato lanciato dallo stesso Le Pen per bilanciare l’ascesa di Jean-Pierre Stirbois, che era il segretario del Front national. Era stato così creato il posto di delegato generale, assegnato a Mégret, per creare una sorta di diarchia al di sotto dell’unico leader. La morte di Stirbois in un incidente d’auto, tuttavia, ha lasciato campo libero a Mégret, di fatto diventato il numero due del partito. Ambizioso, colto ma non carismatico, Mégret si costruisce un potere enorme, non tanto fra la base – che continua ad adorare il vecchio leader – quanto fra i quadri del partito. La provenienza dalla Nouvelle Droite e dal Club de l’Horologe si fa sentire: nell’89, Mégret crea il Consiglio scientifico del Front national reclutando una trentina di docenti universitari e ricercatori. È lui a curare la formazione dei militanti e dei dirigenti, cosa che gli serve anche da meccanismo di reclutamento per la sua corrente interna. La coabitazione con Le Pen è sempre più difficile. L’ex delfino designato punta sui soliti temi del politico rampante: ringiovanimento, trasparenza, modernizzazione. In filigrana c’è anche un’operazione di banalizzazione del messaggio e di future alleanze con la destra moderata.

La scissione avviene nel dicembre del 1998. Mégret fonda il Mouvement national républicain, portandosi dietro il 50 % degli eletti del Front national e il 40 % dei segretari dipartimentali. Con Mégret vanno anche gli esponenti ex frontisti che vengono dalla Nuova Destra, come Le Gallou e Vial. Il nuovo movimento ha il vento in poppa e ha dalla sua molti dei media e degli analisti. Nel 1999, il politologo Pierre-André Taguieff scrive: “Il partito di Mégret ha l’avvenire davanti, mentre quello di Le Pen no, perché non esiste al di fuori della personalità del suo carismatico fondatore”. Alle europee dello stesso anno, il Mnr prende il 3,7%. Il Fn subisce un brusco calo, ma si attesta comunque sul 5,28%, resiste e sopravvive. Bruno Mégret oggi ha lasciato la politica.

Il Fn, invece, pian piano si rialza e guarda avanti. Alle presidenziali del 2002, come accade ormai da anni, Le Pen decide di presentarsi in prima persona. L’inizio è difficile, per un momento sembra quasi che il leader frontista non riesca neanche a espletare le procedure burocratiche per presentarsi. Dalle urne, però, esce una vera e propria rivoluzione: Le Pen conquista il 16.86% dei voti e va al ballottaggio contro Jacques Chirac (19,88%). Per Lionel Jospin, che è riuscito a tenere la sinistra fuori dal secondo turno (16,18%), è semplicemente la morte politica. In Francia per la prima volta era stata tolta la proibizione di diffondere i sondaggi alla vigilia dello scrutinio, eppure nessuno aveva previsto, neanche da lontano, quel che sarebbe avvenuto. Contro il Front national si coalizza un vero e proprio arco costituzionale. La sinistra di ogni grado chiede di andare a votare per Chirac turandosi il naso. Alcuni elettori di sinistra lo fanno platealmente con una molletta sulle narici mentre sindaci comunisti organizzano pubblici lavacri simbolici in cui realmente detergono le mani di chi, per estremo gesto antifascista, è stato costretto a votare Chirac. Il quale, alla fine, trionfa con l’82,21%, maggior risultato dell’intera storia francese dopo aver conquistato al primo turno il primato opposto: mai un presidente in carica aveva preso così poco dopo sette anni all’Eliseo.

Il terremoto, comunque, è stato forte e chiaro. Chirac e Jospin, rispetto al 1995, hanno perso ciascuno due milioni e mezzo di voti. Le Pen ne ha raccolti quasi cinque, espugnando al primo turno 35 collegi. Il crollo della sinistra vede nel frattempo la fiamma tricolore dilagare fra l’elettorato popolare. Nel 1984 il Fn raccoglieva l’8% del voto operaio. Nel 1988 era già il 19%, nel 1994 il 21%, nel 1995 il 30%. Alle presidenziali del 2002, il 24% degli operai ha scelto Le Pen, il 16% Chirac, l’11% Jospin. Non solo: il 33% dei senza lavoro ha scelto il Front, doppiando lo score di Jospin (16%) e travolgendo Chirac (18%). Jean-Marie Le Pen può tranquillamente affermare di guidare il primo partito operaio d’Europa.

L’exploit del 2002 sorprende in qualche modo lo stesso Front national, che presto va incontro a diverse difficoltà. Da una parte l’anagrafe reclama i suoi diritti: Jean-Marie Le Pen è sempre più anziano, dietro di lui sono molti a scalpitare. Anche la destra istituzionale, del resto, cerca di rinnovarsi. Si fa largo, soprattutto, un ambizioso quadro dell’Ump di origini ebraico-ungheresi, dal piglio e dalle idee ben diverse da quelle dell’aristocratico Chirac: è Nicolas Sarkozy. Già ministro negli anni ’90, Sarko approfitta del momento di smarrimento della destra francese per farsi notare, con uno stile decisamente “americano” per i canoni francesi. Anche sul tema caldo delle periferie, il nuovo leader della destra si dà da fare sullo stesso terreno del Fn. Ha fatto epoca, in particolare, una sua passeggiata nelle banlieue, nel 2005, in cui le telecamere lo sorpresero a rispondere così a una signora che chiedeva sicurezza: “Ne avete abbastanza di questa feccia, adesso ci pensiamo noi a toglierli di mezzo!”. È soprattutto l’uso del termine racaille a fare notizia, vera violazione del “linguaggio di cotone” che impone mille cautele morali quando si parla dei “giovani” delle periferie.

Questo stile aggressivo, unito alle divisioni interne che cominciano a formarsi nel Fn, porta a un risultato non brillante nelle presidenziali del 2007. Le Pen raccoglie solo il 10,54%. Pochi mesi dopo, alle politiche, il Fn prende appena il 5%. Come se non bastasse, il partito entra in crisi economica: vende immobili e sedi storiche e si dà da fare più che altro per raccogliere fondi che
Bruno Gollnisch e Jean-Marie Le Pen
garantiscano la sopravvivenza. Per gli osservatori, l’apogeo del partito sembra aver coinciso con l’inizio della sua decadenza. All’interno, invece, il problema della successione sembra non più procrastinabile. Bruno Gollnisch, frontista della prima ora, sembra il delfino designato. Nel partito, tuttavia, ha sempre più spazio una donna dal carattere molto deciso, con un cognome pesante e una grande voglia di novità. L’astro di Marne Le Pen sta sorgendo.



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Marion Anne Perrine Le Pen, conosciuta come Marine, è nata nell’anno cruciale della storia di Francia, vero annus horribilis per l’elettorato frontista: il 1968. Marine è l’ultima figlia del matrimonio fra il leader del Fn e Pierrette Lalanne, sua prima moglie (i due si separeranno quando la ragazza avrà 17 anni). Compie con successo i suoi studi da avvocato, frequentando sin da giovanissima i circuiti giovanili del partito. Da quando ha 24 anni inizia a essere candidata, nel 1998 ottiene il suo primo incarico politico come consigliere regionale nel Nord-Pas-de-Calais. Dal 2000 siede nell’ufficio politico del partito. La sua ascesa mediatica inizia quasi per caso: è infatti chiamata a sostituire all’ultimo un altro candidato nel corso di un dibattito su France3. La ragazza è spigliata e soprattutto sa quel che vuole, non esitando a prendere le distanze dal padre in occasione di un paio delle sue uscite più provocatorie. La sua strategia diviene man man trasparente: si tratta di portare avanti la dédiabolisation: il Fn deve diventare il partito dei francesi, deve sfondare nella società civile, senza spaventare il potenziale elettorato con uscite spiazzanti. Parallelamente, va segnalato l’abbandono di ogni residuo di liberalismo: per Marine il nemico principale è il mondialismo e il capitalismo, come si ripete a ogni pie’ sospinto nel suo Pour que vive la France. Questa politica le porta le attenzioni della stampa, ma anche le antipatie dei quadri del partito: al congresso del 2003, i voti ottenuti dai delegati la relegano al 34esimo post del comitato centrale. Ciò non impedisce a Jean-Marie di nominarla vicepresidente. Al congresso del 2007 arriva seconda dietro Gollnisch. Nel frattempo prende ad occuparsi della propaganda.

Malgrado la crescente ostilità dei pezzi grossi del partito e di molte testate d’area, la sua ascesa è di fatto irresistibile. Al congresso di Tous del gennaio 2011, Marine viene eletta presidente del partito con il 67,65% dei voti dei militanti. Alle presidenziali del 2012, la nuova leader del partito ottiene il 17,80%, il miglior risultato nelle elezioni per l’Eliseo, che tuttavia non gli valgono l’accesso al secondo turno.

L’impressione generale è che il bello debba ancora venire. Ma è tutto il popolo francese, del resto, che sembra nel pieno di un certo risveglio. Gran parte del merito è anche di Hollande, presidente politicamente e finanche fisicamente inadatto al compito ma allo stesso tempo artefice di un governo di raro fanatismo antinazionale. Un sondaggio condotto da Bva a fine ottobre indicava che il 72% dei francesi vuole riformare la legge attualmente in vigore sull’acquisizione automatica della cittadinanza per i bambini nati in Francia da genitori stranieri e che il 54% della popolazione pensa che in Francia ci siano troppi immigrati. Addirittura il 47% degli elettori di sinistra sembra siano favorevoli a un cambiamento. La legge Taubira sui matrimoni (e le adozioni) per le coppie omosessuali ha scatenato una lunga, intensa e creativa protesta, che è riuscita ad essere radicale senza diventare marginale, inventando nuove modalità di protesta e ridando speranza a tutti i français de souche. Negli stessi giorni, la morte volontaria di Dominique Venner, concepita esplicitamente come “atto fondativo”, sembra aver riattivato una serie di energie intellettuali che parevano in parte sopite. Per ultimo, infine, è venuto il movimento dei Bonnets Rouges, che ha dato voce alla ribellione fiscale del popolo bretone.

Il Front national, in senso stretto, non ha grossi meriti nella nascita di nessuno di questi fenomeni (i berretti rossi, anzi, hanno chiaramente preso le distanze dai Le Pen). E tuttavia, la fiamma blu-bianco-rossa ha saputo imporsi come centro di gravita elettorale di tutti i francesi, un vero e proprio sindacato etnico, la cui funzione storica, oggi, quasi prescinde dalle stesse scelte del partito. Il Fn, grazie forse anche alla demonizzazione di cui è stato oggetto per anni, esprime una funzione antagonista oggettiva che è irriducibile a ogni dédiabolisation.

Fra i giovani, il partito spopola. Secondo i dati diffusi dall’Unione degli studenti ebrei di Francia (Uejf), il 42% dei francesi oggi “non esclude”, alle municipali, di votare per il Fn se si presenterà l’occasione. Dato che si ottiene sommando il 18% che lo voterà “certamente” e il 24% che “forse” potrebbe farlo. Nella fascia d’età 18-24, tuttavia, la somma di elettori certi e potenziali dà il 55% del totale. E se il 69% degli intervistati dichiara che modificherebbe il suo voto ascoltando frasi razziste o antisemita da un candidato, un consistente 30% dichiara che lo voterebbe in ogni caso. Geograficamente, l’elettorato frontista è più conservatore al sud e più operaio al nord. Nel nord-est, il 50% è di estrazione operaia o impiegatizia, al sud questa fascia sociale rappresenta il 36%. Se tutti sono stufi delle politiche immigratorie lassiste e delle violenze nelle periferie, i frontisti del sud sembrano più lepenisti tradizionali, più poujadisti: il 60% di loro ritiene che le tasse per i ricchi siano troppo alte contro il 37% degli elettori del nord.

Marine Le Pen, intanto, cerca di radicarsi nella società civile. Nascono strutture parallele di liberi professionisti, si crea una rete economica e culturale di sostegno. Arrivano, anche, gli endorsement dei vip, sull’illustre ma, all’epoca, isolato precedente di Autant-Lara. Oggi raggiungono il Fn – come semplici sostenitori o anche come candidati – il mito vivente Alain Delon, un avvocato molto noto in Francia, con un passato nel Partito socialista, come Gilbert Collard, uno dei più noti comici e imitatori francesi come Jean Roucas, o anche Jean-François Belmondo, nipote di Jean-Paul, l’altro sex symbol del cinema francese di qualche anno fa, insieme appunto ad Alain Delon.

Le aperture, tuttavia, costano un tributo pesante in termini di ricerca della presentabilità. È in questa ottica che Marine ha recentemente chiesto al padre e a Gollnisch di lasciare l’Alleanza europea dei movimenti nazionali (Aemn) in cui figurano lo Jobbik ungherese e il Bnp inglese. Meglio orientarsi verso l’Alleanza europea per la libertà (Eaf) in cui figura l’Fpö austriaco e il Vlaams Belang fiammingo. Particolarmente inelegante la recente presa di distanza da Alba Dorata, durante un’intervista al Messaggero: “Alba Dorata è neonazista e non ha niente a che vedere col Front National; noi non andiamo contro le regole della democrazia. In Grecia hanno lasciato mano libera ad Alba Dorata per esercitare un po’ di pressione sull’Europa. Tipo: vedete cosa succede se non ci date una mano?”. Al di là di ogni considerazione etica, la direzione indicata da tali parole è piuttosto scivolosa e implica un processo di normalizzazione che alla lunga potrebbe rivelarsi pericolosa. Tenere insieme radicalità e affidabilità sarà la sfida di domani da cui dipenderà il futuro del Front national.

Adriano Scianca