Valdimir Vladimirovič Putin appare sulla scena politica russa dal 1998, prima come capo dei nuovi servizi di sicurezza, il FSB (Federalnaja Sluzba Bezopasnosti - Servizio di Sicurezza Federale), e poi come capo dell'amministrazione presidenziale di Eltsin. Da qui diviene segretario del Consiglio di sicurezza, Primo Ministro e infine Presidente della Russia.
È stato lo stesso Boris Nicolaevič Eltsin nel 1999 a nominare Putin come Primo Ministro il 9 agosto del 1999 e a dichiarare la volontà che fosse lui il suo successore. Poco dopo tale augurio, Putin rende manifesta l'intenzione di correre per la Presidenza. Intanto il 16 agosto la Duma ratifica la sua nomina a Primo Ministro con 233 voti a favore, facendo di lui il quinto capo di governo in meno di diciotto mesi.
L'ascesa di Putin alla più alta carica della Russia è estremamente rapida: il 31 dicembre del 1999, Boris Eltsin - negli ultimi anni gravemente malato anche a causa dell'abuso di alcol (è poi morto d'infarto il 23 aprile del 2007) - rassegna le proprie dimissioni. Come previsto dalla Costituzione, Putin diventa Presidente della Federazione Russa. Uno dei primi atti che compie nella sua nuova veste è quella di visitare le truppe russe in Cecenia.
Le elezioni presidenziali russe si svolgono pochi mesi dopo, il 26 marzo 2000: Putin vince alla prima tornata. E a Mosca il 7 maggio dello stesso anno pronuncia il suo giuramento: 'Giuro di servire fedelmente il popolo russo'.
La Russia ereditata da Putin è una Russia moribonda e sull'orlo del collasso militare, politico ed economico. Sotto il Governo Eltsin è l'oligarchia finanziaria a gestire metà delle ricchezze del Paese. Mentre la corruzione è sfacciata e dilagante, il paese attraversa una pesante crisi finanziaria legata anche al crollo dei mercati asiatici. Per non parlare della crisi legata alla questione dei ceceni.
Della vita e della figura di Putin, ex uomo del KGB, non si sa molto, quello che si sa però è che è riuscito a risollevare la Madre Terra Russa tra le potenze del grande gioco della politica internazionale: se negli anni '90 era praticamente ininfluente, Putin con tenacia e lungimiranza è riuscito a ridare alla Russia dignità e potere, rendendola non più succube dell'occidente, ma forte di una propria politica e di una propria strategia.
l 'Time' ha designato Putin come uomo dell'anno solamente nel 2007, eppure si è imposto tra i grandi protagonisti del mondo fin da subito.
Il 14 febbraio 2008, alla fine del suo secondo mandato, si dice fiero
dei suoi successi: 'Abbiamo ristabilito l'integrità dei confini del
nostro Paese, fatto crescere i redditi della popolazione (e questa è la
cosa più importante); abbiamo poi rifondato la nostra economia su basi
completamente nuove. Per tutti questi otto anni ho lavorato come uno
schiavo dalla mattina alla sera, mettendoci tutto me stesso. E sono
soddisfatto'.
I Nashi, il movimento giovanile pro-Putin
Passeggiando per le strade di Mosca o di San Pietroburgo, la tristezza e
il grigiume del periodo sovietico sembrano essere spariti. Nel centro
di queste due grandi città il lusso e i divertimenti non mancano e non
hanno nulla da invidiare alle strade di Milano, Parigi o New York. Mosca
nello specifico è piena di ristoranti e locali extralusso dedicati ai
nuovi miliardari e al mondo della moda.
Ovunque si respira fiducia nel futuro, orgoglio per il passato e stima
nel Presidente. Difficile percepire diversamente, anche perché nella
politica di Putin l'opposizione non è contemplata.
Tra i sostenitori c'è un movimento, i Nashi (ovvero 'i nostri'),
costituito principalmente da giovani, che attraverso manifestazioni e
propaganda ha moltiplicato i consensi verso il Presidente veicolandone
un'immagine ogni giorno più carismatica e in grado di coniugare mito del
passato e speranza nel futuro.
Nashi nasce ufficialmente il 1 marzo 2005 come organizzazione aperta ai
giovani tra i 14 e i 28 anni, con sedi in tutte le 85 regioni della
Federazione russa. L'artefice è il trentenne moscovita Vasily Yakemenko
già 'autore' di un altro movimento, il "Idushchiye Vrieme" (camminando
insieme) sciolto a causa di diversi scandali e scarsa affidabilità, che
con Nashi aveva una cosa in comune: essere al servizio del Cremlino.
I Nashi sono il braccio armato di Putin, e ne rispecchiano l'ideologia:
rigidi nella fedeltà al nazionalismo russo, inflessibili con qualunque
avversario che diventa subito nemico, e inclini a usare ogni arma (in
tutti i sensi) per sconfiggerlo.
Così come afferma orgogliosamente Nikita Borovikov, il segretario del movimento: «Siamo per la Russia
e non contro le altre nazioni. C'è gente che vuole screditarci dicendo
che siamo antiamericani e antieuropei. Ma è ridicolo perché al giorno
d'oggi non ha senso essere 'anti' qualcuno, noi semplicemente non
vogliamo essere schiavi o succubi degli altri. Ci criticano anche per la
nostra straordinaria capacità di mobilitazione: dicono che siamo come
il Komsomol (l'organizzazione giovanile del Partito Comunista sovietico,
fondata nel 1918) dei tempi dell'Unione Sovietica; è un'accusa che ci
lusinga: erano patrioti come noi e noi come loro lavoriamo
all'educazione delle giovani leve».
Di certo Nashi è stato l'antidoto nazionalista escogitato da Putin
contro il rischio delle rivoluzioni a colori scoppiate in molte delle
repubbliche ex sovietiche: l'arancione in Ucraina, le rose in Georgia, i
tulipani in Kirghizistan.
A proposito di ciò il politologo Vitalij Tret'jakov, uomo vicino al pensiero di Putin afferma: «Chi pensa che la Russia possa rinunciare alle sue tradizionali zone di influenza si sbaglia: la Russia
può esistere solo come grande potenza. Capisco i sentimenti dei
Lettoni, degli Ucraini o dei caucasici, ma non dimentichiamoci che
quelle terre sono appartenute per secoli alla Russia e che ancora oggi
ci vivono milioni di Russi».
Putin e Gazprom
La vera arma segreta del Cremlino però si chiama Gazprom: si tratta
della più grande compagnia russa e del maggiore estrattore di gas al
mondo (controlla il 16% delle riserve mondiali). Gazprom nasce nel
luglio del 1989 dall'unione dei Ministeri del petrolio e del gas operata
da Mikhail Gorbachev come parte delle sue riforme economiche (la
cosiddetta perestrojka) iniziate nell''87, diventando l'ente
responsabile per la produzione, la distribuzione e la vendita di gas.
Nel 1998 Gazprom da industria statale alle dipendenze dirette del Ministerro dell'energia, diventa una società per azioni.
Le risorse e i profitti di Gazprom negli ultimi anni hanno fatto
registrare un'impennata spettacolare al punto da garantire da sola il
20% delle entrate delle casse statali della Federazione russa. Si può
dire che di fatto è stata proprio la Gazprom a finanziare la rinascita del Paese, garantendo a Putin i successi negati ai suoi predecessori.
Oltre alle sue riserve di gas e alla rete di condutture più lunga al mondo con i suoi 150.000 km, Gazprom controlla anche società bancarie, agricole, mediatiche, di assicurazioni e di costruzioni.
Negli ultimi anni i prezzi del petrolio e del gas sono schizzati alle
stelle, a più di 100 dollari quando invece ai tempi di Eltsin valevano
pochissimo, meno di dieci dollari al barile: Putin si è quindi ritrovato
nelle mani una rendita enorme che gli ha consentito anche di fare
alcuni investimenti sociali che ne hanno aumentato la popolarità.
Il portavoce di Gazprom, Sergej kuprijanov, parla della potenza della
società: «Siamo contenti di aver contribuito alla rinascita russa, anche
perché lo Stato ha una grossa fetta di azioni nella nostra società che
oggi può vantarsi di essere di gran lunga la più grande società della
Russia, con un fatturato di svariati miliardi di rubli e di 600.000
dipendenti in tutto il mondo. Nel settore dell'energia abbiamo
pochissimi rivali. Le nostre riserve di gas metano sono stimate a più di
30 trilioni di metri cubi: sono risorse enormi a cui corrispondono
obiettivi ambiziosi anche perché le tecnologie di cui oggi disponiamo
permettono di evitare sprechi. Per il momento vendiamo il gas a più di
trenta Paesi e la lista si allunga di anno in anno. Stiamo lavorando
nell'attività di estrazione anche in Paesi terzi: dalla Libia,
all'Uzbekistan».
più grandi giacimenti di Gazprom si trovano a Novi Urengoj, una città
sperduta vicino al circolo polare artico creata ad hoc per i dipendenti
dove tutto è targato Gazprom, dai supermercati agli asili. In questa
sorta di Stato nello Stato i giacimenti sono ben 16: il lavoro è
assicurato, c'è possibilità di carriera - o almeno così assicurano i
dipendenti - una buona qualità di vita e fiducia nel futuro. I continui
posti di blocco però ricordano che comunque è una città chiusa, in
perfetto stile sovietico: senza uno speciale permesso non può entrare
nessuno, né gli stranieri né i Russi stessi.
Sono residui del passato che fanno ancora comodo, perché permettono
controllo e potere. Ma Aleksander Iljasov, il vice Presidente di Gazprom
a Urengoj, giustifica questi controlli: «Le ragioni mi sembrano
evidenti: questa è l'ultima città del nord prepolare, da qui fino
all'Oceano artico non c'è nient'altro, è quindi un confine naturale da
proteggere. Poi ci sono le risorse di gas e di petrolio che è giusto
proteggere. Sapete anche voi che il terrorismo interno è una minaccia
seria».
Eppure i giacimenti si trovano in pieno deserto (seppur di neve), dove
per dieci mesi all'anno c'è solo ghiaccio e le temperature arrivano
fino a 50 gradi sotto zero. Qui la presenza umana è ridotta al minimo
essenziale, difficile quindi pensare che sia un luogo a così alto
rischio.
Il gas come arma politica
Negli ultimi 15 anni la dipendenza dell'Europa dalla Russia è cresciuta
molto, e continua a crescere, a causa della diminuzione del gas.
Gazprom, ovvero la Russia
di Putin, oltre a possedere numerosi giacimenti controlla anche gli
spostamenti degli idrocarburi verso l'Europa attraverso il dominio delle
rotte di trasporto: e se le compagnie straniere talvolta ottengono gli
appalti sugli impianti tecnici di estrazione, i rubinetti di gas e
petrolio restano comunque nelle mani russe. Si tratta di migliaia di
tubi per migliaia di chilometri, un business enorme e uno strumento di
ricatto contro cui è difficile difendersi. Anche se la Gazprom
non vuole ammetterlo, ne sono un esempio le dichiarazioni di Aleksander
Iljasov: «Non è mai successo che i rubinetti del gas venissero chiusi,
né ai tempi della guerra fredda, né ai tempi di oggi. Può darsi che
qualche politico possa aver avuto la tentazione di chiudere i rubinetti,
ma non è mai successo. Gazprom non lo avrebbe mai permesso. Le
casalinghe italiane possono stare tranquille».
Ma Gazprom non è così indipendente come vuole far credere: anche se è
una S.p.a è comunque controllata dallo Stato. È quindi strettamente
legata alla politica.
Stanislav Belkovskij, un politologo poco amato dalle autorità russe, è
stato il primo a parlare apertamente di un presunto "tesoro" di Putin. I
suoi libri sono molto apprezzati all'estero, ma in Russia sono quasi
sconosciuti: «Gazprom fa sì business, ma al suo interno esistono diverse
strutture ombra che non la rendono trasparente. Le mie accuse non sono
mai state smentite, né sono mai stato querelato e questa mancanza di
reazioni è una conferma, seppur indiretta, che ho visto giusto».
Nessuna tv russa ha mai ripreso o approfondito le accuse di Stanislav
Belkovskij: le hanno fatte passare in sordina, mentre grande spazio è
stato dato ai biografi ufficiali, o per meglio dire agli agiografi del
Presidente Putin, a cominciare da Vera Gurevic, la sua maestra: «Ho
conosciuto il Presidente fin da piccolo. Era un ragazzo normale, allegro
e vivace, con buoni voti, in classe non era il leader ma lo
rispettavano'Quando è entrato nel KGB mi sono stupita ma poi ho capito
che era stata una scelta patriottica, romantica, fatta per spirito di
avventura. Poi è entrato in politica e ha fatto una carriera
velocissima, non vi dico quanto sono stata contenta quando è diventato
Presidente: qui a San Pietroburgo aravamo tutti contenti, sapevamo che
ci avrebbe dato molte soddisfazioni».
La 'democrazia guidata' di Putin
Ascoltando le parole del Presidente Putin ci si accorge che non ama
parlare di democrazia, quanto di democrazia guidata. È questa l'idea
della politica di Putin, e lo spiega bene il politologo Vitalij
Tret'jakov: «Democrazia guidata è un concetto che rispecchia bene la
situazione della Russia di oggi: negli anni '90 durante la presidenza
Eltsin, quando è nata la nostra democrazia, ad approfittarne non fu il
popolo ma pochi membri. Succedeva per esempio che alcuni uomini della
criminalità organizzata riuscissero a farsi eleggere come sindaci o come
governatori. Era una democrazia formale! È giusto invece che il potere
formale possa controllare i processi democratici e che li guidi. E se
serve che li corregga. Questa è la democrazia guidata».
A far parte di questa concezione della politica che vede la 'guida'
della democrazia da parte di un leader (Putin), è anche la scarsa
attenzione che i media russi dedicano ai diritti civili, argomento a cui
il Cremlino cerca di non dare risalto. Basti pensare all'assassinio
impunito di Anna Stepanovna Politkovskaja, uccisa a Mosca il 7 ottobre
del 2006. Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, un quotidiano di ispirazione liberale, la Politkovskaja
condannava apertamente l'Esercito e il Governo russo per lo scarso
rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in
Russia che in Cecenia, dove, secondo le sue denunce avvalorate anche
dalla testimonianza di alcuni militari russi, migliaia di cittadini
innocenti sono stati torturati, rapiti o uccisi dalle autorità federali
russe o dalle forze cecene.
L'opposizione, negata
È democrazia guidata anche la rapidità con cui il Cremlino è riuscito a
togliere ogni potere all'opposizione (che di fatto ha azzittito),
creando intorno alla figura di Putin un consenso talmente plebiscitario
da risultare talvolta imbarazzante.
Mikhail Kassianov, ex Primo Ministro e leader del partito d'opposizione
'L'altra Russia', spiega: «L'opposizione c'è, ma il potere fa di tutto
per negarci la visibilità! In questi anni siamo scesi in piazza numerose
volte e tutte le volte la polizia ha caricato i nostri manifestanti, in
modo brutale. Ma le tv hanno preferito tacere o minimizzare le
violenze». Un altro leader dello stesso partito, dai più conosciuto
perché campione del mondo di scacchi, Garri Kasparov, aggiunge: «Hanno
vietato la manifestazione perché secondo le autorità potrebbe turbare
l'ordine pubblico, ma è una giustificazione che non sta in piedi. Siamo
sempre scesi in piazza a mani nude, armati solo degli slogan, ma loro ci
hanno sempre contrastati perché hanno paura delle nostre idee. Anche
ieri a San Pietroburgo hanno disperso chi marciava con noi perché Putin
gliel'ha ordinato!».
Molti dicono che Putin è uno zar, nel bene e nel male, e lo scrittore
Stanislav Belkovskij ci spiega il suo punto di vista: «È uno zar e si
comporta da zar. Lo dimostrano tre cose: 1, ha
eliminato tutti i suoi potenziali rivali; 2, non ha mai accettato le
critiche; 3, è stato lui stesso a scegliersi il suo successore. Come
altro chiamarlo se non zar?!».
Il politologo Vitalij Tret'jakov invece non vede in ciò un male, ma
piuttosto l'unica strada per garantire la democrazia: «Volete chiamarlo
zar? Fartelo pure. Io però continuo a credere che la democrazia debba
svilupparsi secondo le nostre tradizioni e i nostri interessi. E Putin
la pensa come me: ha capito cioè che le cosiddette istituzioni
democratiche, come la libertà di stampa, da sole non garantiscono la
democrazia, anzi possono essere la porta verso l'anarchia».
Morta un'oligarchia se ne fa un'altra
Il vero capolavoro di Putin, il campo in cui ha dimostrato tutta la sua
caparbietà e potenza, è stata la ragnatela in cui ha avvolto gli
oligarchi, ovvero quegli uomini di affari che negli anni '90 hanno
guadagnato cifre enormi con la caduta dell'Unione Sovietica, fino ad
assumere il pieno controllo della politica, dell'economia e
dell'apparato statale.
Tra questi compaiono:
Mikhail Chernoy: imprenditore, dal 1994 vive in Israele
dove guida i suoi affari. In pochi anni è riuscito ad assumere il
controllo dell'80% dell'alluminio estratto in Russia. Di quel periodo
dice: 'Sono stati anni davvero eccezionali, bastava avere intuito e
coraggio, e la gallina dalle uova d'oro era a portata di mano'.
Vladimir Guzinskij: imprenditore. Ex regista di teatro, è poi entrato nel settore immobiliare e da qui è migrato nel mondo massmediale. Ha creato Media Most
la più forte concentrazione televisiva del Paese. Come Chernoy vive in
esilio. Ricercato dalla magistratura moscovita per truffa (è accusato di
avere sottratto 250 milioni di dollari) si difende affermando che è
vittima di una persecuzione politica da parte del Cremlino.
Boris Berezovskij: brillante matematico, è diventato
miliardario grazie alla sua capacità di associare affari e politica. Ha
controllato compagnie aeree come la 'Aeroflot' e società petrolifere
come la 'Sibneft'. In Russia lo considerano un criminale, un uomo legato
alla mafia russa. Anche lui vive all'estero, a Londra.
Quando il 9 agosto del 1996 Boris Eltsin pronuncia il giuramento per il
secondo mandato, tra le persone invitate alla cerimonia spiccano proprio
questi oligarchi. La vittoria di Eltsin è stata voluta e ottenuta
proprio da loro. Subito dopo i festeggiamenti Eltsin viene ricoverato in
ospedale: i Russi hanno votato per un Presidente seriamente malato e
non in grado di assolvere pienamente alle sue funzioni, ma a prendere
realmente le decisioni sono gli oligarchi, che, tra le altre cose, hanno
scelto proprio Putin come futuro Presidente.
Aleksander Lifshits, vice Primo Ministro dal '96 al '97 racconta: «Ho
sperimentato io stesso i metodi con cui gli oligarchi esercitavano il
potere. Quando sono stato nominato, mi hanno convocato per spiegarmi il
loro programma. Uno di loro mi dice con molta franchezza: 'Siamo stati
noi a far eleggere Eltsin, dunque questo Paese ci appartiene e lei farà
quello che le diciamo di fare'. E io dissi: 'Cosa vi aspettate che
faccia?' Mi hanno presentato un elenco di richieste che comprendeva tra
l'altro il coordinamento di tutte le decisioni prese a livello
ministeriale, l'approvazione di qualsiasi assunzione'e così via. Quando
ho chiesto cosa sarebbe successo se non avessi accettato mi hanno
risposto: 'Lei non farebbe più il ministro'».
Dopo la sua lezione, quindi, nel 2000 il neoeletto Putin invita gli
oligarchi al Cremlino, come faceva Eltsin. Ma questa volta le cose vanno
diversamente. Il nuovo Presidente dà loro una lezione davanti alle
telecamere: 'Alle volte nel nostro Paese è difficile capire dove finisce
il mondo degli affari e dove comincia lo Stato. Ovvero dove finisce lo
Stato e iniziano gli affari'.
L'oligarca Mikhail Chernoy ricorda: «Quando gli abbiamo detto: 'Siamo
noi che ti abbiamo portato al potere', ci ha risposto: 'Ragazzi,
dimenticatevi il passato. Potete tenervi quello che avete conquistato,
continuate a fare il vostro lavoro, ma pagate le tasse. Oggi viviamo in
un'altra epoca'».
Putin fa capire agli oligarchi che possono tenersi tutte le ricchezze,
anche se il popolo russo ritiene che le abbiano accumulate in modo poco
pulito, ma in cambio devono cessare ogni interferenza nella politica e
negli affari di Stato. Naturalmente alcuni accettano queste condizioni,
altri no. Questi ultimi però non avranno scampo.
La persecuzione degli oligarchi
Putin mantiene la sua parola: pur essendo uno degli oligarchi più
potenti, il 12 dicembre del 2000 Vladimir Guzinskij viene arrestato in
Spagna dove si era rifugiato. Quando si impegna a restituire le sue
azioni viene liberato e fugge.
Anche Boris Berezovskij racconta: «Mi sono opposto ad alcune sue
decisioni, lui ha giudicato il mio comportamento come un tradimento
personale, ha perfino rinfacciato il fatto che ero stato io a chiedergli
di candidarsi. Gli ho risposto che lo avevo fatto non per i suoi occhi
belli, ma perché pensavo che credesse nelle mie stesse convinzioni.
Putin si è sentito offeso dalle mie parole. E dopo questa discussione ha
deciso che dovevo restituire le mie azioni allo Stato immediatamente.
Ho rifiutato». Ma volente o nolente Berezovskij perde le sue azioni e
dal 2001 va a Londra per sfuggire alle indagini penali e alle richieste
di arresto a suo carico.
Berezovskij spiega qual è stata la strategia di Putin: «Il mondo degli
affari russo si è completamente prostrato a lui. Aveva dichiarato guerra
a chiunque fosse indipendente. La progressione è evidente: prima si
occupa dei politici indipendenti, poi passa ai giornalisti e ai media
liberi, e dopo essersi occupato di tutto questo se la prende con il
capitale indipendente. Questo perché non è possibile creare un asse di
potere verticale assoggettando solo i politici e i media senza
controllare il denaro».
Mikhail Chernoy è stato l'ultimo dei grandi oligarchi a cadere nella ragnatela di Putin: si trova dal 2005 in
una sperduta galera della Siberia, ed è molto probabile che non ne
uscirà mai più. Il suo arresto plateale è stato un monito esplicito per
quelli che ancora si ostinano nel mondo degli affari a non riconoscere
l'autorità di Putin e dello Stato, e a voler avere ancora influenze
all'interno della Duma.
Ma c'è chi, come il politologo Vladimir Pribylovskij, afferma
che Putin non ha fatto altro che sostituire i vecchi oligarchi
disobbedienti con nuovi personaggi di cui si fida: «Li ha sostituiti con
oligarchi più ragionevoli e non indipendenti, ma non è che ha eliminato
gli oligarchi. Quella è solo propaganda, lui stesso è diventato
oligarca». Tutto ciò avviene agli occhi di una Russia spesso
consapevole, che si rispecchia nelle parole di Vitalij Tret'jakov:
«Cos'altro doveva fare? Eliminare tutti gli oligarchi e distribuire le
loro ricchezze al popolo? Ma questa è demagogia!».
Di certo Putin è un leader capace di trasformare le sue idee politiche in fatti.