venerdì 28 febbraio 2014

L'ultimo Zar, come Putin ha salvato la Russia
















Valdimir Vladimirovič Putin appare sulla scena politica russa dal 1998, prima come capo dei nuovi servizi di sicurezza, il FSB (Federalnaja Sluzba Bezopasnosti - Servizio di Sicurezza Federale), e poi come capo dell'amministrazione presidenziale di Eltsin. Da qui diviene segretario del Consiglio di sicurezza, Primo Ministro e infine Presidente della Russia.

È stato lo stesso Boris Nicolaevič Eltsin nel 1999 a nominare Putin come Primo Ministro il 9 agosto del 1999 e a dichiarare la volontà che fosse lui il suo successore. Poco dopo tale augurio, Putin rende manifesta l'intenzione di correre per la Presidenza. Intanto il 16 agosto la Duma ratifica la sua nomina a Primo Ministro con 233 voti a favore, facendo di lui il quinto capo di governo in meno di diciotto mesi.

L'ascesa di Putin alla più alta carica della Russia è estremamente rapida: il 31 dicembre del 1999, Boris Eltsin - negli ultimi anni gravemente malato anche a causa dell'abuso di alcol (è poi morto d'infarto il 23 aprile del 2007) - rassegna le proprie dimissioni. Come previsto dalla Costituzione, Putin diventa Presidente della Federazione Russa. Uno dei primi atti che compie nella sua nuova veste è quella di visitare le truppe russe in Cecenia.

Le elezioni presidenziali russe si svolgono pochi mesi dopo, il 26 marzo 2000: Putin vince alla prima tornata. E a Mosca il 7 maggio dello stesso anno pronuncia il suo giuramento: 'Giuro di servire fedelmente il popolo russo'.

La Russia ereditata da Putin è una Russia moribonda e sull'orlo del collasso militare, politico ed economico. Sotto il Governo Eltsin è l'oligarchia finanziaria a gestire metà delle ricchezze del Paese. Mentre la corruzione è sfacciata e dilagante, il paese attraversa una pesante crisi finanziaria legata anche al crollo dei mercati asiatici. Per non parlare della crisi legata alla questione dei ceceni.

Della vita e della figura di Putin, ex uomo del KGB, non si sa molto, quello che si sa però è che è riuscito a risollevare la Madre Terra Russa tra le potenze del grande gioco della politica internazionale: se negli anni '90 era praticamente ininfluente, Putin con tenacia e lungimiranza è riuscito a ridare alla Russia dignità e potere, rendendola non più succube dell'occidente, ma forte di una propria politica e di una propria strategia.

l 'Time' ha designato Putin come uomo dell'anno solamente nel 2007, eppure si è imposto tra i grandi protagonisti del mondo fin da subito.
Il 14 febbraio 2008, alla fine del suo secondo mandato, si dice fiero dei suoi successi: 'Abbiamo ristabilito l'integrità dei confini del nostro Paese, fatto crescere i redditi della popolazione (e questa è la cosa più importante); abbiamo poi rifondato la nostra economia su basi completamente nuove. Per tutti questi otto anni ho lavorato come uno schiavo dalla mattina alla sera, mettendoci tutto me stesso. E sono soddisfatto'.

I Nashi, il movimento giovanile pro-Putin
Passeggiando per le strade di Mosca o di San Pietroburgo, la tristezza e il grigiume del periodo sovietico sembrano essere spariti. Nel centro di queste due grandi città il lusso e i divertimenti non mancano e non hanno nulla da invidiare alle strade di Milano, Parigi o New York. Mosca nello specifico è piena di ristoranti e locali extralusso dedicati ai nuovi miliardari e al mondo della moda.
Ovunque si respira fiducia nel futuro, orgoglio per il passato e stima nel Presidente. Difficile percepire diversamente, anche perché nella politica di Putin l'opposizione non è contemplata.
Tra i sostenitori c'è un movimento, i Nashi (ovvero 'i nostri'), costituito principalmente da giovani, che attraverso manifestazioni e propaganda ha moltiplicato i consensi verso il Presidente veicolandone un'immagine ogni giorno più carismatica e in grado di coniugare mito del passato e speranza nel futuro.
Nashi nasce ufficialmente il 1 marzo 2005 come organizzazione aperta ai giovani tra i 14 e i 28 anni, con sedi in tutte le 85 regioni della Federazione russa. L'artefice è il trentenne moscovita Vasily Yakemenko già 'autore' di un altro movimento, il "Idushchiye Vrieme" (camminando insieme) sciolto a causa di diversi scandali e scarsa affidabilità, che con Nashi aveva una cosa in comune: essere al servizio del Cremlino.   


I Nashi sono il braccio armato di Putin, e ne rispecchiano l'ideologia: rigidi nella fedeltà al nazionalismo russo, inflessibili con qualunque avversario che diventa subito nemico, e inclini a usare ogni arma (in tutti i sensi) per sconfiggerlo.
Così come afferma orgogliosamente Nikita Borovikov, il segretario del movimento: «Siamo per la Russia e non contro le altre nazioni. C'è gente che vuole screditarci dicendo che siamo antiamericani e antieuropei. Ma è ridicolo perché al giorno d'oggi non ha senso essere 'anti' qualcuno, noi semplicemente non vogliamo essere schiavi o succubi degli altri. Ci criticano anche per la nostra straordinaria capacità di mobilitazione: dicono che siamo come il Komsomol (l'organizzazione giovanile del Partito Comunista sovietico, fondata nel 1918) dei tempi dell'Unione Sovietica; è un'accusa che ci lusinga: erano patrioti come noi e noi come loro lavoriamo all'educazione delle giovani leve».

Di certo Nashi è stato l'antidoto nazionalista escogitato da Putin contro il rischio delle rivoluzioni a colori scoppiate in molte delle repubbliche ex sovietiche: l'arancione in Ucraina, le rose in Georgia, i tulipani in Kirghizistan.

A proposito di ciò il politologo Vitalij Tret'jakov, uomo vicino al pensiero di Putin afferma: «Chi pensa che la Russia possa rinunciare alle sue tradizionali zone di influenza si sbaglia: la Russia può esistere solo come grande potenza. Capisco i sentimenti dei Lettoni, degli Ucraini o dei caucasici, ma non dimentichiamoci che quelle terre sono appartenute per secoli alla Russia e che ancora oggi ci vivono milioni di Russi».

Putin e Gazprom
La vera arma segreta del Cremlino però si chiama Gazprom: si tratta della più grande compagnia russa e del maggiore estrattore di gas al mondo (controlla il 16% delle riserve mondiali). Gazprom nasce nel luglio del 1989 dall'unione dei Ministeri del petrolio e del gas operata da Mikhail Gorbachev come parte delle sue riforme economiche (la cosiddetta perestrojka) iniziate nell''87, diventando l'ente responsabile per la produzione, la distribuzione e la vendita di gas.
  
Nel 1998 Gazprom da industria statale alle dipendenze dirette del Ministerro dell'energia, diventa una società per azioni.
  
Le risorse e i profitti di Gazprom negli ultimi anni hanno fatto registrare un'impennata spettacolare al punto da garantire da sola il 20% delle entrate delle casse statali della Federazione russa. Si può dire che di fatto è stata proprio la Gazprom a finanziare la rinascita del Paese, garantendo a Putin i successi negati ai suoi predecessori.
Oltre alle sue riserve di gas e alla rete di condutture più lunga al mondo con i suoi 150.000 km, Gazprom controlla anche società bancarie, agricole, mediatiche, di assicurazioni e di costruzioni.
  
Negli ultimi anni i prezzi del petrolio e del gas sono schizzati alle stelle, a più di 100 dollari quando invece ai tempi di Eltsin valevano pochissimo, meno di dieci dollari al barile: Putin si è quindi ritrovato nelle mani una rendita enorme che gli ha consentito anche di fare alcuni investimenti sociali che ne hanno aumentato la popolarità.

Il portavoce di Gazprom, Sergej kuprijanov, parla della potenza della società: «Siamo contenti di aver contribuito alla rinascita russa, anche perché lo Stato ha una grossa fetta di azioni nella nostra società che oggi può vantarsi di essere di gran lunga la più grande società della Russia, con un fatturato di svariati miliardi di rubli e di 600.000 dipendenti in tutto il mondo. Nel settore dell'energia abbiamo pochissimi rivali. Le nostre riserve di gas metano sono stimate a più di 30 trilioni di metri cubi: sono risorse enormi a cui corrispondono obiettivi ambiziosi anche perché le tecnologie di cui oggi disponiamo permettono di evitare sprechi. Per il momento vendiamo il gas a più di trenta Paesi e la lista si allunga di anno in anno. Stiamo lavorando nell'attività di estrazione anche in Paesi terzi: dalla Libia, all'Uzbekistan».

più grandi giacimenti di Gazprom si trovano a Novi Urengoj, una città sperduta vicino al circolo polare artico creata ad hoc per i dipendenti dove tutto è targato Gazprom, dai supermercati agli asili. In questa sorta di Stato nello Stato i giacimenti sono ben 16: il lavoro è assicurato, c'è possibilità di carriera - o almeno così assicurano i dipendenti - una buona qualità di vita e fiducia nel futuro. I continui posti di blocco però ricordano che comunque è una città chiusa, in perfetto stile sovietico: senza uno speciale permesso non può entrare nessuno, né gli stranieri né i Russi stessi.

Sono residui del passato che fanno ancora comodo, perché permettono controllo e potere. Ma Aleksander Iljasov, il vice Presidente di Gazprom a Urengoj, giustifica questi controlli: «Le ragioni mi sembrano evidenti: questa è l'ultima città del nord prepolare, da qui fino all'Oceano artico non c'è nient'altro, è quindi un confine naturale da proteggere. Poi ci sono le risorse di gas e di petrolio che è giusto proteggere. Sapete anche voi che il terrorismo interno è una minaccia seria».
Eppure i giacimenti si trovano in pieno deserto (seppur di neve), dove per dieci mesi all'anno c'è solo ghiaccio e le temperature arrivano fino a 50 gradi sotto zero. Qui la presenza umana è ridotta al minimo essenziale, difficile quindi pensare che sia un luogo a così alto rischio.

Il gas come arma politica
Negli ultimi 15 anni la dipendenza dell'Europa dalla Russia è cresciuta molto, e continua a crescere, a causa della diminuzione del gas. Gazprom, ovvero la Russia di Putin, oltre a possedere numerosi giacimenti controlla anche gli spostamenti degli idrocarburi verso l'Europa attraverso il dominio delle rotte di trasporto: e se le compagnie straniere talvolta ottengono gli appalti sugli impianti tecnici di estrazione, i rubinetti di gas e petrolio restano comunque nelle mani russe. Si tratta di migliaia di tubi per migliaia di chilometri, un business enorme e uno strumento di ricatto contro cui è difficile difendersi. Anche se la Gazprom non vuole ammetterlo, ne sono un esempio le dichiarazioni di Aleksander Iljasov: «Non è mai successo che i rubinetti del gas venissero chiusi, né ai tempi della guerra fredda, né ai tempi di oggi. Può darsi che qualche politico possa aver avuto la tentazione di chiudere i rubinetti, ma non è mai successo. Gazprom non lo avrebbe mai permesso. Le casalinghe italiane possono stare tranquille».

Ma Gazprom non è così indipendente come vuole far credere: anche se è una S.p.a è comunque controllata dallo Stato. È quindi strettamente legata alla politica.

Stanislav Belkovskij, un politologo poco amato dalle autorità russe, è stato il primo a parlare apertamente di un presunto "tesoro" di Putin. I suoi libri sono molto apprezzati all'estero, ma in Russia sono quasi sconosciuti: «Gazprom fa sì business, ma al suo interno esistono diverse strutture ombra che non la rendono trasparente. Le mie accuse non sono mai state smentite, né sono mai stato querelato e questa mancanza di reazioni è una conferma, seppur indiretta, che ho visto giusto».

Nessuna tv russa ha mai ripreso o approfondito le accuse di Stanislav Belkovskij: le hanno fatte passare in sordina, mentre grande spazio è stato dato ai biografi ufficiali, o per meglio dire agli agiografi del Presidente Putin, a cominciare da Vera Gurevic, la sua maestra: «Ho conosciuto il Presidente fin da piccolo. Era un ragazzo normale, allegro e vivace, con buoni voti, in classe non era il leader ma lo rispettavano'Quando è entrato nel KGB mi sono stupita ma poi ho capito che era stata una scelta patriottica, romantica, fatta per spirito di avventura. Poi è entrato in politica e ha fatto una carriera velocissima, non vi dico quanto sono stata contenta quando è diventato Presidente: qui a San Pietroburgo aravamo tutti contenti, sapevamo che ci avrebbe dato molte soddisfazioni».

La 'democrazia guidata' di Putin
Ascoltando le parole del Presidente Putin ci si accorge che non ama parlare di democrazia, quanto di democrazia guidata. È questa l'idea della politica di Putin, e lo spiega bene il politologo Vitalij Tret'jakov: «Democrazia guidata è un concetto che rispecchia bene la situazione della Russia di oggi: negli anni '90 durante la presidenza Eltsin, quando è nata la nostra democrazia, ad approfittarne non fu il popolo ma pochi membri. Succedeva per esempio che alcuni uomini della criminalità organizzata riuscissero a farsi eleggere come sindaci o come governatori. Era una democrazia formale! È giusto invece che il potere formale possa controllare i processi democratici e che li guidi. E se serve che li corregga. Questa è la democrazia guidata».

A far parte di questa concezione della politica che vede la 'guida' della democrazia da parte di un leader (Putin), è anche la scarsa attenzione che i media russi dedicano ai diritti civili, argomento a cui il Cremlino cerca di non dare risalto. Basti pensare all'assassinio impunito di Anna Stepanovna Politkovskaja, uccisa a Mosca il 7 ottobre del 2006. Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, un quotidiano di ispirazione liberale, la Politkovskaja condannava apertamente l'Esercito e il Governo russo per lo scarso rispetto dimostrato dei diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia, dove, secondo le sue denunce avvalorate anche dalla testimonianza di alcuni militari russi, migliaia di cittadini innocenti sono stati torturati, rapiti o uccisi dalle autorità federali russe o dalle forze cecene.

L'opposizione, negata
È democrazia guidata anche la rapidità con cui il Cremlino è riuscito a togliere ogni potere all'opposizione (che di fatto ha azzittito), creando intorno alla figura di Putin un consenso talmente plebiscitario da risultare talvolta imbarazzante.

Mikhail Kassianov, ex Primo Ministro e leader del partito d'opposizione 'L'altra Russia', spiega: «L'opposizione c'è, ma il potere fa di tutto per negarci la visibilità! In questi anni siamo scesi in piazza numerose volte e tutte le volte la polizia ha caricato i nostri manifestanti, in modo brutale. Ma le tv hanno preferito tacere o minimizzare le violenze». Un altro leader dello stesso partito, dai più conosciuto perché campione del mondo di scacchi, Garri Kasparov, aggiunge: «Hanno vietato la manifestazione perché secondo le autorità potrebbe turbare l'ordine pubblico, ma è una giustificazione che non sta in piedi. Siamo sempre scesi in piazza a mani nude, armati solo degli slogan, ma loro ci hanno sempre contrastati perché hanno paura delle nostre idee. Anche ieri a San Pietroburgo hanno disperso chi marciava con noi perché Putin gliel'ha ordinato!».

Molti dicono che Putin è uno zar, nel bene e nel male, e lo scrittore Stanislav Belkovskij ci spiega il suo punto di vista: «È uno zar e si comporta da zar. Lo dimostrano tre cose: 1, ha eliminato tutti i suoi potenziali rivali; 2, non ha mai accettato le critiche; 3, è stato lui stesso a scegliersi il suo successore. Come altro chiamarlo se non zar?!».

Il politologo Vitalij Tret'jakov invece non vede in ciò un male, ma piuttosto l'unica strada per garantire la democrazia: «Volete chiamarlo zar? Fartelo pure. Io però continuo a credere che la democrazia debba svilupparsi secondo le nostre tradizioni e i nostri interessi. E Putin la pensa come me: ha capito cioè che le cosiddette istituzioni democratiche, come la libertà di stampa, da sole non garantiscono la democrazia, anzi possono essere la porta verso l'anarchia».

Morta un'oligarchia se ne fa un'altra
Il vero capolavoro di Putin, il campo in cui ha dimostrato tutta la sua caparbietà e potenza, è stata la ragnatela in cui ha avvolto gli oligarchi, ovvero quegli uomini di affari che negli anni '90 hanno guadagnato cifre enormi con la caduta dell'Unione Sovietica, fino ad assumere il pieno controllo della politica, dell'economia e dell'apparato statale.

Tra questi compaiono:
Mikhail Chernoy: imprenditore, dal 1994 vive in Israele dove guida i suoi affari. In pochi anni è riuscito ad assumere il controllo dell'80% dell'alluminio estratto in Russia. Di quel periodo dice: 'Sono stati anni davvero eccezionali, bastava avere intuito e coraggio, e la gallina dalle uova d'oro era a portata di mano'.

Vladimir Guzinskij: imprenditore. Ex regista di teatro, è poi entrato nel settore immobiliare e da qui è migrato nel mondo massmediale. Ha creato Media Most la più forte concentrazione televisiva del Paese. Come Chernoy vive in esilio. Ricercato dalla magistratura moscovita per truffa (è accusato di avere sottratto 250 milioni di dollari) si difende affermando che è vittima di una persecuzione politica da parte del Cremlino.

Boris Berezovskij: brillante matematico, è diventato miliardario grazie alla sua capacità di associare affari e politica. Ha controllato compagnie aeree come la 'Aeroflot' e società petrolifere come la 'Sibneft'. In Russia lo considerano un criminale, un uomo legato alla mafia russa. Anche lui vive all'estero, a Londra.
  
Quando il 9 agosto del 1996 Boris Eltsin pronuncia il giuramento per il secondo mandato, tra le persone invitate alla cerimonia spiccano proprio questi oligarchi. La vittoria di Eltsin è stata voluta e ottenuta proprio da loro. Subito dopo i festeggiamenti Eltsin viene ricoverato in ospedale: i Russi hanno votato per un Presidente seriamente malato e non in grado di assolvere pienamente alle sue funzioni, ma a prendere realmente le decisioni sono gli oligarchi, che, tra le altre cose, hanno scelto proprio Putin come futuro Presidente.

Aleksander Lifshits, vice Primo Ministro dal '96 al '97 racconta: «Ho sperimentato io stesso i metodi con cui gli oligarchi esercitavano il potere. Quando sono stato nominato, mi hanno convocato per spiegarmi il loro programma. Uno di loro mi dice con molta franchezza: 'Siamo stati noi a far eleggere Eltsin, dunque questo Paese ci appartiene e lei farà quello che le diciamo di fare'. E io dissi: 'Cosa vi aspettate che faccia?' Mi hanno presentato un elenco di richieste che comprendeva tra l'altro il coordinamento di tutte le decisioni prese a livello ministeriale, l'approvazione di qualsiasi assunzione'e così via. Quando ho chiesto cosa sarebbe successo se non avessi accettato mi hanno risposto: 'Lei non farebbe più il ministro'».

Dopo la sua lezione, quindi, nel 2000 il neoeletto Putin invita gli oligarchi al Cremlino, come faceva Eltsin. Ma questa volta le cose vanno diversamente. Il nuovo Presidente dà loro una lezione davanti alle telecamere: 'Alle volte nel nostro Paese è difficile capire dove finisce il mondo degli affari e dove comincia lo Stato. Ovvero dove finisce lo Stato e iniziano gli affari'.

L'oligarca Mikhail Chernoy ricorda: «Quando gli abbiamo detto: 'Siamo noi che ti abbiamo portato al potere', ci ha risposto: 'Ragazzi, dimenticatevi il passato. Potete tenervi quello che avete conquistato, continuate a fare il vostro lavoro, ma pagate le tasse. Oggi viviamo in un'altra epoca'».

Putin fa capire agli oligarchi che possono tenersi tutte le ricchezze, anche se il popolo russo ritiene che le abbiano accumulate in modo poco pulito, ma in cambio devono cessare ogni interferenza nella politica e negli affari di Stato. Naturalmente alcuni accettano queste condizioni, altri no. Questi ultimi però non avranno scampo.

La persecuzione degli oligarchi
Putin mantiene la sua parola: pur essendo uno degli oligarchi più potenti, il 12 dicembre del 2000 Vladimir Guzinskij viene arrestato in Spagna dove si era rifugiato. Quando si impegna a restituire le sue azioni viene liberato e fugge.
  
Anche Boris Berezovskij racconta: «Mi sono opposto ad alcune sue decisioni, lui ha giudicato il mio comportamento come un tradimento personale, ha perfino rinfacciato il fatto che ero stato io a chiedergli di candidarsi. Gli ho risposto che lo avevo fatto non per i suoi occhi belli, ma perché pensavo che credesse nelle mie stesse convinzioni. Putin si è sentito offeso dalle mie parole. E dopo questa discussione ha deciso che dovevo restituire le mie azioni allo Stato immediatamente. Ho rifiutato». Ma volente o nolente Berezovskij perde le sue azioni e dal 2001 va a Londra per sfuggire alle indagini penali e alle richieste di arresto a suo carico.

Berezovskij spiega qual è stata la strategia di Putin: «Il mondo degli affari russo si è completamente prostrato a lui. Aveva dichiarato guerra a chiunque fosse indipendente. La progressione è evidente: prima si occupa dei politici indipendenti, poi passa ai giornalisti e ai media liberi, e dopo essersi occupato di tutto questo se la prende con il capitale indipendente. Questo perché non è possibile creare un asse di potere verticale assoggettando solo i politici e i media senza controllare il denaro».

Mikhail Chernoy è stato l'ultimo dei grandi oligarchi a cadere nella ragnatela di Putin: si trova dal 2005 in una sperduta galera della Siberia, ed è molto probabile che non ne uscirà mai più. Il suo arresto plateale è stato un monito esplicito per quelli che ancora si ostinano nel mondo degli affari a non riconoscere l'autorità di Putin e dello Stato, e a voler avere ancora influenze all'interno della Duma.

Ma c'è chi, come il politologo Vladimir Pribylovskij, afferma che Putin non ha fatto altro che sostituire i vecchi oligarchi disobbedienti con nuovi personaggi di cui si fida: «Li ha sostituiti con oligarchi più ragionevoli e non indipendenti, ma non è che ha eliminato gli oligarchi. Quella è solo propaganda, lui stesso è diventato oligarca». Tutto ciò avviene agli occhi di una Russia spesso consapevole, che si rispecchia nelle parole di Vitalij Tret'jakov: «Cos'altro doveva fare? Eliminare tutti gli oligarchi e distribuire le loro ricchezze al popolo? Ma questa è demagogia!».

Di certo Putin è un leader capace di trasformare le sue idee politiche in fatti.