LAVORO NERO = LAVORO VERO
Alla ricerca di significati
Incredibile per
quanto sembri, non tutti i dizionari di economia definiscono il lavoro.[1]
Uno di essi[2] lo fa
così:
Fattore della
produzione (v.) che include l’insieme delle attività umane, fisiche o intellettuali,
volte alla produzione di beni o servizi che, in quanto tale, può essere
considerato un bene con un proprio valore e quindi con un prezzo, rappresentato
dal salario (v.). Il meccanismo di funzionamento del mercato del lavoro (v.) […] è influenzato da numerose componenti economiche, politiche e
sociali: ne discende che la legge della domanda e dell’offerta assume una
rilevanza proporzionalmente minore rispetto ad altri mercati.
Vale la pena appianare le grinze, di commissione e di
omissione, di codesta definizione per rendere la questione più intelligibile e
pertanto solvibile.
Cominciamo con “produzione di beni o servizi”. La frase può voler dire che a) beni e servizi sono produzioni
diverse, o che b) sono la stessa cosa.[3]
Disambiguiamola ricorrendo a Frédéric Bastiat (1801-1850): un servizio può o essere
offerto da persona a persona, oppure incorporato in un oggetto ora detto
“bene”. Questo ragionamento non fa una grinza, per cui non esito ad adottarlo: la distinzione
bene/servizio è innecessaria.
Continua il nostro dizionario asserendo che “(il lavoro)
in quanto tale può essere considerato un bene con un proprio valore e quindi
con un prezzo”.
Qui casca l’asino, e non una ma ben tre volte.
Analizziamo:
·
Se il lavoro fosse un bene dovrebbe
essere un oggetto. Invece rimane “l’insieme delle attività umane, fisiche o
intellettuali, volte alla produzione di beni o servizi”.
·
“con un proprio valore e quindi con un
prezzo”. Ammoniva Antonio Machado (1875-1939): Todo necio siempre confunde el valor con el precio.[4] Un
camiciaio che confeziona una camicia per uso personale, lo fa perché valora l’indumento. Ma a che prezzo? A quello del tempo che gli
ci vuole per confezionarlo: il prezzo corrisponde al lavoro. Finanziariamente, come richiesto dalla definizione, non c’è
prezzo. Il “quindi” della definizione è ridondante.
·
Il lavoro domestico, non apprezzato come
lavoro ma disprezzato, vilipendiato o peggio dalla teoria e pratica femministe,
non viene retribuito con un salario, che
le poche donne eroiche che ancora lo espletano meriterebbero in stretta
giustizia. Il “quindi” non è ora tanto ridondante quanto truffaldino e quindi perverso.
Continuiamo e finiamo: “la legge della domanda e dell’offerta assume una rilevanza proporzionalmente
minore” dovrebbe veritieramente dire: “nulla”. Perché domanda e offerta siano
“legge” dovrebbero confrontarsi in condizioni uguali. Ma come faceva notare
Silvio Gesell 100 anni fa, la prima, sostenuta da un mezzo di pagamento
indeperibile, ha sempre un indebito
vantaggio sulla seconda, sostenuta dai capricci della natura, la moda, la
truffa, le tarme, e chi più ne ha più ne
metta. La domanda può aspettare, l’offerta no. Lo sbilancio genera l’usura, tabù che il nostro dizionario
si guarda bene dall’elencare, ed a
fortiori definire.
Ce n’è abbastanza per squalificare codesti tentativi
lessicali sostituendoli con una definizione di lavoro secondo natura, tanto delle cose quanto umana. Per esempio:
Il lavoro è la sommatoria di atti umani
che trasformano il medio ambiente producendo una doppia perfezione: nelle cose,
detta ricchezza, e nelle persone,
detta virtù.
La ricchezza l’abbiamo definita come servizi, o da persona a persona o incorporati in oggetti detti
“beni”.
L’economia ufficiale fa caso omesso delle virtù, ma è
bene ricordare che chi lavora ne sviluppa di personali come prudenza,
fortezza e temperanza. È paziente, perseverante, decide oculatamente, si sottomette
a un orario, ecc. E ne sviluppa di sociali attorno alla giustizia: mantiene la
parola data, chiede il giusto prezzo per le sue prestazioni, eccetera. Perché
gli atti siano “umani” devono essere a) liberi, e b) responsabili.
“L’Italia –recita l’articolo 1 della
Costituzione- è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Se così fosse,
tutti gli Italiani lavorebbero liberamente e responsabilmente; non ci vuole
molto ad accorgersi che così non è.
La confusione rampante tra Governo e
Stato (che esula da questo articolo il districare) permette a quest’ultimo di
usurpare le prerogative del primo, confondendo governare con controllare, e usando
chi lavora come bersaglio preferito di tale controllo. Se ne era accorto già Proudhon
170 anni fa. Il suo être gouverné è
un classico di pensiero economico-politico:
Essere
governati vuol dire essere sorvegliati, ispezionati, spiati, diretti,
legislati, regolati, etichettati, indottrinati, predicati, controllati,
assessorati, pesati, censurati, comandati, da uomini che non hanno né il
diritto di farlo, né la conoscenza, né l’autorità morale.
Essere
governati vuol dire, ad ogni operazione, transazione e movimento, essere
notati, registrati, controllati, tassati, bollati, misurati, valutati,
assessorati, brevettati, autorizzati, approvati, ammoniti, ostacolati,
riformati, rimproverati, arrestati.
E sotto
pretesto dell’interesse generale, si viene tassati, esercitati, sequestrati,
sfruttati, monopolizzati, estorti, ingannati, derubati.
Alla minima
resistenza, poi, alle prime lagnanze, si viene repressi, multati, maltrattati,
infastiditi, pedinati, costretti, picchiati, disarmati, strangolati,
imprigionati, mitragliati, giudicati, condannati, deportati, spellati, venduti,
traditi e in fine scherniti, beffati, insultati, disonorati.
Ecco cos’è il governo e la sua moralità!
Da allora le cose vanno di male in peggio, per cui la
conclusione si impone da sé: l’unica maniera di lavorare secondo natura è farlo
alla larga di tutti quei controlli, cioè in nero. E non solo in l’Italia. La
storia che segue fa al caso.
Un giorno che la pioggia aveva impedito lo svolgersi
delle attività ufficiali, un maestro di scuola secondaria in California sviò la
discussione verso temi di attualità.
Una domanda circa il matrimonio di omosessuali condusse
al tema delle licenze matrimoniali: chi le emette, a che servono, se e che cosa
si guadagna possedendone una. Il maestro fece notare che a meno di registrarlo,
un matrimonio non esiste ufficialmente, anche se è avvenuta una cerimonia. Da
qui sorsero domande sul perchè lo Stato regola i matrimoni.
Dopo una breve spiegazione una studentessa, evidentemente
turbata, sbottò: “Chi è questa gente per impedire ad altri di contrarre
matrimonio? Una legge dovrebbe proibirlo!”
Il maestro decise di far la parte dell’avvocato del
diavolo, e rimbeccò: “Non sono d’accordo. La soluzione non è un’altra legge; le
troppe leggi sono il problema”.
A questo punto le domande seguirono a raffiche. Il
maestro spiegò che il 99% delle leggi sono negative, nel senso che tolgono via libertà
sotto forma di registrazione, certificazione, licenza, parcella, limitazione o
diretta proibizione, e minacciando pesanti multe per non ottemperanza. Tutte
sottraggono libertà dovute con tasse camuffate da leggi.
Dopo aver risposto alle domande, il maestro disse: “A scuola
avete imparato che viviamo in un paese libero; che ognuno è libero di andare e
venire dove e come gli pare, in cerca di vita, libertà e felicità. Se così
fosse, ognuno di voi dovrebbe facilmente produrre il nome di una persona che
vive libera da interferenza altrui, sia di altre persone che di organizzazioni,
di leggi, e dello Stato.”
Seguì un silenzio assoluto, poi una ragazza strillò: “Uncle
Mike!” Tutti gli sguardi si volsero in quella direzione. La ragazza disse che Uncle
Mike aveva cominciato come cacciatore di morosi alle leggi. Mormorio di
approvazione. Alla rivelazione che Uncle Mike aveva lavorato per la Mafia seguì
un urlo di assenso. Uncle Mike non obbediva le leggi; semplicemente le ignorava
e si faceva i casi suoi. La classe adesso applaudiva in piedi. Tutti volevano
conoscere Uncle Mike.
Il maestro chiese se Uncle Mike pagasse la tassa sul
reddito. E lei: no. Se guidasse l’auto. No. La classe non poteva credere ai
loro occhi. Il maestro chiese come Uncle Mike si guadagnava la vita: faceva l’impresario
indipendente con una varietà di lavori, e sempre in contanti. La classe rimase
sbalordita, ma interessatissima.
Il maestro dovette convenire che Uncle Mike era sì un
uomo libero, ma ad un prezzo, giacché la libertà non è mai gratis: va trovata
senza aspettare che essa ti cerchi, il che non fa. Lo zio era un fuorilegge.
Aveva rinunciato alla patente di guida. Operava in contanti per non pagare la
tassa sul reddito. E rifuggiva ogni sussidio da parte dello Stato rendendosene
invisibile, il tutto a cambio della libertà. E tutti: ben fatto.
Il maestro concluse: “Perché nessuno di voi ha fatto il
suo quando ho chiesto il nome di una persona libera?” E tutti all’unisono,
“perchè non lo siamo.”
Il Problema dei problemi: i Cani in
Mangiatoia
La modernità ha costruito un’altra definizione di lavoro,
che poco ha a che vedere con quella ventilata sopra.
Il lavoro è un contratto di dipendenza
tra un individuo e un’azienda pubblica o privata, dove chi lavora occupa un posto retribuito con un salario.
Ho messo in neretto i punti essenziali. Ho tralasciato la
produzione di ricchezza apposta, giacché nel paradigma statale questa è
irrilevante. “Lavora” chi ha il posto
fisso. O fa il precario: con un salario, ma senza posto fisso.
Il criterio secondo cui giudicare l’importanza di un lavoro, nel paradigma statale, non può
essere altro che l’ammontare della retribuzione. L’America lo fa da un pezzo:
Tal dei Tali vale… tot. E l’Italia si adegua, come ha sempre fatto.
Nel paradigma naturale, invece, la scala di valori è
tutt’altra. Il criterio ultimo è: cosa succederebbe se quel lavoro sparisse?
Vediamolo.
Senza la maternità,
produttrice e prima educatrice di capitale umano, qualsiasi società sarebbe
destinata alla sparizione a corto termine. Non c’è dubbio quindi che questo
lavoro dovrebbe occupare il primo posto in qualunque classifica. Ma siccome la
“legge” della domanda e offerta regola i prezzi, quella metà della popolazione
che deve (senza sostituzione)
svolgerla non si qualifica per una retribuzione monetaria.
Il servizio domestico veniva una volta considerato come apprendistato materno: la ragazza che
andava a servire (nel senso più nobile del termine) in una famiglia,
specialmente se numerosa, apprendeva allo stesso tempo come gestire un giorno
il suo focolare, con le abilità apprese a servizio. Lo Stato moderno, volendo
“proteggere” quella categoria di persone, ha in effetti decretato l’estinzione
del secondo lavoro socialmente più importante.
L’istruzione elementare completa il quadro al terzo posto.
La produzione e formazione di capitale umano dovrebbero capeggiare qualunque
elenco di valori lavorativi: non lo fanno perché il denaro, invece di servire
l’economia, se ne serve, capovolgendo le priorità.
Cibo, indumentaria e tetto sono sempre stati, e
continuano ad essere, le forme di ricchezza essenziali per vivere. Ne segue che
agricoltura, abbigliamento e costruzione sono le attività economiche sine quibus non per un popolo insediato
in un dato territorio.
Tutto il resto di “posti” di lavoro con tanto di
scrivanie sterminate, stipendi da capogiro e lussi dalla moquette al SUV, in
realtà parassitano i sei che nella natura delle cose capeggiano.
Qui viene il problema ventilato nel titolo di questa
sezione: gli occupanti di codesti posti non producono servizi acquistabili volontariamente sul
mercato. Lo Stato deve tassare e tartassare chi produce ricchezza per estorcer da
loro gli stipendi dei parassiti.
C’è di peggio: se costoro si limitassero a non lavorare,
li si potrebbe anche tollerare e/o compiangere. Ma succede che costoro vengono
impiegati, e addestrati, per impedire
agli altri di lavorare liberamente e responsabilmente. Una vera pletora di
leggi incomprensibili, contraddittorie, inutili quando non dannose dà loro
poteri altrettanto incomprensibili, contraddittori, eccetera su chi vuole e può
lavorare, e che deve per forza ricorrere al lavoro nero per sopravvivere. Solo
il lavoro nero protegge dal morso dei cani in mangiatoia, che né lavorano né
lasciano lavorare.
Ciò non avviene da ieri. Nel 1927 due zie mie, zitelle
entrambe, aprirono una copisteria (“Minerva” la chiamarono, in onore alla dea
della sapienza) a due passi dall’Università di Palermo. Per 43 anni si guadagnarono
la vita battendo a macchina tesi di laurea, cause legali civili e penali, e
altro. Ma fino ai tardi anni Quaranta, dopo la fine della guerra, la “Minerva”
dava lavoro a otto apprendiste, che
sparirono negli anni Cinquanta lasciando disattese altrettante macchine da
scrivere. Volendo “proteggerle” non si capisce bene da chi o da cosa, lo Stato
aveva pompato il pallone di leggi e leggine, costringendo le zie a sbarazzarsi
di un apprendistato socialmente utile ma fiscalmente rovinoso, e oggi democraticamente
demonizzato come “lavoro nero”.
Chi tenta di esaminare la legislazione italiana sul
lavoro, entra in un labirinto dal quale a malapena uscirà. Per capire, ecco l’articolo
41 della Costituzione, che recita:
L'iniziativa economica
privata è libera.
Non
può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata
e coordinata a fini sociali.
Se una iniziativa privata non può fare tutte quelle cose (e la lista è lunga), la verità è
che non è libera:, i padri
costituenti o si ingannavano o intendevano ingannare.
Ma sorvoliamo, e chiediamoci chi e quanti sono coloro che
“determinano programmi e controlli opportuni” nonché chi e quanti definiscono i
“fini sociali” verso i quali indirizzare i detti programmi e controlli.
La risposta è: i 3,5 milioni di burocrati di Stato, che percepiscono
lauti stipendi per fare ciò che Proudhon denunciava 170 anni fa. Secondo il
paradigma statale costoro “lavorano”; secondo quello naturale non fanno che riscaldare
sedili senza produrre né ricchezza né virtù. E non rispondono del loro operato a
nessuno, camuffando la burocrazia da democrazia.
Maturità
È il nome dell’esame che marca il salto dalla scuola
secondaria all’istruzione superiore. Senza naturalmente definire il termine, cosa
ritenuta inutile da una scuola fatta per rincretinire invece che per far
pensare.
Possedere un’accozzaglia di nozioni essenzialmente
inutili non è maturità. È maturo chi si
accolla doveri, siano essi domestici, sociali, militari o altro. Fu
maturità quella dell’ingegnere chimico Andreas Angel quando un operaio
dipendente lo avvertì con un agghiacciante “Sir,
there’s a fire in the basement”. Erano le 18 del 19 gennaio 1917, a
Silvertown, Londra, in una raffineria di trinitrotoluene dissennatamente
costruita in zona abitata. Angel diede ordini tassativi ai vigili del fuoco di impedire
alle fiamme il valico di una soglia oltre la quale erano immagazzinate ben 50
tonnellate di tritolo, e avvertì la polizia di far evacuare la zona. Poteva
tornarsene a casa, ma il senso del
dovere lo inchiodò accanto agli uomini della squadra anti-incendio. Alle
18:52 un immane boato fece tremare la terra, e di Angel rimase solo una mano
identificata come sua.
Fu maturità quella di Gianna Beretta Molla quando la sua
perizia di medico le disse il rischio che correva se avesse deciso di far
nascere il bebé che portava in grembo. Lo fece nascere, a cambio della sua
vita. Più lietamente, cosa se non una maturità adulta ha fatto decidere Rita e
Aurelio Anania di Catanzaro di mettere al mondo 16 figli?
Per chiudere, Giovannino Bosco venne spinto verso la
maturità di futuro educatore e santo canonizzato da mamma Margherita, nel
mettergli in mano un coltello e un fastello di steli di canapa da decorticare. Aveva
quattro anni.
Sto spezzando una lancia a favore del lavoro minorile,
demonizzato dagli accalappiacani approvvigionatori di menzogne di Stato? Proprio
così. Non invece di, ma insieme a
mandarli a scuola. Scuola al mattino, lavoro al pomeriggio; e viceversa per un
secondo turno, così impiegando gli edifici scolastici non solo a tempo pieno ma
anche più efficacemente.
Non ci vuole molto ad accorgersi che niente come il
lavoro fa maturare. Adolescenti maturi (non è un ossimoro) sono perfettamente
in grado di vincere la “guerra contro la droga” dicendo allo spacciatore:
“Grazie, so cos’è. Vai altrove.” Invece
li si imprigiona in quelle galere[5] a
tempo parziale che ne fanno zombi ambulanti e ululanti, in cerca continua e
compulsiva di “intrattenimento” che lungi dal rilassarli li spinge verso limiti
sempre più spinti di morte vivente.
Il lavoro minorile libero –e responsabile- è “proibito
per legge”. Mamma Margherita oggi rischierebbe l’arresto a fare quello che era
normalissimo 200 anni fa. E lo Stato “sovrano” e liberticida ha messo fuori
legge l’apprendistato, il solo metodo con cui si imparano abilità di tutti i
tipi ma che la “scuola d’obbligo” non è affatto in grado di provvedere[6].
La soluzione è ovvia ma ardua: apprendistato in nero, concordato tra le parti contraenti e reso
invisibile ai mirmidoni di Leviathan. Come, lo lascio all’immaginazione degli
Italiani, da sempre maestri dell’arrangiarsi.
Ma la scuola d’obbligo è “obbligatoria e gratuita!”
Facciamo i conti in tasca a Leviathan. I genitori di chi va a detta scuola non
pagano rette scolastiche, ma sborsano tasse per tutta una vita lavorativa per
gli stipendi del personale che ferve nel pentolone della pubblica istruzione,
sia che abbiano figli a scuola o no. Con Internet non è difficile fare i conti.
Non mi sorprenderebbe se chi legge “scuola gratuita” si senta venire la voglia
di malmenare (come minimo) una mezza dozzina di redattori di programmi
scolastici.
Il fenomeno Homeschooling,
rigoglioso dall’altro lato dell’Atlantico ma che da poco muove i primi passi in
Italia, non è che istruzione in nero,
fuori dal controllo statale, e la cui forza dirompente non tarderà molto ad imporsi.
Negli USA i suoi utenti sono schizzati da 1,09 milioni nel 2003 a 1,77 milioni
nel 2012, un incremento del 65%.
Lavoro Nero alla Riscossa
In Italia il lavoro naturale è in ginocchio, danneggiato
e beffato, ma non morto. Così come affiorava negli anni bui dell’Unione
Sovietica, dove i piccoli poderi sfuggiti alla collettivizzazione producevano in nero derrate in quantità e qualità di
gran lunga superiori a quelle dei kolkhoz di Stato, i barlumi di libertà che
ancora esistono sono in grado di avviare un cambio. Vediamo come.
L’inganno è stato reso possibile da una doppia, ma
malposta, fiducia di chi lavora verso i poteri statali e bancari, presi per
benevoli quando in realtà sono malevoli da tempo. Codesta fiducia si è andata
volatilizzando particolarmente a partire dal 2008: sempre più gente capisce
come funziona la Combutta. Non capisce però il potere politico che ha in mano
proprio con il lavoro nero. L’ultima parte di questo saggio si propone di
evidenziarlo.
I fattori di disordine più poderosi continuano ad essere a)
un’emissione monetaria sbilanciata e b) una tassazione ingiusta. Pochi le
capiscono entrambe. Procediamo con ordine.
Una emissione monetaria ideale farebbe coincidere il 100% della ricchezza scambiabile con la
quantità di mezzo di scambio emesso moltiplicata
per la velocità di circolazione. Uno scambio di 120 miliardi[7] annuali,
per esempio, verrebbe soddisfatto da 120 milioni di unità monetarie forzate a
circolare 1000 volte (tre al giorno) in un anno. Si tratterebbe di una somma
irrisoria di due unità a testa per i 60 milioni di Italiani.
Ciò non avviene per i seguenti motivi:
·
Tutto lo scambio avverrebbe in contanti, cosicché il cosiddetto “credito”
bancario perderebbe ogni ragione di esistere. È evidente che le banche, che
stanno facendo una guerra senza quartiere proprio al contante, si opporrebbero
a una soluzione del genere unguis et
morsibus. Ecco perché hanno cominciato ad imporre allo Stato di rifiutare
contante negli uffici pubblici.
·
Una legislazione implacabile, imposta
allo Stato dagli stessi poteri, assegna il 95% e passa di transazioni al
cosiddetto “credito”, in realtà un
incantesimo che conferisce potere d’acquisto a pochi impulsi elettronici dalla
tastiera di un computer a un registro. La stessa legislazione restringe le
libertà personali imponendo agli operatori economici di aprire conti correnti, sotto pene e multe per non ottemperanza.
·
Poi li incastra con la f 24, minacciandoli con doppio
pagamento in caso di errore di redazione.
·
E ora non solo limita i pagamenti in
contante a somme non superiori ai 999 euro, ma obbliga a registrare tutti i
prelievi bancomat, così da controllare, confiscare, ecc.
·
Il pubblico, digiuno di nozioni
monetarie, di storia, di economia, ma irretito dalla crematistica, cioè dalla
falsa nozione che essere ricco = avere molto denaro, prende tutto il suddetto
disordine per scontato, e si sottomette a un’assurdità dopo l’altra senza
rendersi conto che il lavoro cosiddetto nero,
se imposto alla Combutta a furor di popolo, cambierebbe la situazione
drammaticamente.
·
Ma non automaticamente. Bisognerebbe
prima restaurare, almeno in parte, una solidarietà distrutta più di 200 anni fa
da Turgot, Allarde e Chapelier in Francia, parzialmente recuperata dall’azione
sindacale degli ultimi 100 anni, e oggi latente ma non funzionante. Continuiamo:
Una tassazione giusta,
cioè che dà a ciascuno il suo e a nessuno il non suo, dovrebbe colpire come
imponibile non il valore aggiunto da chi lavora, ma quello sottratto alla
giurisdizione governativa per uso di chi lavora e ha bisogno di terreno sotto i
piedi per farlo.
L’unico imponibile che risponde a questa definizione è la
rendita da ubicazione. Questa viene
infatti prodotta non da chi vive e lavora su
una certa area, ma da chi ci vive e lavora attorno.
La rendita da lavoro appartiene a chi lavora; quella da ubicazione, prodotta da
chi gli vive attorno, va a questi, a cominciare dalle produttrici ed educatrici
di capitale umano oggi sfruttate e beffate da “legislatori” di vere leggi
criminali.
Ciò non accade perchè i terratenenti, che da secoli
legiferano facendo credere al popolo di “rappresentarlo”, si guardano bene
dall’applicare giustizia (chi era costei?), trasferendo l’imponibile sui frutti
del lavoro vero, che poi hanno
l’ardire di bollare come nero.
Un’azione suggerita da recente per ridare potere al nero
è rifiutare gli scontrini IVA, così lasciando potere d’acquisto nelle tasche
dell’esercente. Si tratta di somme irrisorie paragonate all’evasione
miliardaria da parte di banche, associazioni malavitose, partiti politici e
pubblica amministrazione, che vanno denunciate fino a fare aprire gli occhi a
tutta la popolazione.
Strategia e Tattiche
Chi produce ricchezza lavorando deve riappropriarsi del maltolto, che la Combutta non restituirà. Ma non
potrà farlo senza prima abiurare la superstizione crematistica, facendo suoi
tanto la definizione naturale di ricchezza quanto il contenuto del proverbio
greco che recita “L’uomo saggio porta la sua ricchezza (abilità e virtù) dentro
di sé”.
All’abiura è da aggiungere la conoscenza della
Rivoluzione[8]
come causa tanto dell’origine del monopolio statale del contante quanto della
sua usurpazione bancaria e infine della sua eliminazione ad opera della
combutta Stato-Banca oggi. L’unica via d’uscita è servirsi della varietà di
mezzi di scambio non ufficiali (monete complementari, cambiali sociali) di cui
l’ingegno umano è stato sempre prolifico, ma specialmente dal 1982 ad oggi. La
Grecia sta dando l’esempio con più di 50 monete complementari che passano al
largo dell’Euro permettendo alla gente di scambiarsi quello che produce, che è
rimasto intatto. Ognuna delle 50 monete, intracomunitarie e non convertibili,
serve una zona ristretta del territorio, e l’Euro continua come mezzo di
scambio intercomunitario.
Prima della Rivoluzione vigevano molteplici mezzi di
scambio: attorno a una unità astratta (tallero, luigi, zecchino, ecc.) e a un
certo numero di pezzi più o meno aurei e argentei, circolavano méreaux di piombo e altri metalli vili, di
vetro, cuoio ecc. in quantità sufficienti a soddisfare gli scambi dell’economia
locale. Niente proibisce che il mondo del lavoro riscopra un tale meccanismo, auto-conferendosi
così sovranità monetaria una volta per tutte.[9]
L’altro principio da ristabilire è la tassazione
patteggiata, collettiva prima della Rivoluzione ma resa impossibile dalla
medesima per mezzo dei malfamati decreti e legge dei citati Turgot, Allarde e
Chapelier. Ecco perchè la società odierna è ridotta a una massa amorfa di
individui soli e indifesi davanti al Potere.
Il recupero dell’unità di intenti e di interessi è conditio sine qua non perché ciò
avvenga. I mirmidoni di Leviathan potranno arrestare poche dozzine di individui
isolati, non migliaia, o peggio decine di migliaia. Il mondo del lavoro nero,
legittimato a furor di popolo come lavoro vero,
condurrebbe Leviathan a più miti consigli, ritornando alla verità e quindi alla
libertà naturali conferite da esso.
Silvano Borruso
22 agosto 2015
[1] L’autorevole Penguin Dictionary of Economics non definisce né “lavoro” né “mezzi di produzione”.
[3] L’autore
avrebbe potuto disambiguarla con “beni e servizi” se intendeva a) e “beni (o
servizi) se intendeva b). In un testo ciò non importerebbe molto, in un lessico
è vitale.
[4] “Necio” vuol
dire “stolto”. Il resto non ha bisogno di traduzione.
[5] L’epiteto è
di Giovanni Papini, 1881-1956.
[6] La vera
ragione è che gli artigiani indipendenti sono uomini liberi, e lo Stato sta
tentando di toglierseli dai piedi come può.
[8] Senza oberarla
di aggettivi come “Francese”,”Russa” et similia. Stato e Banca ne sono il
braccio armato.
[9] Non al 100%,
dovendo necessariamente acquistare prodotti da fuori della comunità. Ma per
quelli prodotti dentro di essa, il principio vale che chi produce ricchezza può
emettere il mezzo di scambio necessario per acquisirla.