domenica 22 dicembre 2013

NATALE 2013

A Milano arrivava, per noi bambini,  Gesù Bambino.
Sono stato un bambino fortunato: ero il più piccolo della famiglia e godevo della posizione privilegiata. In più, a quei tempi, la famiglia era Famiglia.
Non sto a descrivervi l’emozione dell’avvicinarsi, in pigiama, all’Albero, ai cui piedi, radici magiche, risplendevano le carte colorate dei pacchetti portati dal Bambino. Era felicità pura, ed, onestamente, non fui mai deluso nelle aspettative.
Non mi tornava una faccenda, però. La mamma mi indicava alcuni pacchetti: “Questo è il Gesù Bambino della zia Chicca, quello è della zia Bianca….”. Il dubbio che ci fossero più Gesù Bambini mi sfiorava e non quadrava. Ma i giocattoli annullavano i dubbi che la ingenua e pura logica infantile proponeva e mi godevo le novità, in attesa del pranzo famigliare, sempre diverso e sempre un’avventura, con mamma brava cuoca ed il papà buona forchetta..
Mi sono dilungato nel ricordo per cercare di trasmettere l’atmosfera di speranza, di coesione, di famiglia, di umanità certa che si respirava insieme alla nebbia milanese, “el noster nebiùn!”.
Oggi sono vecchio, ne ho viste tante e tante onestamente ne ho fatte. Ma il Natale di oggi, al di là delle fedi, delle credenze di ciascuno, non è neppure lontano parente di quelli della mia infanzia e giovinezza. Oggi il Natale, nella migliore delle ipotesi, è una riunione famigliare, più dovuta che sentita.
I parenti non sono più le mura difensive, sono dei tizi che bisogna incontrare per formale abitudine. Non ci sono più i “Gesù Bambino” della zia Chicca o della zia Bianca.
Ci sono solo negozi con i saldi anticipati per disperazione consumistica.
Si può mangiare pollo tutti i giorni, ma non ha lo stesso sapore del pollo domenicale di allora: oggi sa di plastica e di coda alla cassa del Supermercato.
E tutto questo non è piangersi addosso, tipico dei vecchi: è constatazione che non c’è più nulla di valido, di umano, di morale, tranne quello che ferocemente ciascuno cerca di difendere e di tramandare. E’ una forma di eroismo individuale, di chi non si arrende e che cerca di crepare in piedi, combattendo contro il nulla che avanza.
Non è solo una scelta “politica”, ché questa deriva da una presa di coscienza morale. E’ una scelta di coscienza, di etica, di forza. “O si vive come si pensa, o si finisce per pensare come si vive”: ricordo questa frase dettaci da un professore al Liceo.
E questo è il mio augurio di un Natale che non mi appartiene più: che ciascuno possa vivere come “pensa”, come la sua coscienza gli dice, e non si lasci condizionare dalle formalità, vuote e piene di cose inutili, come questa società del 2013 ci ha abituato a vivere.
Buon Natale, intimo e vero, a tutti: che la serenità e la felicità che tanto formalmente si augurano in questi giorni discendano veramente nei cuori di tutti, soprattutto nei cuori di chi mi è caro ed a cui mando questa grama ragnatela di parole.
Auguri.
Fabrizio Belloni