Bei tempi.
Nostalgia del
“mondo piccolo” di Guareschi, ove tutto era chiaro, al suo posto, preciso.
Ed in più era
pulito, aveva coscienza, non accettava compromessi né morali, né sociali.
Guareschi
dipingeva un mondo uscito dalla Guerra, non ricco di cose, ma miliardario di
sentimenti. E vi era una netta distinzione fra chi stava con l’occidente e chi
invece guardava a Stalin, credendolo un messia.
In compenso
volavano sberle da far fischiare l’aria.
Giusto ed
istruttivo.
Sono cresciuto in
quel periodo, grazie a dio.
E ho assistito
allo sgretolarsi di quel mondo. Per gli immemori ricordo che già dal principio,
negli anni ’50, si cominciò a parlare di scandali: se ben ricordo il primo fu
quello cosiddetto delle “zolle d’oro”, lo scandalo dell’INGIC (mi sembra così
si chiamasse il carrozzone statale); poi seguì a ruota lo scandalo Giuffrè, il
“banchiere di dio”. E furono le due palle di neve che crearono la valanga di
schifo, di guano (ci sono le signore!), di liquame che ci ha sommerso.
C’erano, allora, la DC ed il PCI. Che non aveva
capito che, dopo Yalta, mai avrebbe mai potuto prendere il potere e far
cambiare campo allo Stivale.
Ma in Italia le
cose non sono mai serie. Tragiche sì. Ma serie mai, o quasi mai.
I trinariciuti (un
genio il Guareschi! Si inventò la terza narice per i rossi, onde permettere la
fuoriuscita dei fumi che riempivano la loro testa. Un genio!) avevano stabilito
una sorta di alleanza con i “baciapile”. Cultura, spettacolo e giustizia,
nonché alcune banche erano appalto dei rossi.
“Il potere logora
chi non ce l’ha”, chiosò Andreotti.
La commistione
della gestione del potere infatti ha portato ad un marasma sociale e politico
che la gente non riesce a capire. E questo è l’inizio del tracollo.
Oggi abbiamo un PD
che ha emarginato al suo interno gli ultimi irriducibili trinariciuti,
aggrappati ai rottami dell’affondamento della loro nave storica. Oggi abbiamo
un PD che di fatto si è trasformato in novella D C, visto che la vecchia
Democrazia Cristiana è stata annichilita da scandali, magistrati, patrie galere
e schifo generale.
Sono bravi, hanno
imparato a menadito la lezione del “Gattopardo”: si sono dati una mano di
vernice, hanno cambiato simboli e liturgie, hanno scelto persone che possono
sembrare (solo sembrare, badate bene) una specie di rottura col passato, e
trionfanti si sono incamminati sulla strada della conservazione più becera,
dell’ovvio lapalissiano, della servile sottomissione a voleri altrui.
Esattamente come accade da settanta e più anni.
Che voglia,
puerile, se volete, di poter godere ancora della chiarezza di Don Camillo che
cava un palo dall’orto, giustificandosi col Cristo dell’altar maggiore: “non è
rovere, è pioppo, elastico…”. Che desiderio del meccanico Peppone sindaco, con
mani grosse come badili, ma con coscienza e generosità da uomo vero.
Oggi vediamo
invece, nell’inevitabile marasma di posizioni partitiche, nella confusione di
finte sceneggiate utili solo a gettare manciate di sabbia negli occhi dei
creduloni, tele dipendenti, l’annuncio della fine di un sistema sociale, politico
(anche se questa parola è un’iperbole al giorno d’oggi), civile.
Il sistema è
finito.
Tentare di
cambiare od illudersi (qualcuno anche in buona fede, forse. Ma in questo caso
vi è una carenza di neuroni) che questo sistema possa redimere se stesso e
tornare a livelli “umani” è una posizione dettata da conformismo, da paura, da
indifferenza.
Conformismo,
perché da settanta anni ci dicono che democrazia è bello.
Paura, perché
ammettere che tutto è finito provoca la paura dell’ignoto.
Indifferenza, perché
il fallimento “democratico”, ha provocato un richiudersi sul proprio
particolare, l’accartocciarsi sull’interesse privato, a difesa -con istinto di
conservazione- di quanto serve solo a me. “La politica è tutta sporca”, ci auto
giustifichiamo.
Tutto vero. Ma
queste posizioni, prima ancora che politiche, morali, non portano da nessuna
parte, anzi non fanno che peggiorare lo stato della società italiana (ed anche
europea).
L’unica soluzione,
quando un sistema statuale è oggettivamente incapace di dare risposte decenti a
legittime richieste dei suoi componenti, dei cittadini, è cambiare il sistema.
Oggi non c’è
lavoro.
Né sicurezza.
Neppure
investimenti ed innovazione.
Non si può
intraprendere.
La scuola è allo
sbando, con la speranza che i soffitti non cadano in testa agli alunni.
La sanità
costringe a migrazioni regionali alla ricerca di speranza.
Le aziende
italiane sono preda di mani forti straniere, e, per resistere ai becchini
–avvoltoi statali si vedono costrette a …. “delocalizzare” (eufemismo che
significa fuggire. Nuova emigrazione del terzo millennio).
Le rapine
costringono e costringeranno sempre di più a sparare.
Un furto in casa
ogni due minuti.
La malavita
internazionale è calata “come i lurchi
dall’Engadina”. Solo che questa volta arriva dal Nord Est o dai barconi.
La magistratura
annulla, seguendo le farraginosi leggi contraddittorie, l’eroico lavoro
compiuto con abnegazione dalle Forze dell’Ordine.
E non parliamo di
corruzione, concussione, sprechi, clandestini, malavita organizzata…
Onestamente:
pensate che uno stato così combinato,in queste condizioni possa durare?
Questo stato,
questo sistema non può essere migliorato, né cambiato
Può solo essere
sostituito.
Ed in mancanza di
Don Camillo e di Peppone, l’unica via di salvezza è la rivolta. Armata o no.
L’insensibilità,
la lontananza e l’indifferenza della casta induce, obbliga la gente alla
rivolta.
E ricordiamoci:
quando un Popolo, soprattutto se di fondo buono e paziente, si ribella, diventa
più feroce e più spietato di altri.
Speriamo accada
presto.
Fabrizio Belloni
Giovedì 5 marzo
2015.