giovedì 12 febbraio 2015

Scuola: dalla riforma Gentile alla rottamazione di Renzi.







La raccomandazione del 2 giugno scorso del Consiglio dell’Unione Europea sul programma nazionale di riforma 2014 dell’Italia al punto 14 recita: “L’insegnamento è una professione caratterizzata da un percorso di carriera unico e attualmente da prospettive limitate di sviluppo professionale. La diversificazione della carriera dei docenti, la cui progressione deve essere meglio correlata al merito e alle competenze, associata ad una valutazione generalizzata del sistema educativo, potrebbero tradursi in migliori risultati della scuola. Per assicurare una transizione agevole dalla scuola al mercato del lavoro, sembrano cruciali, nel ciclo di istruzione secondaria superiore e terziaria, il rafforzamento e l’ampliamento della formazione pratica, aumentando l’apprendimento basato sul lavoro e l’istruzione e la formazione professionale”.
Il Governo Renzi, sbandierando la sempre più insopportabile nenia del “ce lo chiede l’Europa”, si appresta ad inoculare anche nell’organizzazione scolastica meccanismi mutuati dall’azienda privata con gli studenti che assurgono al rango di “stakeholder”.
Quello che più lascia perplessi del pacchetto di riforme previsto è, infatti, tra l’altro, l’introduzione delle pagelle per Professori e Presidi.
L’amministrazione Renzi, con in testa il Ministro Stefania Giannini, sembra essere convinta che il merito degli insegnanti possa essere determinato dal giudizio degli studenti.
Contro ogni logica formativa la meritocrazia del discente cede il passo alla meritocrazia del docente nel momento in cui chi dovrebbe essere destinatario dei giudizi diviene a sua volta soggetto giudicante
Si ribalta l’obiettivo stesso della scuola che dovrebbe essere (come è sempre stato) quello di formare, anche con l’ausilio dello storico strumento di valutazione (il voto), le future generazioni, non già gli insegnati, la cui selezione è già avvenuta a monte.
L’apodittica conseguenza è che l’ “otto politico” diventi una preoccupante realtà.
Tale riforma si inquadra nel contesto economico, fortemente voluto dall’UE, caratterizzato da ampia domanda di lavoro rispetto all’offerta e quindi bassi salari ed agevole intercambiabilità e rinnovabilità della forza lavoro (resa possibile dalla facilità di licenziamento prevista nel jobs act).
Secondo la visione europeista la scuola dovrebbe immettere nel mercato un prodotto omogeneo: una manovalanza acefala in luogo di esseri umani pensanti con buona cultura, ottima capacità di analisi e spiccato spirito critico.
La nostra Costituzione all’art. 3 proclamava “uguaglianza”, l’Europa ci chiede “uniformità”.
I giovani italiani verrebbero così privati anche della loro prerogativa più accattivante per distinguersi nel Mondo: un’istruzione d’eccellenza.
Se, infatti, i giovani connazionali, che in Italia non riescono a trovare lavoro, sono così apprezzati all’estero è probabilmente merito anche del nostro sistema scolastico che ha mantenuto fino ai nostri giorni (per ben 90 anni!) quell’impianto educativo voluto nel 1923 da Giovanni Gentile e che la successiva modifica, ad opera della legge n.1859 del 31 dicembre 1962, non ha minimamente intaccato nella sostanza.
La riforma Gentile consacra l’educazione tra i servizi e le attività strategiche dello Stato, il cui fine ultimo deve essere la formazione della futura classe dirigente nonché la sedimentazione nell’intera comunità di quella coscienza collettiva “nazional-popolare” (direbbe Gramsci) indispensabile per lo sviluppo di ogni polis, come evidenziavano già Platone ed Aristotele. La scuola deve essere pubblica e la disciplina della materia riservata esclusivamente allo Stato. Gentile prevede, pertanto, un’istruzione severa ed introduce l’esame di stato al termine di ogni ciclo di studi. Nella scuola gentiliana l’abilitazione all’insegnamento risente di un impostazione pedagogica morale ed etica di fondo che mira a formare, prima che insegnanti, “persone moralmente degne di esserlo”, degli “Eletti”.
I docenti devono essere sceltissimi perché sono soltanto loro che valutano i discenti e non il contrario! Ecco quindi che l’insegnamento, prima ancora che una professione, diviene una missione intrisa di responsabilità.
Tra le linee caratterizzanti della Riforma giova ricordare pure: l’estensione della scuola dell’obbligo fino a 14 anni per combattere l’analfabetismo, la distinzione della scuola superiore in licei e istituti professionali, l’istituzione del liceo scientifico, l’espunzione dalle materie di studio della psicologia, della didattica e di ogni attività di tirocinio (oggi l’Europa ci chiede, al contrario, il “rafforzamento e l’ampliamento della formazione pratica”), la subordinazione delle materie scientifiche a quelle umanistiche indispensabile per l’interiorizzazione nell’intera comunità di quel senso di appartenenza che lega un popolo al proprio territorio, alle proprie tradizioni e alle proprie origini; insomma quel sano “amor patrio” che oggi l’Europa vorrebbe annientare.
Giovanni Gentile, il grande filosofo dell’attualismo, non viene mai ricordato abbastanza o troppo semplicisticamente liquidato con l’etichetta di “fascista”. “Gentile è fascista, Marx è comunista, Heidegger è nazista…” così si evita lo sgradevole e defatigante sforzo intellettivo di dover fare i conti con il loro pensiero. La pericolosissima semplificazione perpetrata attraverso l’abuso delle etichette induce l’omologazione ed agevola la “reductio ad unum” del pensiero.
Chi è consapevole di quanto sta accadendo ha l’obbligo morale non solo di divulgare, ma, soprattutto, di ritrovare il proprio ruolo attivo e partecipativo nell’ambito della vita politica del Paese nel disperato tentativo di correggerne l’indirizzo.
Non può egoisticamente “trincerarsi” nel proprio sapere e, con il pretesto scaturente dalla consapevolezza dell’impossibilità di incidere minimamente sulla realtà, rassegnarsi, isolandosi sfiduciato in mondo onirico che lo conduca fatalmente al “qualunquismo”, all’abulia e all’inerzia politica.
Il 28 settembre del 1922, in una lettera indirizzata a Piero Gobetti e pubblicata sulla rivista “Rivoluzione liberale”, uno sconfortato Prezzolini invitava gli intellettuali a lui coevi a manifestare il proprio sprezzo e disinteresse politico attraverso l’iscrizione ad un’immaginaria “società degli apoti.”.
Al contrario se ognuno di noi desse, secondo le proprie capacità, il proprio piccolo contributo per cercare, indipendentemente dall’esito che ne dovesse conseguire, di lasciare ai posteri un mondo anche soltanto leggermente migliore rispetto a quello che ha trovato, non avrà vissuto invano.
A.R.
“Ogni uomo è uomo filosofando, ossia riconoscendo un oggetto che è un mondo, la realtà, la legge, e non dimenticando che niente lo assolve dal debito di esserci anche lui in questo mondo: esserci seriamente, lavorando, dimostrando di concorrere alla realtà, conoscendo la realtà e adempiendo la legge: egli, libera potenza, la quale non può mai spogliarsi della propria responsabilità; e deve perciò mettere in valore tutta la propria capacità, e pensare, pensare, lavorare: centro, e centro attivo del proprio mondo. Questa filosofia non gli permette né di chiudersi astrattamente ed egoisticamente in se stesso, né di abbandonarsi e negarsi in una immaginaria realtà: essa però non è mai niente di bello e fatto: è il suo stesso spirito, è lui stesso, che per vivere deve svolgersi, deve costituirsi. Quindi la sua filosofia non può essere che il suo ideale, sempre in via di attuarsi, mai compiuto”. (G. Gentile, La riforma dell’educazione).

Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/?p=13040