L’incubo
orwelliano
dalla letteratura distopica al totalitarismo
contemporaneo
Introduzione
Nella letteratura classica dei secoli
passati – ed in particolare sul versante
filosofico – è stata designata come “utopia” la progettazione, puramente teorica,
di una futura società ideale; una società dove sarebbe finalmente verificata
l’armoniosa e pacifica convivenza degli individui, resa possibile, secondo i
vari Autori, dal buon governo degli amministratori ovvero dal grado di emancipazione
raggiunto dalle masse od anche dal progresso tecnologico che avrebbe definitivamente
liberato l’uomo dalla schiavitù del lavoro. L’etimo del termine associato agli
artefici delle opere riconducibili a tale filone letterario, derivante dal
greco “ou” e “tópos” – letteralmente “non luogo” –, indica
chiaramente per gli stessi l’ovvia consapevolezza di riferirsi a realizzazioni
impensabili per la loro epoca; e che potevano semmai indicare una meta ideale verso
la quale tendere, o avere valore di critica sferzante della struttura sociale dell’epoca
in cui vivevano; da ciò deriva il concetto esteso di utopia come fantastica
chimera, qualcosa cioè che risulta estremamente difficile, se non impossibile,
realizzare nell’immediato.
La
letteratura utopistica
Come è noto il termine fu adottato per la prima volta da Tommaso Moro
nella sua celebre opera del 1516: “De
optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia”, in cui si descrive una
comunità che risiede, priva di problemi, nell’isola di Utopia, dove vengono
applicati metodi di governo d’ispirazione democratica e socialista; in verità il neologismo filologicamente
corretto avrebbe dovuto essere “atopia” (senza luogo), con l’uso dell’alfa privativo associato al sostantivo, ma
si sostiene da più parti che Moro intendesse consentire un’ambivalenza del
termine, riconducibile sia ad “ou” e “tópos” (non luogo) che ad “èu” e “tópos”
(luogo buono). Celeberrimo precursore di Moro fu Platone, che nella sua “Politéia” (390 a.C.) propose una forma
di governo che tenterà - senza successo - di impostare presso la corte del
tiranno Dionigi a Siracusa: una sorta di “comunismo” guidato da filosofi e con una
società divisa in classi. Altra famosa opera utopica è “New Atlantis” di Francesco Bacone, del 1626; in essa le innovazioni
tecnologiche possedute dagli abitanti dell’isola di Bensalem – fantasioso
toponimo derivante dalla conflazione dei nomi di Betlemme e Gerusalemme - costituiscono
un enorme supporto alla felicità degli uomini, per i quali la conoscenza
diventa strumento di dominio sul mondo. Citiamo inoltre “La città del Sole”
(1602) di Tommaso Campanella – uno stato teocratico retto secondo i principi
della religione naturale e basato sulla proprietà comune, riecheggiante
l’epopea degli heliopolìtai di
Aristonico (131 a. C.) -; “Les aventures de Télémaque, fils d’Ulysse” (1696)
di François Fénélon - un viaggio didattico attraverso diversi paesi e
forme di governo dell'antichità -; “Voyage en Icarie” (1840) di Étienne Cabet - un sistema
di stampo socialistico dove è chiara l'influenza del comunismo egualitario di
Babeuf e Buonarroti -; “News from
Nowhere” (1890) di William Morris – una delle più anarchiche descrizioni
di una società futura -; “Erewhon” (1872) di Samuel Butler – utopia
satirica della società vittoriana -; da notare che quest’ultimo titolo é un
anagramma di “nowhere”, con chiaro riferimento, come quello dell’opera
di Morris, al significato di “utopia”. In questa rapidissima ed incompleta
elencazione dei massimi esponenti del pensiero utopico non possiamo tacere i
nomi di Owen, Fourier, Saint-Simon, Enfantin e Considérant, ovvero i
massimi esponenti del cosiddetto socialismo utopistico (così definito sprezzantemente
dai marxisti ortodossi, in contrapposizione al socialismo scientifico), che proposero società ideali sostenute da precise
teorie sociopolitiche e che in qualche caso, forti delle loro convinzioni,
finirono col rovinarsi economicamente nei tentativi falliti di realizzare i
loro sogni. In concomitanza con gli
utopici sistemi di società future ebbe ampio sviluppo, sin dal medioevo
ma soprattutto nel Rinascimento ed oltre – ed in particolare presso i
socialisti utopistici - la progettazione di complessi urbani ideali, dove erano
quindi preponderanti su tutti gli altri gli aspetti urbanistici ed
architettonici; dal momento che le realizzazioni antropiche sono determinate
dalle varie funzioni sociali umane; e queste ultime direttamente dipendenti da orientamenti
squisitamente ideologici. Si noti peraltro che lo stesso socialismo marxista – che
rimproverava agli utopisti l’assenza di un rigoroso metodo scientifico
nell’analisi della società, il mancato riconoscimento della funzione storica
del proletariato ed una eccessiva fiducia nelle possibilità di un riformismo
basato sulla solidarietà e la filantropia - può considerarsi una grande utopia;
tra l’altro densa di evidenti analogie – oltre ad altrettanto evidenti motivi
di conflitto - con molti aspetti delle religioni messianiche del ceppo
abramitico, come è stato efficacemente analizzato da diversi autori: ideologia
intesa come ortodossia fondamentalista, aspirazioni egualitaristiche, rigida
gerarchia, controllo e censura delle “eresie”, presenza di dogmi e di testi
sacri, interpretazione dicotomica del mondo e fideistica certezza nella futura
affermazione della giustizia universale; al punto da suggerire a Berdjaev che "il comunismo è l'insoddisfazione per il
cristianesimo non realizzato”.
La letteratura distopica
Verso la fine del XIX e nel corso del XX
secolo prende forma un nuovo genere letterario conosciuto come anti utopia (od
anche distopia, pseudoutopia, utopia negativa, cacotopia), che presenta
evidenti affinità col genere utopico ma mostra, rispetto a questo, una totale
inversione di segno, costituendone quasi un aspetto speculare; se infatti il
romanzo utopico prospettava la futura realizzazione di una società migliore, il
romanzo distopico prefigura per l’avvenire scenari da incubo, con un’umanità
schiavizzata e condannata all’infelicità perpetua sotto il dominio di governi
dispotici. In realtà secondo alcuni critici il primo autorevole esempio di antiutopia
si ebbe già nel 1726, con la pubblicazione dei “Gulliver's Travels” di
Jonathan Swift, in cui le società immaginate possono essere considerate una
grottesca satira dell'ordine sociale esistente. Tra i “moderni” precursori del
genere ricordiamo H. G. Wells, che con “The
time machine” (1895) ci porta in un lontano futuro per mostrarci un’umanità
divisa in due fazioni antagoniste di prede e cacciatori: gli Eloi, esseri
fragili e gentili ma parassitari; ed i Morlock, esseri produttivi e mostruosi
che vivono nelle viscere della terra, da cui escono per dare la caccia agli
Eloi e cibarsene. “Brave New World”,
scritto nel 1932 da Aldous Huxley, descrive un prossimo mondo dove tutto è
sacrificabile ad un malinteso mito del progresso in cambio di un apparente
benessere, e l’esasperata evoluzione scientifica, gestita da un regime
totalitario, ha completamente annullato la libertà individuale. Il bellissimo e
troppo poco noto “Noi” di Evgenii Ivanovich Zamjatin,
scritto in pieno regime comunista ed a causa del quale l’Autore fu costretto ad
espatriare – con le proprie gambe grazie all’intervento di Maxim Gorky -, ci
mostra un'antiutopia, scritta in forma di diario, ambientata in un mondo dove i
personaggi non hanno un nome, ma al suo posto una sigla numerica e dove tutto è
ferreamente regolamentato dall’onnipresente potere. “Fahrenheit 451” di Bradbury, pubblicato nel 1953 come estensione
di un racconto apparso nel 1951 (“The
Fireman”), pare debba il suo titolo al grado termico di combustione della
carta, in quanto nel futuro descritto dal romanzo la lettura è reato e tutti i
libri devono essere bruciati, essendo sufficiente, per l’educazione delle
masse, il mezzo televisivo controllato dal sistema. Qualcuno individua chiari
elementi distopici anche ne “La leggenda
del grande inquisitore” di Dostoevskij, inserita nel suo ultimo lavoro: “I Fratelli Karamazov” (1879) dal sommo romanziere
russo. Ma l’opera che realizza l’utopia negativa per eccellenza è, senza dubbio,
“Nineteen Eighty-four” di George
Orwell, scritto nel 1948 (il titolo è ottenuto scambiando tra loro le ultime
due cifre che compongono tale data), dove il Grande Fratello, a capo di una
enorme gerarchia costituita dal partito, controlla non solo gli individui ma
anche i loro pensieri; l’Autore aveva
già dato alle stampe nel 1945 l’altrettanto celebre “Animal Farm”, una feroce satira dello stalinismo scritta sotto
forma di favola che, pur essendo già ultimata nel 1943, non risultava
politicamente corretto pubblicare prima, dal momento che criticava la forma di
governo di una nazione alleata nel recente conflitto mondiale. In “1984” Winston Smith, il protagonista,
membro subalterno del partito che lavora alla modifica di libri ed articoli di
giornale pubblicati in passato, in modo che le previsioni fatte dal partito stesso
risultino veritiere, non sopporta i condizionamenti della rigida e squallida
struttura sociale entro la quale è costretto a vivere e ne infrange molte regole,
instaurando tra l’altro un rapporto sentimentale con una compagna, in un mondo
in cui è imposta per legge la castità ed il sesso è permesso solo a fini
procreativi; nel momento in cui entrambi decidono di collaborare con
un'organizzazione clandestina, proprio l’individuo che avrebbe dovuto
costituire il contatto col movimento di resistenza si rivela essere invece un
agente della psicopolizia che, dopo averli fatti arrestare, li sottopone ad orripilanti tecniche di rieducazione
sociopolitica, in modo che si trasformino in individui perfettamente mansueti
ed allineati con l’ortodossia del regime.
Cinema e letteratura antiutopica
Il cinema ha tratto massiccia e costante
ispirazione dalla letteratura distopica, che per sua natura si presta
ottimamente alla trasposizione filmica, spesso
contaminandone il genere con altri
affini - in particolare quello fantascientifico
e quello di fantascienza apocalittica e post-apocalittica. Ci sembra che
esistano relativamente poche pellicole che si ispirano dichiaratamente ad una delle
opere letterarie citate, rimanendo molto fedeli all’impianto narrativo
originario. Ricordiamo tra queste: “Fahrenheit 451” (1966) di François Truffaut,
dall’omonimo racconto di Bradbury; “Nel
duemila non sorge il sole” (1956) di Michael Anderson ed “Orwell 1984” (1984) di Michael Radford,
entrambi ispirati al romanzo di Orwell, come il precedente “1984” (1954), adattamento televisivo di
Rudolph Cartier per la BBC; “The Time
Machine” (1960) di George Pal, tratto da H. G. Wells e seguito da frequenti
remake. Sono invece numerosissime le pellicole liberamente ispirate al “genere”
nel suo complesso ma prive di riferimenti puntuali ad una singola opera. Rinunciando
ovviamente alla completezza ed all’ordine cronologico ricordiamo alcune tra le
più famose: l’intramontabile “Metropolis” (1927), di Fritz Lang; “L’uomo
che fuggì dal futuro” (1971), primo lungometraggio di George Lucas;
“Alphaville, une étrange aventure de Lemmy Caution” (1965), insolita
incursione di Jean-Luc Godard nella fantascienza; il visionario, satirico ed al
contempo agghiacciante “Brazil” (1985),
di Terry Gilliam, che avrebbe dovuto chiamarsi “1984 ½” per un duplice
omaggio ad Orwell e Fellini; “Soylent Green” (1973), di Richard Fleischer,
ambientato in un mondo invivibile dove l’eutanasia appare come estrema risorsa;
“Zardoz” (1974), di John Boorman,
manifesto contro l’utopia progressista; “Rollerball”
(1975) di Norman Jewison, con remake (2002) di John Campbell McTiernan, nel
quale lo sport violento elargito alle masse diventa strumento di potere; “1997 Escape from New York” (1981) di John
Carpenter, dove troviamo l'intera isola di Manhattan trasformata in un enorme ghetto-prigione di massima sicurezza per criminali; del medesimo regista è ”They Live” (1988), dove il
potere è detenuto da insospettati alieni; “Terminator”
(1984) di James Cameron, primo film di una serie che vede le macchine in guerra
con gli uomini; “Twelve Monkeys” (1995), ancora di Gilliam, in cui un
viaggiatore del tempo indaga sulle cause di una trascorsa epidemia della razza
umana; per finire col totalitarismo virtuale di “Matrix” (1999), spettacolare
trilogia dei fratelli Wachowski.
Aspetti distopici nella società
contemporanea
Qualunque siano, ad ogni modo, le
differenze tra i vari classici distopici letterari - e tra questi e le loro più
o meno fedeli rielaborazioni cinematografiche -, esistono nelle varie visioni
di un futuro apocalittico alcuni elementi ricorrenti che riteniamo interessante
analizzare; per cercare di capire se i loro Autori fossero solo degli
intellettuali disancorati dalla realtà - e pertanto folli “profeti di sciagure”
- o, al contrario, individui provvisti di una profonda capacità di analisi ed
eccezionalmente lungimiranti quando ammonivano che, se si fosse continuato a
percorrere certe strade, si sarebbero realizzati i terribili scenari descritti
nei loro romanzi. In effetti uno dei massimi esponenti della letteratura
antiutopica, il già citato Aldous Huxley, ventisette anni dopo l’uscita del suo
“Brave New World” riesaminava le sue
profezie alla luce di avvenimenti recenti col saggio “Brave
New World Revisited” (1959), giungendo ad una conclusione inquietante: alcuni
elementi dell’utopia negativa che aveva immaginato
meno di tre decenni prima erano già entrati a far parte della realtà. E’ stato
del resto ampiamente documentato che cambiamenti strutturali anche drastici,
che la popolazione rifiuterebbe istintivamente se fossero imposti
all’improvviso, vengono invece docilmente accettati se iniettati a piccole dosi
nel tessuto sociale ed accompagnati da martellanti campagne massmediatiche. Altra
osservazione che merita particolare attenzione è che se quasi tutti – ma
non tutti – gli Autori distopici
guardavano con preoccupazione, nel momento in cui scrivevano, a varie forme coeve
di totalitarismo, oggi invece possiamo individuare proprio nel mondo cosiddetto
“libero e democratico” molti degli aspetti più oppressivi da loro denunciati.
Uno di questi è la presenza di una
gerarchia, basata prevalentemente sul potere economico, grazie alla quale le
divisioni fra classi sociali sono rigide e quasi insormontabili. Si tratta di
un’esagerazione? Forse, ma il costante impoverimento della classe media, il
degrado della scuola pubblica ed i costi proibitivi dell’istruzione privata, la
progressiva scomparsa dello stato sociale e dell’assistenza sanitaria, l’accesso
al mondo del lavoro e – di conseguenza - ad una vita dignitosa presentati non come
diritto acquisito ma come conquista individuale - uniti al disinvolto uso di
clientelismo, raccomandazioni e tangenti da parte della casta che detiene le
leve del controllo politico - vanno esattamente in tale direzione; a questo si
accompagna la proliferazione di sterminate periferie degradate in tutte le
grandi metropoli, a sottolineare - oggi più che nel passato - la separazione anche
fisica tra le masse proletarie ed i pochi beneficiari dei vantaggi derivanti
dal contatto col potere. Una immediata conseguenza è la scomparsa dei rapporti
sociali come concepiti tradizionalmente dall'uomo: le relazioni umane sono
dettate esclusivamente dal dogma del vantaggio individuale e del tornaconto
personale.
Altro aspetto sicuramente individuabile
come comune alla letteratura anti utopistica ed alla nostra società è il
reiterato tentativo di soppressione del dissenso, visto come valore negativo in
opposizione al conformismo dilagante; al di là dell’apparente pluralismo e
libertà di espressione, peraltro sanciti da quasi tutte le costituzioni delle
moderne democrazie, risulta chiaro a tutti che, tranne rarissime eccezioni, le
coalizioni che si alternano alla guida dei governi, di qualunque colore
appaiano, sono sempre espressione dei medesimi gruppi di potere. La propaganda
di regime e tutto l’apparato educativo favorisce nella popolazione il culto del
proprio sistema di governo, cercando di convincerla che è l’unico - e probabilmente il migliore – possibile. Le
voci di reale dissenso presenti vengono o infiltrate dai “servizi” e
sapientemente manipolate od emarginate limitando drasticamente, con tutti i
mezzi individuabili, il loro raggio d’azione. Il sistema penale inoltre
comprende spesso la tortura fisica e psicologica per tutti coloro che sono
semplicemente sospettati di attività eversive. Sono consentiti anche gli
omicidi mirati, purché, ovviamente, finalizzati al trionfo della “democrazia”.
In molti romanzi distopici la Storia
viene continuamente riscritta in modo da risultare in linea con le previsioni
ed i desideri del gruppo dominante; in “1984”
è previsto un “nemico” che trama costantemente ai danni del governo e contro
cui la popolazione è invitata quotidianamente a sfogare tutto il proprio
risentimento; nella nostra epoca siamo ormai tristemente abituati a quegli
episodi noti come tattica “false
flag” od alle madornali ma
sempre efficaci “bugie di guerra”, finalizzate ad ottenere il consenso della
popolazione per aggredire altri Stati sovrani. Tali manovre sono spesso
precedute ed accompagnate dalla minuziosa creazione del nemico da odiare, l’immagine
del quale viene assemblata pazientemente, giorno dopo giorno, telegiornale dopo
telegiornale, ospitando sui quotidiani e nei talk show di regime l’opinione di
“esperti” e le accurate analisi politiche di sedicenti “gruppi dissidenti in
esilio”; si arriva a negare – contro ogni evidenza - che il personaggio oggetto
della campagna di demonizzazione sia mai stato considerato amico; si presentano
come veri filmati realizzati da esperti cineasti dove alcune milizie, agli
ordini diretti del novello despota, si abbandonano ad ogni sorta di violenze,
tanto più odiose in quanto rivolte ad esseri indifesi quali donne, vecchi,
neonati; la decisione di porre fine alla criminale attività del tiranno sarà
salutata con entusiasmo crescente da tutta la popolazione. Tutto ciò è
naturalmente reso possibile grazie anche alla solerte complicità di una agguerrita
e ben remunerata schiera di pennivendoli e gazzettieri governativi, che
diffondono come vere le notizie emesse direttamente dalle centrali di
disinformazione. Le eventuali e sempre più rare voci contrarie che tentino una efficace
controinformazione non hanno, in genere, i mezzi idonei per contrastare in
tempo utile le menzogne ufficiali.
Altro interessante – ed
eccezionalmente significativo - punto di contatto tra la realtà attuale e la
letteratura distopica riguarda il divieto di revisione storica da parte dei
singoli ricercatori: tale aspetto, che tra l’altro nega alla Storia il suo
carattere scientifico – in quanto questa verrebbe affidata al giudizio di un
tribunale piuttosto che alla libera ricerca – denuncia la scellerata volontà
del pensiero unico dominante, che introducendo lo psicoreato pretende non solo
il dominio sul presente ed il futuro, ma anche sul passato, secondo il motto
orwelliano: “Chi controlla il passato controlla il futuro: chi
controlla il presente controlla il passato”. Sempre ad Orwell è dovuta
l’introduzione del concetto di “bispensiero”,
ovvero la capacità di sostenere simultaneamente due opinioni palesemente
contraddittorie e di accettarle entrambe come vere – sintetizzata nello slogan
del partito: “la libertà è schiavitù,
l’ignoranza è forza, la guerra è pace” -; grazie al bispensiero attuale
assistiamo oggi a “guerre umanitarie” a seguito delle quali vengono massacrati
migliaia di civili ed intere nazioni sono contaminate per molti decenni futuri
con sostanze radioattive; ci indottrinano fino alla nausea con tematiche
antirazziste ma dobbiamo tollerare come normale l’ingombrante e criminale
presenza di una entità che fa del razzismo uno dei suoi elementi fondanti;
alcune situazioni negative per la moderna sensibilità – arretratezza della
condizione femminile, scarso rispetto delle minoranze, presenza della pena di
morte – vengono denunciate ed aspramente contestate se riferibili al “nemico” di turno,
tollerate, minimizzate e addirittura ignorate se presenti nel contesto socioculturale
di un alleato.
In
molti romanzi anti utopisti ed in moltissimi film riferibili a tale genere le agenzie
governative paramilitari sono impegnate
nella sorveglianza continua dei cittadini. In alcuni casi il controllo può
essere sostituito o coadiuvato da potenti e sofisticate reti tecnologiche. Alla
fine dell’Ottocento Jeremy Bentham ideò un sistema di carcere, il Panopticon, pensato come una struttura
radiale che consentiva ad un unico guardiano – posizionato in una torretta
centrale - di vedere, non visto, tutti i detenuti e divenne un modello nella successiva
progettazione di molti istituti di pena. Analogamente i cittadini dell’incubo
orwelliano sono continuamente spiati dal Grande Fratello, anche nell’intimità
delle loro case (per analogia con tale attitudine è stato battezzato in Italia
“Grande Fratello” un reality show
dove la vita quotidiana dei protagonisti viene costantemente monitorata
attraverso telecamere nascoste; risulta che la maggioranza degli adolescenti
affezionati a tale demenziale spettacolo di diseducazione di massa ignori i
motivi della scelta del titolo). Sembra che in quella che viene ritenuta “la
più grande democrazia del mondo” sia imminente la realizzazione del progetto,
spacciato come beneficio sanitario, finalizzato a dotare tutti i cittadini di un
chip sottocutaneo che produrrà effetti fino ad oggi impensabili in termini di
libertà personale. Sicuramente molti saranno indotti ad assecondare senza protestare questo piano criminale, perché efficacemente
spaventati e resi insicuri dalla incombente crisi economica, dal terrorismo e
dall’incremento della criminalità.
Conclusioni
Ancora molto numerose ed indubbiamente interessanti
sono le similitudini da individuare tra le apocalittiche visioni degli universi
distopici e la moderna società sedicente democratica; lasciamo il piacere di ulteriori
scoperte a chi voglia dedicarsi alla lettura di queste coinvolgenti e spesso
profetiche opere letterarie, ricordando il monito che Orwell rivolgeva agli
intellettuali e che deve essere fatto proprio da tutti gli uomini liberi del
mondo: prendere posizione chiara contro ogni tipo di totalitarismo; soprattutto,
aggiungiamo noi, quando si celi camaleonticamente sotto improbabili vesti
democratiche per perseguire i propri inconfessabili fini.
A tale proposito – sebbene esuli dalle presenti note - è
necessario spendere qualche parola sul concetto di stato totalitario, a nostro
avviso oggi usato arbitrariamente - se per tale idealtipo si accettano le
connotazioni eminentemente negative codificate da Hannah Arendt (“Le origini del totalitarismo”, 1951) -,
soprattutto se riferito al periodo dell’Italia fascista, anche se l’aggettivo
“totalitario” veniva disinvoltamente usato, naturalmente in una accezione
positiva, da Giovanni Gentile e dallo stesso Mussolini, ad indicare che “… per il fascista … nulla … ha valore fuori
dallo Stato …”; se è infatti innegabile che durante il ventennio prese
forma un regime autoritario è comunque risibile la tesi secondo la quale tutti
gli italiani si sarebbero trasformati all’improvviso in pavidi mentecatti ipnotizzati
dal gruppo dirigente, peraltro sconfessata dalla nota e storicamente accertata
presenza di diverse anime all’interno del movimento; alcune delle quali, autenticamente
rivoluzionarie, emersero prepotentemente quando, con la costituzione della
Repubblica Sociale Italiana, vennero definitivamente recisi i legami con le
forze reazionarie che facevano capo alla Chiesa ed al troppo piccolo re
fuggiasco e traditore. Né ci convincono le smodate lodi dei glorificatori delle democrazie occidentali, dove chi
(mal)governa - grazie alle sponsorizzazioni dei potentati economici che
finanziano le campagne elettorali - lo fa col consenso di una percentuale
infima della popolazione, vista la crescente disaffezione per le urne degli
aventi diritto al voto. L’esigenza morale sentita da tutti
deve essere quella di vigilare costantemente per denunciare con forza la deriva
sociale verso sistemi disumanizzanti e privi di valori condivisibili e tentare
di smascherare - e contrastare con ogni mezzo - le progressioni, anche se
piccole ed apparentemente innocue, tendenti all’universo schiavizzante dei
regimi effettivamente totalitari.