martedì 10 luglio 2012

“Il mercato della salute” (intervista a Giorgio Vitali, a cura di E. Galoppini)


“Il mercato della salute” (intervista a Giorgio Vitali, a cura di E. Galoppini)
Europeanphoenix incontra Giorgio Vitali, ……………………………………………………………………………………………………

Dr. Vitali, da anni è molto attivo nell’informazione sulle truffe perpetrate dalla “lobby del farmaco”, avendo depositato presso gli organi competenti numerose denunce e condotto varie “cause pilota”. Può dirci qual è a suo giudizio il pericolo maggiore derivante dallo strapotere delle industrie farmaceutiche?
La questione è parte integrante del processo di industrializzazione che investe ogni dominio dell’esistenza ed inserisce l’uomo in un sistema di sfruttamento in cui si dev’essere per forza “consumatori”, anche di medicine.
Dal 1975 è avvenuta una svolta in tal senso, poiché da quella data è stata inaugurata l’era del marketing anche nel campo della salute.
A quel punto è diventato davvero difficile distinguere la buona qualità o meno di un prodotto farmaceutico, poiché la scelta di un farmaco da parte del pubblico è stata fondamentalmente influenzata dal battage pubblicitario. La gente ha così scelto un farmaco così come sceglie un capo di vestiario “firmato”, e non per la sua efficacia.

L’industrializzazione, inoltre, implica di norma una standardizzazione. Stessa cura per tutti, perché “siamo tutti uguali”. Come escono dalla catena di montaggio pezzi di un’automobile, così i malati devono essere curati allo stesso modo, ingozzandosi di (troppi) farmaci dalla dubbia efficacia.
È esattamente quello che è successo: si guarda solo al “sintomo”, non alla storia, al vissuto del paziente, e… stessa “prescrizione” a tutti!
Ma per tutelarsi dalle inevitabili contestazioni legali che prima o poi i pazienti ed i loro familiari avrebbero intentato contro un sistema a dir poco criminale (tali pratiche negli Usa, “avanti” in tutto, sono molto diffuse), il “mercato della salute” ha escogitato i cosiddetti “protocolli”. In questo modo, di fronte a qualsivoglia causa per ottenere un risarcimento, lo specialista può sempre dire di aver “applicato il protocollo” previsto a termini di “legge”. È chiaro che si tratta di un delirio, anche perché tutto ciò mette in moto spese folli, comprese quelle per polizze assicurative, avvocati ecc., più quelle degli enti pubblici che si trovano a dover sborsare soldi, pubblici appunto, a causa di un sistema sbagliato alla radice.
Inoltre ha ragione a sostenere che vengono somministrati troppi farmaci. Ma qualcuno dovrà pur guadagnare o no? Sennò che “mercato” è? Le faccio un esempio personale: sono stato curato per una cardiopatia e adesso, se dovessi dar retta alle prescrizioni mediche, dovrei prendere un cocktail di farmaci da far stramazzare a terra anche un cavallo! Ovviamente so distinguere dalle cure utili e all’avanguardia da quelle inutili o addirittura controproducenti, ma la maggior parte delle persone è completamente sprovveduta, quindi si adegua a quel che gli vien detto (“me l’ha ordinato il dottore”!), trasformandosi in “malati” costanti, sempre bisognosi di medicine.

La mia impressione è che questa società, per i dominanti, dev’essere una “società di malati”. La salute non è più la normalità, da tutelare e mantenere come il bene più prezioso, ma anzi si deve passare continuamente, pendendo dalle loro labbra, da dei “dispensatori di salute”, che prescrivono continuamente controlli, esami, medicine eccetera.
È negli anni Ottanta che si viene a delineare quella che a tutti gli effetti è una società di malati, nella quale non si può fare a meno del farmaco. Il farmaco diventa così essenziale come l’acqua…
Intendiamoci, esistono – ed insisto su questo altrimenti si fa disinformazione - farmaci utili. Che sono quelli efficaci, perciò di buona qualità. Ma l’errore che la massa compie, e sulla quale campano le multinazionali del farmaco, è scambiare l’efficacia con la pubblicità!
Come si fa a stabilire l’efficacia di un farmaco? Naturalmente la si giudica dai risultati: un farmaco non deve tenere legato a vita un “paziente”, rendendolo completamente dipendente. E poi, un farmaco efficace costa poco! Consideri che se l’Aspirina improvvisamente costasse, che so, trenta euro, chissà quanti medici si scapicollerebbero a prescriverla, ed invece devono sempre inventarsi “nuovi farmaci”, un po’ come il “nuovo Dash”. Quindi, all’origine della pretesa “efficacia” ci sono né più né meno che delle strategie di marketing, con le ovvie pressioni operate affinché i medici indirizzino le loro scelte su determinati farmaci (costosi) e non altri.
A livello di “comunità scientifica”, poi, vale il criterio delle “prove di efficacia”, che devono tener conto della letteratura scientifica. Senonché tale letteratura è condizionata al massimo grado dai colossi dell’industria farmaceutica, che fanno stampare sulle “riviste prestigiose” – il cui accesso è ostacolato anche dagli elevati costi della pubblicazione stessa - solo quelle ricerche che corroborano l’utilità dei prodotti che esse vogliono imporre sul mercato.

Perché in Italia non riescono ad imporsi la medicina naturale e nemmeno l’omeopatia? In Francia, ovvero un paese del tutto “moderno”, sottomesso alle logiche del “mercato”, c’è spazio anche per l’omeopatia, ed è noto che molti italiani si fanno arrivare farmaci omeopatici dalla Francia perché lì – dove la vita è peraltro più cara - costano meno che qua.
Qui purtroppo dobbiamo fare i conti col carattere specifico dell’italiano medio. Che è di tipo “mafiosetto”. Non esistono altre spiegazioni. L’italiano tira a campare finché può sfruttando al massimo il filone in voga, fino all’ultima stilla. È la stessa cosa per le energie rinnovabili. Pensi alla Germania, paese industrializzato e “moderno”, eppure là non sono così ammanettati mani e piedi alla lobby del petrolio. Questa miopia tipica del mafiosetto italiano medio si sposa poi con lo stato di sudditanza politica della nostra nazione, occupata dall’America dal 1945, il che genera una miscela esplosiva i cui risultati disastrosi sono sotto gli occhi di tutti.

Dunque l’Italia è una nazione dove tutto quel che si fa – intendo a livello di “grandi scelte” – si spiega con un malaffare dilagante e una stupidità che esso, a forza di praticarlo, genera.
 Pensiamo agli interventi chirurgici. Senza addentrarsi nell’argomento a livello ‘filosofico’, vi è da dire che la prima causa dell’incredibile quantità di operazioni chirurgiche prescritte sta nell’eccedenza di chirurghi! Che gli facciamo fare, infatti, una volta usciti dalle università? Si tratta della stessa questione delle materie scolastiche, sovente inutili, o insegnate in maniera inadeguata: ma c’è da far lavorare dei professori, che ormai sono “di ruolo”, quindi…
Il “mercato della salute”, dunque, rispecchia, nel suo perverso funzionamento, il meccanismo più generale della società, dove chi domina la gestisce come ritiene più opportuno per il proprio tornaconto.
Se il proprio tornaconto è fare soldi, per meglio dominare, allora la lobby del farmaco crea tutte le condizioni adatte, anche “culturali”, per vendere sempre più medicine.
Pertanto, anche le trasmissioni, le rubriche, le pubblicazioni divulgative che si presentano come “al servizio del cittadino” per meglio informarlo non sono che casse di risonanza di coloro che possiedono il controllo del “mercato della salute”. Come al solito, la maggioranza è sprovveduta, e crede che il tal giornalista un giorno scelga autonomamente di parlare di questa o quella patologia e della relativa cura, ma in realtà il gioco funziona al contrario: sono le lobby delle cliniche, dei farmaci ecc. a commissionare gli “speciali” che il pubblico riterrà come un “servizio pubblico”. Come funzionano certe “rubriche di viaggi”? Vogliamo pensare che il giornalista scelga in libertà quale “meta turistica” presentare al suo pubblico? No, sono invece i grandi operatori del settore, le pro-loco eccetera che commissionano il servizio su questo o quel luogo di villeggiatura.
Sono sempre le strategie di marketing ad indirizzare le scelte di uomini sempre più manipolati, purtroppo, soprattutto perché non sono adeguatamente informati e, peggio ancora, sovente non desiderano nemmeno esserlo, perché la forza dell’abitudine è dura da combattere.