VALORE E PREZZO
Todo necio siempre confunde el valor con el
precio. Antonio Machado[1]
“Prendi e mangia di quel che
bramasti per tutta una vita”, disse Re Orode II dei Parti nel versare oro fuso
in bocca (alla testa mozzata) di Marco Licinio Crasso, dopo la disfatta di
Carrhae nel 53 a.C.
Fu un caso estremo di commestibilità
del metallo giallo. Prima di Crasso l’oro aveva irretito re Creso di Lidia (m.
546 a.C.), con l’idea di monetizzare pezzi di electrum, una lega naturale di oro e argento di cui era ricco il
fiume Pactolus in Asia Minore.
“Viva Licurgo”, diceva però il suo
contemporaneo Pitagora, “che bandì l’oro, causa di tutti i crimini”.
Licurgo, vissuto tre secoli prima,
aveva capito quel che ancora oggi ci si rifiuta di capire, cioè che una moneta
fatta di metallo prezioso spacca in due una società: il gruppo necessariamente
minoritario dei suoi possessori, e quello maggioritario di chi ne ha bisogno
per lavorare. Per cui Licurgo, dopo aver confiscato oro e argento, aveva emesso
i ‘Pelanor’, moneta di Stato fatta di ferro.
“Un gran numero di vizi sparì da Sparta” commenta Plutarco, “giacché a chi
sarebbe venuta la voglia di rubare una siffatta moneta? E chi la negherebbe
ingiustamente, essendo niente affatto facile da nascondere, o di vantaggio a
possederla, o accettarne una tangente, e infine inutilizzabile se fatta a
pezzi? Certo, perché quando il ferro era ancora al rosso vivo lo si raffreddava
in acido, così da rendere quasi impossibile il forgiarlo”.[2]
Con il signoraggio (differenza tra
il valore facciale e quello materiale) re Creso divenne immensamente ricco,
tanto che il suo nome è ancora oggi eponimo di quei superstiziosi che si
credono ricchi semplicemente perché un certo numero registrato in un computer a
loro nome in un tempio di Mammona[3] lo ‘prova’.
E la superstizione continua ad
ammaliare quei gonzi che si precipitano a comprare metalli preziosi in tempo di
crisi. The Economist, supremo oracolo
di Mammona nel mondo anglosassone, soffia sul fuoco:
“Se i governi dovessero
trovarsi oberati da debiti, state sicuri che l’indipendenza [degli investitori]
verrà tolta. E ancora una volta, la carta che avrete in tasca avrà lo stesso
valore della promessa di un uomo politico.[4]
Nel 1987 venne fondato il World Gold Council, rappresentante di Re
Creso a 26 secoli dalla scomparsa. Il quale strombazza:
“In tutto il mondo si investe in oro per varie ragioni [...] L’oro offre
sicurezza contro l’insuccesso della Borsa, e ha liquidità, come provato da
rifugiati che scappano via dai loro paesi. Una clientela sempre più numerosa
capisce che investendo in oro si protegge da una serie di rischi, come la
debolezza del dollaro USA, una inflazione inattesa, e bassi profitti da altri
investimenti. C’è chi vuole sicurezza. L’oro è reale e mantiene il valore
durante tempi lunghi”[5].
Davvero? Cominciamo con il
cosiddetto ‘mercato’ dell’oro. Chi crede che il prezzo ne venga stabilito dalle
mitiche ‘domanda e offerta’ vive in un altro mondo. Il prezzo dell’oro viene
stabilito giornalmente, alle 11 del mattino, da quattro - cinque signori che
anonimamente, e unanimemente, si riuniscono in una delle tante sale del
‘Vaticano’ di Mammona, cioè la City di Londra.
Non è dato sapere chi siano costoro,
o secondo che criteri decidono il prezzo dell’oro per quel giorno. Non è
neanche dato sapere se la decisione parta da loro o se la ricevano da altre
fonti. Il ‘mercato’, in altri termini, è truccato.[6]
E cosa succederebbe se un bel giorno
codesti signori decidessero di stracciarne il prezzo? Se lo chiedano i gonzi
convinti ad investire fortune per possedere quel mitico “valore intrinseco”; e
si ricordino di Marco Licinio Crasso.
E l’argento? Già, l’argento, perché
questo metallo è ‘salito di prezzo’, da 270 a 820 euro per chilogrammo in due
anni!
Il cosiddetto ‘valore’ di qualsiasi
cosa è un fattore puramente soggettivo. L’argento ‘vale’ 820 euro/kg solo per
chi è disposto a spendere quella somma per possederne un chilogrammo. Il gran
numero di gonzi che lo stanno comprando ne fanno aumentare il prezzo. Per gli
altri, vale zero.
Chi abitualmente confonde valore e
prezzo è ovviamente all’oscuro di come funziona la speculazione di materie prime, tra cui l’argento (e il
petrolio).
Quando un documento che ne certifica
una partita arriva al cosiddetto ‘mercato’, a volte in luoghi lontanissimi dalla
produzione[7], non lo compra un fabbricante, ma uno
speculatore, che la vende ad un altro (speculatore, s’intende) e costui ad un
altro, fino a 14-15 volte[8],
ognuno aggiungendo il suo pizzo. Quando la partita arriva al fabbricante,
costui deve ricuperare la sommatoria dei pizzi, ed ecco perché un vestito nuovo
costa un accidente, mentre uno usato (cioè nuovo, ma con difetti anche minimi)
ha un prezzo ragionevole. Così l’argento. Per capirne l’aumento di prezzo
bisognerebbe sapere per quante mani la partita è passata prima di arrivare al
mercato degli usuari. Lo faccia chi ha voglia di ‘proteggersi’ contro i mali sbandierati
dal World Gold Council.
La moneta di carta, come argomenta
Gesell[9], è garantita più efficacemente di quella di
metallo prezioso, giacché una cartamoneta può fallire solo quando fallisce lo
Stato che la emette. Ma Stato o non Stato, la vera, naturale copertura di una
moneta è la produzione di beni e servizi acquistabili con essa. Quando
l’economia e rispettiva moneta si separano, il ‘valore’, cioè il potere
d’acquisto, di quest’ultima, sia qual sia la materia di cui è fatta, si azzera
istantaneamente.
Storicamente ciò avvenne in Africa
Orientale allo scoppio delle ostilità Germano-Britanniche nel 1914.
L’amministrazione coloniale tedesca dovette sgomberare in fretta Dar Es Salaam,
insieme a una forza armata capitanata dal generale von Lettow e composta da 200
sottufficiali germanici, 4000 soldati africani e circa 800 ‘vivandiere’. Il
governatore Herr Schnee, come comandante in capo delle forze armate, insistette
a portarsi dietro delle casse piene di cartamoneta coloniale, convinto, chissà
come, che quella carta avesse miracolosamente conservato il suo ‘valore
intrinseco’. Il generale von Lettow tentò inutilmente di farlo entrare in
ragione, conscio, da militare pratico, del valore zero di quei quintali di
carta straccia.
Non ci fu verso. Fu la dura realtà a
far cambiare idea a Herr Schnee. Dopo due anni e duemila miglia di spossanti
marce per l’immensa savana, von Lettow ebbe la soddisfazione di appiccare il
fuoco a tutta quella carta con le sue mani, come aveva promesso.
Gli ipnotizzati dalla superstizione
di Creso che confondono ‘esser ricco’ con ‘avere molto denaro’ non riflettono
che quando non c’è niente da comprare, la ricchezza reale si sposta
drammaticamente e subitamente al bene di prima necessità: il cibo.
Storicamente ciò avvenne a Taiwan
nel 1949. Al passaggio dall’amministrazione di occupazione giapponese a quella
di Chiang-Kai-shek, una malaugurata sovraemissione di cartamoneta prima fece
salire i prezzi alle stelle e poi trasformò quella massa monetaria in carta
straccia. A quel punto solo chi aveva cibo vi poteva comprare automobili,
ferramenta, case, e perfino terra. Chi non ne aveva poteva considerarsi in
bancarotta. Una gallina ovaiola comandava un prezzo più alto di quello di una
oncia d’oro!
Il valore reale di un dato cibo non
ha nulla a che vedere con il suo prezzo. Quel valore non è che la salute (che
nelle facoltà di medicina viene definita come “assenza di malattia”, ma
sorvoliamo). E non tutto il cibo ha valore-salute, come dimostra la storia che
segue.
Ai primi di aprile del 1915
l’incrociatore ausiliario tedesco Kronprinz
Wilhelm si vedeva costretto ad approdare in un porto statunitense (gli USA
erano ancora neutrali). 150 membri dell’equipaggio avevano contratto polmonite,
pleurite e reumatismi vari. Le ferite tardavano a chiudersi. Cos’era successo?
In 215 giorni di scorrerie, quella
nave da guerra aveva catturato e affondato naviglio, per lo più passeggeri,
razziandone naturalmente le riserve alimentari. Il poco cibo fresco andava alla
mensa ufficiali, mentre la ciurma si andava abboffando di carne di manzo, pane
bianco e scatolame vario. E fu lo scorbuto, che lasciò indenni gli ufficiali ma
assestò durissimi colpi al sistema immunitario dei marinai.
Quella nave, messa fuori
combattimento dalla malnutrizione da scatolame, non prese più il mare sotto la
bandiera della Kriegsmarine.
Passiamo alla terraferma. L’aumento
sfrenato di megalopoli durante tutto il secolo scorso ha creato altrettante
potenziali trappole senza scampo dal momento in cui per qualsiasi motivo si
impedisca alle derrate agricole di arrivarvi. Ogni città diverrebbe proprio un covile, con gli scaffali dei
supermercati svuotati in questione di ore. In una siffatta crisi, oro, argento
e pinzillacchere non servono. Cosa serve invece?
Quello che serviva a una piazza
militare assediata: granaglie.
Perché le granaglie sono il prodotto
che più si avvicina alle caratteristiche di oro e argento. Frutta e verdure avvizziscono
e marciscono; oro, argento e granaglie, no. Questo Mammona lo sa, ecco perché
si adopera per costringere gli agricoltori a portare le granaglie
“all’ammasso”.[10] Chi ha la memoria lunga ricorderà che il
conflitto a fuoco che nel 1943 spinse Salvatore Giuliano alla macchia avvenne
per due sacchi di grano sottratti all’ammasso.
Ma questo è un punto secondario.
Quello primario è che oro e argento non sono commestibili, il grano sì. Ma non
come tale. Con esso si fa – si faceva – il PANE.
E qui viene il bello. Perché la
“squola” d’obbligo[11] insegna come si fa l’acido solforico, non come si
fa il pane. Però si può sempre imparare un’arte e metterla da parte. Non ci si
pentirà mai di aver investito tempo apprendendo a fare il pane. E non è neanche necessario farlo giornalmente:
un’infornata dura una settimana.
Farlo è semplice, ma costoso e solo
relativamente facile. Analizziamo.
È semplice perché non più di quattro
sono gli ingredienti: farina, lievito, acqua e sale. Meglio se quest’ultimo è
grezzo.
È costoso in termini di tempo e
lavoro, perché il grano non lo si trova nei supermercati. Bisogna andare ad
acquistarlo in campagna, macinarlo, farne pasta, lievitarla e infornarla.
E fare il pane è solo relativamente
facile perché le operazioni summenzionate richiedono abilità disuguali.
Si ricordi che in regime di
emergenza è molto probabile che manchi l’energia elettrica, per cui per
macinare e impastare sono d’obbligo utensili a mano e olio di gomito.
Per i tempi di lievitazione,
cottura, ecc. rimando a un ricettario qualsiasi. Qui mi limito solo a predire,
senza tema di smentita, che chi odorerà e assaggerà il PANE come qui proposto,
non confonderà più valore con prezzo, e non comprerà mai più quella pappa che
ne usurpa il nome, e la cui storia vale la pena raccontare.
Panem nostrum
Se ho fatto uso del passato “si
faceva” invece del presente “si fa”, è perché è venuto il momento di svelare la
storia di due scoperte esecrande ad opera di due uomini onesti, che manco a
dirlo la solita “squola” d’obbligo si guarda bene dal menzionare, figuriamoci
poi di entrare nei particolari.
Il primo fu Freiherr Justus von
Liebig (1803-73) circa un secolo e mezzo fa. Il buon barone ‘scoprì’, da
illustre ‘scienziato’, che le piante non si nutrono di humus, come si era sempre creduto, ma di sali minerali. Il che è
vero, ma se avesse studiato logica avrebbe evitato di concludere che l’humus
non svolge ruolo alcuno nella nutrizione delle piante.
Le conseguenze di quell’errore
furono, e continuano ad essere, esiziali. Liebig non si accorse che il
cosiddetto “humus” non è “materia morta insolubile in acqua” come i suoi
esperimenti sembravano rivelare, ma un substrato vivo: la microflora
del suolo. Un ettaro di terra ne possiede ben 100 tonnellate, con miriadi di
microorganismi la cui analisi è lungi dall’esser completa. La loro funzione
primaria è di convogliare i sali minerali alle radici nei tempi
e modi dettati dalla natura. Il sistema radicale si beneficia quindi
per primo, divenendo profondo, robusto e praticamente immune da attacchi
parassitari.
Altri microorganismi fanno da
efficacissimi insetticidi. Un nematode, per esempio, è un verme lungo 5mm con
un diametro di 50 micron, metà di quello di un capello umano. Non ha quindi
difficoltà alcuna a penetrare in una qualsiasi larva di insetto attraverso le
aperture naturali, introdurvi batteri e digerirne il contenuto, così
trasformando il potenziale parassita in utile fertilizzante. Ogni
microorganismo di quella microflora, anche se sconosciuto, è amico
dell’agricoltore e fattore di salute.
Le piante germogliavano rigogliose,
avendo avuto tempo e modo di sintetizzare tutto un assortimento di sostanze
adattissime a sostenere la salute di chi se ne nutriva.
Gli agricoltori pertanto sapevano,
anche se non gliel’aveva insegnato nessuno, che l’unica pratica sensata fosse
di nutrire non le piante, ma quella
microflora, con stallatico mescolato a residui vegetali e fatto
fermentare in apposite gabbie. Era un lavoro lungo e duro, ma che sapori! Le
pere, tenere e dolcissime. Le albicocche facevano venire l’acquolina in bocca
solo a odorarle. Ogni verdura aveva il suo sapore. I polli sapevano di pollo,
ed erano una leccornia da tavola del re. E mangiando bene, si stava bene.[12] Chi stava male lo doveva ai vizi e alle cattive
abitudini più che al cibo in sé, il quale conteneva tutto il necessario
per mantenere la salute.
Justus von Liebig, da uomo onesto,
si avvide del suo errore e rettificò, ma sul letto di morte. Era troppo tardi.
I fertilizzanti inorganici avevano cominciato a far strage della microflora del
suolo.
La Grande Guerra segnò la fine
dell’uso del nitrato del Cile. Con la liquefazione e distillazione dell’azoto
atmosferico si fabbricarono i potenti esplosivi che avrebbero seminato morte e
distruzione durante quei quattro anni di carneficina. E che fare di tali
esplosivi a guerra finita? Fertilizzanti, naturalmente. Così l’industria poteva
continuare a distribuire “lauti dividendi” agli azionisti in tempo di pace come
in tempo di guerra. Che poi si stesse sempre peggio, azionisti inclusi, che
importa?
L’uso di concimi chimici, che ancora
oggi acceca gli agricoltori con promesse di introiti elevati, e governi con
promesse di ‘successo’ delle loro politiche agrarie, fece il suo ingresso in
Italia ai primi del secolo scorso, infettando le menti dei più con una
confusione tra valore e prezzo mai debellata.
Fu quella confusione a sconfiggere
Mussolini nella ‘battaglia del grano’ mossa contro le “demoplutocrazie” come si
beava di tuonare il Duce.
Ma una battaglia, tanto meno una
guerra, non si vince tuonando slogan ma conoscendo il nemico, evitandone le
forze e approfittando delle sue debolezze. E il nemico da vincere non erano le
“demoplutocrazie” ma la confusione tra valore e prezzo.
Il valore-salute di un grano
coltivato secondo natura è incalcolabile, come la vita. È il valore di un oro commestibile, che fa star bene
senza bisogno di ingerire farmaci inutili quando non dannosi.
Il prezzo è irrilevante. Chi ne è
convinto, non esiti a pagare per un sacco di grano d’annata
anche il doppio di quello che offre un acquirente intermediario.
A farlo, la battaglia
del grano tra il 1925 e il ’29 si sarebbe vinta. E si imposero dazi e balzelli
invece di pagare agli agricoltori il prezzo che li avrebbe invogliati a
coltivarlo, quel grano, non solo in pianura per mieterlo a macchina, ma anche
dove lo si sarebbe potuto mietere solo con falce e olio di anche.[13] E si sarebbe mietuto il fabbisogno
nazionale, in eccesso degli 80 milioni di quintali a cui si arrivò, e dai quali
si è discesi oggi a 60-70.
I fertilizzanti artificiali,
impiegati purtroppo durante quella battaglia perduta, vennero imposti
massicciamente agli agricoltori americani dalla politica dei Rockefeller a
partire dagli anni 1950. L’azione contro natura ha spezzato il ciclo dello
zolfo, così eliminando ingredienti essenziali per la salute.[14] Solo la Finlandia riconosce il pericolo, e proibisce
l’uso di codesti concimi.
Molti agricoltori farebbero volentieri uso del letame, ma
la direzione presa dall’industria zootecnica lo rende spesso introvabile. Non è
che un suggerimento, ma il concime organico naturale potrebbe benissimo
prodursi come servizio pubblico municipale e offerto a prezzo di costo, o anche
gratis.
L’allarme di malnutrizione avrebbe
dovuto darlo la fredda cifra statistica del 1942: i riformati alla leva
militare USA superavano quelli del 1914 del 14%; ma si sa, queste informazioni
non fanno rimbombare la grancassa mediatica.
Poco dopo la morte di Liebig una
seconda, disgraziata scoperta si abbatté sul pane, e con esso sulla salute del
genere umano. Un ingegnere ungherese, certo Hoffenberger, inventava e
commercializzava il mulino a dischi piani di acciaio. L’invenzione fu dovuta
alla particolare durezza di una varietà di frumento coltivato in Ungheria, ma
ebbe due risultati inaspettati. Il primo fu di separare amido, crusca ed
embrione, che venduti separatamente rendono proventi straordinari e inattesi.
Una pacchia per i produttori di cereali di lusso e leccornie varie, ma chi
mangiava il pane così prodotto si accorgeva di non estrarne più la resistenza
di prima. Il carcere duro a pane e acqua, adesso, avrebbe fatto morire un
detenuto di inanizione. Neanche i coleotteri si avvicinano a una farina di
amido puro. Per cui da allora il pane bisogna “migliorarlo” per conferirgli un
sapore che l’amido puro non ha. Lo si fa con ingredienti completamente estranei
al chicco di frumento, i quali migliorano sì il gusto, ma non la qualità[15].
Il secondo risultato fu di
consentire la produzione di quantità enormi di macinato, così bolscevizzando
l’industria dalle mani di molti mugnai piccoli e “inefficienti” a pochi, grandi
ed “efficienti”[16].
E la confusione tra valore e prezzo
continua. Il pane ottenuto da frumento cresciuto su suolo morto o moribondo e
macinato industrialmente “costa meno” di quello cresciuto su un suolo con la
microflora intatta. Sempre che si aggiunga hic
et nunc. Il prezzo lo si pagherà a suo tempo, in termini di un sistema
immunitario indebolito e semidistrutto e di una degenza ospedaliera chissà
quanto lunga.
Il Bandolo della Matassa
Durante un viaggio in auto la frase
di un amico, a proposito di tutt’altro discorso, mi colpì. Disse che faceva il
commercialista per conto di una società agricola specializzata nella sterilizzazione
del suolo. Solo la cintura di sicurezza mi impedì di balzare dal sedile
dell’auto.
Sterilizzare il suolo! L’enormità della frase chiudeva il circolo
pernicioso che da von Liebig passava per l’indebolimento dei raccolti, alla
loro mancanza di resistenza a parassiti più o meno letali, alla manifattura di
pesticidi potenti e velenosissimi, al loro lisciviamento nel suolo
ulteriormente avvelenandolo, all’indebolimento dei raccolti attaccati da
parassiti sempre più resistenti, e all’eliminazione di questi ultimi
sterilizzando il suolo. Questo, ridotto a substrato puramente minerale, non
alberga più i parassiti, è vero, però, come le colture idroponiche, produce
raccolti che sono apparenze senza sostanza.[17] Quella società specializzata aveva sterilizzato
un suolo con bromuro di metile, fino a quando qualcuno scoprì che codesto
composto organico è velenoso (sfido io, capace com’è di far fuori 100
tonnellate di microorganismi per ettaro) così che ora stavano provando un’altra
sostanza chimica il cui nome l’amico non ricordava (e va a sapere se non
altrettanto tossica). Accennai allo stallatico e al trattamento organico del
suolo, ma mi rispose che ormai quello non lo si faceva più, dato che era più
facile (evidentemente) comprare il sacco di concime chimico dal distributore.
Di colpo tutto diveniva chiaro. Il
bandolo della matassa mi permetteva di allineare tutta una serie di
osservazioni che fino allora apparivano indipendenti. Eccole, a cominciare
dalle macroeconomiche.
·
La politica
agricola dell’UE. Si pagano i piccoli agricoltori (i poveretti sono
“inefficienti”, no?) per non produrre, e si incoraggiano i grandi a
produrre quantità smisurate (e costosissime da immagazzinare) di cibo che di
tale non ha che il nome.
·
La crescita
spettacolare dell’industria del cancro, alla caccia di microorganismi fantasma
supposti ‘cause’ di quello che non sembra essere altro che un collasso del
sistema immunitario aggravato da anni di malnutrizione. Decenni di ricerche e
sperimentazioni non riescono ad impedire che individui apparentemente sani e
perfino atletici vengano improvvisamente afflitti da un dolorino qui, che
diventa un tumorino là, e che porta alla tomba in un paio di anni.
·
La sala
d’aspetto di una clinica stipata di gente un giorno feriale.
·
La politica
antifumo, assurta a vera crociata. Non è che un dubbio, ma perché siamo
diventati tanto sensibili al fumo oggi, e non lo eravamo fino a 20 o 30 anni
fa? Non potrebbe codesta sensibilità esser stata acuita dalla malnutrizione e
inasprita da un eccesso di farmaci sintomatici (da chi si ritiene danneggiato
del fumo altrui)?
·
Una mandria di
bovini osservata durante un’escursione a piedi vicino a Capo Rama, Sicilia
nord-occidentale. Impressionavano le corna storte, l’andare dinoccolato, le
ossa sporgenti, e uno dei sintomi più chiari della salute impoverita: gli
escrementi, neri e liquidi.
·
La frutta
insipida e il pane dolciastro (da edulcoranti artificiali) da Londra a Palermo
(si salvavano le arance a onor del vero). La crusca invece “si compra oggi in
farmacia”, come disinvoltamente assicurava l’amico.
·
Il fiume
Belice che ingialliva il mare per un paio di miglia, mandandogli tonnellate su
tonnellate di un suolo senza più struttura.
·
E le
masserie, una volta fiorenti e che oggi si dedicano al mal chiamato
“agroturismo” (sarebbe più corretto chiamarlo “turismo agro”), fornendo vitto e
alloggio a turisti di passaggio con cibo comprato al supermercato.
A queste osservazioni si aggiungevano
ricordi d’infanzia come la ‘disinfezione’ delle ferite e il fantomatico cianuro
nei semi di albicocca.
Uno di questi ricordi fu di quel grosso
maiale di razza Large Black con la groppa scalfita da canne maldestramente
portate a spalla da una ragazza, e che mia madre volle ‘disinfettare’ con alcol
etilico. La bestia, trasformata istantaneamente da mansueto porcello in
cinghiale selvatico, si mise a caricare tutti i presenti tra i grugniti più
inferociti e le urla di chi ne veniva travolto.
Fu la vita a insegnarmi che una ferita
pulita ed esposta all’atmosfera ne fa ristagnare il sangue istantaneamente (se
un po’ profonda la si chiude in cinque minuti congiungendone le labbra con le
dita) mentre il cerotto ne allunga la guarigione di giorni; e fu internet a
informarmi che il cianuro dei semi di albicocca è una bufala messa in giro per
non far sapere che, come per tutte le Rosacee, codesti semi contengono potenti
sostanze anticancro, così come le contengono i semi di lino e la manioca).
Perché continuare? Esiste una via di
uscita?
Agibilia et Agenda
Esistendo un legame naturale tra
agricoltura e sanità, sarebbe desiderabile che lo stesso legame esistesse a
tutti i livelli, quello politico compreso. Idealmente, i due ministeri omonimi
dovrebbero amalgamarsi. Meno idealmente, un esperto di agricoltura potrebbe far
da sottosegretario al ministro della Sanità, e un medico stagionato a quello
dell’Agricoltura. Ma ciò compor-terebbe l’esistenza dell’ossimoro “burocrate
pensante”. Burocrazia a parte, cosa può fare la gente ordinaria oltre a fare il
pane come precedentemente descritto?
·
Educarsi. Saper definire la salute e percepirne i sette
sintomi: l’appetito, il sonno, l’urina, le feci, la resistenza alle infezioni,
la chiusura delle ferite e la forma fisica.
·
Nutrirsi, che è ben più che “mangiare”. Informarsi dove
esistono ancora agricoltori che non si sono lasciati abbindolare dalle sirene
del debito, dai concimi chimici e dai raccolti GM, che praticano la rotazione dei raccolti e degli animali,
e che sgobbano per preparare lo stallatico come natura vuole. I sintomi di
salute di un’azienda agricola sono la multicoltura, la gabbia di fermentazione
dello stallatico, la struttura del suolo (che fa i cosiddetti “grumi”) e
l’odore che se ne sprigiona dopo una pioggerella anche leggera.
·
Trovata
l’azienda che produce organicamente, pagarne i frutti secondo giustizia: è iniquo che ortaggi pagati
a € 0,06 il chilo all’origine vengano venduti a €1,20 al mercato, e per giunta
mischiando quelli organici con quelli prodotti da pratiche antinaturali da
Monsanto & Co.
·
Non farsi
impaurire. Diceva H.L.Mencken[18] che “l’arte di governare consiste nel mantenere
il volgo in permanente stato d’allarme e pertanto ansioso di venir tratto in
salvo, minacciandolo con una serie interminabile di spauracchi completamente
immaginari”.
E smetterla una buona
volta di confondere valore con prezzo.
Silvano Borruso
10 aprile 2011
Riveduto 5 maggio 2012
[1]1875-1939. ‘Necio’ vuol dire
‘stolto’ Il resto non ha bisogno di traduzione.
[6] Ciò non vuol dire che un mercato
libero di oro non esista. L’oro è acquistabile in bancarella ad Hargeisa,
ex-Somalia Britannica, indipendente de
facto ma non riconosciuta de iure
dalla cosiddetta ‘comunità internazionale’.
[8] Per il petrolio fino a 27 volte. Non sono solo le tasse a farne aumentare
il prezzodal benzinaro.
[10] Di Stato o privato non ha
importanza. Il grano delle praterie americane va all’ammasso dei grandi
ricettatori del medesimo, che formano un cartello mondiale preoccupante. Nel
2010 gli speculatori hanno cominciato a giocare al rialzo con le derrate
alimentari, facendone salire i prezzi del 30% annuale.
[12] Ecco perché diceva il grande Ippocrate: “Che il tuo cibo
ti sia di medicina, e che la tua medicina sia il tuo cibo”.
[13] È la falce portata a spalla da
Monna Morte, non il falcetto che decora i simboli comunisti.
[14] Per esempio gli aminoacidi
cistina, cisteina e triptofano, le cui molecole hanno atomi di zolfo.
[15] Non pubblicizzati, naturalmente.
Quanti di essi sono di valore nutritivo nullo, quando non tossici?
[16] Abituati a misurare “efficienza”
in denaro, ci si è dimenticati come farlo in termini qualitativi.
[17] Chi si fa irretire dalle
dimensioni di ortaggi da record, provi a gustarli: sono per lo più acqua.