PRESENTAZIONE di Giorgio Vitali.
Il lavoro di Gian Paolo Pucciarelli, basato sulla rigorosa analisi di pubblicazioni di storici più che autorevoli, mai tradotte in Italia, costituisce un contributo fondamentale per chiunque voglia approfondire la storia del XX Secolo, l’origine e lo sviluppo dei due principali conflitti del secolo, compreso lo sciame di guerre complementari che hanno costellato il periodo che va dal 1945 alla caduta del Muro di Berlino (fine dell’URSS) del novembre 1989.
E’ peraltro sempre più evidente che l’origine dei due conflitti, le sue premesse storiche, geopolitiche ed economico-finanziarie, hanno ben poco a che vedere con quanto asserito dalla propaganda bellica dei due schieramenti in lotta, con prevalente falsificazione da parte dei presunti vincitori della bicentenaria tenzone, secondo la nota asserzione che: < chi vince ha sempre ragione>.
L’importanza dell’opera, la cui lettura deve costituire stimolo per ulteriori approfondimenti nei singoli settori esaminati, consiste anche nell’aver esposto le molteplici componenti, sempre più intricate fra di loro, quali sono state sintetizzate nelle scelte decisionali dei pochi personaggi che effettivamente hanno avuto il massimo della rappresentazione mediatica. Con ciò si intende significare che, mentre apparentemente le Nazioni definite “totalitarie” avevano ai vertici personalità che gli avversari chiamavano “dittatori”, non diversamente i paesi “democratici” dipendevano integralmente, nelle scelte finali, da individui “preminenti” destinati ad esporsi in prima persona. Nei momenti cruciali del XX secolo, infatti, il potere posto nelle mani di un Churchill o di un Roosevelt fu nettamente superiore alle disponibilità operative di un Mussolini, o di Hitler, come hanno dimostrato con chiarezza eventi quali il 25 luglio 1943 e l’8 settembre dello stesso anno, nonchè il 20 luglio 1944.
Questa necessaria centralizzazione decisionale dimostra inequivocabilmente che, senza peraltro voler sminuire i problemi del secolo precedente, il XX secolo ha dovuto far fronte ad una quantità incredibile di situazioni impreviste ed imprevedibili, intersecantesi fra di loro, e molto difficilmente districabili.
Alcuni fattori devono essere presi in considerazione, proprio perché difficilmente citati nella letteratura corrente.
Possiamo far risalire la presa di coscienza del secolo, alla fine ottocento, con la guerra Cino-Giapponese per il protettorato sulla Corea. Con stupore, l’opinione pubblica euro-americana dovette prendere atto del risveglio rapidissimo del mondo Asiatico, del quale battistrada era stato lo sviluppo improvviso di una nazione e la nascita di una potenza oceanica da quello che fino a poco prima era stato un isolatissimo Stato feudale. La batosta inferta alla Russia zarista nello stesso periodo, costrinse ad un lavoro febbrile tutte le potenze del Globo al fine di riuscire a fronteggiare il nuovo pericolo. E le persone lungimiranti, (in quel periodo nasceva anche una nuova scienza consona ai tempi, la geopolitica), capirono che sarebbe stato necessario attrezzarsi per i tempi della nuova “Civiltà delle Macchine”.
Per prima fu la Gran Bretagna che interpretò la sconfitta della flotta russa del Baltico presso Port Arthur come necessità di trasformazione del propellente per le proprie navi da guerra, l’arma fondamentale dell’impero marittimo per eccellenza. Fu la fine strategica del carbone e l’inizio della guerra per il petrolio ( Vedi: Von Zischka: La guerra segreta per il petrolio, Bompiani, 1936). Contemporaneamente si cominciò a capire che la produzione industriale delle armi da guerra era un’ulteriore ed irrinunciabile elemento di potenza.
Questa iniziale intuizione avrà con il primo conflitto mondiale una terrificante conferma, aumentando a dismisura il potere dell’industria pesante. ( Vedasi la situazione interna degli USA, strozzati nella tenaglia fra industria bellica ed industria dell’usura.)
Va da sé, che in questa situazione ne escono avvantaggiati i paesi ricchi di minerali più o meno preziosi, paesi ricchi di giacimenti petroliferi ( gli USA lucrarono a dismisura nella fornitura di petrolio e gas agli eserciti alleati durante il periodo di non belligeranza), e paesi che, come l’Inghilterra, disponevano di una struttura “imperiale” che garantiva loro di giocare “in casa”. In questo caso, che vale anche per il Belgio ma non per la Germania o l’Italia, bastava la sicurezza delle rotte marittime e la presenza di eserciti coloniali, che furono utilizzati anche in Europa. E’ pertanto ovvio pensare che il vecchio sistema colonialista inizi a preoccuparsi per la difesa di una struttura messa in opera, non senza difficoltà, e basterebbe pensare alle guerre napoleoniche, contro gli assalti di coloro che, arrivati tardi all’appuntamento, aspirino a partecipare al banchetto.
E in questo caso occorre pensare anche all’Italia, paese di fresca unificazione, sotto protettorato della potenza, quella inglese, che ne aveva assecondato il processo risorgimentale per tenere ancor più sotto controllo le rotte del Mediterraneo, priva di materie prime e di ricchezze naturali, ma ricchissima di ingegno e con alto sviluppo demografico.
Quanto sinora scritto illustra un quadro internazionale caratterizzato dalle trasformazioni impresse alla storia umana dal progresso tecnologico.
Tuttavia ulteriori considerazioni devono essere esposte.
Lo shock del primo conflitto mondiale, idest “Lotta di Macchine” ( vedi: E.Junger, “Tempeste d’acciaio” e “Il Lavoratore” ) impone la necessità di centralizzare la produzione bellica, anche perché gli investimenti diventano sempre più massicci e richiedono interventi pubblici crescenti. Non solo: le strutture produttive si adeguano ad un sistema di comando di tipo militare, che permette un controllo sempre più stretto dei lavoratori ( tecnici e operai), e le società civili stesse ricevono l’imprinting delle strutture militari. Non a caso assistiamo anche a una “militarizzazione figurata”, con gli attivisti dei partiti che vestono una specifica divisa. Beninteso, questo fenomeno non riguarda soltanto i paesi “fascisti” o ispirati dal Fascismo, ma anche i paesi cosiddetti “democratici”, come quelli che costituiscono il mondo anglosassone. Dove peraltro ha sempre comandato, senza interruzioni, un’esigua minoranza di ricchi borghesi. Inutile aggiungere l’esempio della Russia bolscevica ove per tutto il periodo della sua esistenza il sistema si è caratterizzato come un grande campo di concentramento per l’industrializzazione forzata. Ricordiamo che nel caso degli USA è la stessa costituzione di quella Confederazione di Stati, che risale al 1776, a prevedere un solo presidente con ampia libertà decisionale.
Mentre, grazie al secondo conflitto mondiale, le libertà civili sono gradualmente, spesso impercettibilmente ridotte, assistiamo all’ascesa nei posti di comando, degli uomini della finanza. Il processo di finanziarizzazione della economia è indubbiamente facilitato proprio dalla riduzione dei margini di potere della “politica” nei confronti di altre potestà tecniche.
Pertanto, l’evoluzione della seconda parte del XX secolo porta alla ribalta coloro che regolano gli scambi finanziari dell’intero orbe terracqueo. Siamo alla cosiddetta “globalizzazione”. Infatti, non è concepibile una teoria della globalizzazione senza lo strumento che la genera: i flussi monetari, gli scambi “virtuali”. Pertanto, pur essendo vero che i finanziatori hanno sempre accompagnato, ma sempre in disparte, nel tempo storico, le imprese dei potenti e dei “grandi”, nel contesto attuale emerge la forza politica delle Organizzazioni finanziarie e dei loro uomini di punta ( banche, enti di controllo, fondi), i quali applicano metodi di condizionamento della vita sociale di tutte le popolazioni del globo basati sulla tecnica manipolatoria delle Borse ( aumento o diminuzione artificiosi e aleatori del valore dei beni scambiati). Pertanto, uno degli aspetti maggiormente significativi delle conseguenze “reali” del secondo conflitto mondiale è costituito proprio dagli accordi di Bretton Woods ( New Hampshire, USA) del 1-22 luglio 1944, FMI, BIRD, predominio del Dollaro sulle altre valute, e dalla sospensione della convertibilità del dollaro in oro ( Nixon, 15 agosto 1971), con la crescita del ruolo della banca Mondiale e del FMI, i quali intervengono d’imperio su tutti i paesi, apparentemente indebitati, con obbligo di privatizzazione delle imprese statali, tagli alle spese sociali, agevolazioni varie alla penetrazione delle Multinazionali. Pertanto, step by step, siamo arrivati all’ instaurazione di una dittatura della banconota e del debito virtuale, che si estrinseca attraverso l’imposizione fisica nei gangli vitali dello Stato (ancora di diritto?) di individui che dipendono integralmente dalle direzioni del marketing finanziario globalista.
Non sappiamo come inquadrare storicamente la situazione, ma di certo, la situazione attuale richiede un’ attenta valutazione. Sicuramente viviamo un passaggio cruciale della storia del mondo. LA TRANSIZIONE DRAMMATICA ALLA QUALE ASSISTIAMO HA TUTTII CARATTERI DELLE FASI D’INSTAURAZIONE DELLE NUOVE SOVRANITA’.
Gli stessi fenomeni si produssero in Italia nel XVI secolo, quando gli Stati vollero imporre la loro sovranità giuridica ai principi feudali. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna, pretendevano di avere diritto di Giustizia sulle loro terre. Non comprendevano assolutamente nulla dei processi che la Repubblica di Venezia ed il Papa intentavano loro, e morirono persuasi del loro buon diritto. Convinti che i nemici volessero sbarazzarsi di loro, ( ed era vero…) raccontando frottole. Gli Orsini, i Malatesta, i Colonna sparirono come sovrani e i loro discendenti sono divenuti docili sudditi del Papa e del Granduca di Toscana.
Noi non sappiamo cosa pensano i “banksters” di loro stessi. Non sappiamo se credono di rappresentare nuove forme di rappresentanza socio politica, come lo furono i nuovi Stati italiani che sostituirono mi signori feudali. Tuttavia non riteniamo confacente alla dimensione umana l’assoggettamento ad un anonimo potere finanziario. Nemmeno per una promessa sub umanità di androidi prevista dagli scrittori di fantascienza.
CONCLUSIONE: oggi si definisce “antipolitica” quei gruppi di persone che lottano contro il potere finanziario, ormai senza freni di carattere morale o giuridico. In realtà l’antipolitica è proprio questo ANTIPOTERE ( definito antipotere perché privo di qualsiasi legittimità, tanto da dover essere imposto con la truffa ed il raggiro). Ma per seguire nel dettaglio le tappe che hanno portato, attraverso due secoli di scontri e di lotte, alla situazione attuale, occorre leggere con molta attenzione il libro di Gian Paolo Pucciarelli.