La strage di Piazza Fontana, il film, il libro di Sofri e l’intervista a Freda.
Che in questa società dello spettacolo doveva uscire un film sulla strage di Piazza Fontana, (Tullio Giordana, “Romanzo di un strage”), che ovviamente non dice niente di niente, è c’era da aspettarselo. Ho letto poi l’intervista, alquanto risicata, a Freda e il libro on line di Adriano Sofri.
Cominciamo da quest’ultimo.
A l’ex dirigente di Lotta Continua dico solo che forse avrebbe fatto meglio a tacere su una vicenda alquanto complicata come la strage di Piazza Fontana, per la quale, mettersi a discutere sull’ipotesi della “doppia bomba”, avanzata dal giornalista Paolo Cucchiarelli, si rischia di aggiungere confusione a confusione.
L’ex dirigente Lotta non continuista, se proprio avesse voluto dire qualcosa, avrebbe potuto illuminarci circa certi sospetti che indicavano in Lotta Continua un movimento alquanto funzionale alle strategie Chaos di matrice statunitense, tanto che addirittura sembrerebbe che il giornale LC veniva stampato da una tipografia attraverso la quale si risaliva alla Cia.
A questo proposito, il Sofri, avrebbe anche potuto darci un suo parere su come sia stato possibile che molti dirigenti di alto rango di quel movimento, negli anni successivi, sono poi finiti nelle sfere del potere borghese e capitalista che tanto aborrivano.
Infine, già che c’era, poteva anche darci un suo parere sull’omicidio Calabresi, omicidio per il quale è stato condannato, e di cui si dichiara innocente, omicidio in cui molti, e noi tra questi, sono convinti che ben poco c’entri con la storia di Pinelli, usata solo come false flag.
Insomma tanti fatti e avvenimenti nei quali, per esperienza personale, umana e politica, poteva dirci qualcosa di interessante.
Veniamo ora all’intervista a Freda, una intervista che nei toni e in parte nei contenuti ricalca una altra intervista, sempre strappata con le pinze, di non molto tempo addietro.
In sostanza, stringando al massimo, Freda ribadisce che lui non ha nulla da dire a questo Stato, a questa società e soprattutto ai mass media unicamente alla ricerca di notizie da “spettacolo” e non certamente della verità. Siamo d’accordo con lui.
A chi, inoltre, gli ricorda che recentemente la Cassazione avrebbe idealmente indicato una sua colpevolezza nella strage di Piazza Fontana, colpevolezza che non è stato possibile trasformare in condanna per il fatto che lui, dopo i giudizi definitivi che lo hanno visto assolto da quella strage, non può essere nuovamente processato, Freda ha fatto notare che riconosce solo il verdetto di assoluzione della Cassazione e non quanto possa essere stato poi avanzato in altre sedi per il semplice fatto che quei successivi processi, in cui non era presente e non poteva quindi difendersi, non hanno alcuna validità. Anche in questo, almeno dal suo punto di vista, non possiamo che concordare.
Detto questo però crediamo che tutta questa vicenda, complessa e complicata, non sia liquidabile con qualche battuta e che anche per Freda era forse meglio che continuasse a osservare il suo orgoglioso silenzio in proposito.
Personalmente ritengo talmente infame, ignobile ed anti italiano il gesto di aver deposto una bomba in quella banca, uccidendo 17 persone e invalidandone gravemente quasi un centinaio che, in mancanza di elementi certi e probanti, non mi sento di puntare il dito contro persone che sono a suo tempo state accusate per quelle vicende. Analogamente non voglio formulare ipotesi o peggio dare un mio giudizio, di colpevolezza o di assoluzione su lo stesso Freda, che del resto non conosco se non per informazioni di stampa o articoli e libri.
Se le inchieste e i processi su quella strage, che si smentivano uno con l’altro, sono finiti in un nulla di fatto ed addirittura i parenti delle vittime sono stati condannati a pagare le spese processuali, le responsabilità sono di questo Stato e di questa giustizia, nonchè dei partiti politici e della stampa nazionale, tutti incapaci o impossibilitati a scoprire la verità, ma abili a disegnare teoremi e scenari indimostrabili con i quali ci raccontano barzellette circa certi Servizi infedeli o Massonerie deviate.
Devo quindi ritenere che se la giustizia borghese, incapace di trovare mandanti ed esecutori di quella strage, non la si ritiene attendibile, ed io non la ritengo di certo attendibile, questo dovrebbe valere in tutti i sensi, compreso quello per cui Freda è stato assolto per Piazza Fontana e mi sembra per insufficienza di prove.
Stante così le cose, il discorso non può che essere storico - politico e in questo senso vorremmo comprendere un fatto, questo: Freda, se non andiamo errati, è stato condannato in via definitiva per le bombe di quell’estate del 1969, quelle alla fiera campionaria e sui treni.
Bombe per le quali, vennero in un primo momento accusati ambienti anarchici, compresi quelli vicini a Feltrinelli, e quindi quelle bombe, almeno apparentemente, sembrano ricalcare quella strategia false flag che poi si ripetè con Piazza Fontana (strage anarchica).
Se quindi Freda, a meno di un errore giudiziario, lo si deve ritenere colpevole di quegli attentati, viene spontaneo chiedersi cosa si prefiggeva e in quale strategia rientravano quelle bombe dell’estate del 1969 che fecero diversi feriti, ma per fortuna nessun morto, per le quali è stato condannato ?
Uscendo dai discorsi ad personam, che in mancanza di prove lasciano il tempo che trovano, posso dire che, a mio avviso, lo stragismo è stato una successione di eventi, atteggiamenti politici e comportamenti umani che si sono accumulati e sovrapposti nel tempo e per i quali non è difficile non scorgere grandi burattinai extranazionali che li hanno a volte ispirati e a volte causati direttamente. Altri sono poi andati avanti da soli.
Tutto questo inizia esattamente un paio di anni prima di Piazza Fontana quando cominciano a scoppiare bombe, attribuite ad ambienti anarchici, un pò dappertutto.
Siamo in un periodo in cui divampa la cosiddetta Contestazione, un evento epocale e generazionale, contemporaneamente cominciano ad innescarsi forti conflitti sociali a fronte di un capitalismo che si espande e si razionalizza e un mondo del lavoro che chiede una più ampia ripartizione dei ricavi e un migliore utilizzo dei mezzi di produzione.
Siamo in un periodo poi che, a causa dell’aggressione israeliana agli stati arabi (guerra dei sei giorni) tutto il sud Europa e il mediterraneo vengono a trovarsi in una delicatissima situazione strategica, tanto più che da non molto la Francia di De Gaulle era uscita dai comandi militari della Nato.
Non dimentichiamo infine che, proprio in quel 1969 il governo italiano per suoi interessi di natura energetica, sottobanco e discretamente aiutò il golpe di Gheddafi in Libia. Golpe per il quale gli inglesi dovettero abbandonare la cosiddetta “quarta sponda”. E anche questa interferenza non era certamente stata gradita in occidente.
Insomma, c’è n’era di quanto bastava per attivare nel nostro paese certe tecniche di guerra non ortodossa che destabilizzassero il quadro politico e sociale, al fine di stabilizzarlo nel senso di tenerlo ingessato nel sistema atlantico. Insomma si doveva assolutamente evitare che in Italia si riproducessero iniziative simili a quella di Mattei (a suo tempo, per toglierlo di mezzo, fu addirittura necessario assassinarlo) o atteggiamenti di equidistanza nelle relazioni internazionali, non ammesse in quel momento di crisi geopolitica.
Un clima perdurante di violenze, instabilità sociale e crisi di governo, erano quanto di meglio potesse desiderarsi affinchè l’Italia non trovasse un governo forte e capace di iniziative fautrici di spinte autonome.
Questa, grosso modo, la strategia che ha scatenato o comunque incentivato le violenze ed è sconfinata nelle bombe.
Isolare però ogni episodio di violenza, ogni bomba, ogni iniziativa per così dire “eversiva”, per capire come si era generata e magari individuarne i mandanti, non è certamente un compito agevole, perchè è ovvio che in quegli anni e in quel clima, si sommarono iniziative balorde ad altre spontanee, idealisti ad illusi, provocatori e agenti sotto copertura. Insomma una serie episodi, di cause e concause che non è oggi possibile incasellare in un teorema generale.
Personalmente, in base a vari ragionamenti politici e storici, riteniamo di condividere le ricostruzioni di quegli avvenimenti fatte da Vincenzo Vinciguerra (in particolare nel suo ultimo saggio “1969: Piazza Fontana ed oltre” visibile in
e in http://www.stampalibera.com/? p=37098, oltre che nel Sito della FNCRSI WWW.fncersi.altervista.org).
Un Vinciguerra giustamente molto severo verso l’ambiente degenerato e colluso con i Servizi del neofascismo, ma ritengo anche sia esatta la valutazione fatta dal direttore di Rinascita Ugo Gaudenzi che nel suo articolo “Piazza Fontana La strategia della tensione” del 22 marzo scorso, afferma:
“Le manovre inquinanti di Federico Umberto D’Amato e della sua “spalla” Mario Tedeschi. E i manifesti “stalinisti” stampati dalla Spes democristiana e affissi da neofascisti… L’Agenzia Oltremare, l’Assalto di Romualdi che paventa la guerra civile, la riunione al Pollio, gli strateghi “para”militari, gli ex del Sifar, i nuovi del Sid, le “Mani rosse sulle forze armate”, l’idea ricorrente del “golpe” risolutore… Insomma tutta la paccottiglia di seriosa counterintelligence ordita dall’estrema destra… Certo. E, allora?
Né più né meno – con toni diversi, marxiani, naturalmente – di quello che accadeva tra i neocomunisti con la nascita di Potere Operaio con la sua “insurrezione”, i convegni allo Stella Maris, l’emergere di Stella Rossa di Vincenzo Calò, il guerrigliero doc Feltrinelli…
Come però afferma Vinciguerra, il 1969 non fu null’altro che “il ventiquattresimo anno della guerra civile italiana”. Esatto. Ma trasformata e non parte di quella che “in un contesto planetario, opponeva comunismo ed anticomunismo infiammando ed insanguinando tutti i Continenti.
Né più né meno – con toni diversi, marxiani, naturalmente – di quello che accadeva tra i neocomunisti con la nascita di Potere Operaio con la sua “insurrezione”, i convegni allo Stella Maris, l’emergere di Stella Rossa di Vincenzo Calò, il guerrigliero doc Feltrinelli…
Come però afferma Vinciguerra, il 1969 non fu null’altro che “il ventiquattresimo anno della guerra civile italiana”. Esatto. Ma trasformata e non parte di quella che “in un contesto planetario, opponeva comunismo ed anticomunismo infiammando ed insanguinando tutti i Continenti.
L’errore di Vinciguerra è di analisi geopolitica. E’ quello di non aver affatto compreso che Jalta non si toccava. Che le due sfere di influenza non erano “morbide, elastiche”, almeno in Europa. Nessuno degli allora Due Grandi poteva destabilizzare il “contratto finale”, quello del dopo Grecia (agli atlantici, assieme all’Europa occidentale, Italia compresa) e del dopo Balcani (all’Urss). Un unico Stato restava “indiviso”, al 50%: la Jugoslavia. Ormai il gioco del domino si svolgeva a sud del Mediterraneo: a Suez, in Israele, in Libia, in Siria, in Iraq. In quella regione soltanto la situazione Iran era in un certo modo “stabilizzata” con l’arretramento sovietico dalle ex neo-repubbliche sovietiche già costituite nel nord del Paese e poi riunificate ad uno Stato iraniano influenzato dagli anglo-americani”.
Questo per dimostrare che, stante il fatto che la spartizione dell’Europa stabilità a Jalta era perfettamente condivisa dallo stesso Pci, a nessuno conveniva rompere definitivamente certi equilibri. Quindi certe iniziative velleitarie, certi sogni di Golpe, o certe prospettive di uno “stato di emergenza” con il quale instaurare una governo autoritario, esautorando il Parlamento, erano più che altro un gioco delle parti, un rincorrersi di ricatti e contro ricatti, un velleitarismo per illusi o da rivoluzionari da bar, non di certo una strategia esecutiva finalizzata alla loro attuazione, anche se i grandi burattinai giocarono proprio su queste “speranze” e velleità per manovre i tanti burattini nelle loro mani.
E se consideriamo infine che i nostri Servizi di Intelligence, nonostante qualunque dissidio personale o di arma, potesse dividerli, erano subordinati agli alti comandi Nato, possiamo ben orizzontarci ed avere almeno qualche punto di riferimento per capire quegli avvenimenti.
Non si dimentichi infine, come hanno accertato alcune inchieste e come ha esplicitamente confermato l’ex capo del reparto D del Sid, il numero due di quel servizio, vale a dire Gian Adelio Maletti, l’esplosivo che poi venne utilizzato per Piazza Fontana, ma non solo, veniva da un deposito sotto controllo americano in Germania e arrivato in Italia venne consegnato ad ambienti di Ordine Nuovo del Veneto nei quali vi erano molti esponenti collusi con i Servizi se non con la stessa base Fatse Nato di Verona.
Con solo prove indiziarie non si arriva da nessuna parte, e di eventuali teoremi abbiamo già detto della loro negatività, ma nessuno porta gli orecchini al naso, e comunque prima di avanzare ipotesi di colpevolezza in un senso o nell’altro sarebbe bene essere molto disincantati e prudenti.
Maurizio Barozzi maufil@alice.it