giovedì 7 ottobre 2021
LA MISTERIOSOFIA EGIZIA DI SCHWALLER DE LUBICZ.
Un testo di sicuro interesse, “La scienza sacra dei faraoni”, di R. A. Scwhaller De
Lubicz, animato dalla capacità di porre il lettore di fronte ad una dimensione “altra”
della civiltà egiziana, non più vista nella mera ottica di una scienza archeologica, che
oramai fa il paio con un’arida ricerca ed analisi sociologica. Il De Lubicz parte, invece,
dalle tecniche edili con le quali venivano realizzate le costruzioni templari, per
portare il lettore nella atemporale dimensione di quelle scienze iniziatiche che,
invece, ispiravano la edificazione di quegli stessi templi. Partendo dalla basale
considerazione della connessione tra macrocosmo e microcosmo, che anima la
narrazione di tutte le scienze iniziatiche, il nostro autore pone un primo e
fondamentale assunto: l’uomo riflette nel proprio essere, tutta la costruzione
cosmica e viceversa e, pertanto,il Tempio altri non è che il riflesso materico di
questo stato di cose. Il Tempio traspone nella pietra, la fisiologia sacra dell’essere
umano, inteso quale vero e proprio catalizzatore del cosmo. E per far questo, lo
Schwaller chiama in aiuto il Pitagorismo medesimo, in quanto scienza sacra dei
numeri. L’universo, è qui visto come un continuo ed inarrestabile scorrere di fluidi
ed energie, nel quale numero e verbo sacro primordiale hanno lo scopo di
raffermare e dare un ordine ed una definizione finita, a tale infinito scorrere.
Pertanto, se il numero Uno costituisce l’Unità primordiale che permette il
raffermarsi ed il definirsi dello scorrere Infinito, il numero Due ne costituisce il
creativo sdoppiamento e la nascita della presa di coscienza dell’alterità e della
manifestazione dell’Essere. Ed in questo, il Nostro ci riporta all’hegeliano (ed anche
ermetico...sic!) concetto di “autoctisi” in cui Dio o l’Uno o il “Deus Absconditus”, che
dir si voglia, prende coscienza di sé solo dando luogo alla creazione, ovverosia
sdoppiandosi. Il numero, aumentando di valore e di frequenza, passa dal motivo
della sacralità del Tre, in quanto rappresentazione vivente di quella, (tanto cara
sempre ad Hegel..), “fenomenologia” del movimento cosmico espressa nel triadico
succedersi di Tesi/Antitesi/Sintesi, sino ad arrivare a quella Ogdoade ermopolitana,
(presente anche nel pensiero pitagorico, sic!) che, dell’Essere rappresenta
l’estroflessione in direzione di una sua progressiva complessità ed oltre. Quella
stessa entità numerica, si fa così determinatrice e numinosa indicatrice di
quell’ordine cosmico che, unicamente deriva da un raffermarsi del Chaos e che trova
il proprio diretto riflesso, nell’umana fisiologia dalla quale, alfine, dipende. Il numero
finisce con il farsi simbolo , da “”/”metter assieme”, elemento di una
sapienza muta ed istintiva, in grado di raccordare al proprio interno, una
molteplicità di motivi, non categorizzabili per griglie razionali di per sé, limitanti la
effettiva valenza di questa sapienza. E’ questa, dunque, per Schwaller de Lubicz,
l’essenza di una Scienza Sacra, imperniata sull’istintiva ed analogica comprensione
delle infinite manifestazioni delle energie cosmiche, da cui poi promana una
costruzione che, stante una parvenza di razionale scientificità, mantiene intatto il
proprio fondamento iniziatico e sacrale. Tutto questo, ci mostra in modo
inequivocabile, la natura “teurgica” della religione egizia. A detta della teologia
eliopolitana, il mondo è circondato dal Chaos dal quale, sotto forma di Oceano (Nun)
(od anche serpente primordiale in talune versioni...), promana il Dio Atum che, con
uno sputo o schizzo di seme genera Shu, il vuoto, e Tefnut, l'umidità. In questo
affresco mitologico, che vede l’intero creato minacciato dalla continua pressione del
Chaòs, l’uomo ha il dovere di collaborare con il divino, al fine di mantenere l’ordine
cosmico, assumendo ed introiettando quelle energie cosmiche che lo circondano,
sino a diventare, egli stesso, un immortale. Così come con i Faraoni che, nel ruolo di
ponti tra la dimensione divina e quella umana, preparano sé stessi al “post
mortem”, al fine della perpetuazione eterna della propria esistenza. Di questa
aspirazione, il rito della mummificazione costituisce unicamente il segnale simbolico
dell’abbandono e della preservazione delle umane vestigia, al fine di un loro esser
ricomposte in una forma potenziata. Come in una rappresentazione di scatole cinesi,
il testo del De Lubicz ci mette dinnanzi ad una serie di concatenazioni ed interazioni,
alla base del quale sta, però, (e la cosa non deve sorprenderci...) la potestà dell’”Io”,
nel ruolo di vero e proprio catalizzatore delle forze cosmiche. A tal proposito, non
andrebbe dimenticato che il Nostro si muove nell’ambito del contesto epocale di
una Modernità dei primi decenni del Novecento, caratterizzata senza alcun dubbio,
dalla preponderante presenza dell’ “Io” a discapito di quella vecchia metafisica, che
il De Lubicz sostituisce invece con una scienza iniziatica, che attinge alle sorgenti più
remote ed inconsce della umana personalità. Ne vien fuori uno scenario complesso,
in grado di contemperare ed appaiare al proprio interno, sia le istanze di una
irrompente Modernità, che quelle di una metafisica, reinterpretata e coniugata
secondo i parametri di una vera e propria “Scienza Sacra”.
UMBERTO BIANCHI
BIBLIOGRAFIA:
R. A. Schwaller de Lubicz-La scienza sacra dei faraoni-Edizioni Mediterranee
A. Gardiner-La civiltà egizia, Einaudi Editore
Puech H. C.- Le religioni in Egitto, Mesopotamia e Persia-Laterza/collana Biblioteca
universale Laterza
Christian Jacq- -L' Egitto dei grandi Faraoni, Mondadori