DA LIQUAME ORGANICO A FAMIGLIA REALE A INGANNO PLANETARIO
DI
SILVANO BORRUSO
Un
liquame velenoso
Per chi consultasse ancora dizionari latini, il
termine virus connota una sostanza
tossica, un liquame, trasudante da un tessuto infermo. Il Cassel (1944)
aggiunge “veleno” citando Virgilio e Lucrezio. Ma il trasformismo semantico moderno
ha stravolto quel significato. Il Concise Oxford Dictionary lo relega alla
categoria di “arcaico o figurato”, promovendolo invece virus a quella di essere vivente: “uno dei tanti tipi di organismi
estremamente semplici, più piccoli dei batteri, fatti principalmente da acido
nucleico avvolto da una proteina, esistenti solo in cellule viventi e capaci di
causare malattie”. Il Dictionarium
Recentis Latinitatis, della Libreria Editoriale Vaticana, modernizza con microbium quod virus vocatur. Curiosamente,
nel dizionario Glossa di Internet manca
la voce VIRUS.
Chi rifiuta il passo così disinvolto da effetto a
causa, e per di più da un livello di essere ad un altro, ne ha abbastanza per
condurre una sia pur modesta indagine su come diamine sia avvenuto un fenomeno
metafisico di salto analogico di tale portata. Come ci si è arrivati?
Nel lontanissimo 1882 l’Impero Britannico, alla guida
di Sir W.E. Gladstone spalleggiato dai potenti Rothschild, aveva sottratto il controllo del Canale di Suez alla Francia,
che avendo perduto la talassocrazia alla perfida Albione 77 anni prima a
Trafalgar, non era in grado di far più che protestare. Parigi chiese all’eminente
scienziato Louis Pasteur (1822-1895), la cui teoria del microbo come causa di malattie infettive era stata
approvata da un Congresso nel 30 aprile 1878, un testo “scientifico” come arma
intellettuale contro il potere militare britannico.
E se ne
uscì, il Pasteur, con la bufala che i britannici potevano adesso importare “il virus mortale della Peste Nera”
dall’India. Ma cosa intendeva Pasteur per virus?
Secondo i virologi, i “virus patogeni” hanno
dimensioni di 30-450 nanometri, cioè due-tre ordini di grandezza inferiori a
quelle dei batteri. Solo per vederlo, un tale virus, ci vuole un microscopio
elettronico, o uno capace di risolvere codeste dimensioni otticamente.[1]
Per cui nel 1882 Pasteur non poteva che dare a quel termine il significato “arcaico
o figurato” di veleno.
Vediamo ora le basi su cui si poggia la
definizione odierna di virus.
Nei 16 anni tra il 1854 e il 1870 due studiosi
francesi, Louis Pasteur (1822-1895) e Antoine Béchamp (1816-1908) avevano fatto
scoperte importanti di laboratorio sulle malattie infettive. Negli stessi anni
confermava le loro scoperte l’infermiera inglese Florence Nightingale
(1820-1910), sgobbando nell’ospedale da campo di Scutari durante la Guerra di
Crimea (1853-1856). Diamole la parola:
Le malattie non
sono individui classificabili come cani e gatti, ma condizioni che nascono
l’una dall’altra. Stiamo errando continuando a guardarle separatamente come se fossero
cani e gatti, invece di condizioni dovute a pulizia e sporcizia, del tutto controllabili,
o meglio come reazioni di natura benigna, invece di come le consideriamo?
E
aggiungeva:
La dottrina
delle malattie specifiche è il rifugio di menti deboli, senza cultura,
instabili, ma che imperversano nella professione medica. Non esistono malattie
specifiche; esistono condizioni specifiche di malattia.
In
laboratorio, Pasteur e Béchamp avevano notato lo stesso fenomeno, manifestantesi
però come strutture morfologiche variamente chiamate microbi, spore, cocchi, e
altro che apparivano durante una malattia per sparire al tornare la salute.
Da
queste osservazioni Béchamp formulò una teoria di malattia infettiva del tutto
opposta a quella di Pasteur: i “patogeni” osservati da entrambi -sempre in
tessuti malati e mai liberi nell’aria, acque o suolo-, sarebbero i prodotti di
un terzo elemento del sangue, da lui denominato “microzyma”. Non li vedeva come
esseri viventi di diritto proprio, ma come forme “pleomorfe” emergenti in un
tessuto infermo, e la cui funzione ad hoc
di “spazzini citologici” era quella di convogliare gli elementi tossici dai
tessuti affetti agli emuntori naturali: intestino, reni, polmoni e pelle, per
poi risparire nel sangue a missione compiuta.
La
divergenza tra le due visioni è completa e tale rimane, ma le scuole di
medicina occultano le ultime parole
di Pasteur sul letto di morte: “Le
microbe n’est rien; le terrain est tout.” Béchamp lo aveva convinto, ma il
dado era tratto. Il fattore determinante del suo successo furono (e rimangono) i
lauti proventi da lotta alla
malattia, molto più lucrativi dei magri guadagni del medico che cura l’infermo.
Da allora Béchamp e la sua teoria
sono stati inviati in dimenticatoio. Ma di tanto in tanto qualche medico curioso
vi si imbatte e ne vuole sapere di più, sotto minaccia però di espulsione dall’albo
solo a riproporne la visione. Limitiamoci a constatare che lo spettro del dott.
Antoine, come quello di Banquo[2],
non se ne va. Prestiamo attenzione al teatro di guerra.
In una visione di vero insieme, il
problema sale a livello metafisico: se codesti microorganismi fossero esseri
viventi di diritto proprio, e classificati come tali da generazioni di
ricercatori del calibro di Robert Koch (1843-1910) in ordini, famiglie, generi
e specie di Invertebrati, tali esseri, perfetti
morfologicamente e fisiologicamente dovrebbero causare malattie, che per definizione sono disordini.
Il che è metafisicamente erroneo. Ma
la metafisica non essendo il forte degli scienziati, men che meno se prodotti della
sQuola obbligatoria e gratuita, limitiamoci
alle forche caudine dell’esperimento, provenienti dai bollettini di guerra rilasciati
da loro stessi.
Il doppio fronte
Da circa 160
anni, non una ma due guerre infuriano tra due schieramenti.
La prima ha
carattere difensivo. Un esercito agguerritissimo con una panoplia di
disinfettanti, antibiotici, cerotti, bende, vaccini e quant’altro, milita per difendere esseri umani e i loro animali
domestici da un numerosissimo esercito di germi, microbi, batteri, virus ecc.,
presunte cause di epidemie mortali. La medicina ufficiale elenca decine di
migliaia di “malattie”, etichettate coi nomi altisonanti dei loro “scopritori”
: Alzheimer, Parkinson, Hodgkins. Crohn ecc.
La seconda guerra ha carattere
offensivo. Lo stesso agguerritissimo esercito fa uso, dichiarato a tamburo
battente della grancassa mediatica, delle stesse
presunte cause di malattie mortali, ma non per “eradicarle” cioè farle
sparire dalla faccia della Terra. Quelle stesse cause fanno ora da panoplia
atta a sconfiggere un altro nemico, cioè specie animali in perfetto stato di
salute che però danno fastidio agli esseri umani. Mi riferisco al tentativo
australiano di eliminare il coniglio europeo dalla sua fauna, nella quale venne
introdotto con la malaugurata idea di farne piccola selvaggina.
Ci volle tempo; ma i conigli, a
dieci figliate annue, ognuna di due-dieci coniglietti, finirono per conquistare
il nuovo continente, resistendo vittoriosamente a operazioni manu militari inclusa una guerra
batteriologica senza quartiere sin dagli anni Cinquanta, senza però risultati
tangibili sui (si dice) 200 milioni di Oryctolagus
cuniculus, che continuano a saltellare (e irreverentemente a pisciare in
faccia) a burocrati, virologi e mirmidoni di convinzione monomorfico-monogenetica
pasteuriano-kochiana di malattie infettive.
Tralasciando particolari eccessivi, concentriamoci
sui modi operandi delle due visioni.
Con rigore scientifico, la prima guerra
“identifica gli effetti di un virus prodotto involontariamente in esseri umani infetti”. La seconda “provoca gli
stessi, o peggiori, effetti, inoculandolo volontariamente
in esseri non-umani ritenuti nocivi e pertanto da annientare.
Seguiamo le due ipotesi. Per Pasteur
e seguaci i virus, come causa di
malattie infettive, vanno fermati da una pletora di farmaci; come potenziali
sterminatori di conigli, essi vanno potenziati così da infettarli mortalmente e
sterminarli. Per Béchamp e seguaci, le drastiche misure summenzionate sono
inutili; prima o poi i “patogeni”, rivelandosi nella loro natura di spazzini
intracellulari, liberano quell’ambiente dalle tossine e ristabiliscono ordine,
cioè salute.
Gli stessi criteri sono applicabili a
casi famosi di “infezione”: Il dott John Snow (1813-1854) aveva scoperto che il
colera era dovuto ad avvelenamento da materia fecale casualmente inquinante
l’acqua potabile. Staccò una pompa sospetta e il colera terminò. 40 anni dopo
il batteriologo Robert Koch (1843-1910), che pensava alla Pasteur, scopriva il Vibrio cholerae, interpretandolo come
patogeno causa dell’infezione. Ma il
dott. Max Pettenkofer (1818-1901) che pensava alla Béchamp, interpretò Vibrio come effetto del colera, e provò il punto bevendo fino all’ultima
goccia, in pubblico, la fiala contenente il coltivo di Vibrio inviatagli da Koch, senza riportarne effetto alcuno.
I bollettini di guerra continuano a
confermare Béchamp a spese di Pasteur. I tanto decantati successi pasteuriani suonano
come altrettante vittorie di Pirro che slittano inesorabilmente verso sconfitte
umilianti[3].
È evidente che qualcosa non va.
Cosa realmente fanno i patogeni?[4]
Il modus operandi appena descritto li
vede entrare in azione all’apparire stesso delle tossine formantisi nei tessuti
umani malati; se lasciati in pace, o meglio assistiti da misure igieniche come suggeriva
la Nightnigale, convogliano le tossine ai grandi emuntori così ristorando la
salute.
Lo stesso valga per i conigli. Si
tenta di “infettarli” non con un coltivo di virus puro, ma con un intruglio
contenente tossine potentissime, che inevitabilmente appaiono insieme a forme
pleomorfiche chiamate virus. Passa il
tempo, e l’immunità cuniculare ritorna e si afferma.
Nel 1951 il governo australiano
cantava vittoria per aver sterminato mezzo milione di quella “peste” con il
virus di mixomatosi, ma dopo il primo shock i piccoli mammiferi si riebbero, i
virus continuarono la loro opera indefessa di “operatori ecologici” cellulari e
così sono riusciti a beffarsi di ben 38 tentativi di “infezione” con ceppi
diversi di “virus”.
Cittadinanza
nel mondo dei viventi
La ebbe vinta Pasteur con l’arrivo
sulla scena dell’olandese Martinus Willem Beijering (1851-1931) che nel 1898 chiamò
il virus contagium vivum fluidum, da
li promosso a essere vivente e classificato, catalogato, linneanizzato da
eserciti di virologi che hanno prodotto liste prodigiose di famiglie di virus
oggi consultabili (per chi ne ha il bisogno) in Rete.
Ma il progresso è inarrestabile come
ben noto. Nel 1968 si scopri un gruppo di virus che mostrava una vaga apparenza
di corona solare. Ecco perchè il nome coronavirus.
Nel 2019 l’apparenza fisica venne
promossa a potere politico, e voilà, ecco la famiglia reale di coronavirus instillare
terrore planetario alla guida di “governi” di mentecatti. Sembra ascoltare un
H.L.Mencken[5]
redivivo:
Il solo scopo della pratica politica è
di mantenere il volgo in stato di allarme, e pertanto reclamante salvezza,
minacciandolo con una serie di spauracchi, tutti immaginari.
Pensare l’inganno [e la beffa]
Prendendo per scontato che chi legge sia già al tanto di essere in guerra e
pertanto conscio della natura e strategia del nemico, mi soffermerò, nella
seguente analisi, sul distanziamento sociale, la maschera, l’igienizzazione e
il rilevamento di temperatura. Presumo che chi legge sia già conscio della loro
inutilità, per cui mi fermerò agli effetti reali che ciascuna di esse ha su chi
la subisce.
Si deve il distanziamento sociale
alla superstizione del contagio. Dico “superstizione” perchè nelle medicine
indiana e cinese il contagio non esiste. Ma vi sono ragioni storiche dietro la
sua autorità di spauracchio in Occidente.
La paura di rimanere colpito da
malattia infettiva per contatto personale è retaggio della Peste Nera, che
negli anni 1347-50 colpì la Cristianità per mezzo di rifugiati dall’assedio
mongolo a una piazzaforte genovese in Crimea. Chi ha letto I Promessi Sposi sa che la stessa superstizione vigeva, viva e vegeta,
nella Milano del Seicento.
Fu solo nel 1894 che Alexandre Yersin (1863-1943), di persuasione
pasteuriana addebitò la malattia ad un
batterio, da lui battezzato Pasteurella
pestis, in suo onore ribattezzato Yersinia
pestis. Allo stesso tempo si scoprì il ciclo batterio-roditore-pulce che
mostra come siano le iniezioni sottocutanee di potenti tossine da parte di
pulci rese fameliche dal blocco batteriale del loro sistema a comunicare la
malattia.
La visione pasteuriana rimane, però la tralasceremo per concentrarci sul
contagio. Questa ricevette un colpo, purtroppo non mortale con il conferimento
del Nobel per la medicina al Dott. Charles Nicolle (1866-1936) nel 1928. Cosa
scoprì Nicolle?
Gestiva costui un ospedale a Tunisi, dove era scoppiata una epidemia di
tifo. I colpiti affollavano le corsie dell’ospedale, però stranamente non vi
erano contagi. Un colpito da tifo poteva tranquillamente stare accanto a un non
colpito senza che avvenisse nulla.
Nicolle sapeva pensare. Ragionò: o c’è qualcosa qui dentro che non c’è
fuori, o al contrario c’è qualcosa fuori che non c’è qui dentro. E l’azzeccò:
era un pidocchio, che non entrava in ospedale dopo la sterilizzazione degli
indumenti dei colpiti da tifo.
Il Nobel non gli fu dato per questo motivo, ma la constatazione della non
esistenza del contagio dovrebbe campeggiare oggi come dato acquisito di scienza
medica.
Non lo fa. Quia è abbastanza aver provato la sua natura di puro
spauracchio. Chi legge prenda le sue decisioni.
Per capire la maschera bisogna
rifarsi alle scoperte di un altro medico, questa volta un tedesco, dott. Otto
Heinrich Warburg (1883-1970). Scoprì costui che la combinazione di iper acidosi
(pH <7) e ipossia (basso livello di ossigeno) non causano il cancro, ma ne preparano l’avvento in tempi e luoghi
diversi da individuo a individuo. Per questa scoperta ricevette il Nobel nel 1931.
Cosa fa la maschera? Causa iperacidosi e ipossia. Quanti mascherati saranno
vittime di cancro nel futuro prossimo e remoto? Non sono profeta, ma non è
difficile prevederne un buon numero. Chi legge agisca.
Circa l’igienizzazione,
sterilizzazione, disinfezione ecc. citiamo per primo un aforisma agostiniano
(secondo alcuni; altri lo addebitano a S Bernardo di Chiaravalle: “Inter faeces et urinam nascimur, et
ridemus”[6]
Così vuole la natura che acquistiamo la prima immunità. Ricorrendo al parto
cesareo, quella immunità si nega al neonato, come la si nega insistendo con
ossessione su una igiene eccessiva. È ben noto, o dovrebbe esserlo, che gli schizzinosi,
superigienici statunitensi che viaggiano in Messico per la prima volta, si
beccano ogni tipo di disordini minori, mentre invece i disprezzati copti
cristiani del Cairo, costretti a vivere di e tra montagne di immondizia grazie
alle politiche islamiche, sviluppano un sistema immunitario a prova di bomba.
Dulcis in fundo, la temperatura.
A che serve rilevarla? A niente. Ma così hanno deciso i guru dell’OMS.
I quali hanno anche deciso di far uso coercitivo del vaccino come rimedio
principe della pandemia. Consideriamo la base per una tale decisione.
Questa è che l’intera teoria della vaccinazione si regge o cade sulle
verità o falsità della teoria pasteuriana del “patogeno” come causa di
malattie. Se Béchamp dovesse aver ragione, i vaccini di ogni tipo e contenuto
sarebbero dannosi per definizione, perchè inoculando qualsiasi sostanza
estranea sotto la pelle si elude tutto il sistema di difese immunitarie.
C’è di più. Solo chi ha letto una biografia di Pasteur sa che il Nostro
odiava aprire la posta mattutina, che gli avvelenava gli ultimi anni di vita
con notizie di fallimenti su fallimenti di vaccinazioni che invece di
“proteggere” avevano ucciso armenti e greggi di animali domestici, i cui
proprietari richiedevano risarcimento.
Ulteriori eventi corroborano. Si dovrebbe dire, ma non si dice, che i 50
milioni di morti dell’influenza “spagnola”[7]
del 1918 furono tutti e solo i vaccinati, i più nelle forze armate. Successe
quello che aveva osservato Florence Nightingale 60 anni prima: un tifo, che un
vaccino non aveva fermato, si trasformò in paratifo A, poi paratifo B. Ad ogni
cambio si iniettava un vaccino diverso. Dopo il terzo, il paratifo B esplose
nell’influenza micidiale che tiene ancora oggi il record mondiale di pandemia
mortale.
Ce ne sarebbe stato abbastanza per bandire vaccini e vaccinazione come
terapie, ma si è preferito occultare, mistificare, e continuare ad impinguare
le casse delle case farmaceutiche. Non sorprende che ad aprile 2020 una folla
inferocita ad Abidjan, Costa d’Avorio, abbia attaccato e distrutto un deposito
di vaccini.
Chiudo con la bufala di tutte le bufale, la sovrapopolazione mondiale.
Lettore, sei anaritmeta, cioè incapace di far di conto? Se no, non é difficile
verificare.
Comincia dalle aule scolastiche frequentate in vita tua. Ogni studente
(prima della follia odierna) ha a sua disposizione circa due metri quadrati.
Estrapolando un’aula scolastica media ha una densità di popolazione di 500
000/km2. Per accomodare sette miliardi di alunni ci vorrebbe un’aula
di 14mila km2. Orbene, la Sicilia ha una superficie di 25mila km2.
Giudica tu se sia sensato affermare che la Terra soffre di eccesso di
popolazione.
Non sarebbe ora di liberarsi da incubi e riacquistare le libertà in
pericolo?
20 maggio 2021
[1] Solo i
microscopisti Royal Raymond Rife (1888-1971) e Gaston Naessens (1924-) sono riusciti
a tanto.
[2] Carattere di Macbeth, Shakespeare
[3] Il virus presumibile causa di morbillo non è stato mai osservato: nel 2020
il Dr Stefan Lanka, tedesco, ha offerto un compenso di 100mila euro al primo ricercatore
che riuscisse nell’intento (la “scoperta” risale a una singola pubblicazione
del 1953).
[4] Il consenso non ha mai fatto parte del metodo
scientifico. L’argomento di autorità in scienza ha valore nullo
[5] 1880-1956. Giornalista mordace, diceva: “La
relazione corretta di un giornalista nei riguardi di un uomo politico è quella
di un cane nei riguardi di un lampione”.
[6] Nasciamo tra pipì e popò, e ce la ridiamo
[7] La prima segnalazione dell’epidemia venne dalla Spagna,
rimasta neutrale durante la prima guerra mondiale. La censura aveva occultato
la vera origine negli USA.