I Natali di Roma sono una ricorrenza che, ai più, passa inosservata, o, quanto
meno, ne viene recepito l’aspetto più puramente superficiale, attinente alla
“Gloria Urbis”, esaltata da un’immaginario collettivo da cartolina postale,
assolutamente privo di significati di ben altra profondità e caratura di cui,
invece, l’intera vicenda della fondazione dell’Urbe, è caratterizzata.
Roma, anzitutto, non nasce casualmente, a seguito dell’atto volitivo di uno o
più singoli. La vicenda della sua nascita, sembra esser, in tutto e per tutto,
frutto di un vero e proprio piano divino. Romolo ed il suo gemello Remo, sono
figli del Dio Marte e della mortale Rea Silvia. La fondazione dell’Urbs viene
effettuata con il tracciamento di un solco, lungo un percorso a forma di
quadrato. La decisione della nomina del Rex attraverso sotto il segno
augurale del passaggio di uccelli, l’inviolabilità delle mura e la stessa
uccisione di Remo, da parte del gemello Romolo, la fine di Romolo stesso, le
cui membra, dopo esser stato ucciso, vengono sparse lungo quelli che
saranno i principali caposaldi della neonata Urbs, conferiscono un valore
altamente simbolico all’intera vicenda fondativa.
Possiamo pertanto affermare che, quello della fondazione di Roma è,
anzitutto un atto dalla forte valenza iniziatica, perché ad esser fondato non è
solamente un puro e semplice conglomerato di abitazioni, ma un vero e
proprio assetto spirituale,di cui la civiltà romana, costituirà la perfetta
realizzazione “in terris”. Il processo iniziatico parte dalla umile condizione
dell’iniziando,abbandonato in una cesta alla imprevedibilità degli elementi ed
animato da una doppia natura (i gemelli). A fronte della fondazione di una
città, all’interno di un solco, la cui forma quadra è riflesso di perfezione, è
necessario il sacrificio di uno dei gemelli (Remo), per riportare l’animo
dell’iniziato ad una perfetta unità costitutiva, eliminando la parte più spuria del
proprio “Sé”. La stessa morte del “Rex” Romolo, sancisce la definitiva
assunzione della sua persona, a vero e proprio “corpo di gloria”, dalle cui
parti sparse nasceranno le varie zone di Roma,finendo quest’ultimo con
l’essere identificato con Roma stessa.
La civiltà romana, trova la propria massima e compiuta espressione, in quella
Res Publica, che vedeva per l’appunto, nell’identificazione del cives romano
con quest’ultima, il proprio momento fondante. Questo, attraverso tutte quelle
istituzioni partecipative quali comizi curiati,comizi centuriati, tribunato della
plebe, senato, consolato, alle quali il cives partecipava attivamente e nelle
quali, in virtù dello “ius publicum”, il momento religioso trovava il suo organico
ed armonico collocamento, tramite la figura del “pontifex/facitore di ponti”, tra
la dimensione divina e quella terrena.
L’idea di organica partecipazione che caratterizzava le istituzioni
repubblicane, passerà indenne attraverso le varie epoche storiche.
L’istituzione senatoria ed il consolato permarranno integre, durante tutta l’età
imperiale, sinanche dopo la fine della civiltà romana e sino alla fatidica data
del 1870, con la riunificazione d’Italia, tali cariche saranno sempre vigenti,
all’interno della stessa Roma papalina. Senza ulteriormente addentrarci negli
innumerevoli ed ulteriori significati connessi alla vicenda della fondazione
dell’Urbs, sarà quindi necessario interrogarci su quale lezione si possa trarre
da questo evento.
Ci sovviene, a questo punto, l’esempio di una vicenda molto più vicina ai
tempi nostri che, in qualche modo, proprio dalla “romanitas” , volle trarre uno
spunto di azione. Il sodalizio esoterico del “Gruppo di Ur” ufficialmente attivo
nel biennio 1927/29, con le sue pubblicazioni, vide come protagonisti tutta
una serie di personaggi, dalle diverse provenienze culturali, accomunati però
dall’idea della possibilità di poter effettuare una vera e propria azione
“magica”, al fine di veicolare il ritorno della religiosità pagano-romana
nell’Italia fascista. Personaggi come il Pitagorico e Massone Arturo Reghini
ed il suo sodale Giulio Parise, lo studioso Julius Evola, l’antroposofo Giovanni
Colazza, il kremmerziano Ercole Quadrelli, la figura di Colonna di Cesarò,
proveniente da un ambito massonico-pagano, lo psicanalista Emilio Servadio,
lo stesso Massimo Scaligero e tanti altri, furono i protagonisti dell’inedito
tentativo di applicare le arti magiche, al fine di deviare il corso di eventi di
natura politica.
Tentativo inedito, perché esperito in Età Moderna, poi fallito,ma che,
comunque ci lascia una precisa indicazione operativa. La Magia, qui intesa,
non tanto quale superficiale e fenomenologica, popolaresca “superstitio”,
quanto vera e propria “scientia”, è la tecnica che permette all’iniziato di
addivenire ad un piano di realltà “altro” da quello dell’immanenza. Un piano di
realtà superiore, dal quale emana o dipende quello della sottostante
materialità ed attraverso la manipolazione del quale, si può pervenire alla
modifica sostanziale della sottostante realtà. Un insegnamento questo che,
con l’avvento della Modernità, sempre più andrà risentendo, della inquietante
presenza di un “Io” posto di fronte alla realtà della propria frammentazione in
un’anima cosciente ed in un’altra incosciente,che va ad attingere e riporta a
galla, i più profondi e nascosti motivi archetipici, comuni a tutto il genere
umano. Da quei motivi muove la Magia e le sue scuole per smuovere la
realtà nel suo complesso.
La presenza degli Dei, oggidì soffocata da una civiltà imperniata sul sensibile
e sulla sua quantificazione, è oggi sostituita dalla riscoperta dell’archetipo,
ovverosia, come suggeriscono le maggiori scuole esoteriche ( da quella
antroposofica, al magismo kremmerziano, non senza passare per l’ermetismo
di alcune obbedienze massinche e pitagoriche...), dal partire dalla
prefigurazione del dato sensibile per arrivare all’oltrepassamento dell’Io
sensibile. E pertanto, ricollegandoci ai motivi-guida dell’irrazionalismo
filosofico del 19° e del 20° secolo da Schopenauer a Stirner, da Nietzsche ad
Heidegger ed altri ancora, superare l’elemento umano dell’Io, per pervenire
alla dimensione del sovrumano, di quell’ “oltreuomo” che dell’umano
percorso, costituisce la fase finale, il completamento, alla base del quale, sta
quel costante lavoro di “Iniziazione”, quell’opus alchemico, in grado di
generare in noi una trasformazione qualitativa.
Parole queste che sembrano dar per scontato, ciò che, in verità, non lo è
affatto. Roma, con la sua luminosa storia, ci indica una via che, altri già
hanno tentato ed altri ancora, tenteranno di percorrere. Quella della
Modernità, è una via irta di insidie e difficoltà, alla quale le varie scuole di
pensiero hanno dato risposte sicuramente affascinanti, ma non ancora
sufficienti. Ad indicarci la strada, il simbolo di Mercurio e del suo caduceo,
sormontato da due serpenti, ovverosia, la sovrumana capacità del sapere
ermetico di ricavare forza e vitalità, dal materiale veleno delle forze del
Kosmos. Ancora una volta, la dimensione del mito, che sembrava confinata
nelle nebbie del senza tempo, irrompe decisa nella contemporaneità e ci
indica risolutamente la strada in grado di portarci fuori dalle secche della
Post- Modernità.
UMBERTO BIANCHI