venerdì 24 maggio 2019

ARTURO REGHINI: L’UOMO, L’INIZIATO.



Un nome, quello di Arturo Reghini capace, ancor oggi, di ispirare sentimenti
contrastanti, senza mediazione alcuna. All’ammirazione per l’iniziato, il
pitagorico, fa da contraltare l’avversione sic et simpliciter per il massone, l’uomo
di loggia, che professava apertamente e senza remora alcuna, la sua adesione
alla “veneranda istituzione” massonica e, perciò stesso, oggetto di esecrazione
senza se e senza ma.
Ma, ad un più attento sguardo, al primo sfogliare tra le pagine dei suoi scritti,
ben altra figura traspare, ben lontana dall’ottuso settarismo che qualcuno

vorrebbe appiccicare alla sua figura. Se, da una parte, i suoi scritti trasudano un
entusiasmo ed una prolissità senza pari, dall’altra essi sono caratterizzati da una
chiarezza ed un nitore altrettanto impareggiabili, vista anche la materia che essi,
in vario modo, toccano, ovverosia l’esoterismo ed i suoi mille risvolti sapienziali.
E qui, in Reghini, a predominare è il suo aspetto più “essoterico” di insegnante di
matematica, rigorosamente semplificatorio e preciso, amante della sintesi a tutti
i costi.
Il grande toscano riesce ad affrontare i temi più complessi e profondi con
l’entusiasmo e la leggerezza di un neofita, riuscendo via via a trascinare il
proprio lettore nei più reconditi abissi delle Scienze Occulte. Chiarire sembra
esser per lui, una irrinunciabile e primaria istanza. E lo fa da filosofo, da
matematico, da iniziato e da uomo libero. Come tutti i grandi autori di
esoterismo, Reghini ci mette subito dinanzi al problema dell’Io e della sua
collocazione rispetto all’Universo intero, riportandoci al problema del
superamento dell’egoità, a favore di una animica connessione con l’Essere
Universale, con quella dimensione del trascendente con la quale il singolo finisce
poi, con l’identificarsi.
Rispetto alle scienze esatte, volte alla fredda osservazione ed enumerazione dei
fenomeni del macrocosmo, al di fuori di noi, quella che il Reghini ci propone è
una scienza volta, invece, al risguardo della nostra interiorità. Una scienza
dell’anima, la cui fenomenologia non è razionalmente dimostrabile, non è
esportabile e condivisibile all’esterno, se non attraverso la propria peculiare
esperienza individuale e nulla più. Da queste basilari considerazioni, prende lo
spunto una idea profondamente “differenzialista” e qualitativa dell’intero ordine
cosmico.
La meditazione ed il distacco dal nostro Ego, al fine di raggiungere il nostro Io
sovrasensibile (Atman), direttamente connesso con l’Essere intero, non è cosa
da tutti e spalanca le porte di una piena coscienza del “Sé”, in grado di
sopravvivere anche “post mortem”, lasciando intravedere la possibilità per
l’individuo di “indiarsi”, ovverosia di farsi Iddio egli stesso, anche in vita,
seguendo determinate prescrizioni, legate ad una disciplina e ad un percorso
interiore ben definiti. Ma, ripetiamolo, a detta del Reghini, detti percorsi non
sono per tutti.
Questa impostazione va poi trasponendosi anche sul piano pratico. Ben lungi da
suggestioni democratiche e progressiste, il nostro si fa portatore di un’idea di

Massoneria, improntata sui principi di gerarchia ed iniziazione. Scagliandosi con
veemenza contro i fautori di un’organizzazione animata da un pout pourri di
principi liberal-democratici e progressisti, in salsa iniziatica, ridotti allo
squallido ruolo di combriccole affaristiche, il Reghini rivendica alla Massoneria il
ruolo di testimone e custode ideale di quella sapienza esoterica “italica”, frutto
del sedimentarsi nei secoli di Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo ed altri apporti
ancora ed i cui principali protagonisti furono Pitagora, Giuliano Imperatore,
Dante Alighieri, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Non senza un tocco di
ammirazione per quel Napoleone Bonaparte (che, nel ruolo di redivivo
Imperatore, rinnovò i fasti di quell’idea di Impero che covava sotto la cenere di
secoli di oppressione clericale e mercantilista), arrivando a Giuseppe Mazzini ed
alfine, alla figura di Mussolini, verso il quale il nostro nutre una incondizionata
ammirazione.
Nel Duce Reghini vede la reincarnazione del Veltro dantesco, ne comprende ed
ammira il pragmatismo politico, anche nei suoi atteggiamenti di apertura verso
quella Chiesa Cattolica che, necessariamente avrebbe dovuto esser fatta oggetto
di attenzione e cura, non senza però dimenticare il ruolo dello Stato,
assolutamente non sottomettibile, né condizionabile ai desiderata di
quest’ultima. Nei suoi scritti Reghini non esita a scagliarsi ed a denunciare le
incoerenze e gli abusi della Chiesa nei secoli, portandoci l’esempio del processo a
Cagliostro, di cui ci offre in esclusiva alcuni tratti salienti dei verbali del processo
a quest’ultimo e delle manipolazioni e della malafede con cui fu condotto dalla
Santa Inquisizione.
Nel far questo, Reghini ci riporta, al contempo, al concetto profondamente
iniziatico e teurgico che animava i principi della Massoneria Egizia, che annovera
Cagliostro tra i suoi fondatori. A tal proposito, il Nostro ci parla delle Quaresime
Iniziatiche, veri e propri procedimenti volti a conferire all’iniziato una
immortalità dalla doppia valenza, spirituale e fisica. Con la prima il miste
andrebbe ad acquisire una forma di onniscienza, tale da fargli presentire e
prevedere gli eventi, nel presente e nel futuro, accompagnata ad una capacità di
modificare gli elementi della natura con la sola forza di volontà spirituale. Con la
seconda, invece, l’iniziato andrebbe ad assumere un vero e proprio status di
immortalità fisica ed a tal proposito cita l’esempio del profeta biblico Enoch e
Mosè, chiamati direttamente a Dio senza dover abbandonare il proprio corpo ( o
anche Eracle, l’eroe semidivino assurto divinità nel pantheon degli Dei olimpi...).

Una sorta di magia “osiridea”, dunque, di cui il Reghini ci parla in modo chiaro,
aperto, senza né misteri nè ghirigori.
Il suo entusiamo e la prolissa foga con cui via via affronta i vari temi, troppo
spesso rasentano una ingenuità ed un’imprudenza da principianti. L’arrivare a
definire quale “nazionalismo gesuitico” il governo fascista, alla vigilia del
Concordato, l’illusione di poter imprimere alla Massoneria italiota un indirizzo
iniziatico e tradizionale, il pensare di poter trattare da pari con il Fascismo, le
stesse “catene” magiche del Gruppo di Ur volte ad imprimere un carattere
pagano al regime, se da un lato, rappresentarono delle evidenti forme ingenuità,
dei veri e propri voli pindarici del nostro, dall’altro, furono però affiancate da un
atteggiamento di ottusa chiusura da parte del Regime, che non seppe e non volle
comprendere e far suoi la sua carica di entusiasmo, le sue ingenue istanze,
accompagnate dal tentativo di imprimere alle varie forme di sapere iniziatico ed
alle sue espressioni organizzative, un carattere italico ed indoeuropeo, scevro da
suggestioni “esotiche”, ovverosia di origine medio orientale ed orientale.
Se il Regime ebbe, in occasione dei contrasti sorti tra il Nostro ed Evola, che lo
voleva denunciare quale aderente alla massoneria, l’accortezza di evitare guai
giudiziari a quest’ultimo, d’altro canto, lo isolò totalmente, condannandolo ad
un’ingiustificata insignificanza. E questo a causa della tendenza, comune a tutti i
Totalitarismi del novecento, ad omologare e ad operare una “reductio ad unum”,
attorno ad un determinato e rigido modello, contrariamente al Globalismo il cui
modello è frutto di un continuo e reciproco adeguamento tra le istanze della
Tecnhe e quelle dell’Economia. La qual cosa, nel lungo e medio termine, ne
avrebbe comportato la fine.
Incompreso ed isolato, il nostro avrebbe concluso la propria esistenza, immerso
nei suoi studi pitagorici, in povertà, a guerra appena finita, nel 1946. Quella di
Arturo Reghini è una trista vicenda, tutta italiota, incentrata su un’invidia ed un
vigliaccheria che affondano le proprie radici in una plurisecolare tradizione,
tutta nostrana. La persecuzione del pensiero “non conforme”, accompagnate ad
una idea ottusa ed antimeritocratica dell’umano agire, ad oggi, continuano a
costituire quella miscela che impedisce e rallenta la crescita e l’armonioso
sviluppo del nostro Paese. Al di là di dibattiti su questa o quella formula politica
od economica che dir si voglia, questo è il problema centrale dell’Italia (e
dell’Occidente...) di oggi. E prima ce ne avvedremo e meglio sarà per tutti.
UMBERTO BIANCHI