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IL SEGRETARIO GENERALE
Roma, 25 settembre 2018
COMUNICATO
STAMPA
LA PAGLIACCIATA DELLE PENSIONI D’ORO
OSSERVAZIONI DELLA FEDERAZIONE DIRSTAT
ATTO CAMERA N. 1071
presentato il 6.8.2018
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI D’UVA, MOLINARI,
GIACCONE, PALLINI, MURELLI, DAVIDE AIELLO, BUBISUTTI, AMITRANO, CAFFARATTO,
BILOTTI, CAPARVI, CIPRINI, LEGNAIOLI, COSTANZO, EVA LORENZONI, CUBEDDU,
MOSCHIONI, DE LORENZO, GIANNONE, INVIDIA, PERCONTI, SEGNERI, SIRAGUSA,
TRIPIEDI, TUCCI, VIZZINI
Disposizioni per favorire l’equità del
sistema previdenziale attraverso il ricalcolo, secondo il metodo contributivo,
dei trattamenti pensionistici
superiori a 4.500 euro mensili
1. L’atto Camera in oggetto, per i
numerosi parlamentari firmatari, appartenenti a diversi gruppi politici, assume
rilevanza particolare tra le tante proposte di legge.
La relazione, che doveva illustrare il provvedimento, si
sofferma invece sulle varie decisioni della Corte Costituzionale in merito ai tagli delle cosiddette pensioni d’oro,
omettendo di spiegare ciò che la stessa Corte ha sommessamente ma fermamente
voluto, far conoscere alle varie forze politiche che la pensione è retribuzione differita e,
come tale, andrebbe aggiornata annualmente perlomeno agli aumenti dell’indice ISTAT,
cosa che non avviene da oltre 10 anni.
Il messaggio che i presentatori vorrebbero far passare,
per coprire l’incapacità della classe
politica a governare questo Paese, mira a
criminalizzare pensionati che hanno conseguito pensioni appena decenti, mentre affranca
tutti i pensionati di “platino” di cui diremo appresso.
Entrando nel merito,
il Prof. Alberto Brambilla, in TV e sui giornali, ha asserito: “sul taglio delle cosiddette
pensioni d’oro si fa solo propaganda, perché il 50 per cento degli altri pensionati
non raggiunge nemmeno lo standard minimo dei 15 anni di contributi”. E
parlando di Di Maio aggiunge: “dire come
fa lui (n.d.r. Di Maio) che ci sono in Italia 100 mila uomini e donne manager o
appartenenti a Corpi dello Stato, ben retribuiti, con pensioni decenti, perché
compiono il loro dovere ad alti livelli di responsabilità è un errore clamoroso
e mi preoccupo perché rischia di minare la coesione sociale del
Paese”.
Il Prof. Brambilla ha anche “certificato” che il
contributo di solidarietà, a carico di queste pensioni, produrrebbe, al massimo,
180 milioni (nota bene: milioni) di euro all’anno che non servono a
coprire, nemmeno minimamente, il costo delle cosiddette pensioni di
cittadinanza, pari a 16 miliardi di euro.
La “pagliacciata”
delle pensioni d’oro, imbastita da
una parte di una sedicente destra è ricomparsa, nel tempo, anche nei discorsi
di esponenti della sinistra fra i più squallidi.
Tanto per fare un
esempio: una pensione di 10mila
euro lordi al mese, paga una IRPEF mensile
di 5.000 euro più addizionali varie. E’ logico che man mano che la
pensione diminuisce anche l’IRPEF si riduce di molto fino ad azzerarsi.
Chi vuole confermare
questo circolo vizioso della povertà di sovietica memoria?
E’ questo un Paese
in cui (il 20 settembre scorso lo ricordava l’Europa!) l’evasione fiscale dell’IVA è pari a 37
miliardi di euro all’anno, primato europeo dell’Italia da sempre.
E’ un Paese in cui l’evasione fiscale IRPEF vede un primato
dei lavoratori autonomi, circa 7
milioni e mezzo di cosiddetti contribuenti, di cui solo il 6,7% paga IRPEF sufficiente a coprire
le spese sanitarie, individuali, pari a 1830 euro l’anno, che lo Stato
anticipa.
Un Paese inoltre in
cui la criminalità organizzata fattura
120 miliardi annui di euro, esentasse, e
l’agromafia 30 miliardi annui.
Ci sarebbe altro da
dire, ma ci fermiamo qui.
2. OSSERVAZIONI SULLA PORTATA DEL
PROVVEDIMENTO
Alla luce di questa
tabella, che fissa l’uscita dei lavoratori anche a 65 o 67 anni, si rimane
perplessi in quanto essa non è coerente con la tabella d’uscita dal lavoro predisposta dal Governo in
questi giorni.
Dove sono finite la
logica e la coerenza legislativa?
Questa tabella fa pagare “pedaggio” ai pensionati solo in
base alla differenza fra gli anni dell’effettivo pensionamento e gli anni di
ipotetica uscita indicati nella colonna b.
Poniamo che un
dirigente sia esodato entro il 2003 con 45 anni di servizio effettivo. Costui
oltre ad essere già stato “derubato”
di 5 anni di contributi, quelli oltre i 40 anni, si troverà a dover
restituire, in soldi e mensilmente, per i due anni mancanti sino ai 65 anni.
Nessuno si è posto
il problema che il
dirigente pubblico o privato veniva collocato in quiescenza d’ufficio
negli anni 1998 o 1999 al raggiungimento dei 40 anni contributivi, a meno che non
avesse richiesto all’Amministrazione di essere trattenuto in servizio, il che
non era “scontato”.
Come la mettiamo con
le donne, che a 60 anni venivano, per
legge, esodate?
Lo stesso problema sorge per il personale militare, posto
in quiescenza d’ufficio prima di 60 anni di età, come ha chiaramente illustrato quel Gen. di Corpo d’Armata sia sui
giornali che in tv: andato in pensione prima dei 60 anni di età, avendo quasi
50 anni di contributi sarebbe penalizzato.
Con questa tabella
devono stare tranquilli i pensionati di “platino”
che percepiscono anche 30.000,
40.000 e finanche 70.000 euro mensili, quali conduttori TV, vari
manager di Stato e privati, nonché i sindacalisti
(ai quali la riforma fa finta di ridurre il trattamento pensionistico
“spostando” dalla quota A alla quota B alcune voci retributive, come avviene
per tutti gli altri pensionati).
L’unico parametro è, quindi, l’uscita dal servizio e le
categorie adesso menzionate sono esodate sicuramente dopo i 67 anni di età, (ma sarebbero rimaste volentieri in servizio fino a 90 anni) categorie che pur avendo
meno di 40 anni di servizio non
rischiano un bel niente: è la data di uscita quella che conta.
Sarebbe questo il Governo del “cambiamento”?
Dott.
Arcangelo D’Ambrosio
P.S. Questo
comunicato viene inviato anche ai nostri legali, che ci avevano chiesto un appunto
sull’ Atto Camera in oggetto.
Potrebbe servire
come spunto per ricorsi, ma siamo sicuri che verrà profondamente modificato.