UMBERTO BIANCHI
venerdì 19 gennaio 2018
IL PAGANESIMO MAGICO DEL GRUPPO DI UR
Sto seguendo con una certa attenzione, il recente riaccendersi di una, mai
completamente, sopita polemica riguardante un po’ tutto il milieu “esoterico” e
tradizionalista italiano ed avente per oggetto, guarda un po’, l’interpretazione
dell’esperienza del cosiddetto Gruppo di Ur e del suo lascito spirituale ed
“operativo” in tutte quelle esperienze che, dal dopoguerra in poi, hanno in
qualche modo tentato di rifarsi alla cosiddetta “Via degli Dei Romano Italica”.
Occasione per rinfocolare polemiche e dibattiti, il novantennale della nascita
del Gruppo di Ur e i due recenti, interessanti articoli di Luca Valentini su
“Ereticamente” che, del convegno tenutosi in quel di Napoli il 14 di Ottobre,
costituiscono, a parere di chi scrive, un po’ la continuazione e la “summa”
ideale. Evola fu o no influenzato dall’antroposofia di Colazza? E poi la scuola
kremmerziana lasciò o meno il segno in quell’esperienza? E poi. Volevano
costoro realmente restaurare la religione pagana in Italia o cosa? O si trattò
di un’esperienza unicamente mirante a realizzare, anzitutto, una forma di
magica introspezione? E quella successiva dei Dioscuri? Ed allora, in quale
senso e direzione può essere intesa, al giorno d’oggi, una “Via Romana agli
Dei”? E via dicendo, con tutta una serie di interrogativi che sembrano, invece,
voler prepotentemente riproporre un’altra domanda, antica quanto l’uomo ed
il suo rapporto con l’Assoluto: adesione ad una ritualità formale potente, ma
legata a gesti, ritmi cicli e scadenze determinati o ad un qualcosa di più
atemporalmente profondo che, delle immagini sacre, fa un semplice simbolo
di riflessione, volto al potenziamento dell’ “Ego”?....Religiosità essoterica od
esoterica? E poi. Un approccio multiculturale ed esperienziale al rito, tramite
gli apporti delle più e più forme di religiosità in un’ottica di “guenoniano”
universalismo o un apporto rigorosamente “etnicista” in un’ottica di
esclusivismo culturale ( e cultuale), legato ad antiche radici? Domande che, lì
per lì, sembrano esser senza senso, quasi sterili ed intellettualistici
interrogativi senza alcuna attinenza con la realtà di quella vita che, invece, di
certezze e risposte chiare ha bisogno, per non ricadere nel caotico vortice
dell’insensatezza offerto dalla Post Modernità. E questi sono interrogativi le
cui soluzioni, invece, portano molto lontano…Cominciamo con il dire che,
quando si tratta di scuole di pensiero “esoterico” o misterico che dir si voglia,
o di autori ad esse legati, la cautela è d’obbligo. E’ vero. Il Valentini ci riporta
frasi di Evola e di altri autori, da cui si può tranquillamente evincere l’intento di
un lavoro “sub specie interioritatis” volto a far promanare l’elemento
numinoso dai profondi recessi dell’Io. Altrettanto vero è, però, l’intento
manifestato dallo stesso Evola in “Imperialismo Pagano” ed in altri autori quali
Reghini ( in ottima compagnia del pitagorico Amedeo Armentano, poi
emigrato in Brasile, sic!), Caetani/Ekatlos ed altri, in favore di un ritorno della
Paganitas in Roma, grazie all’avvento del Fascismo, il cui simbolo, il Fascio
Littorio, sembrava rappresentare il miglior viatico in tal senso. Sì, è vero.
Evola in “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” si mostra
molto critico verso tutte le varie derive settarie ed occultiste e verso la stessa
Antroposofia steineriana. Ma resta il fatto che in Ur aderì di tutto e di più,
neopagani, massoni, steineriani, teosofi, cattolici (Guido De Giorgio),
psicanalisti alla Emilio Servadio, oltre agli esoteristi “sciolti”, alla Evola .Ora,
affermare che tutte queste persone non partecipassero alle attività più
“operative” del gruppo, mi sembra quanto meno azzardato. Già il trattare in
modo approfondito certi argomenti, non nel ruolo di semplice studioso, ma
bensì in quello di vero e proprio “miste”, sia pure per iscritto, costituisce
un’attività in grado di innestare un vortice, un’interazione energetica tra menti
e realtà differenti. Anche perché, e questo andrebbe costantemente ripetuto,
trattandosi qui di un gruppo esoterico o magico che dir si voglia, non
bisognerebbe assolutamente fermarsi alle apparenze, foss’anche basate
sulle dichiarazioni degli stessi protagonisti, visto che in questo contesto, più
che altrove, vige sovrano l’annullamento ed il superamento del principio di
non contraddizione, per cui si arriva al paradosso ontologico di un “tutto che è
il proprio contrario”. Qualcuno ha recentemente criticato e messo in dubbio i
contributi del pensiero kremmerziano e di quello antroposofico, all’esperienza
di Ur e ad altre similari, perché apportatrici di elementi estranei alla matrice
indoeuropea della tradizione italica. Ora però, senza voler entrare nel
puntiglio di una polemica dai contorni, ad oggi, ancora sfumati, se qualcuno
volesse andarsi a leggere i “Dialoghi” di Kremmerz, (ma anche altri scritti
dello stesso autore), vi troverebbe più e più volte ribadita la impellente
necessità di doversi rifare a riferimenti sacrali Romano Italici ed Ellenici,
anziché a tradizioni estranee, quali quelle “orientali” ed altre similari. Che poi,
un autore come il succitato Kremmerz o lo stesso Reghini ed altri ancora,
abbiano agito in contesti immersi in una simbolistica che richiama le più
classiche radici dell’esoterismo occidentale, espresse da elementi gnostici,
rosacrociani o cabalistici, questo non comporta l’automatica adesione di
costoro, al “background” espresso da tali simboli, che, comunque sia, erano
parte costituente di un determinato contesto culturale ed epocale. Alla stessa
maniera, bisognerebbe andarci piano quando, con decisione, si rigetta
l’ipotesi di una qualsivoglia influenza dell’antroposofia di Colazza ed altri, su
Evola. Il Pensiero, ed in particolar modo quello di tipo esoterico, non può
esser considerato qualcosa di fisso ed immutabile, bensì una forma di fluido
che interagisce adattandosi di continuo alle contingenze di quel momento. Lo
stesso pensiero teosofico o antroposofico steineriano, non si mantiene fisso
su certi parametri, ma subisce una vera e propria mutazione in autori come
Massimo Scaligero che, nei suoi trattati posteriori, ci parla di un vero e
proprio “Pensiero Vivente” espressione di quel lavoro incentrato sull’Io, che
sempre più, sfugge ai classici parametri fantasticheggianti dello steinerismo
prima maniera. Julius Evola critica sia il cristianesimo che certo “paganesimo
dilettantesco” ma, stranamente, non perderà mai completamente i contatti
con un certo mondo i cui epigoni post bellici, sono proprio rappresentati da
quel misterioso Gruppo dei Dioscuri, che non mancherà di informarlo
puntualmente sulle proprie attività. Quell’Evola che, al pari di altri suoi
omologhi, legato ad un modo di pensare “Tradizionale”, si fa simbolo vivente
dell’irrompere della Modernità anche nell’ambito del pensiero “magico”, grazie
proprio a quella nuova visione prospettica, incentrata su un “Io” ora in grado
di interagire con la realtà, arrivando anche a modificarne i parametri sul piano
metafisico. Se andiamo a ben vedere, molti degli aderenti al Gruppo di Ur,
provenivano dalla frequentazione di riviste quali “Lacerba” e di personaggi
alla Prezzolini o alla Papini e dal milieu Futurista e d’Avanguardia.
Quell’Avanguardia che, tra fine Ottocento ed inizio Novecento, fonderà
insieme Futuro e Tradizione, Magia e Tecnica, all’insegna di un “Ego”,
pericolosamente proteso tra le suggestioni superomistiche e le emergenti
forze dell’inconscio e dell’occulto. Una spinta all’irrazionale, che la
preponderanza della Tecno Economia non riuscirà mai completamente, né a
sopire né a domare… La seconda grande questione che non si può
assolutamente tralasciare, è quella dell’attuale contesto storico, da cui le
polemiche a cui abbiamo poc’anzi accennato, prendono corpo. Senza entrare
nel puntiglio di una esatta genealogia storica, possiamo affermare che, sul
solco degli storici gruppi di riferimento del moderno paganesimo di matrice
romana, si è andato innestando un filone ed un’interpretazione sino a poco
tempo prima, relegati ad ambiti più specialistici e cioè quella più “esoterica”, a
cui abbiamo già accennato. Al di fuori dell’esperienza del Gruppo dei
Dioscuri, la “Via Romana agli Dei”, pur oscillando tra un’interpretazione
“prisca” della religiosità romana ed una più impostata al Neoplatonismo ed
agli scritti di Macrobio, Plotino, Giamblico, ha dato di quest’ultima
un’interpretazione più formalista. In questo, l’apporto “esoterico”, anche se
talvolta caratterizzato da qualche umanissima forzatura o inesattezza, non
può che costituire un sano antidoto alla stasi, alla marmorea rigidità di certi
sterili apologeti della Tradizione. Due visioni, due modalità di intendere un
qualcosa che, invece, nonostante l’apparente dissidio, costituiscono le due
facce complementari di una medesima realtà. Quella del mistero rappresenta
una delle necessità primarie dell’animo umano. Il sottile velo che adombra e
ricopre aree che a noi permangono precluse , rappresenta un potente stimolo
alla fantasia ed alla creatività, ad un continuo porsi domande ed a cercare
risposte. L’importante qui non è il disvelamento del mistero, ma la ricerca, il
percorso “si et si” che, dell’umana esistenza, costituiscono il sale. E nella
spasmodica ricerca di risposte, nel mare magnum del mistero, l’individuo
potenzia il proprio Ego, sino a far di sé stesso un Dio…ma, d’altra parte,
esiste da tempo immemorabile la necessità di dar un ordine al mondo tramite
una serie di formule, di parole, di movenze, che nel ricalcare le principali
coordinate della realtà, mettono l’intera comunità degli oranti in connessione
con le dimensioni superne; questo insieme di procedure è “rtah/rito”
ovverosia dar ordine al mondo evocando e collaborando con ciò-che-sta-di
sopra. Quel “sopra” spesso disvelato e conservato da quelle antiche radici,
che la lingua dei padri assieme a simboli atemporali, ci trasmettono e ci
ripropongono attraverso lo scandire del tempo, in giorni, stagioni, Ere, Eoni…
Due momenti, due modalità si direbbe quasi opposte. Fede e ricerca, estasi
ed iniziazione, pur con le loro differenze, ruotano attorno allo stesso
Samsara, alla stessa grande ruota dell’Essere. Ambedue sono, sia pur con
tutti i loro eccessi e le loro (apparenti) incongruenze, romanamente parlando,
quelle membra che hanno bisogno l’una dell’altra. Momenti, percorsi,
personalità differenti che si incrociano, si intersecano, talvolta si scontrano
ma che, proprio in questo momento, proprio di fronte all’epocale tragedia
della perdita del Sacro, del magico, dell’immaginifico, dinnanzi al vuoto di un
mondo incentrato sull’apparenza e sull’arida concezione Tecno-Economica,
dovrebbero finalmente comprendere dove sta il nemico, quello vero, ed
affilare le armi per una battaglia epocale. Una battaglia incentrata sulla
capacità di arrivare all’elaborazione di una nuova sintesi che sappia essere
Pensiero-Azione, Essere-Divenire, Immanenza-Trascendenza e che sappia,
pertanto, rispondere colpo su colpo a tutte le tremende sollecitazioni della
Tecno-Economia. Stavolta a perdere non sarà questa o quell’altra tendenza
culturale, questo o quell’altro gruppo, ma l’intero patrimonio spirituale di un
genere umano, appiattito, immiserito e subordinato ai diktat del Pensiero
Unico.