Avv.
Enrica Guerriero
Avvocato
del Foro di Benevento
Dottore
di ricerca in Storia delle Strutture Amministrative
82100
Benevento- Via Giovanni Calandriello n. 1
Mail:
eguerriero@alice.it
RIFORMA DEL 2016 DELLA DIRIGENZA PUBBLICA: SPADA DI DAMOCLE SULL’OPERATO DEI DIRIGENTI
Con
lo schema di Decreto legislativo recante la disciplina della dirigenza pubblica
in applicazione dell'articolo 11 della
legge 7 agosto 2015, n. 124, viene introdotta una riforma della Dirigenza
pubblica, che non solo non assicura il buon andamento, l’efficienza e la
trasparenza della P.A. ma stravolge fondamentali principi, consacrati nella
Costituzione, da sempre affermati con forza dalla giurisprudenza, vanificando gli
effetti di una sentenza del Giudice delle leggi (Corte Costituzionale, sentenza
n. 37/2015) ed infrangendo i fondamentali principi di democrazia (uguaglianza,
imparzialità, parità di trattamento, buona amministrazione) su cui la nostra
Costituzione si fonda.
In
sostanza, la Riforma prevede modifiche al D.ls. n. 165/2001 (Testo Unico Enti
Locali), che consistono:
1.-
in tema di apporto di lavoro e qualifica dirigenziale, nell’introduzione della
possibilità, per le amministrazioni pubbliche, in relazione alla loro
complessità organizzativa e alla necessità di coordinare
diversi uffici dirigenziali, di articolare gli uffici dirigenziali in diversi
livelli di responsabilità, anche introducendo la distinzione tra incarichi
dirigenziali generali e altri incarichi;
2.-
nella previsione della costituzione del rapporto di lavoro di ciascun dirigente
con contratto di lavoro a tempo indeterminato, stipulato con l'amministrazione
che lo assume, all'esito delle procedure di cui agli articoli 28, '28-bis e
28-ter (per corso-concorso selettivo di formazione, nonché per concorso, senza
nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica e nel rispetto dei vincoli
finanziari in materia di assunzioni a tempo indetermina), con contestuale
iscrizione nei Ruoli di cui all'articolo 13-bis (Ruolo dei dirigenti statali,
Ruolo dei dirigenti regionali e dal Ruolo dei dirigenti locali; sono, dunque,
previste la creazione di ruoli unificati e coordinati statali, regionali e
locali e l’eliminazione della distinzione in due fasce separate;
3.-
nella modifica dell’art. 19 del D.lg. n. 165/2001 e l’introduzione dell’art. 19
bis, che consente alle Amministrazioni di conferire gli incarichi dirigenziali
corrispondenti agli uffici dirigenziali “definendo
i requisiti necessari per ricoprire i relativi incarichi in termini di
competenze ed esperienze professionali, tenendo conto della complessità, delle
responsabilità organizzative e delle risorse umane e strumentali ….” e
di conferire a soggetti non appartenenti ai Ruoli dirigenziali, mediante
procedure selettive e comparative ed entro un determinato limite, gli incarichi
non assegnati attraverso i concorsi o le procedure di cui all’ articolo 19-ter;
4.-
nell’istituzione della Commissione per la dirigenza statale, operante, con
piena autonomia e con indipendenza di
giudizio e di valutazione, presso il Dipartimento della funzione pubblica della
Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito, tra l’altro, di nomina
delle commissioni per l'esame di conferma dei vincitori del concorso ai sensi
dell'articolo 28-ter, comma 5, di procedere
alla preselezione dei candidati ai fini
del conferimento degli incarichi dirigenziali generali, secondo le previsioni dell'articolo
19-ter nonché di esprimere parere obbligatorio e non vincolante sulla decadenza
dagli incarichi in caso di riorganizzazione dell'amministrazione;
5.-
nella modifica dell’art. 21 del D.lgs n. 165/2001, in materia di responsabilità
dirigenziale, con la previsione delle ipotesi di mancato raggiungimento degli
obiettivi senza, tuttavia, prescrivere un
sistema di valutazione della dirigenza.
Ad
opinione di chi scrive, dietro la riforma si cela la “legalizzazione”
dell’egemonia delle pubbliche amministrazioni e dell’abuso dello strumento
degli incarichi dirigenziali.
In
altri termini, ai sistemi di accesso agli alti gradi dirigenziali del concorso
(l’unico in grado di assicurare la selezione dei migliori) e del
corso-concorso, si affianca la “scelta” ad opera della P.A., attraverso gli
incarichi dirigenziali, che, ai sensi dell’art. 19 bis, con l’espressa
previsione della possibilità di conferire, sia pure a tempo determinato e
previo esperimento di una procedura comparativa con avviso pubblico (sul cui
concreto espletamento la legge nulla dice), incarichi dirigenziali a soggetti non
appartenenti ai suddetti Ruoli, stabilizza una pratica di cui, troppo spesso,
già sotto il vigore della previgente normativa, le Amministrazioni hanno fatto
abuso.
Quindi,
il legislatore, invece di fissare il principio, così come prescritto dal terzo
comma dell’art. 97 della Costituzione, secondo il quale alla carriera di
Dirigente sia accede soltanto per concorso, come avrebbe dovuto fare, in
ossequio al “dictum” della Corte
Costituzionale (sentenza n. 37/2015), rafforza l’istituto degli incarichi dirigenziali,
che da strumento temporaneo atto a far fronte a situazioni peculiari, secondo
la previgente normativa (Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di
legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni pubbliche,
Deliberazione n. SCCLEG/36/2014/PREV), diviene, con la Riforma, istituto
stabile che può essere anche utilizzato per coprire i posti non assegnati
attraverso i concorsi, sia pur, come si è detto, in via temporanea e con non meglio specificate procedure
selettive.
Il
terzo comma dell’art. 97 della Costituzione dispone che “agli impieghi nelle pubbliche e amministrazioni si accede mediante
concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”; inoltre, ai sensi del previgente
art. 19 del D.lgs. n. 165/2001, gli incarichi di funzioni dirigenziali sono
conferiti a tempo determinato.
Inoltre,
ai sensi dell’art. 51, primo comma, della Cost., tutti i cittadini possono
accedere agli uffici pubblici “in condizione di eguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla legge”, e, secondo il disposto dell’art. 98 Cost., “i pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della Nazione”.
Sono,
pertanto, principi fondamentali ed assolutamente inderogabili del nostro
ordinamento: l’accesso all’impiego pubblico mediante concorso, secondo
l’insegnamento della Corte Costituzionale (sentenze n.81/1983 e n.266/1993, n.
37/2015) - e ciò è, ancor di più valido, per l’ingresso nell’alto rango della
Dirigenza- ed il carattere necessariamente temporaneo degli incarichi
dirigenziali (Corte Costituzionale, sentenza n. 37/2015; Corte dei conti,
Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle
Amministrazioni pubbliche, Deliberazione n. SCCLEG/36/2014/PREV;
Consiglio
di Stato, sez. IV, 06/ 10/2015 n. 4641), pena un aggiramento della normativa e,
dunque, un abuso del diritto, il quale è principio generale del nostro
ordinamento e si connette strettamente al principio di solidarietà
sociale (ex multis, Cass. 15.2.2007,
n. 3462).
Il
descritto schema di riforma della Dirigenza pubblica, consolidando i poteri
delle Amministrazioni con l’attribuzione alle stesse di ampie facoltà di
procedere agli incarichi, viola detti principi e, ad opinione di chi scrive,
pone seri dubbi di legittimità costituzionale, offrendo, per di più, il fianco
alla P.A. per abusare dei suoi poteri e del diritto.
Ciò
si deduce anche dalle previsioni di un sostanziale Ruolo Unico dei Dirigenti,
sia pure sotto forma della creazione di ruoli unificati e coordinati statali,
regionali e locali, e delle Commissioni per la selezione dei Dirigenti nonché dalla
mancanza di un ruolo intermedio tra quello degli impiegati ed il ruolo dirigenziale.
Risulta
evidente, infatti, come, da un lato, l’interscambio dei Dirigenti da
un’Amministrazione all’altra non soltanto non assicuri l’efficienza della P.A. ma
finisca per pregiudicarla giacchè le
elevate competenze in possesso di coloro i quali espletano le funzioni
dirigenziali sono necessariamente specifiche e, come tali, differenti tra le
diverse PP.AA. e, dall’altro, la concentrazione, nelle mani della menzionata Commissione
per la dirigenza statale, della nomina delle Commissioni di concorso viola i
più elementari principi che devono regolare l’espletamento dei pubblici
concorsi, le cui Commissioni esaminatrici dovrebbero essere formate da componenti
in grado di assicurare i principi di imparzialità e di trasparenza così che la
selezione dei candidati avvenga nel rispetto della par condicio degli stessi; di ciò la norma, stante l’ampio potere attribuito
alla Commissione per la dirigenza statale, è assolutamente deficitaria
La
mobilità, in senso verticale ed orizzontale, dei Dirigenti connesso alla
creazione del ruolo unico, avrebbe il deleterio effetto di creare un “Dirigente
precario” (esposto al rischio di essere trasferito presso un’Amministrazione
diversa da quella di appartenenza) e non indipendente a causa degli strapoteri
attributi alla citata Commissione.
Quanto
a quest’ultima, costituita con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri, alla quale sono state assegnate delicate funzioni di garanzia del procedimento
di conferimento e di revoca degli incarichi dirigenziali, si osserva come – ed,
in tal senso, si è espresso il Consiglio di Stato nel parere del 14.10.2016,
trasmesso al Governo sullo schema di decreto legislativo riguardante la
dirigenza pubblica- alcuni dei suoi componenti potrebbero non essere del tutto
indipendenti dagli organi politici.
Ne
deriverebbe, quindi, ad opinione di chi scrive, la precarietà e la non totale
indipendenza del Dirigente sul quale penderebbe la spada di Damocle del
trasferimento per mobilità.
Dall’art.
97 (“i pubblici uffici sono organizzati
in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione”- comma 1- e “Agli
impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso ….”- comma
3-) e dall’art. 98 della Costituzione (“I
pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) si ricava il
principio della piena autonomia gestionale dell’attività dirigenziale, il quale
implica la necessità della separazione tra politica e amministrazione, secondo
quanto dichiarato dalla Corte Costituzionale che ha affermato il principio in
base al quale il lavoro dirigenziale deve essere regolato in modo da garantire «la
tendenziale continuità dell’azione amministrativa e una chiara distinzione
funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di
gestione» (Corte cost. n. 103 del 2007, cit. e n. 161 del 2008) e, di
conseguenza, deve essere «circondato da garanzie», in quanto «la
dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica»
(Corte cost. n. 104 del 2007), principi accolti anche dal recentissimo parere
del Consiglio di Stato del 14.10.2016 cit. .
Dunque,
anche da questo punto di vista, la norma manifesterebbe seri profili di
incostituzionalità.
A
tutto ciò si aggiunge, come si è detto, che la Riforma è priva di un sistema di
valutazione della dirigenza (in tal senso, parere del Consiglio di Stato del
14.10.2016): essa, infatti, fissa, nel novellato art. 21 del D.lgs. n. 165/2001,
i casi di mancato raggiungimento degli obiettivi ma non prevede affatto (non
avendo la legge delega fornito indicazioni in tal senso) un’adeguata procedura
di valutazione del Dirigente, che tuteli il suo diritto di difesa.
Anche
sotto questo ulteriore profilo, si rivela la criticità della Riforma ed anche
sotto questo profilo, la figura di Dirigente che ne viene fuori è quella di un
“precario” senza garanzie e diritti, asservito al potere dell’Amministrazione e
della politica.
E
vi è di più.
Il
n. 4 dell’art. 19 bis del D.lgs. in esame stabilisce che gli incarichi
dirigenziali non assegnati attraverso i concorsi o le procedure di cui al
successivo art. 19-ter possono essere conferiti a soggetti non appartenenti ai
suddetti ruoli.
Cosicchè,
se l’Amministrazione non ha a disposizione personale dirigenziale, per la
copertura di un certo numero di incarichi, ricorre ai “non Dirigenti”.
A
giudizio di chi scrive, pertanto, nel Decreto legislativo vi è una grave
mancanza: l’assenza della previsione di un ruolo intermedio tra impiegati e
Dirigenti, con la conseguente possibilità che le funzioni dirigenziali siano
assunte dai “non Dirigenti”.
Tale
sistema viola i descritti inderogabili principi costituzionali, a scapito del
buon andamento e dell’efficienza dell’agere
amministrativo per cui sarebbe auspicabile introdurre un’area quadri,
analogamente a quanto è previsto per il rapporto di lavoro privato.
In
conclusione, la Riforma trasforma i Dirigenti in “precari” (alla mercè della
P.A., a scapito del cittadino e dell’efficienza della P.A.) e i poteri della
P.A. in arbitrio.
Come tale, essa pone dubbi di legittimità
costituzionale.