giovedì 29 gennaio 2015

Durc, una norma incostituzionale?





Il Durc, ovvero il documento unico di regolarità contributiva, è stato di fatto definitivamente  introdotto, su spinta UE, con Decreto 24 ottobre 2007 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ed ad oggi riguarda un gran numero di artigiani ed aziende. Senza tediare il lettore con una lunga ricostruzione della variegata normativa in materia si rammenta, in questa sede, unicamente cosa sia tale documento. Trattasi di una certificazione rilasciata dall’autorità amministrativa o in alcuni settori, dalle casse professionali (ad esempio la cassa edile per l’edilizia), con cui l’imprenditore o l’artigiano deve certificare la propria regolarità nei pagamenti contributivi.

L’omissione del DURC è condizione ostativa alla possibilità di proseguire nell’attività professionale svolta, ovvero il cittadino si trova privato del proprio diritto al lavoro. Il DURC dunque è una follia giuridica posto che in sostanza, chi non è in regola con il versamento dei contributi, secondo il nostro ordinamento può tranquillamente legarsi una corda al collo e togliersi la vita. Ciò si verifica a prescindere dalle ragioni per cui è stato contratto l’eventuale debito (fermo restando che, anche se tale debito fosse colpevole, nel nostro ordinamento non è prevista la pena di morte e ciò vale sia in via diretta che indiretta).

La Repubblica, come noto, non solo riconosce il diritto al lavoro ma anzi vi si fonda. L’art. 1 lo mette al primo posto dei diritti fondamentali come vero e proprio cardine dello Stato: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” . Inoltre  “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2 Cost.). Specificatamente in tema lavoro, l’art. 4 Cost. poi dispone: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

Non serve un fine giurista per poter affermare, senza tema di smentita, che il divieto al lavoro in caso di mancata regolarità contributiva è incostituzionale. Lo Stato certamente può agire legittimamente per il recupero dei propri crediti ma ovviamente non può farlo comportandosi come un volgare estorsore che, in caso di mancato pagamento, impedisce al cittadino di sopravvivere. Si è davanti ad un manifesto ricatto. Non è pertanto legittimo frapporre ostacoli al lavoro, fermo restando il diritto dello Stato di agire esecutivamente sul reddito conseguentemente ottenuto. Ciò ovviamente nei limiti di legge e sempre garantendo al cittadino che non venga pignorata una parte del reddito che impedisca ad esso ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Questo a prescindere da qualsiasi errore passato, anche macroscopico, che possa essere stato commesso. Il diritto al lavoro non può essere compresso.

Il suggerimento dello scrivente per difendersi da tale abuso normativo è dunque quello di tentare, per chi si vedesse rifiutato il DURC, immediata impugnazione davanti al Tribunale Amministrativo competente per territorio (con qualche dubbio di giurisdizione ancora a mio avviso irrisolto) ed in tale sede, oltre a richiedere la sospensiva del provvedimento, sollevare l’eccezione d’incostituzionalità delle vergognose norme introdotte dallo Stato in materia al fine di cancellarle definitivamente dall’ordinamento. Sarebbe fondamentale fermare questo istituto giuridico responsabile diretto di molti suicidi nel nostro paese.

Ultimo rilievo viene fatto circa la ormai nota prassi di falsificare i DURC. Tale comportamento costituisce certamente reato ma chi scrive ritiene che possa ricorrere, in alcuni casi, una chiara esimente per chi purtroppo non ha la possibilità di provvedere materialmente alla regolarizzazione contributiva. Tale esimente è disciplinata dall’art. 54 c.p. che dispone: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.

Ovviamente i cosiddetti “furbi” non potranno mai avvalersi di tale esimente ma è chiaro che la stessa varrebbe per la maggior parte degli imprenditori messi in ginocchio dalla crisi economica causata dalle folle politiche di austerità imposte dall’UE che, guarda caso, è anche la responsabile dell’introduzione del DURC nel nostro ordinamento.

Lo scrivente, in diretta collaborazione con l’associazione Salviamo gli Italiani, è al vostro fianco per agire contro l’abominio giuridico del DURC.